ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

venerdì 5 dicembre 2014

Cambiare guardie o cambiare preti?

http://www.ilfoglio.it/articoli/iv/123584/rubriche/vignetta.htm

Guardie svizzere verso il tramonto? lo strano caso del comandante licenziato

Perché il papa ha fatto dimettere il comandante della Guardia svizzera pontificia, Daniel Rudolf Anrig? La domanda fino ad ora non ha trovato una risposta del tutto soddisfacente; la decisione presa dal pontefice, e pubblicata dall'Osservatore romano, è infatti arrivata in modo inaspettato e mentre si svolgeva in Vaticano la visita “ad limina apostolorum” dei vescovi svizzeri. E' vero che al 42enne colonnello era stata data una proroga del mandato (di norma della durata di 5 anni) ma un cambio al vertice dello storico corpo di sicurezza non era previsto.


Sta di fatto che dal 31 gennaio Anrig non sarà più il capo delle guardie svizzere; le voci della prima ora parlano di un appartamento troppo lussuoso che l'ufficiale, sposato con quattro figli, si stava facendo costruire, o anche di un certo eccesso di militarismo di cui si erano lamentati alcuni rappresentanti del Corpo.
Tutto può essere, naturalmente, e però vanno presi in considerazione anche altri elementi. Come quella storia risalente al 2003 quando l'allora capo della polizia del cantone di Glarona, in Svizzera, il futuro colonnello Anrig, fu coinvolto in uno scandalo relativo a un'indagine di polizia. Venne aperta anche un'indagine giudiziaria che si concluse con un'archiviazione, nessuna condanna insomma, tranne quella di una multa e delle spese legali.

In breve accadde che le forze di sicurezza guidate da Anrig, ricevettero la segnalazione di un traffico di droga in corso all'interno di un centro per richiedenti asilo. La polizia fece irruzione nell'edificio e, secondo i media svizzeri, utilizzò metodi violenti abusò dei rifugiati costringendo all'umiliazione sessuale alcuni di loro. Non solo: i poliziotti avrebbero agito a volto coperto per non farsi riconoscere. A denunciare i fatti fu nientemeno che Amnesty international, l'inchiesta giudiziaria si risolse però con l'assoluzione della polizia anche se vennero rilevati alcuni comportamenti scorretti. In ogni caso nel rapporto di Amnesty dl 2004, si denunciavano diverse violazioni da parte di varie polizie cantonali contro richiedenti asilo, manifestanti, detenuti di colore.

I casi cui si faceva riferimento nel rapporto riguardavano alcuni cantoni fra cui quello di Glarona. Certo è che i fatti erano già noti all'epoca della nomina di Anrig a capo della Guardia svizzera nel 2008; anzi lui stesso dichiarò che si trattava di “cose di cinque anni fa, è una storia che per me e per i miei uomini si è conclusa positivamente, visto che la denuncia venne archiviata dalla magistratura” . Non tutti i media la pensavano così ma non si può dire che Oltretevere non avessero tutti gli elementi per valutare.

Anrig del resto, originario del cantone di San Gallo, conosceva bene la Guardia svizzera in quanto vi aveva prestato servizio dal 1992 al 1994, poi si era laureato in diritto civile ed ecclesiastico. Dal 2002 al 2006 si ritrovò a capo della polizia criminale del cantone di Glarona (è il periodo della vicenda ricordata), poi servì come capitano nell'esercito svizzero, quindi venne chiamato nel 2008 in Vaticano. Qui prenderà il posto di Elmar Mader, il suo predecessore, che lasciò l'incarico anche a causa della rivalità che si andava accrescendo fra Guardie svizzere e Gendarmeria vaticana, l'altra forza di sicurezza della Santa Sede, quella il cui ruolo sta crescendo sempre di più. Mader fra l'altro chiedeva un incremento del numero di uomini a sua disposizione. Di Anrig è rimasta agli atti invece una mezza apertura all'ipotesi, futuribile, di aprire la Guardia svizzera anche alle donne.

