Il fallimento pastorale del ralliement di Leone XIII
di Roberto de Mattei) Leone XIII (1878-1903) è stato certamente uno dei più importanti Papi dell’epoca moderna, non solo per la lunghezza del suo pontificato, secondo solo a quello del Beato Pio IX, ma soprattutto per la vastità e la ricchezza del suo Magistero. Questo insegnamento comprende encicliche fondamentali, come la Aeterni Patris (1879) sulla restaurazione tomista della filosofia, la Arcanum (1880) sull’indissolubilità del matrimonio, l’Humanum genus (1884) contro la massoneria, l’Immortale Dei (1885) sulla costituzione cristiana degli Stati, la Rerum Novarum (1891) sulla questione operaia e sociale.
Il Magistero di Papa Gioacchino Pecci ci appare come un corpus organico, in continuità con gli insegnamenti del suo predecessore Pio IX e del suo successore Pio X. La reale svolta e novità del pontificato leonino riguarda invece la politica ecclesiastica e l’atteggiamento pastorale nei confronti della modernità.
Il governo di Leone XIII fu caratterizzato infatti dall’ambizioso progetto di riaffermare il Primato della Sede Apostolica attraverso una redifinizione dei suoi rapporti con gli Stati europei e la riconciliazione della Chiesa con il mondo moderno. La politica di ralliement, ovvero di riavvicinamento con la Terza Repubblica francese, massonica e laicista, ne costituì il cardine.
La Terza Repubblica conduceva una violenta campagna di scristianizzazione, soprattutto in campo scolastico. Per Leone XIII, la responsabilità di questo anticlericalismo stava nei monarchici che combattevano la Repubblica in nome della loro fede cattolica. In tal modo essi provocavano l’odio dei repubblicani contro il cattolicesimo. Per disarmare i repubblicani, bisognava convincerli che la Chiesa non era avversa alla Repubblica, ma solo al laicismo. E per convincerli, egli riteneva che non ci fosse altro mezzo che appoggiare le istituzioni repubblicane.
In realtà la Terza Repubblica non era una repubblica astratta, ma la repubblica centralizzata e giacobina figlia della Rivoluzione francese e il programma di laicizzazione della Francia non era un elemento accessorio, ma la ragione d’essere stessa del regime repubblicano. I repubblicani erano tali perché anticattolici. Essi nella Monarchia odiavano la Chiesa, allo stesso modo in cui i monarchici erano antirepubblicani perché erano cattolici e nella Monarchia amavano la Chiesa.
L’enciclica Au milieu des sollicitudes del 1891, con cui Leone XIII lanciò il ralliement, non chiedeva ai cattolici di divenire repubblicani, ma le direttive della Santa Sede ai nunzi e ai vescovi, provenienti dello stesso Pontefice, interpretavano la sua enciclica in questo senso. Nei confronti dei fedeli fu esercitata una pressione senza precedenti, fino a far credere loro che chi continuava a sostenere pubblicamente la monarchia commetteva un peccato grave. I cattolici si spaccarono nelle due correnti dei “ralliés” e dei “réfractaires”, come era accaduto nel 1791, all’epoca della Costituzione civile del clero.
I ralliés accolsero le indicazioni pastorali del Papa perché attribuivano alle sue parole infallibilità in tutti i campi, compreso quello politico e pastorale. I réfractaires, che erano cattolici di migliore formazione teologica e spirituale, opposero invece una resistenza alla politica di ralliement, ritenendo che in quanto atto pastorale essa non poteva essere considerata infallibile e quindi poteva essere erronea.
Jean Madiran, che ha svolto una lucida critica del ralliement (in Les deux démocraties, NEL, Paris 1977), ha osservato che Leone XIII domandava ai monarchici di abbandonare la monarchia in nome della religione per condurre più efficacemente la battaglia in difesa della fede. Ma lungi dal combattere questa battaglia, egli praticò con il ralliement una rovinosa politica di distensione con i nemici della Chiesa. Malgrado l’impegno di Leone XIII e del suo segretario di Stato Mariano Rampolla del Tindaro, questa politica di dialogo fallì clamorosamente, non riuscendo ad ottenere gli obiettivi che si proponeva.
