ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

venerdì 10 aprile 2015

Basta aver studiato il Catechismo !?

Misericordia, buonismo e semplice cretinismo. Come si coltiva la cultura del piagnisteo 

Il sessantotto sembra non morire mai, nel mondo come  – purtroppo – nella Chiesa. La stucchevole melassa che comprende misericordia, accoglienza, accompagnamento, eccetera, oltre al travisamento dottrinale, ha un altro devastante effetto: la distruzione del senso di responsabilità.

di Paolo Deotto
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Le ultime notizie in materia di divorziati-risposati e, ovviamente, anche di coppie di fatto e di coppie tra invertiti arrivano dalla Diocesi di Lione, come leggiamo sull’agenzia SIR- Servizio Informazione Religiosa. Non si legge niente di nuovo: il ritornello sul “miglior accompagnamento” (sarei felice se poi qualcuno spiegasse cosa sia…) nelle “situazioni difficili” l’abbiamo letto ormai migliaia di volte, così come sembra impossibile non parlare del presunto problema dell’ammissione dei divorziati risposati alla Comunione. Ripetuto presunto problema, perché il problema vero non esiste. Per conoscere la dottrina cattolica in materia matrimoniale non c’è bisogno di essere teologi, basta aver studiato il Catechismo.

Glissiamo anche sull’aspetto surreale di una Chiesa che fa “sondaggi” per sapere come la pensino fedeli e pastori in materia di morale familiare. Penne ben più autorevoli della mia hanno già messo in luce come la Verità non scaturisca dai sondaggi e dagli orientamenti, veri o manipolati, della maggioranza.
Vorrei piuttosto soffermarmi brevemente su un aspetto particolare di questo periodo di irrazionalità in cui la Chiesa è sprofondata, perché ciò che proviene da fonti autorevoli (o almeno come tali percepite) come la Chiesa  genera effetti non solo in campo religioso, ma anche nei comportamenti, individuali e sociali.
Perché nel sottotitolo parlo di sessantotto che non muore mai? Perché una delle peggiori caratteristiche del sessantotto (ammesso e non concesso che ce ne siano state di “migliori”) fu, oltre all’uso spudorato del travisamento e della menzogna, la distruzione del senso di responsabilità.
Travisamento e menzogna: quando leggiamo, nel documento citato della Diocesi di Lione, che l’esclusione dei divorziati risposati dall’Eucaristia “è causa di scandalo per numerose fedeli che non comprendono perché il secondo matrimonio dei divorziati sia il solo peccato imperdonabile quando esistono nel mondo peccati di amore molto più gravi”, ci troviamo di fronte a due possibilità. La prima possibilità è che chi ha scritto queste parole non abbia capito nulla della Dottrina e appunto “travisa”. Già, perché il vero “scandalo” è una situazione di peccato che perdura nel tempo. Le seconde nozze contratte da un divorziato non generano altro che una situazione di adulterio permanente e il ritorno allo stato di Grazia, necessario per ricevere l’Eucarestia, si può avere solo con il pentimento e con la cessazione della situazione di peccato. La seconda possibilità è la pura e semplice menzogna: chi scrive queste cose sa benissimo di dire il falso, e lo dice per adeguarsi al mondo. E tutti sappiamo che il relativismo è la negazione della Verità, è la creazione di una “sub-verità” le cui frontiere sono in perenne movimento, sempre in rincorsa dei capricci della moda.
Già qui siamo in piena mentalità sessantottina. Chi ha vissuto da vicino (come il sottoscritto) quel nero periodo ricorda bene come la spudorata alterazione della realtà fosse la regola, del resto in ossequio all’antica morale leninista che insegna che è “verità” tutto ciò che è conforme agli interessi del Partito. Il Partito attualmente al potere, che anela alla distruzione della civiltà cristiana (l’unica possibile civiltà) non si fa scrupolo di alterare la realtà o di leggerla con le lenti affumicate dell’ideologia. Se nel sessantotto la sola presenza di agenti della Celere o di Carabinieri era già una “provocazione”, che come tale giustificava il compimento di atti criminali, così oggi le presunte nozze di un divorziato non generano più una situazione di grave peccato; diventano invece un “qualcosa” meritevole di attenzione, accompagnamento, dolcezza, misericordia e chi più ne ha più ne metta, alla faccia di quanti, spesso con sacrifici e dolori, riescono a salvare l’unità della famiglia.
