Rivelazioni supposte compromettenti
di ex sostenitori di Mons. Lefebvre
di ex sostenitori di Mons. Lefebvre
Quando abbiamo letto l’articolo di PierLuigi Zoccatelli, che ci è stato segnalato da un amico perplesso [Alla destra di Lefebvre, uno scisma tira l’altro] non ci siamo meravigliati più di tanto; è noto che tra coloro che oggi si dichiarano contrarii alla Fraternità San Pio X e a quanto sta intorno ad essa, i più zelanti sono sempre quelli che a suo tempo hanno osannato Mons. Lefebvre e la sua resistenza nei confronti della deriva del Vaticano II e delle sue conseguenti applicazioni. È il destino dei pentiti: passare dalla condivisione alla denigrazione; cosa certo un po’ avvilente e un po’ meschina, seppure poveramente umana.
L’articolo in questione è stato scritto da un noto esponente di Alleanza Cattolica, la stessa che fino agli anni ottanta appoggiò Mons. Lefebvre e la sua opera, fino a mandare in seminario a Ecône anche persone di una certa rilevanza nell’organizzazione. Ma poi, visto che Mons. Lefebvre portava fino in fondo la sua azione di resistenza, com’era logico e cattolico che fosse, ecco che inaspettatamente, dalla sera alla mattina, si verificò con sgomento un clamoroso “dietrofront” con l’autosmentita di quanto era stato predicato e praticato da anni, sullo stile del “contrordine compagni” di guareschiana memoria, poveramente accompagnato dalla quasi totale adesione dell’intero movimento, sullo stile dell’“obbedienza cieca, pronta ed assoluta” anch’essa segnalata da Giovannino Guareschi. Infatti solo pochi reagirono o mostrarono imbarazzo o si appellarono al virile senso di lealtà.
Cosa accadde veramente? La risposta o le risposte si possono trovare facilmente sul WEB in forma di testimonianze dirette o indirette, così che qui noi ci fermiamo al legittimo sospetto che fossero arrivati ordini di scuderia che la disciplinata organizzazione eseguì prontamente. Che tali ordini fossero giunti da Roma o da San Paolo del Brasile, come dicono certuni, è poco importante, ciò che conta è che Alleanza Cattolica, riguardo a Mons. Lefebvre, passò dalla condivisione della sera all’avversione del mattino.
Da allora coloro che continuarono ad essere “lefebvriani” divennero nemici della Chiesa, anche con l’alibi della successiva scomunica da burletta messa in atto dal Vaticano dopo aver fatto di tutto per costringere Mons. Lefebvre a consacrare dei vescovi senza mandato pontificio. Sia Giovanni Paolo II, sia l’allora cardinale Ratzinger erano ben consapevoli che forzando la mano sarebbero riusciti a mettere Mons. Lefebvre con le spalle al muro, accontentando così tutti i prelati che da anni volevano Lefebvre fuori giuoco e la sua opera disciolta e criminalizzata.
l piano riuscì solo a metà, perché la Fraternità San Pio X, da allora, divenne più florida che mai, ma intanto molti abbandonarono la giusta battaglia intrapresa da Mons. Lefebvre e con la scusa dell’obbedienza all’iniqua volontà del Vaticano divennero i ligi sostenitori di quello che il giorno prima avevano avversato.
Non metamorfosi, ma solo quieto vivere e qualche prebenda. Gli uomini siamo fatti così.
L’Autore dell’articolo presenta un quadro realistico della situazione in cui si trova oggi la Fraternità e l’intero mondo tradizionale e questo gli permette di far passare tra le righe, quasi inavvertite, alcune suggestioni che mirano a fissare, come fossero cose serie, delle incongruenze e delle malevolenze che sono solo frutto della sua mala volontà.
Già dal titolo, l’articolo vuole dare per scontato che Mons. Lefebvre attuò uno scisma, a partire dal quale sarebbe stato inevitabile che se ne producessero altri a ripetizione.
