Il Vangelo della giustizia
Quando si parla della Giustizia divina e dei suoi castighi, molti credenti si sentono profondamente a disagio, come se ci si riferisse a qualcosa di estraneo alla Rivelazione cristiana. In realtà ciò sembra dovuto a un grave fraintendimento, causato da una visione deformata della fede che ci è stata trasmessa. Il più insidioso tranello della cultura attuale non è il rifiuto esplicito della dottrina cattolica, ma la sua sostituzione – nella predicazione come nell’insegnamento, negli scritti come nelle interviste – con un surrogato che non ha più nulla in comune con essa, se non alcuni nomi e una patina leggera che inganna senza alcuna difficoltà gli spiriti superficiali del nostro tempo. Alla base di esso si trova ancora quella corrente di pensiero tardo-medievale (il nominalismo) che è alla radice degli errori protestanti e del razionalismo moderno, che con il modernismo e il neo-modernismo ha ridotto il discorso su Dio a mero gioco intellettuale, sganciato dalla verità rivelata e suscettibile di tutti gli adattamenti pretesi dal mondo incredulo.
Non ci attarderemo, in questa sede, nella ricerca dei responsabili di tale deformazione, ma è ormai evidente che la figura e il messaggio di Gesù Cristo soffrono oggi di una mistificazione senza precedenti, che li estrapola completamente dal loro reale contesto storico e dalle fonti che ci permettono di conoscerli (Scrittura, Tradizione, Magistero), per dissolverli in un vago e indistinto umanesimo sentimentalistico che non dà fastidio a nessuno e non cambia nulla delle situazioni umane. Nei primi secoli del Cristianesimo qualcosa di analogo è già avvenuto con la gnosi, per tanti versi simile al New Age contemporaneo; allora la Chiesa reagì vigorosamente mediante gli scritti di grandi Padri come sant’Ireneo di Lione, soprattutto quando era in gioco la continuità tra le due Alleanze e l’identità del Dio che vi si era rivelato.
Evocare la divina Giustizia, dunque, non significa risuscitare il demiurgo cattivo con cui Marcione, nel II secolo, identificava la divinità dell’Antico Testamento, poi a suo dire sostituita dal Padre buono del Vangelo… ciò che continua invece a fare, ancora oggi, la psicanalisi atea e storicistica che si ispira, per esempio, a Erich Fromm (un cognome mai così smentito da chi lo porta) e che certi ecclesiastici di alto rango – ahimé – hanno appassionatamente studiato in gioventù. Non sono nemmeno nostalgiche simpatie per il rigorismo giansenista ad ispirarci, ma semplicemente una fedeltà senza compromessi alla verità salvifica che abbiamo ricevuto in dono.
La giustizia di Dio, così come la conosciamo dalla Rivelazione, corrisponde perfettamente, in realtà, a una rivendicazione insopprimibile della coscienza umana. Essa non contraddice affatto alla Sua misericordia, ma al pari di essa è un attributo della Sua essenza, ossia l’amore (cf. 1 Gv 4, 8.16). Chi potrebbe immaginare un amore ingiusto che lasciasse impunito il male? Certo, l’educazione oggi in voga si fonda proprio su quest’idea aberrante, ma i suoi effetti sono ormai sotto gli occhi di tutti ed è già troppo tardi per correre ai ripari… (fortuna che c’è la C.E.I. a sfornare, sia pure a scoppio ritardato, documenti-fiume sull’emergenza educativa!). Ad ogni modo, il Dio della Bibbia non ha certo educato così gli uomini, mostrando loro puntualmente, invece, che i loro peccati hanno delle conseguenze e che devono risponderne – se non in questa vita, certamente nell’altra.
Che il male si debba pagare è una necessità metafisica, inerente all’Essere e all’ordine intrinseco del cosmo. La vera fede ci ha però rivelato che tale necessità non è un meccanismo cieco, inflessibile e impietoso come la Díke dei Greci, ma è messa dall’Amore increato al servizio del nostro bene e della nostra redenzione. Anche i castighi sono salutari, perché hanno una funzione pedagogica: aprono gli occhi di chi li accetta sul male commesso, correggono le cattive abitudini e raddrizzano i sentieri tortuosi, consentono ai rei di espiare le loro colpe sulla terra anziché in Purgatorio (le cui pene sono incomparabilmente più dolorose, dato che lì si vede la realtà della propria vita in piena luce). Non è misericordia, questa? Visto che il peccato è la morte dell’anima e procura l’Inferno, può Dio lasciar andare i suoi figli alla rovina senza far nulla? Quando tutti gli ammonimenti sono caduti nel vuoto, non gli rimane che il castigo, occasione di pentimento e di perdono.
Qualcuno forse obietterà che, secondo le parole stesse del Signore, i pubblicani e le prostitute ci precedono nel Regno di Dio (cf. Mt 21, 31). In realtà, Gesù si riferiva a quei pubblicani e a quelle prostitute che, a differenza dei farisei che stava rimproverando, avevano ascoltato la predicazione di san Giovanni Battista e si erano convertiti cambiando vita: egli non li elogiò in quanto pubblicani e prostitute, ma in quanto persone bisognose di redenzione che avevano preso la decisione giusta, disponendosi così ad accogliere la salvezza da Lui portata. Se è vero che Cristo ama i peccatori, in essi non ama certo il peccato (che offende il Padre Suo e ne calpesta l’amore), ma le creature fatte a Sua immagine, che il peccato ha sfigurato e che rischiano perciò di dannarsi per tutta l’eternità; per questo ancora oggi – come fece durante il Suo passaggio su questa terra – li chiama a penitenza e dona a chi la accoglie la grazia della conversione.
Che cosa merita la nostra società orrendamente colpevole, accecata dalla superbia e sorda a qualsiasi richiamo? Centinaia di milioni di esseri umani sterminati nel grembo materno non giustificano i cataclismi naturali?… e purtroppo è solo un esempio fra tanti – certamente il più terribile. L’esistenza delle cause seconde (cioè delle responsabilità umane) non esclude che una Sapienza onnisciente le abbia previste e le utilizzi per i Suoi scopi provvidenziali, assicurando comunque infallibilmente il Suo soccorso spirituale ad ogni uomo in pericolo di morte in modo che possa salvarsi per l’eternità, compreso chi muore travolto da un maremoto (magari provocato da esperimenti nucleari sottomarini…). A questa Sapienza soprannaturale, infinitamente superiore all’uomo, siamo noi a dover rendere conto dei nostri comportamenti, non il contrario…
Si parla molto dei cambiamenti climatici, ma quasi mai delle manipolazioni climatiche, che in campo militare risalgono almeno alla Seconda Guerra Mondiale (preannunciata dalla Madonna a Fatima nel 1917 come un castigo peggiore della guerra allora in corso, se l’umanità non si fosse convertita) e hanno trovato largo uso, per esempio, nella guerra in Vietnam: si colpisce il nemico provocando eventi meteorologici avversi mediante il rilascio di sostanze chimiche nell’atmosfera. Contro chi si combatte da noi, oggi? Vogliono forse ridurci allo stremo per imporci poi un surrogato autoritario di salvezza che non ci lascerà via di scampo? Ma che aspettiamo a convertirci seriamente a Colui che farebbe molto volentieri a meno dei castighi e vuole appunto sottrarci al potere oscuro cui gli uomini si sottomettono con le loro colpe?
Mostra la tua potenza e vieni, Signore: nei pericoli che ci minacciano a causa dei nostri peccati la tua protezione ci liberi, il tuo soccorso ci salvi (dalla liturgia dell’Avvento).
Don Giorgio Ghio |
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