Tra Alessandria e Roma.
"Historia vero testis temporum, lux veritatis, vita memoriae, magistra vitae, nuntia vetustatis."
(Cicerone, De oratore, II, 9, 35).
Historia magistra vitae, quando fede cultura e passione ci
offrono le corrette chiavi di lettura che consentono di decifrare e
orientare le esperienze del presente.
Nel sapiente articolo che Andrea Sandri cortesemente ha voluto condividere con noi, possiamo cogliere problemi e dinamiche che illuminano il nostro 'oggi' nella certezza che ogni crisi è un'opportunità di crescita e autentico progresso, se ben affrontata e risolta con impegno critico e responsabile.
Nel sapiente articolo che Andrea Sandri cortesemente ha voluto condividere con noi, possiamo cogliere problemi e dinamiche che illuminano il nostro 'oggi' nella certezza che ogni crisi è un'opportunità di crescita e autentico progresso, se ben affrontata e risolta con impegno critico e responsabile.
Un testo serio, ben costruito in base a fonti autorevoli, che esprime
chiari ed espliciti enunciati validi universalmente e in ogni tempo.
Tra Alessandria e Roma.
Brevi considerazioni su “Gli ariani del IV secolo” di J.H. Newman
Brevi considerazioni su “Gli ariani del IV secolo” di J.H. Newman
1 – Una delle principali opere del Seicento teologico inglese è la Defensio Fidei Nicenae[1] del vicario di Siddington Mary’s e futuro Lord Bishop di St David’s George Bull. Pubblicata nel 1685, la Defensio
fu approvata da molti autori cattolici e ottenne anche il consenso di
Jacques Bénigne Bossuet che la considerò, nel suo complesso,
oggettivamente cattolica.
Il titolo polemico dell’opera di Bull corrisponde principalmente
all’effettiva urgenza di difendere il Credo di Nicea dalla risorgente
eresia sociniana, antitrinitaria e unitariana, in campo protestante,
oltre che, nella specifica prospettiva del teologo anglicano, al
posizionamento rispetto all’autorità della “Chiesa di Roma” e alla
pretesa di questa sede di definire evolutivamente il deposito della
fede. Sarà, in realtà, quest’ultimo il tema che occuperà John Henry
Newman fino all’atto di conversione ricevuto dal passionista italiano
Domenico Barberi nell’eremo oxoniense di Littlemore nel 1845[2].
In particolare le pagine della Defensio costituiscono una
risposta all’eresia, che si andava diffondendo tramite le opere di
Daniel Zwicker (1612-1678) e di Christopher Sandius (1644-1680), secondo
la quale la dottrina ariana con il suo rifiuto della fede trinitaria fu
lo sviluppo estremo, negato dai Padri niceni, delle dottrine
autenticamente apostoliche dei primi tre secoli[3].
D’altro canto, non meno pericolosa, e tutto sommato divergente soltanto nel giudizio rispetto alle conclusioni degli unitariani tedeschi, appariva a Bull la posizione del gesuita francese Dénis Petau che nel suo De Trinitate (1644) aveva affermato che realmente i padri anteniceni erano incorsi in gravi errori nell’esporre alcuni punti fondamentali della fede cattolica (la Trinità e l’Incarnazione anzitutto) e che il Concilio – allora quello di Nicea ma poi ogni altro concilio ecumenico fino al Tridentino – ebbe l’autorità di condannare le vecchie formule e di definire, in opposizione a esse, l’autentico credo cattolico.
D’altro canto, non meno pericolosa, e tutto sommato divergente soltanto nel giudizio rispetto alle conclusioni degli unitariani tedeschi, appariva a Bull la posizione del gesuita francese Dénis Petau che nel suo De Trinitate (1644) aveva affermato che realmente i padri anteniceni erano incorsi in gravi errori nell’esporre alcuni punti fondamentali della fede cattolica (la Trinità e l’Incarnazione anzitutto) e che il Concilio – allora quello di Nicea ma poi ogni altro concilio ecumenico fino al Tridentino – ebbe l’autorità di condannare le vecchie formule e di definire, in opposizione a esse, l’autentico credo cattolico.
