Nullità dell'elezione pontificia per accordo previo?
di Guido Ferro Canale
Ha suscitato un certo scalpore la notizia, contenuta in un libro del giornalista Austen Ivereigh e poi rilanciata da vari siti (tra cui, per quanto in questa sede interessa, “Chiesa e post-Concilio”, che ha ripreso un post del blog “From Rome”), secondo cui un gruppo di Cardinali, prima che si aprisse il Conclave del 2013, avrebbe orchestrato l’elezione di Bergoglio assicurandosi voti e, i primo luogo, all’assenso dell’argentino all’elezione.
Preciso di non interessarmi, qui, della quaestio facti, ma solo delle conseguenze giuridiche di un simile accordo elettorale, soprattutto perché l’autore del post sopra citato (e di un altro precedente), tal p. Alexis Bugnolo, sostiene – con molti altri – che esso comporterebbe la nullità dell’elezione papale. Mi sembra opportuno mostrare che questa tesi non è fondata.
Il testo legale da cui partire è la Cost. Ap. Universi Dominici Gregis – ma le norme non sembrano mutate in modo significativo rispetto alla Vacantis Apostolicae Sedis di Pio XII – che, al n. 81, dispone: “I Cardinali elettori si astengano, inoltre, da ogni forma di patteggiamenti, accordi, promesse od altri impegni di qualsiasi genere, che li possano costringere a dare o a negare il voto ad uno o ad alcuni. Se ciò in realtà fosse fatto, sia pure sotto giuramento, decreto che tale impegno sia nullo e invalido e che nessuno sia tenuto ad osservarlo; e fin d’ora commino la scomunica latae sententiae ai trasgressori di tale divieto. Non intendo, tuttavia, proibire che durante la Sede Vacante ci possano essere scambi di idee circa l’elezione.” – “Cardinales electores praeterea abstineant ab omnibus pactionibus, conventionibus, promissionibus aliisque quibusvis obligationibus, quibus astringi possint ad suffragium cuidam vel quibusdam dandum aut recusandum. Quae omnia, si reapse intervenerint, etiam iure iurando adiecto, decernimus ea nulla et irrita esse, neque eadem observandi obligatione quemquam teneri; facientes contra iam nunc poena excommunicationis latae sententiae innodamus. Vetari tamen non intellegimus, ne per tempus Sedis vacantis de electione sententiae invicem communicentur.”
Merita un cenno anche il n. 82, che stabilisce la nullità delle cc.dd. capitolazioni, o “impegni di comune accordo” tra i Cardinali, foss’anche sotto giuramento, che si obbligano “ad attuarli nel caso che uno di loro sia elevato al Pontificato.”. Da quel che ho capito, peraltro, Bergoglio non avrebbe preso impegni particolari.
Come si vede, la UDG non commina la nullità dell’elezione. E, per un principio generale del diritto canonico, l’illecito comporta una pena per l’autore, ma non invalida l’atto, a meno che la legge non preveda espressamente la nullità, o l’inabilità del reo a compierlo (cfr. can. 10 e il commento di V. de Paolis in AA.VV., Il diritto nel mistero della Chiesa, vol. I, PUL 1995, pagg. 279-81). Ma, osserva p. Bugnolo, se la notizia fosse vera, tutti i Cardinali coinvolti – Bergoglio incluso – sarebbero stati scomunicati prima dell’apertura del Conclave… e quindi non vi avrebbero potuto partecipare, vietandolo il CIC 1983, can. 171. Il quale dispone, altresì, che se di fatto i soggetti inabili votano il loro voto sia nullo, ma resti salvo lo scrutinio; ora, prosegue il ragionamento, pare che alla prima votazione Bergoglio abbia ottenuto 32 suffragi, frutto dell’accordo previo; annullandoli in quello scrutinio e anche in tutti i successivi, risulterebbe non raggiunto il quorum.
Bugnolo discute anche l’obiezione basata su UDG 35: “Nessun Cardinale elettore potrà essere escluso dall’elezione sia attiva che passiva per nessun motivo o pretesto, fermo restando quanto prescritto ai nn. 40 e 75 di questa Costituzione.”. Ricorda che il can. 171 menziona la carenza di voce attiva al §1 n. 2°, come qualcosa di distinto dall’inabilitazione da scomunica (n. 3°); e si dice incapace di credere che, con questo n. 35, il Papa abbia voluto ammettere anche chi sia completamente pazzo (“incapace di atto umano”: n. 1°) o abbia pubblicamente abbandonato la Chiesa (n. 4°).