L’atteggiamento anticristiano della Terza Repubblica aumentò di violenza, fino a culminare nellaLoi concernant la Séparation des Eglises et de l’Etat del 9 dicembre 1905, nota come “legge Combes”, che sopprimeva ogni finanziamento e riconoscimento pubblico alla Chiesa; considerava la religione solo nella sua dimensione privata e non in quella sociale; stabiliva che i beni ecclesiastici erano incamerati dallo Stato, mentre gli edifici del culto venivano affidati gratuitamente a delle “associations cultuelles” elette dai fedeli, senza l’approvazione della Chiesa. Il Concordato del 1801, che per un secolo aveva regolato i rapporti tra la Francia e la Santa Sede, e che Leone XIII aveva voluto preservare ad ogni costo, andava miseramente in frantumi.
La battaglia repubblicana contro la Chiesa trovò però sulla sua strada il nuovo Papa, Pio X, eletto al soglio pontificio il 4 agosto 1903. Con le encicliche Vehementer nos dell’11 febbraio 1906, Gravissimo officii del 10 agosto dello stesso anno, Une fois encore del 6 gennaio 1907, Pio X, coadiuvato dal suo segretario di Stato Raffaele Merry del Val, protestò solennemente contro le leggi laiciste, sollecitando i cattolici ad opporvisi con tutti i mezzi legali, al fine di conservare la tradizione e i valori della Francia cristiana. Di fronte a questa fermezza, la Terza Repubblica non osò attuare fino in fondo la persecuzione, per evitare la creazione di martiri, e rinunziò a chiudere le chiese e imprigionare i preti.
La politica senza concessioni di Pio X si rivelò lungimirante. La legge di separazione non fu mai applicata con rigore e l’appello del Papa contribuì a una grande rinascita del cattolicesimo in Francia, alla vigilia della Prima Guerra Mondiale. La politica ecclesiastica di san Pio X, opposta a quella del suo predecessore, rappresenta, in ultima analisi, una inappellabile condanna storica del ralliement.
Leone XIII non professò mai gli errori liberali, anzi li condannò esplicitamente. Lo storico tuttavia non può non rilevare una contraddizione tra il Magistero di Papa Pecci e il suo atteggiamento politico e pastorale. Nelle encicliche Diuturnum illud, Immortale Dei e Libertas, egli ribadisce e sviluppa la dottrina politica di Gregorio XVI e di Pio IX, ma la politica di ralliement, contraddiceva le sue premesse dottrinali. Leone XIII, al di là delle sue intenzioni, incoraggiò, sul piano della prassi, quelle idee e quelle tendenze che condannava sul piano della dottrina. Se alla parola liberale attribuiamo il significato di un atteggiamento dello spirito, di una tendenza politica, alle concessioni e al compromesso, bisognerà concludere che Leone XIII ebbe spirito liberale.
Questo spirito liberale si manifestava soprattutto come il tentativo di risolvere i problemi posti dalla modernità, attraverso le armi della negoziazione diplomatica e dei compromessi, piuttosto che con l’intransigenza dei principi e la battaglia politica e culturale. In questo senso, come ho mostrato nel mio recente volume Il ralliement di Leone XIII. Il fallimento di un progetto pastorale(Le Lettere, Firenze 2014), le principali conseguenze del ralliement, più che di ordine politico, furono di ordine psicologico e culturale. A questa strategia si richiamò il “Terzo Partito” ecclesiastico che nel corso del Novecento cercò di trovare una posizione intermedia tra modernisti e antimodernisti che si contendevano il campo.
Lo spirito di ralliement al mondo moderno rimase per oltre un secolo, e resta ancora, la grande tentazione a cui è esposta la Chiesa. Sotto questo aspetto un Papa di grande dottrina come Leone XIII commise un grave errore di strategia pastorale. La forza profetica di san Pio X sta al contrario nell’intima coerenza del suo pontificato tra la Verità evangelica e la vita vissuta dalla Chiesa nel mondo, tra la teoria e la prassi, tra la dottrina e la pastorale, senza nessun cedimento alle lusinghe della modernità. (Roberto de Mattei)
IL MAGISTERO DI PAPA PECCI
SUI RAPPORTI TRA STATO E CHIESA
È INCOMPLETO?
di Don Curzio Nitoglia
gli articoli sono reperibili nel sito dell'Autore
Clodoveo, S. Luigi IX e S. Giovanna d’Arco
Secondo alcuni il magistero di papa Pecci sarebbe incompleto quanto alla dottrina sui rapporti tra Stato e Chiesa. In Francia il re, la monarchia “di diritto divino”, la Chiesa, il Papa e Gesù sarebbero sostanzialmente la stessa cosa, come dimostrano Clodoveo, S. Luigi IX e S. Giovanna d’Arco.