La battuta è suggestiva e scopiazza il più diffuso dei luoghi comuni sull’accaduto, ma a rigore di logica, e del buon senso, è totalmente falsa.
Vero è che la falsità è partita direttamente dal Vaticano, in quel famoso 1 luglio 1988, ma questo dovrebbe indurre le persone sensate a non tenere conto delle sconcezze compiute dai papi a partire dal Vaticano II. E invece no, ci si trastulla ancora con questa ridicolaggine dello scisma al solo scopo di parlar male di chi ancora persiste sulle posizioni interamente cattoliche di Mons. Lefebvre, e questo nonostante interi volumi, non di articolisti interessati, ma di studiosi di canonistica e di teologia ribadiscono che non ci fu scisma proprio in forza della stessa legge della Chiesa.Non staremo qui a ripetere quanto le persone serie e informate già conoscono da anni, ci limiteremo a citare la cosiddetta “remissione della scomunica” voluta da Benedetto XVI, profondo conoscitore della vicenda in quanto come Card. Ratzinger, nel 1988, mosse e produsse quell’inevitabile rottura che costrinse Mons. Lefebvre e Mons. de Castro Mayer a consacrare quattro vescovi senza mandato pontificio, costretti da quello “stato di necessità” contemplato dallo stesso Diritto Canonico.
Più che la maliziosa incompletezza del decreto di scomunica del 1 luglio 1988, è proprio il decreto di remissione del 21 gennaio 2009 che rivela tutta l’ambiguità del Vaticano, in perfetto stile vaticano-secondista.
Il quest’ultimo decreto si legge, in testa:
«Con lettera del 15 dicembre 2008 indirizzata a Sua Em.za il Sig. Cardinale Dario Castrillón Hoyos, … Nella menzionata lettera, Mons. Fellay afferma, tra l’altro: “Siamo sempre fermamente determinati nella volontà di rimanere cattolici e di mettere tutte le nostre forze al servizio della Chiesa di Nostro Signore Gesù Cristo, che è la Chiesa cattolica romana. Noi accettiamo i suoi insegnamenti con animo filiale. Noi crediamo fermamente al Primato di Pietro e alle sue prerogative, e per questo ci fa tanto soffrire l'attuale situazione”».
Tanto basta a Benedetto XVI per decidere «di riconsiderare la situazione canonica dei Vescovi Bernard Fellay, Bernard Tissier de Mallerais, Richard Williamson e Alfonso de Galarreta sorta con la loro consacrazione episcopale».
Se non si è trattato di un’illuminazione dal Cielo, è gioco forza considerare che si è trattato di una grottesca furberia, poiché la “volontà di rimanere cattolici e di mettere tutte le nostre forze al servizio della Chiesa di Nostro Signore Gesù Cristo, che è la Chiesa cattolica romana” e il “Noi crediamo fermamente al Primato di Pietro e alle sue prerogative” sono dichiarazioni ufficiali più volte espresse da Mons. Lefebvre e poi dai suoi quattro vescovi successori, così che tale motivazione per la remissione della scomunica si rivela essere di una totale inconsistenza, confermante tra l’altro l’inconsistenza del decreto di scomunica del 1 luglio 1988.
Attenzione, non inganni la frase: «Noi accettiamo i suoi insegnamenti con animo filiale», perché si tratta di una mera formula di circostanza, atta a far scattare ogni tipo di ermeneutica, secondo lo stile caro a Benedetto XVI. Tanto è vero che nello stesso decreto si legge:
«paternamente sensibile al disagio spirituale manifestato dagli interessati a causa della sanzione di scomunica e fiducioso nell’impegno da loro espresso nella citata lettera di non risparmiare alcuno sforzo per approfondire nei necessari colloqui con le Autorità della Santa Sede le questioni ancora aperte, così da poter giungere presto a una piena e soddisfacente soluzione del problema posto in origine».
