“REPUBBLICA” OFFRE A TARCISIO BERTONE UN’INTERVISTA AUTOPULENTE IN CUI L’EX SEGRETARIO DI STATO ELOGIA RATZINGER, SMINUISCE BERGOGLIO E L’UNICO MEA CULPA CHE FA È SUL CUMULO DEGLI INCARICHI: “FORSE NE HO ACCETTATI TROPPI, IOR COMPRESO”
Bertone ammette: “È difficile rifiutare gli incarichi ai quali si è chiamati, anche se a volte si sovrappongono con pesantezza. Però, col senno di poi non accetterei il cumulo di tanti incarichi, per esempio quello di presidente della commissione cardinalizia di vigilanza dello Ior, per l’impatto di problemi che mi sono trovato ad affrontare”…
Paolo Rodari per “la Repubblica”
Tarcisio Bertone, l’uomo di fiducia di Ratzinger durante tutto il suo pontificato, e che è dovuto passare attraverso le vicende dei Vatileaks e le recenti polemiche sull’appartamento, ci conduce nei suoi anni a capo della diplomazia pontificia e sul suo speciale rapporto col Papa emerito che oggi festeggia i dieci anni di elezione al soglio di Pietro.
Eminenza, dal 2005 a oggi tante cose sono cambiate. Da due anni c’è un nuovo Papa. Molti parlano di un vento nuovo. Condivide questa prospettiva?
«Ho l’impressione che i nuovi stimoli che sta dando Francesco siano ancorati nelle direttrici percorse da Benedetto XVI, con una evidente diversità di carattere, con uno speciale accento personale e con il soffio che viene dalle periferie della Chiesa, luoghi nei quali si è sviluppata ed è cresciuta l’esperienza pastorale di Francesco.
Alcuni superficialmente vorrebbero far passare l’idea che il papato di Benedetto XVI impersoni la Chiesa dei “no”, in cui si ripetevano le cose che non bisogna fare, mentre quello di Francesco sarebbe più la Chiesa dei “sì”. Non c’è niente di più falso. Il compito che si era prefisso Benedetto è stato quello di sempre motivare. Ha sempre cercato di motivare la fedeltà alla dottrina tradizionale della Chiesa.
Dare le motivazioni. Motivare la propria fede, che è una fede razionale, non è fede istintiva, passiva, di pura obbedienza, ma è una fede, un atteggiamento creativo che anche in queste situazioni progetta degli atteggiamenti a favore anzitutto della dignità della persona, a favore del progresso delle comunità umane, specialmente delle comunità meno preparate, meno istruite; di qui tutto il lavoro di informazione, istruzione e formazione della Chiesa».
Andiamo un po’ a ritroso, e guardiamo ai tre Papi che si sono susseguiti.
«Eravamo addolorati per la morte di quel grande Papa che fu Giovanni Paolo II. Il cardinale Ratzinger prese in mano il timone del popolo cattolico e già negli ispirati interventi delle esequie e della Missa pro eligendo Summo Pontifice tracciò la sintesi dell’eredità di Wojtyla e in qualche modo il profilo del successore.
Allora il Collegio Cardinalizio non esitò a eleggere l’amico, il collaboratore, il consigliere di Giovanni Paolo II. La scelta del nome e il discorso d’inaugurazione del pontificato hanno dato la misura della personalità e del programma di Benedetto XVI. Ricordiamo in particolare l’accento sulla missione storica dell’Europa e il dialogo ecumenico e interreligioso.
Otto anni dopo l’atto di umiltà e di coraggio di Ratzinger ha dato il via a una nuova stagione della Chiesa. Con la scelta del nome e con i primi atti del suo ministero pontificale Francesco ha indicato alla Chiesa e al mondo le sue intenzioni e le sue prospettive. In qualche modo ha collegato il nuovo mondo latinoamericano con la vecchia Europa, con un’azione di rianimazione e di rinnovamento che sta fermentando tutte le Chiese particolari».
Lei ha lavorato vicino al cardinale Ratzinger alla Dottrina della Fede. Aveva mai pensato che sarebbe potuto diventare Papa?
