COSI' PARLO' LA CURIA PROFONDA AL TEMPO DI FRANCESCO
Una fotografia (che, scattata a marzo, non pretende di essere esaustiva) di alcuni dei variegati umori della Curia Romana nei confronti di papa Francesco.
A pochi passi da San Pietro l’ecclesiastico ti trafigge con gli occhietti ben vispi e …: “Francesco resta con il cuore e con la mente arcivescovo di Buenos Aires. Tutto a posto… se non fosse che da due anni è vescovo di Roma e dunque papa della Chiesa universale…”. Chi ci parla è un ecclesiastico d’esperienza, d’aspetto giovanile, mai conosciuto come ‘estremista’, parola che oggi troppo facilmente il sistema massmediatico dominante associa tout court a ‘conservatore’.E’ semplicemente un curiale, un membro di quella Curia oggi vilipesa indistintamente come ai tempi di Lutero. La novità è che anche il Papa regnante ci mette del suo e l’ultimo discorso natalizio di papa Francesco alla Curia, il 20 dicembre scorso, non è stato ancora digerito dalla grande ‘pancia’ vaticana. In quell’occasione Jorge Mario Bergoglio aveva elencato non meno di quindici ‘malattie’ ecclesiali, ma – data l’occasione – soprattutto curiali: tra di esse l’ “Alzheimer spirituale” (il “declino progressivo delle facoltà spirituali”), il “martalismo” (l’eccessiva operosità come quella di Marta, sorella di Maria e di Lazzaro), il “terrorismo delle chiacchiere”. A quasi cinque mesi di distanza quel discorso continua a bruciare: “Se qualcuno avesse avuto il coraggio di alzarsi dalla sedia durante l’elencazione e lasciare la Sala Clementina, penso che ce ne saremmo andati tutti o quasi, destra e sinistra, giovani e anziani”, osserva con puntigliosa amarezza il nostro interlocutore. Non senza raccomandarsi ancora: “Che non esca il mio nome! Posso star sicuro?”.
SI STA COME D’AUTUNNO…
Al di là della valutazione dell’oggettivamente severa requisitoria natalizia, non tutti in Curia la pensano su Francesco come l’ecclesiastico citato. Non pochi però sì, in ogni caso una minoranza percentualmente consistente, cui – semplificando un po’ le cose a beneficio del lettore - si ‘contrappone’ un’altra minoranza, meno consistente, di convinti sostenitori del nuovo Papa: in mezzo un gruppone che oscilla, a seconda dei casi, tra l’una e l’altra posizione. Qui si può notare subito che tutti hanno comunque qualcosa in comune quando esternano le loro opinioni: quel “Non si sappia che l’ho detto io!”, perché tutti condividono la condizione del curiale, oggi più che mai espressa da una breve lirica del poeta italiano Giuseppe Ungaretti, scritta verso la fine della Prima Guerra mondiale. La rievoca un altro dei nostri interlocutori, in clergymen, anche lui seduto su una poltrona, ma stavolta meno vicina a San Pietro: “Si sta come/ d’autunno/sugli alberi/le foglie… valeva per i soldati e vale da sempre, ma oggi ancora di più, per i curiali…”. Su “curiali” la voce dell’amante della letteraturasfuma quasi in un soffio e lascia il posto a un sorrisetto complice.
Un concetto, quello della vita curiale incerta nei suoi destini personali, che suggerisce a molti una navigazione tranquilla, senza ‘colpi d’ala’che, si teme, possano irritare Francesco, papa di carisma ma considerato assai umorale. Francesco è dunque, osserva il nostro primo interlocutore, paragonabile al “Principe” ideale di Niccolò Machiavelli: “Lei se lo ricorda certamente: è molto più sicuro per il Principe essere temuto che amato… e questo è quel che succede da noi, in Curia”.
