(Fonte: Il Foglio del 17/12/2014) Non se l’aspettavano proprio, nel quartier generale della Conferenza episcopale americana, che la prima università del paese ad adeguarsi alle norme anti discriminazione varate di recente dal dipartimento del Lavoro fosse la cattolicissima Marquette University, fondata nel 1881 dai padri gesuiti e da loro retta ancora oggi che con i suoi quasi ottomila studenti è uno dei più grandi atenei della Compagnia negli Stati Uniti. A inizio dicembre, il governo federale pubblicava l’ultimo decreto che rendeva effettivo l’ordine emesso nel luglio scorso da Barack Obama finalizzato a proibire la discriminazione sulla base dell’orientamento sessuale e dell’orientamento di genere di quanti sottoposti alla contrattazione lavorativa federale. E destinatarie del provvedimento erano anche le università e i college statunitensi. Due giorni dopo la pubblicazione del provvedimento governativo, la Conferenza episcopale rilasciava una nota pubblica in cui si chiariva che “la chiesa cattolica insegna che ogni marchio di ingiusta discriminazione nei confronti di coloro che provano attrazione per persone dello stesso sesso deve essere evitato”, ma nella fattispecie – da una prima lettura – sembra che queste norme proibiscano ben più che “l’ingiusta discriminazione”. In particolare, scrivevano i vescovi guidati da mons. Joseph Kurtz, “vietare la disapprovazione religiosa e morale della condotta omosessuale crea una seria minaccia alla libertà di coscienza e di libertà religiosa, perché mai i cattolici potrebbero approvare tale condotta”.
Della nota, che forniva un orientamento per tutti gli enti scolastici del paese, a Milwaukee, sede della Marquette University, hanno fatto carta straccia. E se la conferenza episcopale ribadisce nero su bianco che quella dell’identità di genere è “una falsa ideologia che ignora la realtà biologica”, nel campus del Wisconsin si organizza un corso creato ad hoc in cui, attraverso una storia a fumetti, si racconta la vicenda di Hans, un disabile in sedia a rotelle che si decide a denunciare le sue colleghe Becky e Maria, colpevoli d’aver parlato pubblicamente della loro opposizione al matrimonio tra omosessuali. Hans si sente offeso per quanto le due signore andavano dicendo per una settimana intera, ma in un primo momento decide di non dire nulla. Poi, alla fine, denuncia la conversazione tra le due, nonostante Becky abbia replicato che facendo ciò calpestava la sua libertà di parola. Non conta, racconta la storia: le due signore stavano sì esprimendo liberamente le proprie opinioni, ma ciò era comunque discriminatorio. Ed è questo il messaggio che l’ateneo vuole far passare: come già deliberato a suo tempo dalla commissione per le pari opportunità occupazionali e sottolineato dalla Catholic News Agency, l’essere contrari alle nozze gay può essere considerato un comportamento “molesto”. Per questo, tutti i dipendenti dell’ateneo sono tenuti a comportarsi come Hans, denunciando alle autorità competenti chi pubblicamente si mostri contrario alle unioni tra persone dello stesso sesso. Anche se quelle conversazioni non abbiano esplicitamente un intento offensivo. La storia a fumetti è stata realizzata da una società specializzata di Austin, la Workplace Answers, che già da tempo ha siglato accordi di cooperazione con ben sette università rette dalla Compagnia di Gesù.
Il caso richiama alla memoria quanto accaduto nei mesi scorsi in altri celebri campus gesuiti d’America, come il Loyola Marymount di Los Angeles e la prestigiosa Georgetown University di Washington. Se nella prima università lo scorso anno si battagliò a lungo tra studenti e finanziatori gelosi custodi della “identità cattolica dell’ateneo” e vertici desiderosi di tutelare “la peculiarità di accoglienza e tolleranza verso tutti”, anche di quanti affiggevano sulle porte delle aule e degli uffici adesivi pro choice, alla Georgetown, fecero un passo ulteriore, istituendo i corsi in cui si predicava il diritto di abortire e di ricorrere ai più moderni metodi contraccettivi. A tenerli, era stato chiamato il National Women’s Law Center, celebre per le sue battaglie contro gli ospedali privati cattolici che, per ragioni di coscienza, si rifiutano di aiutare a interrompere le gravidanze. Dai vertici, un solo e lapidario commento: “Nessun imbarazzo, qui si favorisce il libero scambio di idee”. Roma. Non se l’aspettavano proprio, nel quartier generale della Conferenza episcopale americana, che la prima università del paese ad adeguarsi alle norme anti discriminazione varate di recente dal dipartimento del Lavoro fosse la cattolicissima Marquette University, fondata nel 1881 dai padri gesuiti e da loro retta ancora oggi che con i suoi quasi ottomila studenti è uno dei più grandi atenei della Compagnia negli Stati Uniti. A inizio dicembre, il governo federale pubblicava l’ultimo decreto che rendeva effettivo l’ordine emesso nel luglio scorso da Barack Obama finalizzato a proibire la discriminazione sulla base dell’orientamento sessuale e dell’orientamento di genere di quanti sottoposti alla contrattazione lavorativa federale. E destinatarie del provvedimento erano anche le università e i college statunitensi. Due giorni dopo la pubblicazione del provvedimento governativo, la Conferenza episcopale rilasciava una nota pubblica in cui si chiariva che “la chiesa cattolica insegna che ogni marchio di ingiusta discriminazione nei confronti di coloro che provano attrazione per persone dello stesso sesso deve essere evitato”, ma nella fattispecie – da una prima lettura – sembra che queste norme proibiscano ben più che “l’ingiusta discriminazione”. In particolare, scrivevano i vescovi guidati da mons. Joseph Kurtz, “vietare la disapprovazione religiosa e morale della condotta omosessuale crea una seria minaccia alla libertà di coscienza e di libertà religiosa, perché mai i cattolici potrebbero approvare tale condotta”.
