ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

venerdì 29 maggio 2015

Chi non vive ciò che insegna non è credibile

Sinodo. La battaglia di Germania

I vescovi tedeschi si battono per aprire la strada a divorzio e omosessualità. Ma sei di loro si sono dissociati. E un giurista critica a fondo in un libro le tesi del cardinale Kasper. "È una crisi di fede", commenta il cardinale africano Sarah
ROMA, 29 maggio 2015 – In coincidenza temporale perfetta, proprio mentre quattro giorni fa in Vaticano il consiglio e la segreteria generale del sinodo dei vescovi preparavano con papa Francesco la prossima sessione dell'assise, nello stesso giorno, nella non lontana Pontificia Università Gregoriana, i presidenti delle conferenze episcopali di Germania, Francia e Svizzera e una cinquantina di vescovi, teologi ed esperti di questi tre paesi, in testa i cardinali Walter Kasper e Reinhard Marx, discutevano a porte chiuse su come far passare in sinodo le loro tesi riformiste sui due punti più controversi: il divorzio e l'omosessualità.

Germania, Francia e Svizzera si affacciano sul fiume Reno. Ma i convenuti alla Gregoriana sanno bene che la vera partita si gioca sulle sponde del Tevere, a Roma. La loro ambizione è di essere anche questa volta, come già nel Concilio Vaticano II, la corrente vincente del rinnovamento della Chiesa universale, il Reno che invade con le sue acque il Tevere.

Al termine della riunione, i tedeschi hanno diffuso un comunicato nel quale dicono di aver "riflettuto in particolare sulla sessualità come linguaggio dell’amore e dono prezioso di Dio, in dialogo intenso tra la teologia morale tradizionale e i migliori contributi dell’antropologia contemporanea e delle scienze umane".

Ma più del comunicato è interessante ciò che i convenuti si sono detti per davvero, stando al resoconto autorizzato che ne ha fatto il 26 maggio "la Repubblica", l'unico giornale ammesso all'incontro e per combinazione anche l'unico giornale letto da papa Francesco, a detta sua:

"Un sacerdote e docente parla senza indugi di 'carezze, baci, coito nel senso del venire insieme, co-ire', come pure di 'quel che accompagna le luci e le ombre non coscienti delle pulsioni e del desiderio'. Un suo collega: 'L’importanza dello stimolo sessuale rappresenta la base per un rapporto duraturo'. Si cita Freud. Viene richiamato Fromm. 'La mancanza della sessualità – si aggiunge – può accomunarsi alla fame, alla sete. La domanda che la caratterizza è: Hai voglia di fare sesso? Ma questo non significa desiderare l’altro, se l’altro non vuole. La domanda dovrebbe essere: Tu mi desideri? Ecco allora come il desiderio sessuale dell’altro può unirsi all’amore'".

L'episcopato di Germania è la punta più avanzata e combattiva di questo fronte riformista.

L'ultimo suo pronunciamento ufficiale – diffuso in più lingue ai primi di maggio – è stata la risposta al questionario diramato da Roma in vista della prossima sessione del sinodo.

Dalla quale si ricava che in Germania già si mette ampiamente in pratica ciò che il magistero della Chiesa vieta e il sinodo dovrebbe ancora discutere. E cioè la comunione ai divorziati risposati, l'ammissione delle seconde nozze, l'approvazione delle unioni omosessuali:

> Sinodo. I vescovi tedeschi mettono il carro davanti ai buoi

Pochi giorni dopo, il 9 maggio, lo Zentralkomitee der Deutschen Katholiken, la storica associazione del laicato cattolico tedesco, ha emesso una dichiarazione ancora più spinta, reclamando la benedizione liturgica per le seconde nozze tra divorziati e per le unioni tra persone dello stesso sesso, oltre che l'abbandono in blocco dell'insegnamento della Chiesa sulla contraccezione:

> Declaration of the Central Committee of the German Catholics

Ma attenzione. Questo non significa che tutta la Chiesa tedesca concordi su queste posizioni. Tutt'altro. Sia tra i vescovi sia tra i laici più autorevoli le voci contrarie non mancano. E in questi ultimi giorni si sono fatte vigorosamente sentire.

Il vescovo di Passau, Stefan Oster, salesiano, nominato da papa Francesco nell'aprile del 2014, ha contestato punto per punto la dichiarazione dello Zentralkomitee der Deutschen Katholiken in un tagliente intervento sulla sua pagina Facebook:

> Hier einige Gedanken…


E ha prontamente ricevuto l'adesione pubblica di altri cinque vescovi: Rudolf Voderholzer di Ratisbona, Konrad Zdarsa di Augsburg, Gregor M. Hanke di Eichstätt, Wolfgang Ipolt di Görlitz, Friedhelm Hofmann di Würzburg:

> Zur jüngsten Debatte...

È interessante notare che tra questi cinque vescovi c'è quello di Würzburg, la città nella quale lo Zentralkomitee der Deutschen Katholiken si è riunito ed ha emesso la sua dichiarazione col silenzio/assenso della guida spirituale del comitato, il vescovo Gebhard Fürst di Rottenburg-Stoccarda, la diocesi che negli anni Novanta ebbe Kasper come titolare.