Quel 13 marzo 2013 sera ci trovavamo al momento giusto tra la folla di piazza San Pietro. E, quando dalla voce del cardinale protodiacono Jean-Louis Tauran scaturì il cognome “Bergoglio”, molti reagirono come era successo il 16 ottobre 1978 con Wojtyla: “Ma cosa ha detto? Chi è?’” Sentimmo: “Dev’essere un negro”, prima che i presenti si accorgessero dei gruppi di persone che piangendo inginocchiate cantavano in una lingua allora inusuale sotto il Cupolone. Per Bergoglio lo sventolio impazzito di qualche bandiera argentina ha mostrato subito la nazionalità dell’eletto, che aveva assunto a grande sorpresa il nome “Francesco” e che poi subito stupì il mondo con il suo primo approccio molto alla mano, umile, tale da suscitare subitola simpatia universale. Attorno a lui, di bianco vestito, tante figure rossoporpora anche alle logge laterali della Basilica di san Pietro. A due anni di distanza è lecito credere che qualcuna di quelle figure si sia pentita di aver votato per l’allora settantaseienne arcivescovo di Buenos Aires, già pronto per il ritiro.
LE VIRTU’ DELL’UOMO VENUTO DALLA FINE DEL MONDO
All’uomo venuto – secondo le sue stesse prime parole - dalla “fine del mondo” tutti in ogni caso riconoscono alcune qualità di prim’ordine. Anche i critici più duri evidenziano la sua volontà ferrea (anche se talvolta, dicono, si appalesi più come ostinazione) e anche la sua capacità empatica straordinaria con persone e gruppi. Non siamo lontani dai Giardini vaticani e, dal suo appartamento grondante cultura – volumi teologici, ma anche di omelie e libri di storia della Chiesa - osserva un altro prelato di lungo corso: “Il Papa ha un’ incredibile (per la sua età) forza fisica, che gli è necessaria per poter perseguire il suo primo obiettivo, quello della rievangelizzazione del mondo. Tale forza sorregge quotidianamente la sua grande capacità pastorale: riesce ad avvicinare chiunque”. Vogliamo fare un esempio? “Qualcosa che è sotto gli occhi di tutti noi ogni settimana – spiega il nostro interlocutore – Pensiamo alle udienze generali del mercoledì. Naturalmente c’è la catechesi, cui certo il Papa attribuisce grande importanza. Ma, secondo me, ancora più importante e gratificante per lui è passare tra la folla, stringere mani, accarezzare bambini, salutare con gesti chi attira la sua attenzione… anzi, lui sembra conoscerti, ti guarda negli occhi, fa il gesto dell’o.k. col pollice su come con i vecchi amici…E’ anche un vero artista nel suo genere!” E la sua salute di settantottenne? “E’ tutto preso dal suo servizio, vuole fare in fretta data l’età, ma dovrebbe però riposare un po’ di più… e mangiare meno pasta, anche se ne è ghiotto!” E qui, con un sorriso tra compiaciuto e birichino, il consacrato assai acculturato nelle segrete cose torna alle sue sudate carte.
SANTA MARTA? PRO E CONTRO
Una delle prime decisioni di Francesco è stata la scelta della Casa Santa Marta come sua residenza. L’edificio serve durante il Conclave per il vitto e l’alloggio dei cardinali elettori; spesso come pernottamento dei nunzi apostolici nei contatti con la Segreteria di Stato o alle conferenze episcopali nazionali in visita ad limina. Jorge Mario Bergoglio risiede in un appartamento sobrio, mangia in un angolo ‘protetto’ della sala pranzo, riceve nel pomeriggio i suoi interlocutori. La mattina invece generalmente dà udienza nel Palazzo apostolico, dalla cui celebre finestra ogni domenica recita l’Angelus e saluta i convenuti in piazza san Pietro. La scelta di Santa Marta ha suscitato da subito reazioni miste. C’è chi, come il prelato dall’appartamento grondante cultura, ritiene che papa Francesco abbia fatto bene: “Guadagna molto nella conoscenza della realtà della Chiesa nel mondo: parla con chi vuole, con chi incontra e resta anche a contatto con la quotidianità dei dipendenti… riesce perciò a sfuggire al pericolo di un’informazione molto filtrata come quella che i suoi predecessori ricevevano nei Sacri Palazzi”. E c’è al contrario chi, come il nostro primo interlocutore, pensa che vivere a Santa Marta sia scomodo…” Manca una vera privacy, tanti gli spostamenti inutili, se si pensa che la casa del Papa c’è già da secoli!”. Non solo, ecco un’osservazione assai acuta espostaci da uno di questi ecclesiastici che prestano un servizio prezioso ma apparentemente modesto negli uffici vaticani, casualmente incontrato vicino al colonnato del Bernini, mentre tornava a casa: “Vede, non voglio discutere la scelta del Papa che ha pienamente diritto di risiedere dove vuole… però: non era bello passare di qui la sera, alzare gli occhi e vedere accesa la luce dello studio del Papa al terzo piano del Palazzo apostolico? Era un qualcosa di piccolo, ma molto confortante… ci sentivamo subito in comunione spirituale con il Papa…ora, invece, la luce non c’è più e il Papa abita al di là della Piazza e della Basilica: non si può più immaginare dietro la luce del terzo piano”.