La Missione Storica Della Francia
Ora, in realtà, dopo S. Luigi IX (cfr. H. DELASSUS, La mission postume de la Bienhereuse Jeanne d’Arc., 1914, ristampa, ed. Sainte Jeanne d’Arc, Villegenon, 1983) una grave prova si abbatte sui Franchi: l’apostasia, ossia la rinascita del cesarismo. Nel ‘300, Marsilio da Padova, un giurista italiano ripieno di idee ghibelline e pagane, insegna all’Università di Parigi il diritto romano antico, ossia pagano: Cesare è superiore a Pietro, il concilio è superiore al Papa, lo Stato è tutto. Egli sarà il maestro di Filippo il Bello, nipote di S. Luigi IX, il re dei Franchi che rinnegherà la vocazione della Francia di essere il luogotenente di Roma e diverrà l’acerrimo nemico del Papa.
I detrattori di Leone XIII dimenticano troppo spesso che la missione divina ricevuta dai Franchi con Clodoveo è stata rinnegata dalla monarchia a partire da Filippo il Bello e poi sino a Luigi XIV e anche XVI, il quale ha lavato, infine, col suo sangue i suoi errori dottrinali e morali che hanno favorito la rivoluzione francese.
Nel 1303 il Papa Bonifacio VIII è ‘schiaffeggiato’ ad Anagni da un sgherro di Filippo il Bello: è un gesto simbolico che significa la fine del medioevo (collaborazione tra re e Papa, trono e Altare) ed è chiamato da mons. Delassus “il deicidio dei Franchi”. Per il principio di solidarietà assieme al re di Francia è castigata anche la Francia, ed ecco la guerra dei cento anni (1310-1410). La Francia sarà salvata grazie all’intervento, miracoloso, di Santa Giovanna d’Arco, che rappresenta - secondo Delassus - l’anti Filippo il Bello.
Purtroppo la cattività del Papato ad Avignone, per circa settanta anni, e il grande scisma (1378-1429) contribuirono e accentuarono la separazione tra Stato e Chiesa, iniziata con Filippo il Bello. Il Papa divenne allora il vassallo del re di Francia, che non serviva più la Chiesa, ma si serviva di essa. I re delle altre nazioni cominciarono a perdere la fiducia nel Papato come potere super partes ossia nella sua sopra-nazionalità, che era assicurata quando il Papa risiedeva a Roma e che era annullata da che i Papi furono ‘prigionieri’ dei re di Francia, della quale soprattutto curavano gli interessi. La Chiesa non mostrava la sua universalità o cattolicità, ma sembrava una chiesa nazionale e, nel caso, francese o gallicana. Perciò le altre nazioni cominciarono ad allontanarsi dalla Chiesa, e il mondo cominciò a ripaganizzarsi.
Ma ecco che la Provvidenza invia, in questo tempo così brutto, Santa Giovanna d’Arco(1412). Essa restaura l’anima francese che era stata religiosa, ierocratica e teocratica, e si considerava il braccio secolare della Chiesa. S. Giovanna d’Arco combatte le idee nazionaliste e scioviniste e neopagane che Filippo il Bello aveva introdotto in Francia e cerca di far capire ai francesi che la loro vocazione è di essere l’antemurale di Roma, aiutandola materialmente a diffondere il Vangelo in tutto il mondo. Ma la Santa d’Orleans ricorda ai francesi che l’alleanza che Dio aveva stretto con la Francia di Clodoveo sarà permanente solo a condizione che la Francia torni ad essere fedele al Papa e subordinata a lui.
Mons. Delassus - a questo punto - si chiede: la Francia ha accettato la missione di Santa Giovanna D’Arco? E risponde : no!