Agli occhi del vicario di Siddington Mary’s l’argomento fondato
sull’intervento dell’autorità dottrinale del Concilio non poteva colmare
l’asserita discontinuità della tradizione apostolica lungo tre secoli
ed era necessario giustificare proprio i padri anteniceni e dimostrarne
l’ortodossia per stabilizzare nel semper eadem della fede della
Chiesa il Credo di Nicea e per difendere così quest’ultimo dalle
aggressioni dei nuovi antitrinitari protestanti e anche dalla
dilatazione dell’autorità definitoria del concilio (e del Papa)
sostenuta dallo stesso Petau. In tal modo Bull individuava nella antica
geografia della Chiesa dei Padri le coordinate di un luogo – non Roma,
non Antiochia, ma Alessandria - in cui dovette pensare di trasferire la
sua chiesa e in cui idealmente, tra il 1831 e il 1833, Newman scrisse The Arians of the Fourth Century e, tra il 1844 e il 1845, The Development of the Christian Doctrine.
L’argomento principale con cui Zwicker e Sandius intendevano arruolare
nella propria setta gli autori dei primi tre secoli e in base al quale
Pétau, insieme all’erudito Pierre-Daniel Huet che aveva attaccato
l’alessandrino Origene negli Origeniana (1668), li accusava, si
reggeva sulla collazione di passi nei quali gli antichi scrittori e
apologeti sembravano affermare la nascita temporale del Verbo divino e
anticipare l’affermazione di Ario secondo cui “ci fu un tempo in cui [il
Figlio] non esisteva” (ην ποτε οτε ουκ ην). Contro questi autori Bull
dimostra che, quando i padri anteniceni affermano la nascita del Verbo,
non intendono in realtà negare la sua eterna genesi dal Padre, ma
descrivere, in maniera metaforica e figurativa, la condiscensione (o συνκαταβασις) del Figlio ovvero il suo “uscire” dal Padre in operatione tantum
al momento di creare e governare il mondo. Non soltanto questo
linguaggio non scandalizza autori come Sant’Atanasio, San Basilio e San
Gregorio Nazianzeno, ma il luogo della condiscensione, si afferma nella Defensio fidei, è sviluppato dagli stessi Padri postniceni.
Attorno alla difesa di San Barnaba, San Policarpo, San Clemente Romano,
Sant’Ignazio d’Antiochia, del Pastore di Erma, di San Giustino,
San’Atenagora d’Atene, Sant’Ireneo, Tertulliano, San Teofilo, San
Clemente Alessandrino, San Dionigi Alessandrino, Sant’Ippollito e dello
stesso Origene, Bull ricostruisce la teologia cattolica professata nei
primi tre secoli e destinata a essere confermata dal Concilio di Nicea e
poi dal Costantinopolitano: i Padri anteniceni professavano la
coeternità del Figlio che esisteva ancor prima che fossero posti i
fondamenti dell’universo per Suo stesso tramite, e la Sua
consustanzialità con il Padre, essendo il Verbo, secondo un’espressione
già presente in Tertulliano, “luce da luce”. In tal senso professavano
che il Figlio, consustanziale al Padre, ha la fonte della propria
divinità nel Padre (e non il Padre nel Figlio) ed è mandato dal
Padre (e non il Padre dal Figlio). Da quest’ultima verità tenevano per
certo che il Figlio governò e avrebbe governato divinamente l’intero
ordine dell’amministrazione del mondo e che Egli parlò agli uomini santi
dell’Antico Testamento tramite dispensazioni ed economie fino a redimere, presa la natura umana, la sua Chiesa sull’Altare del Golgota.
2 – L’incontro definitivo di Newman con Bull risale al 1831, quando il giovane fellow dell’Oriel College di Oxford, da poco vicario della chiesa dell’università St Mary the Virgin,
accettò l’incarico di scrivere una storia dei concili “orientali”
(altri volumi sarebbero stati riservati ai concili “occidentali” e al
Tridentino) per la biblioteca di storia ecclesiastica diretta da Hugh
James Rose[4] e dall’arcidiacono William Lyall. La Defensio Fidei Nicenae
lo introdusse al principio dell’antichità – destinato, nello sviluppo
di Newman, a divenire parametro per affermare la cattolicità della
chiesa d’Inghilterra e, poi, per dubitarne e convertirsi al
cattolicesimo romano - e gli fornì orientamenti e materiali di studio.