Ed è ancor più interessante rilevare che i vescovi citati, tranne quello di Görlitz, appartengono tutti alla regione ecclesiastica della Baviera, col risultato di mettere in minoranza (5 su 8) il cardinale Marx, arcivescovo di Monaco, proprio in questa sua regione e proprio sulle questioni sulle quali egli è più impegnato. 

Ma c'è di più. Anche nel laicato di Germania vi sono forti personalità che cantano fuori dal coro.

Ha fatto colpo ai primi di maggio la severità con cui Robert Spaemann, considerato uno dei massimi filosofi cattolici viventi, amico di lunga data di Joseph Ratzinger, ha criticato non solo l'episcopato tedesco ma lo stesso governo di papa Francesco, in quanto "autocratico" e "caotico" nello stesso tempo.

Spaemann ha esposto le sue critiche in un colloquio con Hans Joas per "Herder Korrespondenz", la rivista della casa editrice dell'opera omnia di Benedetto XVI:

> "Das Gefühl des Chaos wird man nicht ganz los"

In questi giorni, inoltre, è uscito contemporaneamente in Germania e in Italia un libro di un giurista e magistrato tedesco che è una confutazione radicale, teorica e pratica, delle tesi del cardinale Kasper sulla comunione ai divorziati risposati:

> Rainer Beckmann, "Il Vangelo della fedeltà coniugale. Risposta al Card. Kasper. Una testimonianza", presentazione del Card. Paul Josef Cordes, Solfanelli, Chieti, 2015, pp. 128, euro 10,00.

L'autore, Rainer Beckmann, 54 anni, è giudice a Würzburg. È stato dal 2000 al 2005 esperto ufficiale nel parlamento federale tedesco delle commissioni su diritto ed etica nella medicina. Ha pubblicato saggi scientifici su aborto, tecniche riproduttive, morte cerebrale ed eutanasia. È vicepresidente di un'associazione di giuristi per il diritto alla vita e dirige la rivista "Zeitschrift für Lebensrecht". Insegna nell'università di Heidelberg.

Ma come scrive il cardinale tedesco Cordes nella prefazione del libro, Beckmann, padre di quattro figli, è anche "un credente che ha vissuto di persona il dolore di una relazione fallita, e tuttavia dopo il divorzio non ha intrapreso un'altra relazione: vuole mantenere fede alla sua promessa di fedeltà… finché morte non vi separi". E proprio per questo "la sua è una testimonianza ormai impellente sul piano pastorale, realistica sul piano fattuale e ottemperante alle Sacre Scritture".

Nel finale del libro, Beckmann sottolinea che papa Francesco, "nelle dichiarazioni a noi note", mai una volta si è discostato dalla dottrina tradizionale della Chiesa. Mentre al contrario "la soluzione proposta dal cardinale Kasper mina alle fondamenta non soltanto il sacramento del matrimonio, ma anche quelli della penitenza e dell'eucaristia".

E conclude:

"Se vogliamo trasmettere la fede, le nostre azioni devono corrispondere alle nostre parole. Chi non vive ciò che insegna non è credibile. Né è credibile chi non mantiene ciò che ha promesso. Chi promette amore fino alla morte, deve rimanere fedele fino alla morte. È questo il cammino sul quale Gesù ci ha preceduto".

Sono tesi di una radicalità non dissimile da quella espressa in questi stessi giorni da un autorevolissimo esponente della giovane Chiesa africana: il cardinale guineano Robert Sarah, nominato nel 2014 da papa Francesco prefetto della congregazione per il culto divino.

Nel presentare il 22 maggio una collana di libri preparatori al sinodo, curati dal Pontificio Istituto Giovanni Paolo II per studi su matrimonio e famiglia ed editi in Italia da Cantagalli, anche Sarah ha insistito sulla credibilità della testimonianza:

"Solo con la chiarezza si può essere davvero testimoni, in un mondo che non sopporta più il Vangelo. La fede è il vero nucleo delle difficoltà della Chiesa".

E ancora:

"Se l’eucarestia è solo un pasto, possiamo anche dare la comunione ai divorziati che contraddicono l’alleanza. Ma se un vescovo, un cardinale non vede ciò che l’eucarestia è, cioè il corpo di Cristo, e prende questa eucarestia come un pasto da cui nessuno deve essere escluso, perdiamo veramente il cuore del mistero".