Della nota, che forniva un orientamento per tutti gli enti scolastici del paese, a Milwaukee, sede della Marquette University, hanno fatto carta straccia. E se la conferenza episcopale ribadisce nero su bianco che quella dell’identità di genere è “una falsa ideologia che ignora la realtà biologica”, nel campus del Wisconsin si organizza un corso creato ad hoc in cui, attraverso una storia a fumetti, si racconta la vicenda di Hans, un disabile in sedia a rotelle che si decide a denunciare le sue colleghe Becky e Maria, colpevoli d’aver parlato pubblicamente della loro opposizione al matrimonio tra omosessuali. Hans si sente offeso per quanto le due signore andavano dicendo per una settimana intera, ma in un primo momento decide di non dire nulla. Poi, alla fine, denuncia la conversazione tra le due, nonostante Becky abbia replicato che facendo ciò calpestava la sua libertà di parola. Non conta, racconta la storia: le due signore stavano sì esprimendo liberamente le proprie opinioni, ma ciò era comunque discriminatorio. Ed è questo il messaggio che l’ateneo vuole far passare: come già deliberato a suo tempo dalla commissione per le pari opportunità occupazionali e sottolineato dalla Catholic News Agency, l’essere contrari alle nozze gay può essere considerato un comportamento “molesto”. Per questo, tutti i dipendenti dell’ateneo sono tenuti a comportarsi come Hans, denunciando alle autorità competenti chi pubblicamente si mostri contrario alle unioni tra persone dello stesso sesso. Anche se quelle conversazioni non abbiano esplicitamente un intento offensivo. La storia a fumetti è stata realizzata da una società specializzata di Austin, la Workplace Answers, che già da tempo ha siglato accordi di cooperazione con ben sette università rette dalla Compagnia di Gesù.
Il caso richiama alla memoria quanto accaduto nei mesi scorsi in altri celebri campus gesuiti d’America, come il Loyola Marymount di Los Angeles e la prestigiosa Georgetown University di Washington. Se nella prima università lo scorso anno si battagliò a lungo tra studenti e finanziatori gelosi custodi della “identità cattolica dell’ateneo” e vertici desiderosi di tutelare “la peculiarità di accoglienza e tolleranza verso tutti”, anche di quanti affiggevano sulle porte delle aule e degli uffici adesivi pro choice, alla Georgetown, fecero un passo ulteriore, istituendo i corsi in cui si predicava il diritto di abortire e di ricorrere ai più moderni metodi contraccettivi. A tenerli, era stato chiamato il National Women’s Law Center, celebre per le sue battaglie contro gli ospedali privati cattolici che, per ragioni di coscienza, si rifiutano di aiutare a interrompere le gravidanze. Dai vertici, un solo e lapidario commento: “Nessun imbarazzo, qui si favorisce il libero scambio di idee”.
Il caso richiama alla memoria quanto accaduto nei mesi scorsi in altri celebri campus gesuiti d’America, come il Loyola Marymount di Los Angeles e la prestigiosa Georgetown University di Washington. Se nella prima università lo scorso anno si battagliò a lungo tra studenti e finanziatori gelosi custodi della “identità cattolica dell’ateneo” e vertici desiderosi di tutelare “la peculiarità di accoglienza e tolleranza verso tutti”, anche di quanti affiggevano sulle porte delle aule e degli uffici adesivi pro choice, alla Georgetown, fecero un passo ulteriore, istituendo i corsi in cui si predicava il diritto di abortire e di ricorrere ai più moderni metodi contraccettivi. A tenerli, era stato chiamato il National Women’s Law Center, celebre per le sue battaglie contro gli ospedali privati cattolici che, per ragioni di coscienza, si rifiutano di aiutare a interrompere le gravidanze. Dai vertici, un solo e lapidario commento: “Nessun imbarazzo, qui si favorisce il libero scambio di idee”. Roma. Non se l’aspettavano proprio, nel quartier generale della Conferenza episcopale americana, che la prima università del paese ad adeguarsi alle norme anti discriminazione varate di recente dal dipartimento del Lavoro fosse la cattolicissima Marquette University, fondata nel 1881 dai padri gesuiti e da loro retta ancora oggi che con i suoi quasi ottomila studenti è uno dei più grandi atenei della Compagnia negli Stati Uniti. A inizio dicembre, il governo federale pubblicava l’ultimo decreto che rendeva effettivo l’ordine emesso nel luglio scorso da Barack Obama finalizzato a proibire la discriminazione sulla base dell’orientamento sessuale e dell’orientamento di genere di quanti sottoposti alla contrattazione lavorativa federale. E destinatarie del provvedimento erano anche le università e i college statunitensi. Due giorni dopo la pubblicazione del provvedimento governativo, la Conferenza episcopale rilasciava una nota pubblica in cui si chiariva che “la chiesa cattolica insegna che ogni marchio di ingiusta discriminazione nei confronti di coloro che provano attrazione per persone dello stesso sesso deve essere evitato”, ma nella fattispecie – da una prima lettura – sembra che queste norme proibiscano ben più che “l’ingiusta discriminazione”. In particolare, scrivevano i vescovi guidati da mons. Joseph Kurtz, “vietare la disapprovazione religiosa e morale della condotta omosessuale crea una seria minaccia alla libertà di coscienza e di libertà religiosa, perché mai i cattolici potrebbero approvare tale condotta”.