Infatti nel 1682 c’è stata la costituzione del clero gallicano che asserisce che il Papa non ha potere, neanche indiretto, sul re di Francia: è tutto il contrario del messaggio di Giovanna d’Arco.
Nel 1789 ci sono state la rivoluzione francese e la costituzione civile del clero, preparata dai gallicani e dai giansenisti e favorita dai cattivi re imbevuti di idee illuministiche e massoniche. La missione di Santa Giovanna è fallita oppure dopo l’apostasia della Francia risorgerà una nuova cristianità?
La Francia risorgerà?
A questa domanda risponde l’Abbé Augustin Lémann nel suo libro Dieu a fait la France guerissable (Parigi, Lecoffre, 1884).
Secondo il sacerdote francese ed eminente teologo, vi sono due errori riguardo a questo tema: 1°) pretendere che quando le nazioni son scese fino a un certo grado d’empietà non sono più guaribili e che se ne vanno irrimediabilmente verso la morte: è l’errore di disperazione;
2°) affermare “che la rinascita della Francia è, al contrario, una cosa assolutamente certa, in virtù della sua missione... di Figlia primogenita della Chiesa” (1): è l’errore di presunzione.
“I nostri compatrioti - prosegue il Lémann - sono troppo portati a credere che la Provvidenza ha bisogno della Francia e che non può far nulla senza di essa; come una volta gli ebrei, che si credevano una nazione indistruttibile, perché possedevano il Tempio, Templum Domini, Templum Domini, Templum Domini est” (2). E conclude: la dottrina della Francia guaribile è teologicamente vera; tuttavia, la guarigione della Francia, non è in sé, che possibile; per diventare moralmente certa, bisogna che si compiano diverse condizioni.
Nessuna fatalità pesa sulle nazioni colpévoli, non più che sugli individui colpévoli. “Non voglio la morte dell’empio, ma che si converta e viva”, recita la S. Scrittura (Ezech., 23, 11). E nella Storia sacra leggiamo il fatto dell’adorazione del vitello d’oro, che gli ebrei si erano costruiti, mentre Mosè, che li conduceva attraverso il deserto, dall’Egitto in Palestina, era salito per quaranta giorni sul monte Sinai.
Ebbene Dio aveva stabilito di distruggere il popolo ebraico (Exod., 23, 9-13), però Mosè con le sue preghiere fece in modo che Dio non attuasse il suo piano.
Però occorre sapere che se le nazioni possono convertirsi e guarire, non sono indistruttibili, esse possono perire. Abbiamo visto, con Delassus, che la Francia ha avuto una grande missione storica, ma che a partire da Filippo il Bello l’ha rinnegata. Essa può risorgere e guarire, ma la sua resurrezione è soltanto possibile, non certa.
“La perpetuità è stata promessa solo alla Chiesa cattolica, apostolica e romana: tu sei Pietro e su questa Pietra edificherò la mia Chiesa e le porte dell’inferno non prevarranno contro di essa; […] Io sarò tutti i giorni con voi, sino alla fine del mondo ” (3) .
Dopo la perpetuità, nella Bibbia si parla di resurrezione, ed è al popolo ebraico che è stata promessa. S. Paolo, nell’epistola ai Romani (XI, 11-15), la profetizza. E tra tutte le nazioni del mondo solo quella ebraica ha ricevuto la promessa di una resurrezione, dopo un lunghissimo tempo di apostasia.
Poi la Bibbia parla di guarigione: “Se questa nazione si pente del mal fatto, pel quale Io l’avevo condannata, anche Io mi pentirò del castigo che avevo pensato di infliggerle” (Ger., XVIII, 8). Il canonico Agostino Lémann commenta: “È a tutte le nazioni, passate, presenti e future, senza distinzione, che la guarigione è stata offerta. Ma, se la guarigione è offerta a tutte, non è assicurata, nominalmente, a nessuna. Tutte possono guarire, però non è specificato che una specialmente debba guarire certamente... Cara Francia, per quanti e quali siano i tuoi titoli e i tuoi servizi, non sei, in questo campo, l’oggetto di nessun privilegio” (4).