Espressione che in linguaggio corrente dice chiaramente che sugli insegnamenti della Chiesa non c’era alcuna piena accettazione, poiché la remissione viene sancita sulla base del fatto che il Papa è «fiducioso nell’impegno da loro espresso… per approfondire … le questioni ancora aperte» relative al «problema posto in origine». Ergo, occorreva chiarire tutte le ambiguità del Vaticano II e delle sue conseguenti applicazioni, stessa cosa che motivò “in origine” Mons. Lefebvre e continuò a motivare i quattro vescovi successori. Ambiguità che eufemisticamente qui vengono dette “questioni aperte” e che il Vaticano accetta di discutere e discusse e che, non risolte, mantengono ancora la Fraternità in una posizione canonica irregolare nonostante i suoi vescovi, non essendo più scomunicati, siano in comunione con la Santa Sede.
Insomma, nulla era cambiato nel 2009 rispetto al 1988, ma questo non impedì che nell’1988 si “scomunicasse” e nel 2009 si “descomunicasse”, per così dire.
Mai la Chiesa si era dilettata con ridicoli pasticci di questa portata, se non dopo la “fulgida primavera” del Vaticano II, e tuttavia c’è ancora gente che, non potendosi sottrarre al fascino del cicisbeo, si continua a dilettare discettando di “scismi” e di “scismi a ripetizione”.
E qui siamo obbligati a fare una breve digressione.
Il decreto di remissione del 21 gennaio 2009, pur rimettendo «la censura di scomunica latae sententiae dichiarata da questa Congregazione il 1° luglio 1988», e pur dichiarando «privo di effetti giuridici, a partire dall'odierna data, il Decreto a quel tempo emanato», dimentica inspiegabilmente di citare, oltre ai quattro vescovi “viventi”, Mons. Lefebvre e Mons. de Castro Mayer, i quali furono di fatto e di diritto gli autori principali del supposto “atto scismatico”, anzi, per la precisione “atto di natura scismatica” come dice espressamente il decreto del 1 luglio 1988, rifacendosi ai canoni 1364 § 1 e 1382 del Codice di Diritto Canonico.
In tal modo, poste le stesse condizioni, i quattro vescovi non sono più fuori dalla comunione con la Santa Sede, mentre i due maggiori responsabili continuano ad essere scomunicati. Un altro bel pasticcio, visto che lo stesso decreto del 21 gennaio 2009 distingue tra “censura di scomunica latae sententiae dichiarata da questa Congregazione il 1° luglio 1988”, che viene rimessa, e gli effetti giuridici di essa che vengono annullati “a partire dall’odierna data”. Evidentemente i morti possono continuare ad essere considerati scismatici perché questo impone l’opportunità di mettere o rimettere le scomuniche a seconda dell’utilità personale da Benedetto XVI.
Il buffo di tutta questa vicenda è che i canonisti vaticani, nell’affrettarsi a pronunciare la scomunica, il 1 luglio 1988, per un atto commesso il giorno prima, il 30 giugno 1988 - a conferma che tutto era stato architettato a priori per tentare di demolire, invano, il cattolicesimo tradizionale -, forse per la fretta dimenticarono di prendere in considerazione il canone 1323, punto 4, che recita: “Non è passibile di alcuna pena chi, quando violò la legge o il precetto: … agì costretto da timore grave… o per necessità” e questo nonostante Mons. Lefebvre avesse invocato apertamente lo stato di necessità in vista del bene delle anime; e nonostante tutti avessero potuto ascoltare l’omelia da lui pronunciata in occasione della consacrazione dei quattro vescovi, il 30 giugno 1988:
« … non vogliamo per niente al mondo che questa cerimonia sia uno scisma. Noi non siamo degli scismatici. … per noi non è affatto questione di separarci da Roma e di sottometterci a un qualunque potere estraneo a Roma, e di costituire una specie di Chiesa parallela… Per noi non si tratta affatto di cose simili. Lungi da noi questi pensieri miserabili di allontanarci da Roma. Tutto il contrario: è per manifestare il nostro attaccamento a Roma che facciamo questa cerimonia. È per manifestare il nostro attaccamento alla Chiesa di sempre, al Papa e a tutti quelli che hanno preceduto questi papi che, disgraziatamente, a partire dal concilio Vaticano II hanno creduto di dover aderire a degli errori, degli errori gravi che sono in procinto di demolire la Chiesa e di distruggere tutto il sacerdozio cattolico. … abbiamo messo a vostra disposizione, troverete precisamente uno studio assolutamente ammirevole … che spiega meravigliosamente perché noi ci troviamo in stato di necessità, stato di necessità per venire in soccorso delle vostre anime, per venire in vostro aiuto.»