In epoca moderna in ogni caso il Corpo ha vissuto diversi problemi; nel 1998 si verificò lo scandalo recente più grave quando il caporale Cedric Tornay uccise il comandante Alois Estermann e sua moglie Gladys. Omicidio-suicidio per una mancata promozione del caporale da parte del comandante, fu la versione ufficiale alla quale la madre di Cedric non ha mai creduto tanto da mobilitare avvocati di grido per cercare di riaprire il caso. E in effetti la storia presenta diversi lati oscuri. A ciò si aggiunga che, oltre ogni retroscena, il colonnello Anrig faceva comunque parte di un pezzo di potere legato ai vecchi apparati vaticani, quelli che Francesco sta cercando di emarginare. In tal senso va sottolineato che le guardie svizzere restano pur sempre una forza di sicurezza interne al piccolo Stato e che molte di loro sono continuamente a contatto con il Papa. Ancora è possibile che Francesco stia pensando a un progressivo ridimensionamento del Corpo e delle funzioni che ricopre rafforzando magari quelle simboliche e di rappresentanza.

Nel maggio scorso lo stesso pontefice, rivolgendosi alle guardie, osservò: “ricordate che non è l’uniforme ma colui che la indossa a dover colpire gli altri per la gentilezza, per lo spirito di accoglienza, per l’atteggiamento di carità verso tutti”. Non sembrava esattamente un ritratto marziale. Intanto si fa il nome del vice comandante, Christoph Graf, come possibile sostituto.

Quest'articolo è stato pubblicato Sul Secolo XIX

Francesco Peloso
http://vaticantabloid.blogspot.it/2014/12/guardie-svizzere-verso-il-tramonto-lo.html

Se questo è un prete  –  di Paolo Deotto

Redazione
Don Gino Rigoldi si esibisce in una serie di dichiarazioni che una volta si sarebbero definite “sconcertanti”, ma che non sono più insolite nella “nuova” Chiesa che abbraccia il mondo. OK. Ma perché insiste a voler fare il sacerdote?
di Paolo Deotto
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Rigoldi Virginio, inteso Gino, classe 1939, da decenni cappellano del carcere minorile “Beccaria” di Milano, è un uomo che ha fatto di sicuro una lunga e benemerita attività per il recupero dei giovani ex-carcerati. Per questa sua attività ha ricevuto diversi riconoscimenti (è Cavaliere della Repubblica, cittadino benemerito di Milano, ha ricevuto l’Ambrogino d’oro, eccetera); è anche membro della commissione centrale di beneficenza della Fondazione Cariplo.
Insomma, onore al merito. Però c’è anche un particolare: che Rigoldi Gino è un sacerdote cattolico. A questo punto è lecito chiedersi se il sacerdote Don Gino Rigoldi abbia le idee chiare, o non abbia invece un po’ di confusione in testa in materia dottrinale.
Leggiamo oggi sul Fatto quotidiano online affermazioni del tipo: “Se un giovane mi dice che domenica non è andato a messa, o che ha fatto sesso fuori dalle regole o che ha visto qualche (film strano) in tv – spiega il cappellano del carcere Beccaria – questi sono cattivi comportamenti ma non sono peccati, non tradiscono il Vangelo”. E aggiunge, giusto per dare un tono di classe al ragionamento: “Dio non si incazza per queste piccolezze. E a volte anche noi preti, facciamo queste cose qui”.
Se qualcuno fosse poi proprio duro di comprendonio, il sacerdote Don Gino Rigoldi precisa: “Il sacramento della confessione va cambiato”.
Certo, il giornale online Il Fatto potrebbe scrivere bugie, travisare, e così via. Ma sulla stessa pagina trovate anche il video, nel corso del quale potete ascoltare dalla viva voce del sullodato le frasi riportate.
Poiché Don Rigoldi è cappellano in un carcere milanese, presumo che dipenda dalla Curia ambrosiana. Vedremo ora se la Curia, che ha già dato notevoli esempi di leonina opposizione alla mentalità mondana, riterrà di dover fare qualche appunto su queste pubbliche affermazioni di un prete. O forse no? Viviamo un’epoca strana, in cui si martellano i Francescani dell’Immacolata – senza peraltro aver mai spiegato perché – o in cui si esiliano in cariche puramente simboliche uomini di Fede come il Card. Burke. Per non parlare che di due casi particolarmente eclatanti.
A Don Gino Rigoldi ci permettiamo di chiedere, con tutto il rispetto, perché, se ha queste convinzioni, insiste a fare il prete. Non gli chiediamo, come si usava una volta, perché “continua a indossare l’abito”, visto che da prete non si veste mai.
Di sicuro affermazioni come quelle sopra riportate rendono viepiù popolari. L’applauso del mondo è assicurato: ma la nuova Chiesa si ricorda ancora chi è il “principe di questo mondo”?
http://www.riscossacristiana.it/se-questo-e-prete-di-paolo-deotto/