Il libro uscì autonomamente nel 1833 con il titolo The Arians of the Fourth Century
per l’editore Revington che, nonostante le obiezioni di Lyall, ne volle
la pubblicazione. L’arcidiacono sosteneva, non a torto, che il testo
consegnato più che una storia dei concili fosse un saggio sull’eresia
ariana, e contestava all’autore di avere fatto prevalere concezioni
proprie della Chiesa di Roma[5].
3 – Come s’è visto, i libri della Defensio Fidei Nicenae
costituiscono un’apologia puntigliosa e indiscriminata degli scrittori
anteniceni - latini e greci, occidentali e orientali -, e tuttavia
l’emergenza di alcuni aspetti fondamentali sembra adombrare una tesi
complessiva sui primi tre secoli: la lunga, quasi monografica, difesa di
Origene di Alessandria[6] (in cui Bull prende le parti di Rufino di
Aquileia, traduttore latino di Origene, contro San Gerolamo) e
l’individuazione della scaturigine dell’eresia ariana nell’opera
dell’antiochieno Paolo di Samosata.
La tesi, che Newman sviluppa nel capitolo I de Gli Ariani del IV secolo
e che diviene canone interpretativo dell’“insegnamento della Chiesa
pre-nicena in relazione all’eresia ariana” (capitolo II) e dei fatti e
delle dottrine dei Concili durante i regni di Costantino, Costanzo,
Costante, Giuliano, Gioviano e Valentiniano (capitoli III-V), non può
che apparire l’esplicitazione e lo sviluppo degli aspetti fondamentali
appena individuati all’interno della Defensio. Newman ribalta,
infatti, l’opinione diffusa, secondo cui focolare dell’infezione ariana
era stata principalmente la chiesa di Alessandria[7], e indica con
sicurezza in Antiochia l’epicentro della crisi.
La chiesa di Antiochia, il cui primo vescovo era stato lo stesso San
Pietro, conobbe, dopo il martirio di San Babila, lo “spirito
dell’Anticristo” in Paolo di Samosata che, in maniera confusa, negò per
primo il concetto di “sostanza” (ουσια), utilizzato già dai padri del
III secolo per descrivere la consustanzialità delle persone della
Santissima Trinità, e ne ottenne col raggiro la condanna da parte del
sinodo cattolico di Antiochia (262). Sullo sfondo di questa negazione
Newman scorge una scuola teologica profondamente caratterizzata da un
sincretismo cristiano-giudaico incapace di cogliere nell’Antico
Testamento “l’anticipazione di promesse e di comandi più grandi
realizzatisi nel Vangelo” e incline a un metodo letterale coniugato con la critica razionalistica degli stessi contenuti letterali e con la loro dissoluzione dialettica.
Alla scuola di Antiochia si era formato Ario, anche se, al momento di
dichiarare al mondo la sua eresia, si trovava ad Alessandria. In Siria,
in Palestina e nell’Asia minore si propagò l’eresia antitrinitaria prima
che altrove[8].
Proprio nell’idea che l’interpretazione letterale fosse insufficiente, la scuola di Alessandria si allontanava dal sola scriptura di Antiochia; inoltre il concetto di tradizione,
che è l’antagonista di ogni letteralismo, conservò la sua chiesa
nell’ortodossia seppur attraverso le persecuzioni. La chiesa di
Alessandria, fondata da San Marco, era la chiesa polemista e missionaria
dell’antichità. La sua scuola catechetica risaliva a Sant’Atenagora, e
San Panteno, successore del grande apologeta, era stato inviato
missionario tra gli indiani e gli arabi. San Panteno e San Clemente
Alessandrino erano stati i maestri di Origene che “denunciò l’eresia
ariana sessant’anni prima che Ario la proclamasse”. San Gregorio
Taumaturgo e San Dionigi di Alessandria, che avevano studiato sotto
Origene, furono tra i primi a denunciare l’eresia di Paolo di Samosata.
Sant’Alessandro di Alessandria, maestro di Sant’Atanasio, fu il primo
grande oppositore di Ario.
Newman si sofferma a lungo sulla catechesi alessandrina individuando tre momenti intimamente connessi: la disciplina arcani, il metodo allegorico e il metodo economico.