PARLARE A BRACCIO? IL RISCHIO DI STRARIPARE
Jorge Mario Bergoglio parla molto. Parla a braccio durante la messa mattutina a Santa Marta (una delle novità del Pontificato), riservata ogni volta a qualche decina di persone. Parla in ogni occasione possibile, gli piacciono le interviste, anche in aereo con i giornalisti. Unanimi i nostri interlocutori: “Parla troppo a braccio ed allora straripa: del resto in tali occasioni è tentazione cui gli argentini difficilmente si sottraggono.. e non solo loro nell’America latina”. Di esempi ne escono tanti dalle bocche degli ecclesiastici che hanno accettato (a patto dell’anonimato) di essere inseriti in questo réportage. Così il nostro primo interlocutore: “L’ideale di tre figli per famiglia? L’ha detto, l’ha detto nella conferenza-stampa sul volo di ritorno da Manila… Il paragone tra le famiglie cattoliche numerose e i conigli? L’ha fatto, l’ha fatto, sempre nella stessa occasione viaggio apostolico… non può meravigliarsi se poi molti bravi cattolici si sono sentiti offesi!”. Particolarmente criticato quel “Chi sono io per giudicare? (NdR: prima parte di un ragionamento molto più complesso, sul volo di ritorno dal Brasile) riservato agli omosessuali: “Con quella frase sfruttata da molti media, papa Francesco ha danneggiato la Chiesa - rileva pungente un interlocutore, con cui pranziamo in una trattoria trasteverina - e ha involontariamente favorito l’avanzata della lobby gay, che dice di combattere”. A Jorge Mario Bergoglio, cui si riconosce l’abilità nell’evidenziare ogni volta i generalmente tre punti ritenuti più importanti in ogni suo intervento, viene tuttavia spesso rimproverata una non rarabanalità di linguaggio, specie nelle omelie di Santa Marta, dove si ritrovano – rileva il ‘trasteverino’ - “con singolare frequenza invettive contro i ‘farisei’ e la condanna del ‘terrorismo delle chiacchiere”. Che, chiosa il nostro amabile ecclesiastico, “per papa Francesco devono essere una sorta di incubo… però forse confonde chiacchiere con critiche ragionate… e queste ultime non lo dovrebbero irritare, visto che lui stesso le ha chieste ad esempio in sede di Sinodo”.