Della nota, che forniva un orientamento per tutti gli enti scolastici del paese, a Milwaukee, sede della Marquette University, hanno fatto carta straccia. E se la conferenza episcopale ribadisce nero su bianco che quella dell’identità di genere è “una falsa ideologia che ignora la realtà biologica”, nel campus del Wisconsin si organizza un corso creato ad hoc in cui, attraverso una storia a fumetti, si racconta la vicenda di Hans, un disabile in sedia a rotelle che si decide a denunciare le sue colleghe Becky e Maria, colpevoli d’aver parlato pubblicamente della loro opposizione al matrimonio tra omosessuali. Hans si sente offeso per quanto le due signore andavano dicendo per una settimana intera, ma in un primo momento decide di non dire nulla. Poi, alla fine, denuncia la conversazione tra le due, nonostante Becky abbia replicato che facendo ciò calpestava la sua libertà di parola. Non conta, racconta la storia: le due signore stavano sì esprimendo liberamente le proprie opinioni, ma ciò era comunque discriminatorio. Ed è questo il messaggio che l’ateneo vuole far passare: come già deliberato a suo tempo dalla commissione per le pari opportunità occupazionali e sottolineato dalla Catholic News Agency, l’essere contrari alle nozze gay può essere considerato un comportamento “molesto”. Per questo, tutti i dipendenti dell’ateneo sono tenuti a comportarsi come Hans, denunciando alle autorità competenti chi pubblicamente si mostri contrario alle unioni tra persone dello stesso sesso. Anche se quelle conversazioni non abbiano esplicitamente un intento offensivo. La storia a fumetti è stata realizzata da una società specializzata di Austin, la Workplace Answers, che già da tempo ha siglato accordi di cooperazione con ben sette università rette dalla Compagnia di Gesù.
Il caso richiama alla memoria quanto accaduto nei mesi scorsi in altri celebri campus gesuiti d’America, come il Loyola Marymount di Los Angeles e la prestigiosa Georgetown University di Washington. Se nella prima università lo scorso anno si battagliò a lungo tra studenti e finanziatori gelosi custodi della “identità cattolica dell’ateneo” e vertici desiderosi di tutelare “la peculiarità di accoglienza e tolleranza verso tutti”, anche di quanti affiggevano sulle porte delle aule e degli uffici adesivi pro choice, alla Georgetown, fecero un passo ulteriore, istituendo i corsi in cui si predicava il diritto di abortire e di ricorrere ai più moderni metodi contraccettivi. A tenerli, era stato chiamato il National Women’s Law Center, celebre per le sue battaglie contro gli ospedali privati cattolici che, per ragioni di coscienza, si rifiutano di aiutare a interrompere le gravidanze. Dai vertici, un solo e lapidario commento: “Nessun imbarazzo, qui si favorisce il libero scambio di idee”.
http://www.conciliovaticanosecondo.it/in-rete/inquisizione-gesuita-pro-gender/
Quando uno comincia dicendo “sono cattolico, ma…”, già si capisce che sta per affermare qualcosa in contraddizione con il suo essere cattolico. Come dire: “sono vegano, ma mangio carne” o “sono felice, ma mi sento triste”, e così via.
Davvero non si capisce come si possa dirsi cattolici e professare convinzioni palesemente in contrasto con la dottrina cattolica. Non può esistere un cattolico emancipato dalla dottrina della Chiesa cattolica, altrimenti è la professione di una fede-fai-da-te che poi si nomina “cattolicesimo”, come ha sottolineato Benedetto XVI criticando chi parla di “fede adulta”. Nessuno costringe ad essere cattolici e chi si dice cattolico è perché evidentemente aderisce alla dottrina professata dalla Chiesa cattolica. Per dirla diversamente, seguire la dottrina cattolica è una condizione indispensabile per definirsi cattolici.
Queste riflessioni sono emerse leggendo un articolo di qualche tempo fa di Aurelio Mancuso, parlamentare PD, attivista Lgbt, presidente di Equality Italia ed ex presidente nazionale di Arcigay. Mancuso ha osteggiato pesantemente Mario Adinolfi, reo di essere stato invitato nell’ottobre scorso da un circolo del Partito Democratico piemontese a parlare del suo libro “Voglio la mamma” e ad esporre il suo pensiero contro il matrimonio, l’utero in affitto e le adozioni omosessuali, che per Mancuso diventa automaticamente «vomitare tutto il suo rancore rispetto alle differenze e alle libertà». Ha quindi invitato ad impedire lo svolgersi dell’evento: «Mi auguro che questa iniziativa sia cancellata, non per una volontà censoria, ma perché il Partito democratico non può non scegliere, esser parte di parte non può mettere sullo stesso piano vittime e carnefici».