Si potrebbe obiettare che il n. 35 è chiarito dal successivo n. 36: “Un Cardinale di Santa Romana Chiesa, che sia stato creato e pubblicato in Concistoro, ha per ciò stesso il diritto di eleggere il Pontefice (ius eligendi Pontificis), a norma del n. 33 della presente Costituzione, anche se ancora non gli sia stato imposto il berretto, né consegnato l’anello, né abbia prestato il giuramento. Non hanno, invece questo diritto i Cardinali canonicamente deposti o che abbiano rinunciato, col consenso del Romano Pontefice, alla dignità cardinalizia. Inoltre, in periodo di Sede Vacante, il Collegio dei Cardinali non può riammettere o riabilitare costoro.”. Dunque, solo la deposizione canonica fa perdere il diritto ad eleggere e ad essere convocati per il Conclave. Ma, più radicalmente, p. Bugnolo sbaglia a interpretare il can. 171, ritenendo che inabiliti tutti gli scomunicati, anziché solo quelli la cui scomunica sia stata dichiarata (o irrogata), come risulta dal testo: “poena excommunicationis innodatus sive per sententiam iudicialem sive per decretum quo poena irrogatur vel declaratur”. Probabilmente, si confonde con il generale automatismo della scomunica latae sententiae. Ma essa, poiché è per lo più occulta, rende illecita la detenzione di un ufficio ecclesiastico, però non ne invalida l’esercizio e neppure impedisce di conseguirne validamente altri (cfr. can. 1331; ma la disciplina era la stessa sotto il CIC 1917). Come dice lo stesso p. Bugnolo, la ratio del n. 35 è impedire che un Cardinale venga escluso sulla base di accuse lanciate dai confratelli in Conclave; ma il risultato si raggiunge solo se è necessario che la scomunica risulti da una sentenza o da un decreto anteriori. Da cui scaturiranno anche gli effetti della deposizione canonica; e così il cerchio si chiude.
Mi sia permessa una disamina riassuntiva: UDG 82 permette lo scambio di opinioni tra gli elettori, s’intende in tempo di Sede vacante, circa la persona da eleggere; scambio utilissimo se non necessario, dato che i Cardinali potrebbero conoscersi poco o nulla. Magari, alla fine di un colloquio del genere, ci si trova d’accordo sul fatto che la persona giusta sarebbe Tizio; ma questo, di per sé, non è un accordo vietato dal n. 81, perché non fa sentire obbligato nessuno a votare di conseguenza (è un idem sentire, non un idem velle, non un contratto). Questi altri accordi sono privi di forza obbligante e puniti con la scomunica, ma non hanno riflessi di sorta sull’elezione, neanche quanto al suffragio espresso dai singoli contraenti. All’apice della gravità, infine, troviamo la simonia, cioè, in questo caso, il “voto di scambio”; che non è necessariamente “voto contro denaro” o altro bene considerato per il valore economico (munus a manu), ma anche contro elogi, raccomandazioni e favori simili (munus a lingua) o altri servigi, come l’istruzione del figlio etc. (munus ab obsequio). Ebbene, UDG 78 deroga al can. 149 §3, che invalida le elezioni simoniache in genere, per salvare proprio quella del Papa, sia pure scomunicando tutti i soggetti coinvolti. A fortiori, dunque, se l’accordo non prevede uno scambio o un impegno (sono le “capitolazioni” invalidate dal n. 82), ma sia un semplice “Accetti di essere votato?” – “Accetto”.
Sotto questo profilo, dunque, l’elezione di Bergoglio è salva. Ma non si può fare a meno di osservare che, tra voti annullati, accordi proibiti, e aggiungerei gaffe clamorose come le felicitazioni della CEI a Scola, il Conclave del 2013 assomiglia sempre più ad un circo impazzito, dove lo spettatore può solo mettersi le mani nei capelli.
Che dire? Probabilmente Dio, per intervenire a salvare la Chiesa, aspetta che gli uomini facciano tutto il danno possibile e immaginabile. Così sarà palese che il soccorso è giunto dall’Alto. E preghiamo che non tardi ancora.
http://radiospada.org/2014/12/16489/
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