«Certamente avevamo la percezione che sarebbe potuto diventare Papa, per la sua preparazione intellettuale, teologica, per la sua esperienza pastorale con il passaggio alla grande diocesi di Monaco di Baviera e poi per la diretta conoscenza della curia romana e per il contatto con la totalità dei vescovi della Chiesa cattolica.
Appariva un candidato ideale. Tuttavia, sapevamo bene che egli desiderava ritirarsi dagli incarichi pubblici e dedicarsi ai suoi prediletti studi che gli erano tanto affini e in questo senso aveva fatto domanda a Giovanni Paolo II di essere esonerato dall’incarico di prefetto della Dottrina della Fede ed eventualmente di assumere l’ufficio di bibliotecario e archivista di Santa Romana Chiesa. Abbiamo avvertito che per lui è stato un atto di obbedienza al Signore e al Collegio Cardinalizio accettare l’elezione a Sommo Pontefice».
Il papato di Ratzinger ha subìto alcune crisi per certi versi semplicemente mediatiche. Da dentro la macchina della Chiesa, Lei che ricordo ha di quegli anni e dei mesi in cui, con Lei segretario di Stato, contro il Vaticano venivano sollevate queste accuse?
«Non vorrei che il pontificato di Benedetto XVI fosse stigmatizzato con il ricordo degli scandali della pedofilia o le vicende che hanno avuto scalpore mediatico come Vatileaks. Benedetto XVI è stato un riformatore delle coscienze e del clero.
Ha sofferto profondamente per i mali che deturpano il volto della Chiesa e per questo l’ha dotata di una nuova legislazione che colpisce con decisione il vergognoso fenomeno della pedofilia fra il clero, senza dimenticare l’avvio della nuova normativa in materia economico-finanziaria.
Da parte mia sono stato molto contento di seguire da vicino e di collaborare, in qualità di segretario di Stato, a questi processi di riforma legislativa — perché di vera riforma si tratta. Fra l’altro la normativa amministrativa è stata riconosciuta esplicitamente con giudizio positivo da quell’istanza internazionale che è Moneyval».
Quando ha saputo della volontà di Benedetto XVI di dimettersi? Ha provato a dissuaderlo oppure no?
«Avevo intuito da tempo di questa probabilità di rinuncia di Benedetto XVI, ma ne allontanavo il pensiero. L’ho saputo con largo anticipo, almeno sette mesi prima. Abbiamo dialogato a lungo su questo tema che sembrava già deciso. Gli dissi: “Santo Padre, lei deve farci ancora dono del terzo volume su Gesù di Nazaret e l’enciclica sulla fede”, che poi uscì a firma di Papa Francesco. Ammetto che non è stato per niente facile portare questo segreto.
Di cosa parlate quando vi incontrate?
«Per la sua benevolenza e amicizia Benedetto XVI desidera avere notizie sulla mia attività, sui miei progetti, anche sulla mia famiglia che lui ha conosciuto in diverse occasioni, anche nei tempi in cui eravamo vicini di casa a Piazza della Città Leonina. Nell’incontro prima di Natale ha chiesto informazioni dettagliate sulla mia visita a Cuba, ricordando naturalmente la sua visita a Cuba e l’incontro con i fratelli Fidel e Raul Castro. Nell’ultimo incontro prima della festa di San Giuseppe abbiamo parlato, tra l’altro, della pubblicazione di un libro con i miei discorsi su temi socio-economici che sta per essere editato e che gli ho fatto avere. Se ne è rallegrato».
Se dovesse tornare indietro ai suoi anni in segreteria di Stato, c’è una cosa che non rifarebbe?
«È difficile rifiutare gli incarichi ai quali si è chiamati, anche se a volte si sovrappongono con pesantezza. Nella mia azione di collaboratore dei Papi ho cercato di essere fedele e di rispondere con dedizione e con spirito di obbedienza alle indicazioni dei Papi, soprattutto come segretario di Stato di Benedetto XVI e di Francesco. Però, col senno di poi non accetterei il cumulo di tanti incarichi, per esempio quello di presidente della commissione cardinalizia di vigilanza dello Ior, per l’impatto di problemi che mi sono trovato ad affrontare».
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