Non c’è da stupirsi, conosciamo ormai fin troppo bene la poca tolleranza dei militanti Lgbt. Dissentire dalle loro opinioni significa automaticamente discriminarli, diventare dei carnefici, alimentare odio e omofobia. E’ una strategia retorica molto violenta, utile per mettere a tacere chiunque osi pensarla diversamente. Niente di strano, quindi, che sia stata adoperata anche da Aurelio Mancuso.
La cosa più particolare è che abbia concluso il suo articolo dicendo di sentirsi disarmato di fronte all’invito rivolto a Adinolfi come «dirigente del Pd, militante per i diritti di tutte e di tutti, cattolico e omosessuale». Curioso che si definisca “per i diritti di tutte e di tutti” mentre stia tentando di impedire, attraverso la pressione mediatica, il diritto del circolo PD ad invitare chi la pensa in modo opposto a lui e, sopratutto, impedire a Mario Adinolfi il diritto di esprimere le sue idee in un circolo di un partito politico che, oltretutto, ha contribuito a fondare. Mancuso si definisce “cattolico e omosessuale” e non c’è nulla di contraddittorio in questo (molti omosessuali hanno aderito alle “Sentinelle in Piedi”), non è una sua scelta essere omosessuale e, come spiega il Catechismo, non è un peccato avere questa inclinazione (il problema sono gli atti omosessuali). Da cattolico, però, ritiene che «aborto, matrimonio gay, adozioni, transessualismo, eutanasia, eterologa, surroga» siano «riforme civili e di libertà».
E’ abbastanza ovvio che la dottrina e il magistero della Chiesa cattolica (e non solo) insegni esattamente l’opposto e, -come dicevamo sopra- chi vuole definirsi cattolico non ha logicamente possibilità di emanciparsi dalla dottrina cattolica, pena l’auto-contraddizione. Ma Mancuso non è certamente l’unico a cadere in questa contraddizione, Giovanni Paolo II nell’enciclica “Evangelium Vitae” ha proprio spiegato: «Troppo spesso i credenti, perfino quanti partecipano attivamente alla vita ecclesiale, cadono in una sorta di dissociazione tra la fede cristiana e le sue esigenze etiche a riguardo della vita, giungendo così al soggettivismo morale e a taluni comportamenti inaccettabili».
Essere cattolici viene per molti percepito come un’appartenenza sociologica a un’area politica, ad un vago sentimento a cui non deve necessariamente seguire alcun convincimento o comportamento coerente. Gesù, citando Isaia, denunciava questa ipocrisia: «Questo popolo mi onora con le labbra, ma il suo cuore è lontano da me. Invano essi mi rendono culto, insegnando dottrine che sono precetti di uomini» (Mc 7,6). Cattolici ma non troppo, dice Papa Francesco: «Noi siamo cittadini, concittadini di questa Chiesa. Se noi non entriamo in questo tempio e facciamo parte di questa costruzione affinché lo Spirito Santo abiti in noi, noi non siamo nella Chiesa. Noi siamo alla porta e guardiamo: ‘Ma, che bello… sì, questo è bello…’. Cristiani che non vanno più avanti della reception della Chiesa: sono lì, alla porta… ‘Ma sì, sono cattolico, sì, ma troppo no… così…”». E in una sua udienza ha ricordato: «Non si diventa cristiani da sé, cioè con le proprie forze, in modo autonomo, neppure si diventa cristiani in laboratorio, ma si viene generati e fatti crescere nella fede all’interno di quel grande corpo che è la Chiesa. In questo senso la Chiesa è davvero madre, la nostra madre Chiesa – è bello dirlo così: la nostra madre Chiesa – una madre che ci dà vita in Cristo e che ci fa vivere con tutti gli altri fratelli nella comunione dello Spirito Santo». Senza aderire alla Chiesa non si può essere cattolici, insomma.
Essere cattolici significa riconoscere nella Chiesa il mistero della presenza viva e incontrabile di Gesù Cristo che continua il suo cammino nella storia e che investe ogni aspetto della vita dell’uomo, religioso, etico e morale. Emanciparsi da essa e dal suo magistero non significa essere “cattolici adulti”, ma, semplicemente, non essere cattolici.
La redazione
http://www.uccronline.it/2014/12/17/sono-cattolico-ma-la-contraddizione-di-aurelio-mancuso/
«Sono cattolico ma…», la contraddizione di Aurelio Mancuso
Davvero non si capisce come si possa dirsi cattolici e professare convinzioni palesemente in contrasto con la dottrina cattolica. Non può esistere un cattolico emancipato dalla dottrina della Chiesa cattolica, altrimenti è la professione di una fede-fai-da-te che poi si nomina “cattolicesimo”, come ha sottolineato Benedetto XVI criticando chi parla di “fede adulta”. Nessuno costringe ad essere cattolici e chi si dice cattolico è perché evidentemente aderisce alla dottrina professata dalla Chiesa cattolica. Per dirla diversamente, seguire la dottrina cattolica è una condizione indispensabile per definirsi cattolici.
Queste riflessioni sono emerse leggendo un articolo di qualche tempo fa di Aurelio Mancuso, parlamentare PD, attivista Lgbt, presidente di Equality Italia ed ex presidente nazionale di Arcigay. Mancuso ha osteggiato pesantemente Mario Adinolfi, reo di essere stato invitato nell’ottobre scorso da un circolo del Partito Democratico piemontese a parlare del suo libro “Voglio la mamma” e ad esporre il suo pensiero contro il matrimonio, l’utero in affitto e le adozioni omosessuali, che per Mancuso diventa automaticamente «vomitare tutto il suo rancore rispetto alle differenze e alle libertà». Ha quindi invitato ad impedire lo svolgersi dell’evento: «Mi auguro che questa iniziativa sia cancellata, non per una volontà censoria, ma perché il Partito democratico non può non scegliere, esser parte di parte non può mettere sullo stesso piano vittime e carnefici».