Ci sono tante tipi di “famiglie”. Ce lo dice un parroco bresciano, in associazione con una “pastora” valdese. La risposta di Fabio Trevisan e Andrea Mondinelli

Redazione

zzchsdmltAccade a Brescia. Il 1° dicembre sul quotidiano BresciaOggi viene pubblicata una lettera che è singolare già nelle firme: è infatti firmata da un sacerdote cattolico – almeno così è lecito supporre, visto che si tratta del parroco di Santa Maria in Silva, parrocchia di Brescia – e da una “pastora” valdese. CLICCANDO QUI potete leggere questa lettera.
Il tema trattato non è davvero di scarsa importanza: “Quale famiglia cristiana?”. Sarebbe ozioso chiedersi, in tempi di galoppante ecumenismo e abbracci in moschee, sinagoghe, eccetera, perché un parroco cattolico senta la necessità di firmare un intervento insieme a una rappresentante di una setta eretica. Del resto, leggendo la lettera tutto si chiarisce. Leggiamo infatti un polpettone in cui si riprendono tutti i luoghi comuni sui “vari tipi di famiglie”, sulla necessità che lo Stato laico provveda all’ordinamento giuridico dei “vari tipi”, tra i quali (visto che l’ordinamento già esiste per i divorziati risposati) rientrerebbero ovviamente le coppie di fatto e le coppie omosessuali. Il tutto, non può mancare, con l’auspicio della solita “accoglienza”. Nihil sub sole novum. Siamo di fronte al solito inchino al politicamente corretto, alla volontà di certa parte del clero cattolico di annullarsi di fronte al mondo, di annunciare ad alta voce la resa totale a un “cambiamento”, senza porsi minimamente il problema di leggere questo “cambiamento” alla luce della Tradizione cattolica e della Dottrina. Si evita così il faticoso compito di insegnare cos’è giusto e cos’è ingiusto, dove è il male e dove è il bene.
Fabio Trevisan e Andrea Mondinelli hanno scritto a BresciaOggi (inviandone copia anche alla Diocesi bresciana) una lettera in risposta alle affermazioni della lettera cattolico-valdese.  Pubblichiamo qui di seguito il testo integrale della loro lettera:
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Alcune considerazioni prendendo spunto dalla lettera congiunta apparsa su Brescia Oggi del 01/12 a firma di don Fabio Corazzina ed Anne Zell, pastora valdese di Brescia, che affermano la ormai urgente necessità di estensione del “riconoscimento da parte delle istituzione e della società civile delle varie forme di famiglie e di unioni”. Voglio innanzitutto portare un contributo al dibattito, basato puramente sulla ragione e non ancora sul credo religioso.
Innanzitutto sul riconoscimento delle libere convivenze. Si tratta di un errore giuridico oltre che morale (inteso in senso pienamente laico, cioè del bene della società), almeno per le seguenti ragioni:
  • la decisione di non contrarre vincolo è libera da parte dei 2 soggetti; non si vede per quale ragione si debba imporre un legame quando deliberatamente i soggetti lo rifiutano; se lo desiderano, possono benissimo sposarsi ed il problema è risolto, con oneri ed onori;
  • socialmente, unioni del genere documentano ed incarnano la precarietà della società, nella quale nessuno vuole più doveri e vincoli ma tutti pretendono diritti; riconoscere questi legami (in pratica con soli diritti) da parte delle istituzioni significa inevitabilmente incentivare la labilità sociale, con le conseguenze che sono sotto gli occhi di tutto, gravi soprattutto per i soggetti più deboli (in particolare i figli, specie piccoli); quindi incentivare queste unioni toglie moltissimo alla famiglia perché invita apertamente a non costituirla; brutalmente: chi me lo fa fare di sposarmi se con una libera convivenza ho pari diritti? Mica sono scemo: ho gli stessi vantaggi e, il giorno che voglio, mando la mia compagna a quel paese dall’oggi al domani senza alcuna conseguenza! Che problema c’è?
