Leggenda del benigno imam che sanò lo scisma cattolico sulla famiglia
Sono passati duecento anni, ma sembra ieri. Quei fatti segnarono in maniera indelebile la chiesa cattolica, ma non solo. Io, per comprensibili ragioni, li ho studiati, e sono in grado di ricostruirli in maniera piuttosto fedele.
Correva dunque l’anno 2014 e il Papa di allora, Francesco, chiamò a raccolta i suoi vescovi per discutere i temi legati alla pastorale della famiglia. Desiderava un confronto aperto, franco, sincero, e i vescovi lo presero sul serio. Talmente sul serio che la discussione si fece infuocata e sfociò in contrapposizioni nette. Fu così che il Sinodo sulla famiglia divenne lo Scisma sulla famiglia. Da una parte c’erano i pastori che si riconoscevano nella linea del Papa Francesco: predicavano misericordia, apertura, accoglienza, comprensione, disponibilità. Dicevano che la chiesa non doveva giudicare, ma accompagnare e sostenere. Gesù, spiegavano, non è venuto per i sani, ma per i malati. La chiesa sia dunque un ospedale da campo nel quale curare le ferite di tutti. Dall’altra parte c’erano i pastori che invece predicavano rigore, rispetto della tradizione, intransigenza, severità, inflessibilità. Pensavano che obbligo indefettibile della chiesa fosse applicare e perpetuare la retta dottrina, senza sconti e senza cedimenti allo spirito del mondo. Spiegavano che Gesù ha parlato chiaro quando ha detto: “Quello dunque che Dio ha congiunto, l’uomo non lo separi”.
Si riferivano, con questa citazione, al problema dell’indissolubilità del matrimonio, che in quel sinodo, divenuto poi scisma, fu il più dibattuto assieme alla questione se concedere o meno la comunione ai divorziati risposati civilmente e alla domanda circa l’atteggiamento da tenere nei confronti delle unioni fra persone omosessuali.
Erano temi, come si può capire, che oggi non suscitano più dibattiti né tanto meno contrasti, ma allora, due secoli fa, erano al centro di dispute infinite, nelle quali la chiesa cattolica finì col perdersi.
ARTICOLI CORRELATI Cassare l'Humanae Vitae non basta, ora il vescovo Bonny vuole il sì alle nozze gay Etero cura te ipsum Il “Sinodo secondo me” di Francesco, senza litigi né strane apertureFu così che dal sinodo si scivolò, inevitabilmente, nello scisma, passato alla storia come il grande Scisma sulla famiglia. Inutile fu il tentativo di mediazione proposto dal presidente della Repubblica italiana, il quale, in segno di rispetto per la sede di Pietro, cercò di ricondurre le parti alle ragioni dell’unità. Il disaccordo si fece così profondo, e la disputa così rovente, che i contendenti, a un certo punto, si scagliarono reciproche scomuniche, con tanto di bolle e controbolle. Così da una parte, sotto la guida di Papa Francesco, si costituì la chiesa cattolica apostolica romana misericordiosa (in sigla: Carm), e dall’altra, sotto il Papa Pietro II (un cardinale americano) la chiesa cattolica apostolica romana intransigente (in sigla: Cari).
Da allora, dopo un primo periodo di accuse e recriminazioni senza costrutto, la Carm e la Cari non mancarono di tentare qualche forma non dirò di riconciliazione ma almeno di dialogo. A questo scopo fu costituita un’apposita Commissione ecumenica per il dialogo tra i fratelli separati (Cedfs), che arrivò a elaborare, attraverso sottocommissioni riconosciute da entrambe le chiese, alcuni documenti caratterizzati da segnali distensivi. Nei fatti, tuttavia, la separazione rimase netta.
Dal lontano 2014, come sappiamo, si sono succeduti otto papi da una parte e sette dall’altra (sto parlando di quelli regnanti, lasciando ovviamente da parte i dieci emeriti), e si può dire che tutti, in un modo o nell’altro, pur riconoscendo la necessità di continuare a pregare per l’unità, non hanno fatto che ribadire e confermare in modi sempre più solenni le rispettive posizioni, segnate da un lato dai richiami alla misericordia e dall’altro dagli appelli all’intransigenza.
Dal lontano 2014, come sappiamo, si sono succeduti otto papi da una parte e sette dall’altra (sto parlando di quelli regnanti, lasciando ovviamente da parte i dieci emeriti), e si può dire che tutti, in un modo o nell’altro, pur riconoscendo la necessità di continuare a pregare per l’unità, non hanno fatto che ribadire e confermare in modi sempre più solenni le rispettive posizioni, segnate da un lato dai richiami alla misericordia e dall’altro dagli appelli all’intransigenza.
Capirete perché, mosso da spirito di generosità e di umana benignità, nel nome dell’unico Dio, ho pensato, dopo aver ascoltato il parere di una serie di esperti, di prendere un’iniziativa che possa consentire alla Carm e alla Cari, finalmente, di sancire con un gesto comune la reale volontà di riconciliazione.
Dunque, ho deciso. Domani, nel duecentesimo anniversario dello Scisma sulla famiglia, il Papa Francesco VIII e il Papa Pietro VII saranno ricevuti qui, da noi, in quella che fu la basilica di San Pietro e ora, ormai da più di un secolo e mezzo, è la Grande Moschea Bianca di Roma. In quanto imam supremo, avrei potuto richiedere atti di sottomissione e di obbedienza. Invece, nella mia magnanimità, ho posto soltanto due semplici condizioni. Che entrambi i papi, prima di entrare nella moschea per lo storico incontro e l’altrettanto storico abbraccio, compiano, in segno di purificazione, le rituali abluzioni presso le due fontane della piazza (Francesco VIII nella fontana di sinistra, Pietro VII in quella di destra) e poi, ovviamente, in segno di povertà, austerità e rispetto per il luogo sacro, si tolgano le scarpe.
Il mio cuore è colmo di speranza in queste ore di vigilia. Ma, sia detto fra noi e senza offesa: che siano misericordiosi o intransigenti, a questi cristiani cattolici bisogna insegnare proprio tutto!
di Aldo Maria Valli 09 Gennaio 2015
futura realtà o solo cotechino indigesto ? jane
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