Non c’è da stupirsi, conosciamo ormai fin troppo bene la poca tolleranza dei militanti Lgbt. Dissentire dalle loro opinioni significa automaticamente discriminarli, diventare dei carnefici, alimentare odio e omofobia. E’ una strategia retorica molto violenta, utile per mettere a tacere chiunque osi pensarla diversamente. Niente di strano, quindi, che sia stata adoperata anche da Aurelio Mancuso.
La cosa più particolare è che abbia concluso il suo articolo dicendo di sentirsi disarmato di fronte all’invito rivolto a Adinolfi come «dirigente del Pd, militante per i diritti di tutte e di tutti, cattolico e omosessuale». Curioso che si definisca “per i diritti di tutte e di tutti” mentre stia tentando di impedire, attraverso la pressione mediatica, il diritto del circolo PD ad invitare chi la pensa in modo opposto a lui e, sopratutto, impedire a Mario Adinolfi il diritto di esprimere le sue idee in un circolo di un partito politico che, oltretutto, ha contribuito a fondare. Mancuso si definisce “cattolico e omosessuale” e non c’è nulla di contraddittorio in questo (molti omosessuali hanno aderito alle “Sentinelle in Piedi”), non è una sua scelta essere omosessuale e, come spiega il Catechismo, non è un peccato avere questa inclinazione (il problema sono gli atti omosessuali). Da cattolico, però, ritiene che «aborto, matrimonio gay, adozioni, transessualismo, eutanasia, eterologa, surroga» siano «riforme civili e di libertà».
E’ abbastanza ovvio che la dottrina e il magistero della Chiesa cattolica (e non solo) insegni esattamente l’opposto e, -come dicevamo sopra- chi vuole definirsi cattolico non ha logicamente possibilità di emanciparsi dalla dottrina cattolica, pena l’auto-contraddizione. Ma Mancuso non è certamente l’unico a cadere in questa contraddizione, Giovanni Paolo II nell’enciclica “Evangelium Vitae” ha proprio spiegato: «Troppo spesso i credenti, perfino quanti partecipano attivamente alla vita ecclesiale, cadono in una sorta di dissociazione tra la fede cristiana e le sue esigenze etiche a riguardo della vita, giungendo così al soggettivismo morale e a taluni comportamenti inaccettabili».
Essere cattolici viene per molti percepito come un’appartenenza sociologica a un’area politica, ad un vago sentimento a cui non deve necessariamente seguire alcun convincimento o comportamento coerente. Gesù, citando Isaia, denunciava questa ipocrisia: «Questo popolo mi onora con le labbra, ma il suo cuore è lontano da me. Invano essi mi rendono culto, insegnando dottrine che sono precetti di uomini» (Mc 7,6). Cattolici ma non troppo, dice Papa Francesco: «Noi siamo cittadini, concittadini di questa Chiesa. Se noi non entriamo in questo tempio e facciamo parte di questa costruzione affinché lo Spirito Santo abiti in noi, noi non siamo nella Chiesa. Noi siamo alla porta e guardiamo: ‘Ma, che bello… sì, questo è bello…’. Cristiani che non vanno più avanti della reception della Chiesa: sono lì, alla porta… ‘Ma sì, sono cattolico, sì, ma troppo no… così…”». E in una sua udienza ha ricordato: «Non si diventa cristiani da sé, cioè con le proprie forze, in modo autonomo, neppure si diventa cristiani in laboratorio, ma si viene generati e fatti crescere nella fede all’interno di quel grande corpo che è la Chiesa. In questo senso la Chiesa è davvero madre, la nostra madre Chiesa – è bello dirlo così: la nostra madre Chiesa – una madre che ci dà vita in Cristo e che ci fa vivere con tutti gli altri fratelli nella comunione dello Spirito Santo». Senza aderire alla Chiesa non si può essere cattolici, insomma.
Essere cattolici significa riconoscere nella Chiesa il mistero della presenza viva e incontrabile di Gesù Cristo che continua il suo cammino nella storia e che investe ogni aspetto della vita dell’uomo, religioso, etico e morale. Emanciparsi da essa e dal suo magistero non significa essere “cattolici adulti”, ma, semplicemente, non essere cattolici.
La redazione
http://www.uccronline.it/2014/12/17/sono-cattolico-ma-la-contraddizione-di-aurelio-mancuso/
Aborto, eutanasia e dittatura del relativismo – una lettera di Carla D’Agostino Ungaretti
Caro Direttore,
dirai che da qualche giorno ti sommergo di e – mail, ma i problemi sollevati da Carlo Cardia su AVVENIRE di domenica 14 dicembre sono di tale gravità che, pur essendo stati trattati molte volte da RISCOSSA CRISTIANA, mi vien da pensare che di essi non si discuterà mai abbastanza perché evidenziano pericoli enormi ed io non posso fare a meno di discuterne con te e con gli amici del nostro sito.