E poi piombiamo in pieno nell’altra aberrazione nata dalla mentalità sessantottina, perché questo buonismo cretino fa dimenticare un principio irrinunciabile che sempre deve essere presente nelle scelte di vita: ognuno è libero di fare ciò che desidera, ma deve anche essere pronto a subire le conseguenze delle proprie scelte. Vogliamo portare il discorso all’estremo, anche nel campo della violazione delle leggi morali e civili: il rapinatore non può dolersi se durante la rapina gli arriva un proiettile dalla Polizia o dal rapinato, che esercita il suo diritto alla legittima difesa. Ha fatto la sua libera scelta di fare il rapinatore, e quindi deve essere pronto a pagarne le conseguenze.
Invece il sessantotto fu proprio maestro della cultura del piagnisteo, perché i giovani malviventi che infestavano le piazze, tiravano bottiglie incendiarie e arrivarono (mi riferisco solo alla primissima fase del sessantotto) al massimo con l’omicidio (19 novembre 1969, in via Larga a Milano: assassinio della Guardia di Pubblica Sicurezza Antonio Annarumma) erano sempre pronti a nascondersi, a negare tutto, a far rimbalzare le responsabilità su una mitica e – purtroppo – mai vista “repressione”, in ciò aiutati anche da uno spirito mafioso che “copriva” il colpevole o al più, se questi veniva beccato (ben di rado) lo pre-assolveva come “compagno che ha sbagliato”. Erano, poverini giovani malviventi, sofferenti e oppressi da una società che li “opprimeva”.
Nei miei ricordi di Liceo c’è anche quel gusto un po’ guascone – non solo mio, ma in genere dei miei coetanei – di dire “sono stato io” quando si combinava qualche guaio, quasi in sfida a una autorità che, comunque si manifesti, è sempre pesante per un giovane. Quel “sono stato io” ti causava poi le inevitabili punizioni, perché esistevano ancora i professori che educavano, i presidi che sospendevano e i padri di famiglia che punivano. Ma quel “sono stato io” era portato come un fiore al’occhiello da parte del giovane che voleva mostrarsi comunque un uomo capace di assumersi le sue responsabilità, che sapeva di aver violato le regole, ma si sarebbe vergognato poi di nascondersi.
Ora viviamo nei tempi bui della massa grigia. Gli individui sono spariti – non per nulla nel sessantotto nacque la divinità della “assemblea”, ente astratto che spogliava i singoli dalle responsabilità individuali – e tutti (o quasi tutti) pretendono di poter fare quello che vogliono e poi di non assumersi le responsabilità di ciò che hanno fatto.
Tizio vuole divorziare dalla legittima moglie per accoppiarsi con altra donna? Prego si accomodi. La grande conquista “civile” del divorzio glielo consente. Ma se Tizio è un uomo e non un bimbetto viziato e sciocco, si assuma fino in fondo le responsabilità delle sue scelte. E se in un domani si accorge che, ringraziando il Cielo, è tormentato dalla sofferenza per l’esclusione dall’Eucarestia, si comporti da uomo e faccia i passi necessari. Pentimento, cessazione della situazione di peccato, confessione. Quel tormento che certamente può vivere in sé stesso è il chiaro segno della misericordia di Dio, che lo spinge a tornare sulla strada giusta.
Ma Tizio è fatto di carne e d’ossa, oltre che di anima, e ha tutte le debolezze degli uomini. Vorrebbe ricevere i Sacramenti ma non ha ancora la forza per rimettersi in regola con Dio. E allora, e questa è davvero una sciagura, interviene una Chiesa non si preoccupa più di dirgli qual è la strada giusta per salvare la sua anima, ma vaneggia di “accompagnamenti”, di “percorsi discernimento” e di simili altre panzane. Con un ottimo doppio risultato: che Tizio resta il bambino viziato e sciocco e che, con tali Pastori, rischia il sacrilegio quaggiù (ricevendo indegnamente il Corpo di Cristo) e la dannazione eterna.
Davvero un bel risultato. È curioso notare come questi “progressisti” ritornino sempre su discorsi e comportamenti vecchi e stantii. La perdita del senso di responsabilità è sempre un ottimo rifugio: evita la fatica, evita di crescere, di diventare uomini responsabili.
Sarebbe davvero il caso di finirla con queste panzane sui divorziati risposati: prepariamo per il futuro legioni di anime per il diavolo e nel presente svirilizziamo una società che avrebbe invece bisogno, per risollevarsi, di veri uomini. Non di bimbi sciocchi e viziati.

 –  di Paolo Deotto



Redazione

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