  • vi immaginate a quante “furbate” e contenziosi potrà condurre in sede giuridica un eventuale riconoscimento da parte delle istituzioni? Non sono un esperto, ma pensate solo a quale potrebbe essere un criterio oggettivo, documentabile e sufficiente per stabilire una convivenza (che originerebbe diritti): testimonianze? Residenza anagrafica nello stesso edificio? E da quanto tempo? 10 anni, 1 anno, 1 mese, 1 giorno? Verrebbe spazzato via l’unico criterio oggettivamente riscontrabile: il legame stabile riconosciuto e codificato (matrimonio), e non si avrebbe più alcun riferimento oggettivo. Un disastro giuridico.
Per quanto riguarda le altre convivenze, si tratta di quelle derivate da seconde nozze (evidentemente già riconosciute dallo Stato, quindi non oggetto del dibattito), e da quelle omosessuali. Quanto a queste ultime, si parla spesso di discriminazione, ma a sproposito. Questo termine significa “trattare cose (o persone) uguali in modo diverso”. Ora, sfido chiunque ad affermare che una relazione tra persone dello stesso sesso sia uguale a quello tra uomo e donna: dal punto di vista fisico, biologico, mentale, affettivo, psicologico, emozionale e della fecondità. Sono cose diverse, e come tali vano trattate! Ma c’è di più: dal punto di vista giuridico la ragione sulla quale si fonda il riconoscimento delle unioni da parte dello Stato non è il rapporto affettivo tra di loro. Per quanto possa apparire strano, allo stato questo non interessa minimamente, altrimenti esisterebbero anche una serie di altri legami che dovrebbero essere tutelati (l’amicizia, per es.). La ragione giuridica consiste nel ruolo sociale che la famiglia ha in quanto culla e luogo per la nascita, la crescita e l’educazione dei figli, caratteristiche proprie delle relazioni tra uomo e donna per ragioni piuttosto evidenti.
Infine alcune considerazioni più di tipo cattolico. La lettera citata, “nel rispetto delle scelte personali, lasciando libertà e non penalizzando o condannando pur mantenendo a livello di ordinamento ecclesiastico posizioni diverse sul riconoscimento delle varie forme di famiglie e di unioni” ed invocando il dialogo con tutti, pare ormai sdoganare tutti i tipi di unione possibili. Bisogna, si dice, far diventare le nostre comunità “spazi accoglienti dove trovare ascolto e sostegno, dove confrontarsi senza esasperazioni e condanne su vari modelli di vita responsabile (cristiani e non) rispettando le differenze e rinunciando a delle discriminazioni”. Dissento con fermezza: le persone non si condannano mai ma, come dice il testo giustamente, si accompagnano e si aiutano; ma i modelli di vita sbagliati quelli si condannano, ci mancherebbe! Chi si sposa davanti a Nostro Signore gli dice: “Io so che tu, o Signore, ami personalmente ciascuno di noi come se fosse unico al mondo, e che ciascuno di noi è prezioso ai tuoi occhi; ora io ricevo dalle Tue mani questa donna come un dono per me e Ti chiedo, umilmente, di essere un segno del Tuo amore per lei”. Si chiede cioè al Signore di essere per Lui un’umanità “aggiunta” per così dire, di prestare a Dio le mani, la volontà, le capacità, l’intelligenza, le doti, in una parola tutta la propria umanità perché il Suo amore per quella persona si faccia carne e sia evidente. Uno, solo guardando a suo marito/sua moglie, dovrebbe poter