Laddove gli antiochieni affermano il primato della lettera delle
Scritture, gli alessandrini - seguendo il detto di Clemente, secondo cui
la verità è nascosta come “il gheriglio commestibile nel guscio della
noce”, e l’ammonizione evangelica di “non gettare perle ai porci”-
sostengono che la Chiesa possiede un legato apostolico (un arcanum)
costituente lo stesso principio di unità della fede di cui le Scritture
non sono che un’ulteriore fonte di prova; di conseguenza tra i testi
della Bibbia e il legato apostolico si instaura una tensione
interpretativa in base alla quale il testo è sempre allegoria di una verità che la Chiesa possiede in quanto originariamente ricevuta da Cristo e dagli Apostoli; se la disciplina arcani nasconde, l’economia
rivela tanto quanto la concreta disposizione del destinatario a
riceverla consente. Il metodo dell’economia, già individuato da Bull, è
generalmente una pedagogia cui ricorre il maestro con il bambino, la
Chiesa con i catecumeni, i pagani e i giudei, e Dio stesso con l’umanità
(le dispensazioni concesse a Noé, a Giacobbe e a Mosé sono
altrettante economie); lo stesso Gesù Cristo ogni volta che parlò per
parabole utilizzò il metodo economico[9].
L’approfondimento delle concezioni alessandrine mette così in luce il nesso immediato tra la tradizione,
come fonte della rivelazione distinta dalle Scritture, e la
formulazione dei “credo” che sono “redatti secondo le tradizioni
apostoliche […] così che, in pratica, la Chiesa non si è mai trovata
letteralmente nella necessità di raccogliere il senso della
Scrittura”[10]. D’altro canto la prospettiva alessandrina aggiunge un
argomento all’apologia dei Padri anteniceni le cui formulazioni, anche
quando appaiono incomplete, trovano la propria ortodossia nella
tradizione e talvolta si giustificano in base all’esigenza economica di rispondere all’eresia sabelliana o patripassiana (così l’argomento della condiscensione, se ben indagato, è anche comprensibile come una risposta a chi negava ogni distinzione tra il Padre e il Figlio).
3.1 – La lettura di Bull e
di Newman introduce vieppiù in una rappresentazione in cui la tradizione
apostolica, lungi dall’eclissarsi durante quasi tre secoli per
ricomparire in forma autoritativa nel Credo niceno, è costantemente
conservata e comunicata da alcuni Padri sparsi in tutto l’orbe
cristiano; una rappresentazione in cui tuttavia, già nella prima parte
del III secolo e poi fino almeno al Concilio costantinopolitano, la
chiesa di Alessandria si appalesa come il luogo ideale e fisico
della continuità dottrinale conforme al legato apostolico in
contrapposizione con il protestantesimo antiochieno (ché davvero
l’Antiochia antica dovette essere per il giovane vicario di St Mary, già
prossimo alla fondazione del movimento trattariano e influenzato
dall’amicizia di Richard Hurrel Froude, la metafora del continente
calvinista e luterano). Rimaneva da definire all’interno di questa
geografia antica (e attuale) la posizione di Alessandria rispetto
all’altra grande chiesa apostolica – alla Chiesa di Roma.
In realtà a Newman non sfugge il pericolo insito nel metodo della scuola
alessandrina e non può evitare di notare che, se il metodo letterale
trascura la natura economica di ogni testo rinunciando alla
verità cui esso ulteriormente allude, il metodo allegorico è
continuamente tentato a lasciare dietro di sé il “senso principale e
primario” delle dispensazioni bibliche ed evangeliche ovvero a
dissolverlo in un labirinto di immagini ardite. A tale tentazione non si
erano sottratti il Clemente degli Στρωματείς e, soprattutto, Origene
che della scuola alessandrina era pur stato il massimo maestro. Petau e
Huet avevano accusato Origene seguendo San Gerolamo, Bull aveva difeso
Origene appellandosi a San Panfilo e a Rufino di Aquileia (si sostenne
che Origene era stato o frainteso o letto in testi manipolati dagli
eretici suoi nemici), Newman chiama in causa soprattutto Sant’Atanasio
già difensore di Origene[11] e vede confluire e quasi purificarsi nella
vita e nella figura del grande vescovo di Alessandria, nell’eroe
dell’ortodossia cattolica durante il IV secolo, la missione della Chiesa
che era stata egualmente di San Marco, del santo missionario Panteno,
di San Clemente, dei santi patriarchi Dionigi e Alessandro e dello
stesso Origene. Atanasio è per Newman colui “che, dopo gli Apostoli è
stato lo strumento principale con cui le sacre verità del Cristianesimo
sono state palesate e preservate per il mondo”[12].