CONTRADDIZIONI PERCEPITE IN TEMA DI FAMIGLIA
In tema di famiglia la Curia è generalmente critica nei confronti di Francesco, di cui non comprende i modi di procedere in materia. Osserva un curiale relativamente giovane, ma già buon conoscitore del mondo, incontrato a pranzo a Borgo Pio: “Non si riesce a capire dove Francesco voglia parare. Ad alcune dichiarazioni di principio molto ferme, fa seguire dichiarazioni e gesti che suscitano incertezza e confusione in tanti cattolici ‘ortodossi’, praticanti”. Come è noto il primo dei due Sinodi sulla famiglia dell’ottobre scorso ha dato l’occasione di rilevare forti divergenze tra una minoranza ‘progressista’ molto sostenuta dai mass-media e una maggioranza assai più prudente. Nell’ottobre prossimo ci sarà il secondo e ultimo Sinodo sulla famiglia (in cui si voteranno proposte precise) e la battaglia divampa. Sempre il sorridente trasteverino nota che, pur se Francesco personalmente resta un conservatore, d’altra parte “in lui è molto forte la tentazione – anche su temi come quello delicatissimo della famiglia – di conquistarsi i cuori di chi è in situazione irregolare secondo l’attuale dottrina”. Certamente qui si affrontano con decisione gruppi di cardinali ben definiti. Da una parte - quella di chi ritiene che la dottrina cattolica non possa essere diluita secondo i capricci del mondo - troviamo tra gli altri il cardinale Raymond Burke (trasferito d’imperio dopo il Sinodo dalla Curia all’Ordine di Malta), il cardinale Gerhard Ludwig Mueller (prefetto della Congregazione per la Dottrina della fede), il cardinale George Pell (Segretario di Stato per l’economia), diversi cardinali italiani e dell’est europeo, quasi tutti i cardinali africani con alla testa Wilfried Napier. Il timore diffuso? Che Francesco voglia adattare la prassi, cambiando de facto la dottrina matrimoniale. Dall’altra parte troviamo i ‘misericordiosi’, quelli che privilegiano la prassi sulla dottrina: “Non possiamo restare indietro rispetto al mondo”. Tra loro i cardinali tedeschi Walter Kasper, molto vicino al Papa, e Reinhard Marx (presidente del Consiglio per l’economia) : l’arcivescovo di Monaco-Frisinga è stato criticatissimo a Roma per aver recentemente rivendicato il “diritto” della Chiesa tedesca di fare da sé in materia matrimoniale, indipendentemente dalle maggioranze sinodali. Il cardinale curiale svizzero Kurt Koch ha qui rievocato i cristiani tedeschi che si piegarono al nazismo nel Terzo Reich; i propositi di Marx non sono applauditi neanche dal cardinale curiale tedesco Paul Josef Cordes, che li giudica “discorsi da bar” (come ha scritto in una recente lettera a “Die Tagespost”) Si deve notare che un cardinale “in ascesa” come il filippino Luis Tagle (di madre cinese) è vicino alle posizioni del gruppo ‘progressista’, che comprende in genere porporati dell’Europa occidentale e latino-americani.
PROTAGONISTA IN POLITICA ESTERA
C’è un ambito in cui papa Francesco raccoglie generalmente parecchi favori: è quello della politica estera pontificia. Pietro Parolin scelto quale Segretario di Stato, è considerato “esperto, prudente, misurato, discreto” da tutti. Inoltre Jorge Mario Bergoglio viene apprezzato per gli impulsi (talvolta sono gesti clamorosi) dati alla politica internazionale, nella quale sembra essere molto considerato dal mondo. “Sembra, ma la parola di Francesco viene veramente concretizzata? A volte sicuramente sì“ – riconosce il nostro primo interlocutore - L’idea di una giornata di digiuno e di una veglia di preghiera per la pace, soprattutto in Siria (7 settembre 2013), ha de facto bloccato l’attacco di USA e alleati al Paese mediorientale”. Così certamente è da lodare l’impulso dato allo scongelamento delle relazioni diplomatiche tra Cuba e Stati Uniti”. Apprezzata anche la prudenza della Santa Sede nel conflitto ucraino: “Oggi non si può umiliare la Russia, che è nostro alleato nelle questioni antropologiche e nella protezione dei cristiani in Medio Oriente e in tanti parti del mondo”. Diverse critiche, accanto a tiepidi consensi, ha raccolto invece l’ “Invocazione per la pace in Terrasanta” fatta nei Giardini vaticani il 4 giugno 2014: “Un bel gesto – annota stavolta pensoso il ‘trasteverino’ – ma è servita a qualcosa”? Una generalmente grande e positiva sorpresa ha suscitato il Papa quando il 12 aprile in San Pietro ha citato il “genocidio armeno”, sulla scia di Giovanni Paolo II.; in ogni caso, rileva un esperto diplomatico, speriamo che la Turchia – dopo i toni duri utilizzati e motivati anche da ragioni di politica interna – tra qualche mese torni a rapporti diplomatici corretti.