Nel suo ottimo editoriale il Prof. Cardia ci ricorda che in tutto il mondo occidentale è in atto una strategia finalizzata a reprimere alcuni fondamentali diritti umani, come il sacrosanto diritto alla vita e l’altrettanto sacrosanto diritto a esprimere liberamente le proprie opinioni e a vivere coerentemente con esse. Sembra che il mondo non comprenda che questi diritti – codificati nel XX secolo dalla Carta dei Diritti dell’uomo e del cittadino, dopo che l’umanità del “secolo breve” aveva sperimentato sulla propria pelle dittature, guerre e genocidi – sono ora soggetti a una grave erosione, senza che si levi alcuna voce autorevole che, a livello planetario, denunci questo misfatto all’opinione pubblica mondiale la quale, dal canto suo, sembra essersi comodamente adagiata sul soddisfacimento dei propri comodi e sul mero perseguimento dei propri interessi materiali.
Tanto per citare un solo esempio tra i molti di cui siamo a conoscenza, pochi giorni fa il Parlamento francese ha sancito l’aborto come “diritto fondamentale” e il Presidente Hollande preme perché si dia il via libera all’eutanasia, aprendo così una voragine umana e antropologica di cui non è dato neppure immaginare il fondo. Lo scontro di due diritti, quello alla vita del nascituro contro quello alla cosiddetta “autodeterminazione “ della donna (mi ripugna chiamarla madre, ma in questa circostanza essa stessa dimostra di non sentirsi tale) ha fatto sì che il secondo sia considerato “poziore” (come dicevano gli antichi giuristi) rispetto al primo, ritenuto invece meno importante e perciò non meritevole di voce in capitolo perché, appunto, privo di voce politica e (mi vien da dire) di “rappresentanza sindacale“. Questo indirizzo di pensiero si è sempre più rafforzato negli ultimi anni aprendo una comoda strada all’accettazione dell’eutanasia e alla fabbricazione di bambini in laboratorio. Se possiamo sopprimere tranquillamente un “prodotto di concepimento” perché indesiderato ovvero di impedimento ai progetti di coloro che lo hanno concepito (anche in questo caso non riesco a chiamarli genitori) chi ci può impedire di favorire il suicidio più o meno assistito dei vecchi, dei malati inguaribili, di coloro che avvertono il peso degli anni o il semplice taedium vitae? E, peggio ancora, sia per l’aborto che per le pratiche eutanasiche, sarà perseguita penalmente l’obiezione di coscienza che appena 50 anni fa era considerata il più alto e maturo dei diritti civili, perché dava voce alle più profonde istanze individuali, come il rifiuto del servizio militare “per non imparare a uccidere altri esseri umani” tra i quali, evidentemente, oggi non sono più annoverati il bambino appena concepito e l’essere umano giunto (come si dice con ipocrita, ma gentile, eufemismo) alla terza o quarta età.
Si parla di risorse economiche limitate, di un prossimo raggiungimento di un limite allo sviluppo sostenibile, stiamo attraversando una crisi economica di cui ancora non si intravede la fine; il ricco occidente, dopo aver sfruttato per più di un secolo i paesi poveri, ora non vuole fare sacrifici per favorirne lo sviluppo, consentendo anche a quelle popolazioni di raggiungere un po’ di benessere e questo egoistico atteggiamento inasprisce il risentimento di quello che una volta era chiamato il terzo mondo verso i paesi ricchi e verso il Cristianesimo, con il quale essi vengono identificati.
In questo clima di benessere materiale, la vita umana in occidente si è enormemente allungata: ora non è difficile, per una persona sana, raggiungere i 90 o anche i 100 anni senza, però, poter essere più di utilità alla società dei più giovani i quali, a causa del crollo delle nascite, si ritrovano ad essere di numero molto inferiore a quello dei vecchi che dovrebbero mantenere e curare. E allora, date le premesse filosofiche che stiamo respirando, come si potrà impedire che tra qualche decennio o ventennio non si arrivi a sancire legislativamente la soppressione dei grandi vecchi ormai di peso a se stessi e agli altri? Sono eventualità che dovrebbero destare orrore ma alle quali invece si sta facendo tranquillamente l’abitudine (come ho sentito dire qualche giorno fa in salotto di amici) prevedendone la possibilità, anche se qualcuno ancora le disapprova.
Solo i cattolici doc, ormai, si ribellano all’idea dell’uccisione premeditata di un essere umano appena concepito o di una persona anziana e malata senza più potere né forze e sanno bene che forse dovranno scontare amaramente le conseguenze del loro rifiuto ad adeguarsi al “mondo”; noi sappiamo per fede che Dio è sempre dalla parte dei deboli, dei poveri, di chi non ha voce, ma per riuscire a contrastare costruttivamente quella nefanda filosofia di vita occorre avere una visione del mondo totalmente cristiana, senza compromessi né concessioni a quel “mondo”, senza se e senza ma. Io dico sempre che, se avessi vent’anni di meno, farei il diavolo a quattro in tutte le sedi, parrocchiali, diocesane e anche politiche, ma poi mi rendo conto che tutti noi, ed io per prima, siamo poveri, piccoli peccatori, la maggior parte dei quali “tiene famiglia” e allora mi domando amaramente: ce la faranno i futuri giovani medici e infermieri cattolici a rifiutarsi di praticare aborti ed eutanasie? Ce la faranno i futuri pubblici amministratori a rifiutarsi di celebrare matrimoni tra omosessuali o di avallare la fabbricazione di esseri umani in provetta?