La seconda parte di The Arians of the Fourth Century - la parte
storica dell’opera che tratta “il Concilio ecumenico di Nicea durante il
regno di Costantino”, i “concili durante il regno di Costanzo” e i
“concili dopo il regno di Costanzo” – descrive il giovane Atanasio a
Nicea al seguito del suo vescovo Alessandro cui succedette, il lungo
esilio di Atanasio in Occidente dopo essere stato accusato dai seguaci
del perfido Eusebio di Nicomedia e condannato dai sinodi ariani di
Cesarea e di Tiro, i rapporti di amicizia con Eusebio di Vercelli e con
Lucifero di Cagliari, l’assoluzione da parte del sinodo di Roma, la sua
presenza al Concilio di Sardica (promosso da Papa Giulio e presieduto da
Osio di Cordova), la condanna nel 355 al Concilio eusebiano di Milano,
Papa Liberio che lo difese e quindi lo abbandonò “per amore della pace
ancora più forte del suo desiderio di martirio”, il finale trionfo e la
morte di Atanasio nel “possesso pacifico delle chiese per le quali aveva
sofferto”.
4 - In realtà per il vicario
di St Mary la debolezza e la caduta di Papa Liberio, che nel mezzo
della confusione accettò di sottoscrivere un credo semiariano, sono meno
importanti del rapporto tra Alessandria e Roma che si realizzò durante
l’esilio di Sant’Atanasio e che avrebbe impresso un provvidenziale
orientamento alla Chiesa fino al Concilio di Costantinopoli. La chiesa
di Alessandria era riuscita a conservare la fede grazie a un metodo
teologico che non solo non escludeva il deposito apostolico ma lo
presupponeva come necessaria profondità di ogni dottrina ortodossa, e
tuttavia proprio la crisi ariana mostrò l’insufficienza di quel metodo
nell’assenza di un’autorità universale che ne confermasse le indagini o
ponesse limiti all’eccessiva esuberanza che lo avrebbe indebolito (il
caso di Origene era eloquente). In tal senso l’incontro tra Papa Giulio
I, e poi Papa Liberio, e Atanasio coronava gli sforzi secolari della
scuola di Alessandria ed esibiva l’armonia della Chiesa universale.
La ricerca sugli ariani del IV secolo dovette così rivelare a Newman ciò
che Bull non aveva potuto affermare fino in fondo (altrimenti avrebbe
corrisposto all’invito di Bossuet e di altri a unirsi alla Sede di Roma)
e che Petau aveva sostenuto in maniera difettosa – che l’autorità
definitoria della Chiesa senza il vincolo oggettivo della tradizione
del deposito apostolico si risolve in una specie di volontarismo sovrano
non estraneo al soggettivismo liberale e modernista (contra
Petau) e che la tradizione del deposito apostolico senza l’autorità
definitoria della Chiesa si espone al pericolo di un metodo
necessariamente incerto, quand’anche corretto (contra Bull)[13].
Che, infine, Alessandria, come luogo storico in cui la tradizione è
difesa e conservata, può avere ragione per molto tempo nonostante Roma e
persino contro Roma, ma, senza la Chiesa di Roma, dopo dieci lustri si
ritrova monofisita.
Andrea Sandri
_______________________________
1. Si fa qui riferimento alla versione inglese di Edward Burton: G. BULL, Defensio
Fidei Nicenae. A Defence of the Nicene Creed out of the Extant Writings
of the Catholick Doctors, who flourished during the three first
Centuries of the Christian Church, Oxford [1827] 1851-52.
2. Per gli aspetti biografici si rinvia, tra gli altri, a C. SICCARDI, Nello Specchio del cardinale J.H. Newman, Verona 2010, passim.3. L’occasione è descritta dall’autore della Defensio nel testo To the Reader con il quale si apre il primo volume: “For they [learned friends] gave me to understand that the writings of Christopher Ch. Sandius were every where in the hands of our students of theology and others, a writer who openly and unblushingly maintains the blasphemy of Arius as the truly catholic doctrine, and as supported by the voices of all the ancients who preceded the council of Nice” (pp. VII-VIII) (c.m.).