MISERICORDIA? C’E’ SEMPRE STATA
Ci sono due parole su cui insiste spesso papa Francesco: “povertà” e “misericordia”. Sulla “povertà” come intesa dal Papa, è assai caustico l’ecclesiastico nostro primo interlocutore: “Quando il Papa ne parla, ha sempre presente il contesto latino-americano, come se la Chiesa fosse solo latina-americana. Invece la Chiesa è universale e la ‘povertà’ maggiore è quella spirituale, come si nota specie in un Occidente in cui i cattolici sono in continuo calo. Purtroppo al Papa interessa poco o niente di Europa: penso che in ogni caso la consideri già ‘persa’. Però è uno sbaglio terribile credere che la Chiesa universale abbia al suo centro le villas miserias”.
Sulla “misericordia” (il Papa ha appena annunciato un Giubileo straordinario dall’8 dicembre 2015 al 20 novembre 2016) il prelato ben acculturato sospira, guarda dapprima l’ordinato schieramento di libri, poi, alzando gli occhi al cielo: “Ma ogni Giubileo è già un Giubileo della misericordia, a partire da quelli del Vecchio Testamento. Perché papa Francesco è così ‘fissato’ sulla misericordia? Credo che voglia ‘istradare’ il Sinodo di ottobre sulla famiglia, in modo che i padri sinodali si sentano quasi costretti alla ‘misericordia’ – che non sarebbe in realtà tale – sulle questioni spinose della comunione ai divorziati risposati e dell’accoglienza delle ‘unioni’ omosessuali’.
BENE IN ECONOMIA, MA…
Consensi maggiori raccoglie il Papa per quanto riguarda la riforma del settore economico-finanziario vaticano. E’ vero che chi è stato penalizzato dai cambiamenti sostanziali apportati in materia ha il dente avvelenato, pur se non lo esterna pubblicamente. Però la trasparenza introdotta in tale ambito è visto da molti come una necessità impellente. Anche dal nostro primo interlocutore: “In campo finanziario c’erano aspetti del tutto insostenibili dal punto di vista dell’etica cristiana. Bene dunque la pulizia, bene la trasparenza senza se e senza ma”. Naturalmente “non si può buttar via il bambino con l’acqua sporca: la Chiesa deve disporre di molti soldi, ad esempio per le missioni. Devono essere soldi puliti, ma ci devono essere, altrimenti la Chiesa non potrebbe concretizzare l’annuncio evangelico nel mondo”. Forse questo è l’aspetto su cui – applicando la volontà ferrea di Francesco e già in parte quella di Benedetto XVI, molto frenato dalla sua amministrazione – si è riusciti in due anni a percorrere una strada concreta e nuova. Indubbiamente tra molte resistenze, tra molte difficoltà. Ma alla fine si è riusciti.
Qualche riga fa abbiamo citato Benedetto XVI. Ebbene, come sono i rapporti tra il Papa regnante e il Papa emerito, una compresenza storicamente inedita in Vaticano? “I rapporti sono buoni - evidenzia un ultimoecclesiastico, profondo conoscitore della storia della Chiesa, che vive nella zona di Santa Marta – e non può essere diversamente. Benedetto XVI è tanto intelligente quanto corretto: perciò, anche se non fosse d’accordo su tanti modi del magistero di papa Francesco, non lo dirà mai. Prima viene il bene della Chiesa, con la salus animarum”.
Tante altre cose si potrebbero scrivere sul tema dei rapporti tra la Curia e papa Francesco. Si è cercato in queste righe – un’incompleta carrellata - di evidenziare alcuni degli aspetti più importanti. Sperando di aver fornito al lettore – grazie alle voci degli ecclesiastici che hanno ‘prestato’ le loro riflessioni - qualche strumento utile per interpretare meglio una realtà molto complessa e spesso ingiustamente ridotta a caricatura.
P.S. L’articolo appare in italiano in www.rossoporpora.org e in tedesco- in una traduzione libera - nel ’dossier’ “Kampf um Rom” del numero di maggio (nelle edicole dal 30 aprile) del mensile tedesco “Cicero”, rivista di cultura politica fondata nel 2004, che esce a Berlino, è diretta da Christoph Schwennicke ed è edita da Ringier Deutschland. ‘Cicero’ è disponibile anche in versione online ( www.cicero.de )
COSI’ PARLO’ LA CURIA PROFONDA AL TEMPO DI FRANCESCO – di GIUSEPPE RUSCONI –www.rossoporpora.org – 30 aprile 2015
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