Tuttavia la guarigione della Francia può diventare moralmente certa, se si avverano tre condizioni:
1ª) la preghiera;
2ª) la penitenza o la conversione del cuore;
3ª) l’unione, perché “ogni regno diviso, cadrà in rovina”. Ebbene, sinora queste tre condizioni non sono state realizzate; lo saranno in futuro? Solo Dio lo sa.
L’opinione dei critici di Leone XIII, perciò, non è fondata teologicamente e non può essere seguìta. Il magistero e la pastorale di papa Pecci rifulgono nella storia della Chiesa per purezza di dottrina e saggezza di applicazione dei princìpi ai casi particolari (5).
Chiesa gerarchica o profetica?
Tra i suddetti critici di Leone XIII troviamo anche il dr. Plinio Correa De Oliveira (Nobiltà ed élites tradizionali, Milano, Marzorati, 1993, pp. 151-160) secondo il quale la dottrina magisteriale di Leone XIII sulla politica in sé sarebbe buona, ma incompleta; addirittura per uno storico italiano solo la dottrina politica di Plinio Correa De Oliveira sarebbe perfetta: “C’è un ultimo punto in cui nessuno come Plinio Correa de Oliveira ha sottolineato la portata. Non esiste solo la forma monarchica di governo, esiste anche uno spirito monarchico che si esprime in una visione aristocratica della società. […]. Il ralliement di Leone XIII voltava le spalle alla monarchia di diritto divino” (6). Si scorge qui almeno una tendenza a rimpiazzare il magistero dei Papi con l’insegnamento privato di un pensatore, che viene ritenuto a torto o a ragione superiore a quello del Papa.
Gesù ha istituito un magistero supremo e lo ha confidato ai Papi non ai profeti
“Uno solo è il vostro Maestro, Cristo” (Mt., XXIII, 10) Gesù Redentore è Maestro, Pastore e Sacerdote (cfr. Gv., XIV, 16). Gesù è la Verità (“Ego sum veritas”) in quanto come Maestro insegna i misteri che concernono la salvezza. Siccome per il Peccato Originale l’ignoranza è entrata nel mondo, grazie al diavolo tentatore, che è il maestro dell’errore (Gv., VIII, 44), Gesù Redentore, che è “venuto per distruggere le opere del demonio” (1 Gv., III, 8), ha dovuto in primo luogo rimuovere l’errore e le tenebre dallo spirito degli uomini (“nihil volitum, nisi praecognitum”) e portare la luce della vera saggezza, che sola ci rende liberi: “Veritas liberabit vos” (Gv., VIII, 32). Nessuno può volere camminare sulla via che porta alla vita eterna se prima non gli è stato insegnato qual è il Fine e la via che vi conduce. Poi, dopo aver dissipato, come Maestro, l’errore e insegnato la verità, il Redentore ci conduce comePastore verso la strada del Cielo (“Ego sum via”). Infine come Sacerdote ci riconcilia e riunisce a Dio e dona la grazia che è la vita soprannaturale dell’anima (“Ego sum vita”). Gesù si è chiamato Verità (Gv., XIV, 67), ha accettato il titolo di Maestro (Gv., XIII, 13) e addirittura ha affermato di essere l’“unico Maestro degli uomini” (Mt., XXIII, 10: “uno solo è il vostro Maestro, Cristo”). Quindi Cristo ha trasmesso agli Apostoli il Magistero o il suo Insegnamento affinché continui per sempre (Mt., XXIX, 19), consapevole della sua indispensabilità per la salvezza delle anime. I Padri della Chiesa chiamano Gesù “Nostro unico Maestro” (S. Ignazio d’Antiochia, Magn., IX, 1). All’insegnamento di questo Maestro partecipano i successori di Pietro sino alla fine del mondo per volontà divina.
Nella Enciclica Humani generis (12 agosto 1950) papa Pacelli insegna che «il Magistero deve essere per qualsiasi teologo, in materia di Fede e di Costumi, regola prossima di verità, in quanto Cristo ha affidato al Magistero il Deposito della Fede – cioè la Tradizione divina e la S. Scrittura – […] per essere interpretato. […]. Il Redentore ha affidato il Deposito della Rivelazione per la sua retta interpretazione non ai singoli fedeli, né ai teologi, ma solo al Magistero ecclesiastico» (DS 3384, 3386).
