Dal compimento del settimo anno di età (come sancito dal canone 11 del Codice di Diritto Canonico) ogni battezzato è tenuto all’osservanza delle leggi della Chiesa, a meno che non sia disposto espressamente altro. Il motivo di tale norma risiede nel fatto che, a quell’età, si riconosce ad un essere umano in condizioni normali un sufficiente uso di ragione. A volte viene però da chiedersi se nel caso di certi ecclesiastici del nostro tempo, pur decisamente maturi all’anagrafe, tale fiducia sia ben fondata.
È a tutti noto come, recentemente, un famoso giullare di corte, principe del foro mediatico non per nulla assai gradito al sistema, si sia permesso – visto il largo successo delle sue declamazioni dantesche – di dare lezioni addirittura sulla Parola divina, sbancando come previsto lo share televisivo. Se vogliamo, la saggezza popolare lo raccomandava già da secoli: Scherza con i fanti e lascia stare i santi… L’eminentissimo Arcivescovo della città che diede i natali al sommo Vate, tuttavia, non solo sembra averla messa nel dimenticatoio, ma ha dato pure prova di aver smarrito – o di non aver mai pienamente raggiunto – l’uso di ragione.
Intendiamoci: non cerchiamo la polemica fine a se stessa, ma ci limitiamo ad esprimere – in maniera oltremodo contenuta – lo sconcerto provato alla lettura di certe dichiarazioni di elogio e delle loro motivazioni. Un Pastore d’anime, anziché accodarsi alla mandria di pecoroni insensati, felici di essere portati al macello, potrebbe (e dovrebbe) porsi alcune domande circa i veri intenti di uno spettacolo e il reale messaggio che trasmette. Il Verbo divino, autore dei Dieci Comandamenti, non intendeva certo insegnare agli uomini una sorta di moralismo laicista di stampo immanentistico totalmente chiuso a qualsiasi prospettiva trascendente: il suo scopo era condurli a quella forma di obbedienza a Dio che è la fede, preparando così gradualmente la propria Incarnazione redentrice, con la quale avrebbe riscattato gli uomini dal potere del diavolo e del peccato per renderli nuovamente liberi e capaci di osservare la Sua Legge con l’aiuto della grazia.
Non c’è da sorprendersi che, in uno show televisivo, ogni riferimento alla fede e alla grazia (per non parlare della conversione) sia completamente assente: diversamente non sarebbe mai passato. Simili riferimenti, però, non contano più nulla nemmeno nel “cristianesimo” nuova versione che vuole trovarsi d’accordo con tutti; essi vanno anzi rigorosamente evitati per non urtare la sensibilità di nessuno. La verità divide – ci dicono gli odierni maîtres à penser – e bisogna lavorare insieme sui valori condivisi: ma quali sarebbero, visto che ognuno (parola del supremo Pastore) ha la sua legittima visione del bene e deve essere incitato a perseguirla? Siamo ancora nell’ambito della ragionevolezza o in una regione sconosciuta? Personalmente, preferisco mantenermi nel primo…
Per chi ha l’uso di ragione, ciò che divide è l’errore, necessariamente molteplice e contraddittorio, mentre la verità unisce quanti la cercano sinceramente e l’accolgono con umiltà, ritrovandosi in tal modo unanimi e concordi. Ma riconoscere questo (che è pur così semplice ed evidente che lo capisce anche un bambino) significherebbe rinfacciare agli avversari della Chiesa che essi si muovono nel campo dell’irrazionale: non sia mai! Piuttosto camuffiamo l’errore – tacciando i dissenzienti di semplicismo puerile – con un linguaggio ermetico e involuto (incomprensibile ai più) che nasconde, anche in sedicenti teologi di grido, il vuoto metafisico dietro sbuffi di quel fumo che da qualche fessura è penetrato nella Chiesa… Dato però che il Regno di Dio appartiene ai bambini e a chi è come loro (cf. Mc 10, 14), ben venga la semplicità, e di mente e di cuore!
Tornando al presule della città beata per le felici aure pregne di vita (in epoca romantica), siamo andati ben oltre. Sembrerebbe che i predicatori della divina Parola, per essere efficaci e scongiurare la noia dei loro uditori, dovessero imitare l’arte di un istrione un tempo avvezzo alla bestemmia sul grande schermo – e chissà se non tuttora, in privato. Se un prete non dispone di altre risorse per farsi ascoltare, vuol proprio dire che siamo messi male. Ma, a parte questo, ciò che risulta più imbarazzante, nell’acuto ragionare del Pastore, è un rilievo che egli, evidentemente, ritiene originale: oggi sarebbe fuori luogo insistere sull’esistenza di Dio, bisognerebbe piuttosto evocare la Sua presenza, la presenza di «un Dio che è uomo, un Dio che si è fatto uomo»…
Inutile dire che san Tommaso d’Aquino, il cui studio è stato incessantemente raccomandato da tutti i Pontefici da Leone XIII a Benedetto XVI, fa salti nella tomba (come del resto san Francesco d’Assisi al vedere la “povertà” dei suoi discepoli attuali o all’udire gli spropositi di chi si è dato il suo nome: speriamo che non succeda un’altra volta come nel ’97…). Il minimo che si possa rilevare, riguardo all’astrusa arguzia del fiorentino d’adozione, è che non si può parlare della presenza di qualcuno della cui esistenza non si sia certi. Qui non siamo più nel solare realismo del pensiero cattolico, ma nelle brume di quell’esistenzialismo heideggeriano (il famoso Dasein al posto del freddo e impassibile Essere parmenideo!) di cui è così profondamente impregnata la teologia biblica – e non solo – da cinquant’anni a questa parte: c’è soltanto la storia, l’esperienza, l’incontro personale con Dio… ovviamente senza dogmi, senza morale, senza ascesi, senza tutta questa ingombrante zavorra che li impiccia nei loro improbabili voli pindarici (magari!). Ma quale divinità pensano dunque di incontrare nelle loro farneticazioni, il Dio vivente della Rivelazione (Colui che è; cf. Es 3, 14 LXX) o il fantasma della loro immaginazione storicistica e del loro sentimentalismo decadente?
Che pensare poi del lapsus – meglio se freudiano, per essere à la page – sul Dio che è uomo, subito corretto (fortunatamente!) con un Dio che si è fatto uomo? Sarà eccessivo sospettare che l’illustre gerarca abbia tradito la sua vera “confessione di fede”, quella Religione dell’Uomo professata dagli uomini in grembiulino, liberatori dell’umanità dall’asfissiante oscurantismo cattolico? Meglio non approfondire, anche per non aprire il discorso sulla cosiddetta “chiesa col grembiule” che non insegna più nulla di vincolante e ingoia tutto in nome del dialogo, ma che con il pretesto del servizio non fa che incoraggiare il traffico di esseri umani, contro il quale si direbbe che non ci fossero rimedi… È veramente impossibile risolvere il problema a monte?
Ma certe domande non vanno neanche poste, reverendo, si rischia di essere linciati… dai buoni. Era solo per esercitare un pochino la ragione, visto che il buon Dio ce l’ha data e che abbiamo l’età per farne uso. Così, mentre nessuno fiata, la tela clerical-massonica si stende silenziosamente dal Nord al Sud della penisola, partendo dal triangolo industriale, passando per la seconda capitale del Regno – la terza è già fin troppo inguaiata in tutti i sensi! – per arrivare fino allo Ionio: una Chiesa serva in uno Stato servo.
Don Giorgio Ghio http://www.ilgiudiziocattolico.com/1/322/l%E2%80%99et%C3%A0-di-ragione.html |
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