Sarah: preti e vescovi non temano di dire la verità
La Chiesa non deve parlare il linguaggio del mondo: «Se si crea un magistero instabile, si crea un dubbio permanente»
Il prefetto della Congregazione per il Culto Divino, il cardinale Robert Sarah, ha concesso una lunga intervista alla rivista bimestrale francese “L’Homme Nouveau”, in cui tocca numerosi temi: la fede, la liturgia, e l’Africa cattolica, con le sue forze e le sue debolezze. Il Porporato della Guinea ha sottolineato che la Chiesa deve avere un ruolo materno e paterno, di educatrice, ricordando l’enciclica «Mater et Magistra».
Si ha l’impressione che oggi non ci siano più frontiere definite fra chi è fuori e dentro la Chiesa, ha detto l’intervistatore. Il Cardinale ha risposto: «Credo che permettere a un prete o a un vescovo di dire delle cose che scuotano o rovinino il deposito della fede, senza chiedergliene ragione, è un grave errore. Al minimo bisogna chiamarlo e chiedere di spiegare le ragioni delle sue affermazioni, senza esitare nel chiedergli di riformularle in maniera conforme alla dottrina e all’insegnamento secolare della Chiesa». Permettere alle persone di dire o scrivere quello che vogliono sulla dottrina e la morale «attualmente disorienta i cristiani e crea una grande confusione su ciò che Cristo e la Chiesa hanno sempre insegnato».
La Chiesa deve assumere un ruolo paterno e materno: «Un servizio umile per il bene dell’umanità. Soffriamo oggi di una mancanza di paternità. Se un padre di famiglia non dice nulla ai suoi figli sulla loro condotta, non agisce come un vero padre. Tradisce la sua ragione e la sua missione paterna». E il primo dovere di un vescovo verso i sacerdoti è analogo. «Sfortunatamente oggi l’autorità sovente tace per timore di essere definita intollerante, e di essere decapitata. Come se mostrare la verità a qualcuno volesse dire essere intolleranti o integralisti, mentre si tratta di un atto d’amore».
Sarah parla dell’Africa, della necessità di una maggiore esperienza e preparazione da parte dei sacerdoti, («abbiamo molte vocazioni, ma non abbastanza formatori solidi ed esperienza») e di quello che il continente può dare al cristianesimo: «Oggi nel contesto di crisi profonda che vede la fede stessa rimessa in causa, e i valori rigettati, credo che l’Africa possa portare, nella sua povertà e nella sua miseria i suoi beni più preziosi: la sua fedeltà a Dio, al Vangelo, il suo attaccamento alla famiglia, a alla vita, in un momento storico in cui l’Occidente dà l’impressione di voler imporre valori contrari».
Il porporato ha poi toccato il tema della liturgia. «Constatiamo sempre di più che l’uomo cerca di prendere il posto di Dio, che la liturgia diventa un semplice gioco umano», ha lamentato Sarah. «Se le celebrazioni eucaristiche si trasformano in luoghi di applicazione delle nostre ideologie pastorali e di opzioni politiche partigiane che non hanno nulla a che vedere con il culto spirituale di celebrare secondo il modo voluto da Dio, il pericolo è immenso». C’è bisogno di più cura e fervore nella formazione liturgica dei futuri preti la cui «vita interiore e fecondità del ministero dipenderanno dalla qualità della relazione con Dio, nel faccia a faccia quotidiano della liturgia». Sulla riforma e le polemiche relative il Prefetto del Culto Divino ha detto: «Benedetto XVI è stato chiaro sul fatto che la Chiesa non si costruisce a colpi di rotture, ma nella continuità. Sacrosanctum Concilium, il testo conciliare sulla santa liturgia, non sopprime il passato. Per esempio, non ha mai chiesto la soppressione del latino o la soppressione della messa di san Pio V».
L’intervistatore ha poi chiesto quale deve essere l’atteggiamento della Chiesa davanti alle pressioni del mondo e della cultura relativistica. «Se la Chiesa comincia a parlare come il mondo e ad adottare il linguaggio del mondo, dovrà accettare di cambiare il suo modo di giudizio morale, e di conseguenza dovrà abbandonare la sua pretesa di guidare e rischiarare le coscienze… rinunciare alla sua missione di essere per i popoli una luce di verità». Allora, sottolinea il Cardinale, «penso che il magistero deve restare fermo come una roccia. Se si crea un dubbio, se il magistero si situa in rapporto al momento in cui viviamo, la Chiesa non ha più il diritto di insegnare…. Il Vangelo resta lo stesso. Non si muove. Naturalmente dobbiamo trovare un lavoro di formulazione per raggiungere meglio le persone, ma non possiamo, sotto il pretesto che non ci ascoltano più, adattare la formulazione dell’insegnamento di Cristo e della Chiesa alle circostanze, alla storia, o alla sensibilità di ciascuno. Se si crea un magistero instabile, si crea un dubbio permanente. C’è un lavoro immenso da compiere: rendere percettibile l’insegnamento della Chiesa mantenendo intatto il nocciolo della dottrina. Ecco perché è inammissibile separare la pastorale dalla dottrina: una pastorale senza dottrina è una pastorale costruita sulla sabbia».
MARCO TOSATTIROMA
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