Io non posso pensare a tutto ciò senza provare una profonda preoccupazione; non mi consola pensare che forse (o fortunatamente) io non vedrò realizzarsi in terra questo scenario che a me pare chiaramente ispirato da Satana. Mi addolora pensare che forse lo vedranno i nostri figli e i nostri nipoti e sarà la dimostrazione che, nel XXI secolo, quella democrazia occidentale, tanto esaltata e osannata nel secolo precedente al punto da far pensare che dovesse essere esportata e imposta addirittura con le guerre nei paesi che non l’hanno mai conosciuta e della quale non hanno mai sentito il bisogno, si sarà rovesciata nel suo contrario, cioè nell’eterogenesi dei fini. Non per nulla Benedetto XVI aveva parlato di “dittatura del relativismo“. Ora questa espressione sembra passata di moda anche per tanti cattolici i quali, travolti anch’essi dalla società liquida che impera, preferiscono tapparsi gli occhi, la bocca e le orecchie come le famose tre scimmiette, ma tutto ciò che ci circonda, che vediamo e sentiamo, ce ne rivela l’attualità.
Io credo che tutto il mondo occidentale abbia bisogno di una rigenerazione in senso umano e spirituale, ma gli operatori che la favoriscano sono pochi. Allora, noi che crediamo fermamente in Cristo, vincitore del “mondo” e padrone delle messi, non dobbiamo mai dimenticare di invocarlo perché mandi tanti nuovi operai a lavorare nelle sue terre. In altri tempi li ha mandati: S. Francesco d’Assisi, S. Caterina da Siena, S. Teresa d’Avila e tanti altri grandi Santi sono stati capaci di raddrizzare il mondo in cui vivevano. Perché Dio non dovrebbe mandarli anche ora, se glielo chiediamo con cuore sincero? Tra pochi giorni sarà Natale e allora preghiamo tutti il Santo Bambino perché protegga tutti i piccoli innocenti non ancora nati e tutti i poveri, i deboli, gli emarginati costretti, come Lui, a vivere in una mangiatoia, sia reale che metaforica.
Ancora una volta, grazie per avere avuto la pazienza di leggermi e BUON NATALE!
Carla D’Agostino Ungaretti
http://www.riscossacristiana.it/aborto-eutanasia-dittatura-del-relativismo-una-lettera-di-carla-dagostino-ungaretti/
dirai che da qualche giorno ti sommergo di e – mail, ma i problemi sollevati da Carlo Cardia su AVVENIRE di domenica 14 dicembre sono di tale gravità che, pur essendo stati trattati molte volte da RISCOSSA CRISTIANA, mi vien da pensare che di essi non si discuterà mai abbastanza perché evidenziano pericoli enormi ed io non posso fare a meno di discuterne con te e con gli amici del nostro sito.
Nel suo ottimo editoriale il Prof. Cardia ci ricorda che in tutto il mondo occidentale è in atto una strategia finalizzata a reprimere alcuni fondamentali diritti umani, come il sacrosanto diritto alla vita e l’altrettanto sacrosanto diritto a esprimere liberamente le proprie opinioni e a vivere coerentemente con esse. Sembra che il mondo non comprenda che questi diritti – codificati nel XX secolo dalla Carta dei Diritti dell’uomo e del cittadino, dopo che l’umanità del “secolo breve” aveva sperimentato sulla propria pelle dittature, guerre e genocidi – sono ora soggetti a una grave erosione, senza che si levi alcuna voce autorevole che, a livello planetario, denunci questo misfatto all’opinione pubblica mondiale la quale, dal canto suo, sembra essersi comodamente adagiata sul soddisfacimento dei propri comodi e sul mero perseguimento dei propri interessi materiali.
Tanto per citare un solo esempio tra i molti di cui siamo a conoscenza, pochi giorni fa il Parlamento francese ha sancito l’aborto come “diritto fondamentale” e il Presidente Hollande preme perché si dia il via libera all’eutanasia, aprendo così una voragine umana e antropologica di cui non è dato neppure immaginare il fondo. Lo scontro di due diritti, quello alla vita del nascituro contro quello alla cosiddetta “autodeterminazione “ della donna (mi ripugna chiamarla madre, ma in questa circostanza essa stessa dimostra di non sentirsi tale) ha fatto sì che il secondo sia considerato “poziore” (come dicevano gli antichi giuristi) rispetto al primo, ritenuto invece meno importante e perciò non meritevole di voce in capitolo perché, appunto, privo di voce politica e (mi vien da dire) di “rappresentanza sindacale“. Questo indirizzo di pensiero si è sempre più rafforzato negli ultimi anni aprendo una comoda strada all’accettazione dell’eutanasia e alla fabbricazione di bambini in laboratorio. Se possiamo sopprimere tranquillamente un “prodotto di concepimento” perché indesiderato ovvero di impedimento ai progetti di coloro che lo hanno concepito (anche in questo caso non riesco a chiamarli genitori) chi ci può impedire di favorire il suicidio più o meno assistito dei vecchi, dei malati inguaribili, di coloro che avvertono il peso degli anni o il semplice taedium vitae? E, peggio ancora, sia per l’aborto che per le pratiche eutanasiche, sarà perseguita penalmente l’obiezione di coscienza che appena 50 anni fa era considerata il più alto e maturo dei diritti civili, perché dava voce alle più profonde istanze individuali, come il rifiuto del servizio militare “per non imparare a uccidere altri esseri umani” tra i quali, evidentemente, oggi non sono più annoverati il bambino appena concepito e l’essere umano giunto (come si dice con ipocrita, ma gentile, eufemismo) alla terza o quarta età.