Monsignor Antonio Piolanti scrive: «La Teologia è fondata su Verità rivelate, le quali sono contenute nella Scrittura e nella Tradizione, la cui interpretazione è affidata al vivo Magistero della Chiesa, il quale a sua volta si manifesta attraverso le definizioni dei Concili, le decisioni dei Papi, l’insegnamento comune dei Padri e dei Teologi scolastici» (Dizionario di Teologia dommatica, Roma, Studium, IV ed., 1957, p. 246).
Il cardinal Pietro Parente scrive che il Magistero è perciò “il potere conferito da Cristo alla sua Chiesa, in virtù del quale la Chiesa docente è costituita unica depositaria e autentica interprete della Rivelazione divina. […]. Secondo la dottrina cattolica la S. Scrittura e la Tradizione non sono che la fonte e la ‘regola remota’ della Fede, mentre la ‘regola prossima’ è il Magistero vivo della Chiesa” (Dizionario di Teologia dommatica, cit., pp. 249-250) (7).
L’Enciclica “Notre consolation” (3 maggio 1892)
Leone XIII ha chiarito bene il significato della sua Enciclica Au milieu des sollicitudes (16 febbraio 1892) in una seconda Enciclica intitolata Notre consolation (3 maggio 1892). In essa il Papa, che è l’unico Maestro autentico lasciatoci da Cristo, spiega che il bene comune della Società è superiore alla forma di governo, la quale è ordinata al bene comune temporale dei cittadini. “Se, spiega il Papa, ho chiesto ai cittadini francesi di accettare la forma di governo repubblicana è stato solo in vista del bene comune della Società, ma vi furono di quelli che non colsero il vero significato delle Nostre parole. Che ne sarebbe del bene pubblico se fosse lecito ai cittadini sacrificare ai propri amori di partito i benefici del benessere sociale? Occorre distinguere tra potere politico e legislazione. Ora la accettazione del primo non implica quella della seconda. Anzi occorre, ove la legislazione sia deficiente o malvagia, adoperarsi affinché il governanti cambino le leggi inique. Chi oserebbe accusare i cristiani antichi di essere nemici dell’Impero romano solo perché non obbedivano agli ordini idolatrici, ma cercavano di ottenerne la abolizione?” (8).
Quindi, si può chiosare, chi oserebbe accusare Leone XIII di essere amico della massoneria repubblicana solo perché ha cercato di ottenere l’abolizione della sua legislazione, accettando una forma di governo in sé lecita, ma rifiutando le sue leggi anticristiane?
La Chiesa pneumatica o dei profeti
San Tommaso d’Aquino confuta gli errori millenaristi della scuola che vorrebbe una Chiesa spirituale, giovannea e profetica superiore a quella gerarchica e petrina.
Nella Somma Teologica dimostra che la Nuova Alleanza durerà sino alla fine del mondo (S.Th., I-II, q. 106, a. 4). Infatti la Nuova Alleanza è succeduta alla Vecchia come il più perfetto al meno perfetto. Ora, nello stato della vita umana in questo mondo, nulla può essere più perfetto di Cristo e della Nuova Legge, poiché qualcosa è perfetto in quanto si avvicina al suo fine. Ora, Cristo ci introduce – grazie alla sua Incarnazione e morte – in Cielo. Quindi, non vi può essere – su questa terra – nulla di più perfetto di Gesù e della sua Chiesa.
Lo Spirito Santo è il perfezionatore dell’opera della Redenzione perché è inviato proprio da Cristo per confessare Cristo stesso, che aveva promesso formalmente ai suoi Apostoli: “Lo Spirito Santo che Io vi manderò, procedendo dal Padre, renderà testimonianza di Me”. Quindi il Paraclito non è l’iniziatore di una terza èra profetica e spirituale, ma testimonia e spiega Cristo agli uomini e li rafforza per poterlo imitare. Onde, dopo l’Antica e la Nuova Legge, su questa terra non vi sarà una terza Alleanza, ma il terzo stato sarà quello dell’eternità, o sempre felice nel Cielo o sempre infelice nell’Inferno.