4. Lo stesso che in The State of the the Protestant Religion in Germany denunciò nel 1825 il razionalismo della nuova esegesi biblica in terra tedesca.
5. Si veda a tal riguardo J.H. NEWMAN, Apologia pro vita sua,
Milano 1992, pp. 52 ss.; I. KER, John Henry Newman. A Biography, Oxford
2010, pp. 42-48; J. MORALES MARÍN, John Henry Newman. La vita, Milano
1995, pp. 91-92.
6. E’ interessante osservare che il capitolo IX del Libro II della Defensio
(vol. I, pp. 217-284) fu inserito dall’Abbé J.P. MIGNE nell’appendice
volume XVII del celebre Patrologiae cursus completus, series graeca,
Parigi 1857, tra gli scripta ad Originem spectantia come Excerptum ex
Georgii Bullii presbiteri anglicani Defensionae Fidei Nicenae dopo la
Apologia S. Pamphilii pro Origene, il Rufini liber de adulteratione librorum Origenis e il P. Danielis Huetii Origeniana (Huet!).
7. Così J. H. NEWMAN, Gli ariani del IV secolo, Milano 1981: “Ho
mirato, in modo particolare, seguendo le orme dei nostri grandi teologi,
a liberare i Padri alessandrini dalle calunnie che, per avversione
verso di essi o verso la causa ortodossa, sono state gettate così
liberamente e senza paura contro di essi”.
8. Vedi in merito alla scuola di Antiochia ibidem, pp. 3-20.9. Vedi in merito alla scuola di Alessandria ibidem, pp. 31-72.
10. Ibidem, p. 113. Newman dovette riconoscere nel sistema alessandrino
della disciplina arcani e delle economie il concetto sostanzialmente
cattolico di tradizione appreso tra il 1822 e il 1825 da Edward Hawkins,
suo predecessore a St Mary e futuro rettore di Oriel. Così infatti si
legge in Apologia pro vita sua, cit., p. 29-30: “Dal dottor Hawkins
presi un altro principio, che ha più diretta attinenza col cattolicesimo
di tutti quelli che ho finora elencati: la dottrina della tradizione.
[…] Egli enuncia una proposizione che è di per sé evidente […], cioè che
il testo sacro non ebbe mai lo scopo di insegnare una dottrina, ma solo
di convalidarla, e che se noi vogliamo imparare una dottrina dobbiamo
rivolgerci ai formulari della Chiesa: per esempio il catechismo e i
simboli della fede”.
11. Newman ricorda che già Sant’Atanasio difese e giustificò Origene. E’
questo il giudizio sulla complessiva ortodossia del maestro
alessandrino che infatti si legge in ATANASIO, Il credo di Nicea [De
decretis Nicenae Synodis], Roma 2001, p. 112: “Che il Logos sussista
eternamente e che non si [da] un’altra sostanza o ipostasi, ma
[progenie] propria di quella del Padre, come dissero quelli nel
concilio, lo potrete anche sentire dall’infaticabile Origene. Le cose
che egli ha scritto per la ricerca e l’esercitazione, non vanno prese
come pensiero suo proprio, bensì di quelli che, nel corso della ricerca,
entrano in lizza nella discussione. Quelle cose invece che egli esprime
in maniera definitoria, queste rappresentano il pensiero proprio
dell’infaticabile [maestro]”.
12. J.H.NEWMAN, Gli ariani del IV secolo, cit., p. 287.
13. Tale è l’approdo che sarà approfondito in J.H. NEWMAN, Lo sviluppo
della dottrina cristiana, Milano 2003, dove tra l’altro si legge:
“Quindi, la risposta più ovvia a chi ci chiede perché mai ci
assoggettiamo all’autorità della Chiesa nelle questioni e negli sviluppi
concernenti la fede è questa: ci deve essere una qualche autorità, se
ci è stata data una rivelazione, e non vi è altra autorità tranne la
sua” (p. 117), e significativamente più sotto: “In verità, il principio
del dogmatismo diede origine, nel corso del tempo, ai Concili. Ma esso
operava, anzi dominava sin dal principio in ogni parte della
cristianità. […] I Concili e i Papi sono i custodi e gli strumenti del
principio dogmatico. Essi non sono questo principio, ma lo suppongono” (p. 347) (c.m.).
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