Ma davvero fu dimenticanza o non si trattò di una palese violazione del Codice di Diritto Canonico, dettata dalla precisa volontà di fare del male ai cattolici fedeli alla Tradizione?
In effetti, a posteriori, tanti canonisti e teologi, vaticani o proni alle mire vaticane, si affrettarono a spiegare che lo “stato di necessità” doveva essere sancito dalla stessa Santa Sede e non poteva essere riconosciuto sulla base del convincimento soggettivo di chi violava la legge. Giustificazione postuma che per ciò stesso si spiega da sé, ma che anche un bambino comprende che è priva di ogni fondamento, poiché “lo stato di necessità” o è soggettivo o non è, visto che se fosse oggettivo si accuserebbe la Santa Sede di non essersene accorta, colpevolmente, o, accorgendosene, di non aver voluto provvedere com’era suo preciso dovere per il bene delle anime… fossero anche poche.
Fatta questa precisazione, torniamo alle suggestioni dell’articolo in questione e ci soffermiamo su quella che vuole essere una sorta di spiegazione delle origini storico-ambientali del movimento tradizionale, collegate, secondo l’Autore, ai moti di resistenza dei francesi residenti da secoli in Algeria, che generarono, in seguito alle lotte “partigiane” degli algerini, il fenomeno dell’OAS, e quindi collegate alla conseguente ribellione contro la cedevole politica del “valoroso” generale De Gaulle che in fretta e furia abbandonò al loro destino i nativi francesi, i cosiddetti pied-noir, per soddisfare le mire para-socialiste dei nativi algerini, nonché i dettami dell’incipiente Nuovo Ordine Mondiale.
Nell’articolo si legge infatti, a proposito della consacrazione episcopale di Mons. Jean-Michel Faure:
«Don Faure… nasce nel 1941 in Algeria e frequenta gli anni d’istruzione in una scuola diretta dal sacerdote di origine pied-noir Noël Barbara (1910-2002), un religioso la cui importanza è di grande rilievo nella composizione del mondo tradizionalista cattolico francese … Il dramma e i postumi della guerra d’Algeria – come conseguenza di essa, nel 1962 il giovane Jean-Michel Faure viene espulso dal Paese assieme alla famiglia, ed emigra in America Latina –, come già la cristallizzazione della ferita non assorbita della condanna dell’Action française da parte della Santa Sede, nel 1926… inducono Faure ad avvicinarsi a mons. Lefebvre. … Come si può evincere da questo rapido excursus, un profilo di primo piano nella famiglia religiosa fondata da mons. Lefebvre, al punto che quest’ultimo, nel 1986, avrebbe sondato la disponibilità di don Faure a essere consacrato vescovo».
Non ci vuole una particolare fantasia per citare dei fatti ben noti, ma ci vuole una bella faccia tosta e una massiccia dose di malafede per metterli insieme al fine di suggerire “un profilo di primo piano della famiglia religiosa di mons. Lefebvre”.
Peraltro, è palese la subdola intenzione dell’Autore di fare apparire Mons. Jean-Michel Faure come fosse indegno dell’episcopato, se non perfino del presbiteriato, per il semplice fatto di essere stato gioco forza un emigrato dall’Algeria in rivolta.
Ora, che l’Autore non sia uno sciocco è cosa nota anche fuori da Alleanza Cattolica, quindi è più che evidente che egli sparge artatamente veleni per denigrare il più possibile il mondo tradizionale, non facendo mancare neanche il richiamo a Mons. Williamson «già asceso alla ribalta nel 2009, in concomitanza con la revoca delle scomuniche ai quattro vescovi della Fraternità, per lo scandalo internazionale suscitato da alcune sue dichiarazioni sulla Shoah –, la cui posizione ha indotto i suoi superiori a sancirne l’esclusione, come abbiamo visto».