Si parla di risorse economiche limitate, di un prossimo raggiungimento di un limite allo sviluppo sostenibile, stiamo attraversando una crisi economica di cui ancora non si intravede la fine; il ricco occidente, dopo aver sfruttato per più di un secolo i paesi poveri, ora non vuole fare sacrifici per favorirne lo sviluppo, consentendo anche a quelle popolazioni di raggiungere un po’ di benessere e questo egoistico atteggiamento inasprisce il risentimento di quello che una volta era chiamato il terzo mondo verso i paesi ricchi e verso il Cristianesimo, con il quale essi vengono identificati.
In questo clima di benessere materiale, la vita umana in occidente si è enormemente allungata: ora non è difficile, per una persona sana, raggiungere i 90 o anche i 100 anni senza, però, poter essere più di utilità alla società dei più giovani i quali, a causa del crollo delle nascite, si ritrovano ad essere di numero molto inferiore a quello dei vecchi che dovrebbero mantenere e curare. E allora, date le premesse filosofiche che stiamo respirando, come si potrà impedire che tra qualche decennio o ventennio non si arrivi a sancire legislativamente la soppressione dei grandi vecchi ormai di peso a se stessi e agli altri? Sono eventualità che dovrebbero destare orrore ma alle quali invece si sta facendo tranquillamente l’abitudine (come ho sentito dire qualche giorno fa in salotto di amici) prevedendone la possibilità, anche se qualcuno ancora le disapprova.
Solo i cattolici doc, ormai, si ribellano all’idea dell’uccisione premeditata di un essere umano appena concepito o di una persona anziana e malata senza più potere né forze e sanno bene che forse dovranno scontare amaramente le conseguenze del loro rifiuto ad adeguarsi al “mondo”; noi sappiamo per fede che Dio è sempre dalla parte dei deboli, dei poveri, di chi non ha voce, ma per riuscire a contrastare costruttivamente quella nefanda filosofia di vita occorre avere una visione del mondo totalmente cristiana, senza compromessi né concessioni a quel “mondo”, senza se e senza ma. Io dico sempre che, se avessi vent’anni di meno, farei il diavolo a quattro in tutte le sedi, parrocchiali, diocesane e anche politiche, ma poi mi rendo conto che tutti noi, ed io per prima, siamo poveri, piccoli peccatori, la maggior parte dei quali “tiene famiglia” e allora mi domando amaramente: ce la faranno i futuri giovani medici e infermieri cattolici a rifiutarsi di praticare aborti ed eutanasie? Ce la faranno i futuri pubblici amministratori a rifiutarsi di celebrare matrimoni tra omosessuali o di avallare la fabbricazione di esseri umani in provetta?
Io non posso pensare a tutto ciò senza provare una profonda preoccupazione; non mi consola pensare che forse (o fortunatamente) io non vedrò realizzarsi in terra questo scenario che a me pare chiaramente ispirato da Satana. Mi addolora pensare che forse lo vedranno i nostri figli e i nostri nipoti e sarà la dimostrazione che, nel XXI secolo, quella democrazia occidentale, tanto esaltata e osannata nel secolo precedente al punto da far pensare che dovesse essere esportata e imposta addirittura con le guerre nei paesi che non l’hanno mai conosciuta e della quale non hanno mai sentito il bisogno, si sarà rovesciata nel suo contrario, cioè nell’eterogenesi dei fini. Non per nulla Benedetto XVI aveva parlato di “dittatura del relativismo“. Ora questa espressione sembra passata di moda anche per tanti cattolici i quali, travolti anch’essi dalla società liquida che impera, preferiscono tapparsi gli occhi, la bocca e le orecchie come le famose tre scimmiette, ma tutto ciò che ci circonda, che vediamo e sentiamo, ce ne rivela l’attualità.
Io credo che tutto il mondo occidentale abbia bisogno di una rigenerazione in senso umano e spirituale, ma gli operatori che la favoriscano sono pochi. Allora, noi che crediamo fermamente in Cristo, vincitore del “mondo” e padrone delle messi, non dobbiamo mai dimenticare di invocarlo perché mandi tanti nuovi operai a lavorare nelle sue terre. In altri tempi li ha mandati: S. Francesco d’Assisi, S. Caterina da Siena, S. Teresa d’Avila e tanti altri grandi Santi sono stati capaci di raddrizzare il mondo in cui vivevano. Perché Dio non dovrebbe mandarli anche ora, se glielo chiediamo con cuore sincero? Tra pochi giorni sarà Natale e allora preghiamo tutti il Santo Bambino perché protegga tutti i piccoli innocenti non ancora nati e tutti i poveri, i deboli, gli emarginati costretti, come Lui, a vivere in una mangiatoia, sia reale che metaforica.
Ancora una volta, grazie per avere avuto la pazienza di leggermi e BUON NATALE!
Carla D’Agostino Ungaretti
http://www.riscossacristiana.it/aborto-eutanasia-dittatura-del-relativismo-una-lettera-di-carla-dagostino-ungaretti/
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