dire: quanto mi ama il Signore! Questa è la nostra fede, e su questo si fonda l’indissolubilità del matrimonio, non su altro, e ci aspettiamo che i nostri parroci insegnino questo ai giovani. Ne va della salvezza dell’anima nostra e dei nostri fratelli e sorelle, che è l’unico scopo della nostra vita e la grande missione della Chiesa. Ma lo crediamo veramente? L’accoglienza e l’amicizia con le persone in situazioni difficili o irregolari quale scopo hanno? E il dialogo così invocato è un fine od un mezzo? Qual è il fine ultimo? E’ ancora la salvezza dell’anima o no? Ma ci interessa ancora? E nell’accompagnamento è necessario o è un optional indirizzare la coscienza di chi è in difficoltà (certo con delicatezza, ma con fermezza) verso la verità di se stesso? Rinunciare a questo è abdicare alla propria vocazione cristiana, è come affiancare uno che sta affogando nel mare dicendogli “Oh come nuoti bene” invece che aiutarlo a uscire dall’acqua. Ci basta questo come persone con una importante responsabilità educativa?
C’è un po’ troppa confusione sul significato della parola dialogo. Lasciamo la parola al Beato Papa Paolo VI, che molto se ne intendeva: “Non basta avvicinare gli altri, ammetterli alla nostra conversazione, confermare ad essi la nostra fiducia, cercare il loro bene. Bisogna inoltre adoperarsi affinchè si convertano. Occorre predicare perché ritornino. Occorre recuperarli all’ordine divino che è uno solo” (discorso del 27 giugno 1968). Le parole in corsivo sono in originale nel testo dell’Osservatore Romano.
Da meditare profondamente quanto dichiarato esplicitamente e senza paura dal Card. Caffarra nella lettera “Perchè non posso tacere. Appello ai fedeli di Carlo Caffarra, arcivescovo di Bologna,  13 aprile 2014”:
“Non mi interessa dunque l’aspetto etico della cosa; e non è di temi etici che parlo. Purtroppo la questione è molto più profonda. E’ una questione antropologica. Si sta gradualmente introducendo nella nostra convivenza una visione dell’uomo che erode e devasta i fondamentali della persona umana come tale. Non è di condotte quindi ciò di cui stiamo discutendo. E’ la persona umana come tale che è in pericolo, poiché si stanno ridefinendo artificialmente i vissuti umani fondamentali: il rapporto uomo – donna; la maternità e la paternità; la dignità e i diritti del bambino. Carissimi fedeli, entriamo nella Settimana Santa. Perché Dio si è fatto uomo? Perché è morto crocifisso? Non c’è che una risposta: perché ricco di misericordia, ha amato perdutamente l’uomo. Ogni volta che ferisci l’uomo; che lo depredi della sua umanità, tu ferisci il Dio – uomo. Tu neghi il fatto cristiano. Ecco perché non ho potuto tacere. Perché non sia resa vana la Croce di Cristo” . […] Sono in questione le relazioni fondamentali che strutturano la persona umana.
E terminiamo con questa bellissima e cristallina citazione di G.K. Chesterton:
«Non c’è che un peccato: dire che una foglia verde è grigia,
per questo il sole in cielo rabbrividisce
… non c’è che un credo: sotto l’ala di nessun terrore al mondo
le mele dimenticano di maturare sui meli»
Esprimiamo infine l’auspicio, e facciamo appello affinché i pastori della diocesi facciano sentire forte la loro voce per riaffermare con chiarezza la verità sull’uomo e, nei dovuti modi e con la necessaria discrezione, non consentano più a chi ha il compito di guidare le anime di diffondere idee che sono palesemente in contrasto con la morale cattolica, cioè con il bene comune.
 .
Fabio Trevisan
Andrea Mondinelli

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