Quest’ultima perla denuncia chiaramente la malevolenza dell’Autore che in questa occasione mente e si contraddice, perché “la cui posizione [sulla Shoah] ha indotto i suoi superiori a sancirne l’esclusione, come abbiamo visto” fa a pugni con il precedente «il primo [Mons. Williamson] ne è stato estromesso nel 2012 … per ragioni che la medesima Fraternità enuncia in un comunicato emanato immediatamente dopo la consacrazione, “a causa delle aspre critiche che avevano formulato contro ogni relazione con le autorità romane, denunciando ciò che, a loro modo di vedere, costituiva un tradimento dell’opera di mons. Lefebvre”».
Siamo noi che esageriamo o è l’Autore che, mosso dalla foga di denigrare, non si accorge neanche di contraddirsi, facendo la figura che si merita?
In realtà, in tutto questo “excursus” da contorsionista, saltano all’occhio due elementi che meritano qualche precisazione, non tanto per i tradizionalisti che sanno bene come stanno le cose, quanto per gli amici aderenti o simpatizzanti di Alleanza Cattolica che potrebbero prestar fede ad un personaggio noto e accreditato nell’ambiente.
Il primo elemento è quello che, in chi ha una certa età, avrà sicuramente suscitato un sorriso di commiserazione: nel leggere delle supposte ascendenze di destra estrema subdolamente suggerite dal cinquantenne Autore, noto esponente di quella Alleanza Cattolica che negli anni settanta, in piena criminalizzazione “fascista”, inviava numerosi i suoi componenti nelle file del Movimento Sociale Italiano, non disdegnando di far loro frequentare con entusiasmo le sedi dei movimenti giovanili zeppi di busti e di foto del Duce e del Führer e di vessilli della Repubblica Sociale Italiana e delle Waffen SS.
E come si sgolavano i giovani di Alleanza Cattolica a cantare “Giovinezza” o “Die Fahnehoch - In alto la bandiera” (o la sua variante italiana “In alto i cuori, in alto i gagliardetti”)!
Come si suol dire: se uno non ha il senso del ridicolo, non può darselo!
Il secondo elemento è quello dell’uso ormai diffuso di usare la Shoah come una mazza da guerra per colpire chiunque non sia servo fedele del potere, pretendendo di farne così un pericoloso criminale da isolare.
E dire che sarebbero dei dichiarati cattolici conservatori ad usare quest’arma da guerra fatta diventare dogma dagli Ebrei, fatta propria dal Nuovo Ordine Mondiale e che la stessa Santa Sede non si vergogna di indicare come fattore che sancirebbe o meno l’essere veramente cattolico, come fosse il Mistero della Santissima Trinità. Ma tant’è, ormai anche solo parlare della Shoah, per i cattolici moderni, è come nominare il nome di Dio invano.
E questi cattolici, inevitabilmente, non hanno alcun pudore religioso e alcuna carità nell’accusare di lesa Maestà il primo che si permetta di discutere di una questione per niente religiosa come la triste vicenda dell’uccisione degli Ebrei da parte dei nazisti.
Che dire? Se non che certi cattolici dovrebbero fare, quantomeno, un esame di coscienza, prima di sentenziare a destra e a manca sulle reali intenzioni di altri cattolici che hanno tutto il diritto di essere giudicati e valutati per la loro aderenza alla Fede e non per le loro ventilate tendenze storico-politiche!
Ma pazienza! Come dice un vecchio proverbio: non si può cavare sangue da una rapa!
Non si può umanamente pretendere, cioè, che tra i cattolici che si pretendono ortodossi, siano tanti quelli ai quali si possa riconoscere quella qualità che il Manzoni indicava con “vergin di servo encomio e di codardo oltraggio”.
di Giovanni Servodio
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