Infatti lo Spirito Santo ha fatto comprendere agli Apostoli (il giorno di Pentecoste) tutta la verità che Cristo aveva predicato e che loro non avevano ancora capito appieno. Il Paraclito non deve insegnare una nuovissima Legge o un altro Vangelo più spirituale di quello di Cristo, ma deve solo illuminare e dar forza per ben conoscere e ben vivere la dottrina cristiana, che ha perfezionato quella mosaica (S. Th., I-II, q. 106, a. 4).
Inoltre come la Vecchia Legge non fu solo del Padre, ma anche del Figlio (raffigurato e prefigurato da Mosè), così pure la Nuova Legge non fu solo del Figlio, ma anche dello Spirito promesso e inviato da Cristo ai suoi Apostoli. La Legge di Cristo è la Grazia dello Spirito Santo, che illumina, vivifica e irrobustisce per potere osservare la Legge divina. Come già nell’Antico Testamento era lo Spirito Santo ad illuminare e corroborare i Patriarchi e i Profeti, i quali, pur vivendo sotto la Vecchia Legge, avevano già lo spirito della Nuova e la vivevano eroicamente mediante la grazia dello Spirito Santo (per attribuzione).
Nel Commento a Matteo (XXIV, 34-36), San Tommaso postilla: “tutti gli uomini e i fedeli in Cristo sono una sola generazione e quindi il genere umano e la fede cristiana durerà sino alla fine del mondo” . L’Angelico si basa su tale testo per confutare l’errore gioachimita, secondo il quale la Nuova alleanza o la Chiesa di Cristo non durerà sino alla fine di tempi; egli riprende l’insegnamento patristico (specialmente del Crisostomo e di S. Gregorio Magno) e lo sviluppa anche nella Somma Teologica (I-II, q. 106, a. 4, sed contra). Perciò il Cristianesimo durerà sino alla fine del mondo, non ci sarà bisogno di una ‘terza Alleanza pneumatica e universale’ (Catolikòs), ma la Chiesa di Cristo è il Regno del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo; non occorre sognare il rimpiazzamento del cristianesimo, basta solo viverlo sempre più intensamente.
Conclusione
Nei periodi bui (e l’attuale è uno di questi) che la Chiesa s’incontra a passare lungo il corso dei secoli si riaffaccia costantemente la tentazione antipetrina, conciliarista, episcopalista, pneumatica, millenarista e gioachimita di voler rimpiazzare la Chiesa gerarchica nel suo lato umano e manchevole con una “chiesa” ideale fondata sui profeti, sugli spirituali, sugli iniziati, sui soli santi.
Le critiche mosse, ingiustamente, a Leone XIII (Pio XI e Pio XII) sono figlie di questa mentalità, la quale si allontana dalla retta teologia ecclesiologica. È per questo che metto in guardia i lettori da tesi che possono apparire affascinanti, ma che sono tenebrose come l’angelo malvagio che si traveste da angelo di luce (S. Ignazio da Loyola, Esercizi Spirituali, n. 313 ss., Le regole per il Discernimento degli spiriti).
Non ho nessun intento denigratorio verso chicchessia e spero che nessuno voglia sentirsi offeso. Se poi qualcuno lo volesse a tutti i costi significa che ho messo il dito sulla piaga. “Amicus Plato sed magis amica veritas”.
NOTE
1 - A. LEMANN, Dieu a fait la France guerissable, Paris, Lecoffre, 1884, p. 10.
2 - Ibidem, pp. 11-12.
3 - Ibidem, p. 56.
4 - Ibidem, pp. 59-60.
5 - Cfr. E. Soderini, Il pontificato di Leone XIII, 3 voll., Milano, Mondadori, 1933.
6 - R. De Mattei, Il Ralliement di Leone XIII, Firenze, Le Lettere, 2014, p 186.
7 - Cfr. S. Tommaso, S. Th., I, q. 1; G. M. Roschini, Introductio in Sacram Theologiam, Roma, 1947; P. Parente, Teologia, Roma, 1953; A. Gardeil, Le donne revélé et la théologie, Juvisy, 1932; A. Stolz, Introductio in sacram Theologiam, Friburgo, 1941.
8 - Cfr. Insegnamenti pontifici, vol. 6, La pace interna delle Nazioni, Roma, Paoline, II ed., 1961, pp. 227-230.
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