Un resoconto più ampio delle parole dette da Sarah il 22 maggio:

> Il cardinale Sarah: "La fede o niente"

E un ritratto del personaggio, con brani del suo libro "Dieu ou rien" presto edito anche in italiano, inglese e spagnolo:

> Un papa dall'Africa nera


di Sandro Magister

http://chiesa.espresso.repubblica.it/articolo/1351056
Nell'incontro mensile del 'Cenacolo' , svoltosi giovedì 28 maggio, si è discusso di Irlanda, Sinodo, coppie omosessuali e aborto. Ha fatto discutere anche l'espressione utilizzata dal cardinale Segretario di Stato Parolin per connotare il 'sì' di Dublino: "Sconfitta per l'umanità". Per il cardinale Coccopalmerio essa è condivisibile. Da parte sua il cardinal Kasper mette in guardia dagli effetti devastanti del desiderio di un figlio che la natura non può dare: si rompe la catena della generazione, l'adozione dà problemi enormi così come la fecondazione artificiale e l'utero in affitto sono espressione di una società in cui l'uomo è considerato solo un prodotto interessante economicamente e tecnologicamente.
  Era stata preannunciata come una “discussione sull’esito del referendum in Irlanda e sui suoi importanti riverberi sul processo sinodale in corso. Alla luce delle parole di Francesco ribadite al Regina Coeli di domenica 23 maggio: La Madre Chiesa a nessuno chiude la porta in faccia. A nessuno, neppure al più peccatore. Spalanca le porte a tutti perché è madre “. Si poteva dunque pensare che l’appuntamento mensile del ‘Cenacolo degli amici di papa Francesco’ sarebbe stato connotato da un entusiasmo curvaiolo per il risultato di Dublino e un forte auspicio ‘rivoluzionario’ in vista del prossimo sinodo di ottobre. Invece, anche per merito dei ‘fedelissimi’ cardinali Kasper e Coccopalmerio, l’ incontro, svoltosi giovedì 28 maggio, è stato caratterizzato da interessanti scambi di opinione (anche vivaci e pure su temi come l’aborto) tra i presenti nel Centro Russia Ecumenica di Borgo Pio. Grande protagonista è stato il porporato tedesco, ma anche il confratello valtellino-abruzzese, pur se ha parlato poco, ha lasciato il segno. Come vedremo più sotto. 
RAFFAELE LUISE: NON E’ PIU’ TEMPO DI CONCEPIRE L’OMOSESSUALE COME ONTOLOGICAMENTE DISORDINATO
Andiamo con ordine. L’introduzione del coordinatore Raffaele Luise ha presentato come di consueto spunti veraci. Per il giornalista, dopo l’esito della consultazione irlandese, “lo scontro all’interno del Sinodo sarà molto più aspro, dato che i ‘rigoristi’ utilizzeranno probabilmente il risultato di Dublino per cercare di bloccare ogni e qualsiasi apertura”. Il voto “è stato legittimo e dobbiamo anche dire che moltissimi tra noi cattolici sono sulle posizioni del ‘sì’ al riconoscimento del ‘matrimonio gay’, ha osservato Luise, che - a proposito della valutazione del Segretario di Stato cardinale Parolin (“Una sconfitta anche per l’umanità”) - ha detto: “Me la sarei risparmiata”. Insomma “dobbiamo cambiare, disarmare il linguaggio” quando affrontiamo i temi antropologici: “Non è più tempo di concepire l’omosessuale come ontologicamente disordinato”. Sempre su Parolin la giornalista Vania De Luca è parsa contrita per avergli posto la domanda sull’Irlanda… “Ahimè, l’ho fatta io!”.
“UNA SCONFITTA PER L’UMANITA”: LA VALUTAZIONE DI PAROLIN CONDIVISA DA COCCOPAMERIO E RANIERO LA VALLE
L’intellettuale cattolico di sinistra Raniero La Valle ha da parte sua rilevato che “la frase di Parolin è perfettamente difendibile e condivisibile sotto l’aspetto antropologico”, perché “chi dice che non c’è più distinzione tra uomo e donna ferisce l’immagine di Dio nell’uomo”.
E’ intervenuto poi il cardinale Francesco Coccopalmerio, osservando che “non bisogna confondere l’omosessualità con il ‘matrimonio omosessuale’ e di “non essere d’accordo di equiparare le unioni omosessuali a forme matrimoniali”. Condividendo l’espressione usata dal cardinale Segretario di Stato, il presidente del Consiglio per i testi legislativi ha osservato che “se tutte le unioni fossero omosessuali, l’umanità non potrebbe andare avanti”.
KASPER: RISPETTARE, MA NON CADERE NELLA TRAPPOLA DEL RELATIVISMO – ENORMI I PROBLEMI CREATI DAL DESIDERIO DI UN FIGLIO CHE LA NATURA NON PERMETTE DI AVERE
La parola è passata al cardinale Walter Kasper che ha insistito su due ‘necessità’ per i cattolici impegnati nella sfida antropologica. La prima: “Tener salda la nostra concezione del matrimonio”. La seconda: chiedersi come riuscire a “conciliare” la posizione cattolica sul matrimonio “con il rispetto delle persone che hanno inclinazioni personali diverse”, il che “non è facile”. Bisogna essere “rispettosi e anche misericordiosi, ma senza cadere nella trappola del relativismo, per cui tutto è uguale: c’è una tendenza a equiparare che non possiamo accettare”. Per Kasper la sfida per la Chiesa è difficilissima nell’educazione dei giovani e a causa dei problemi che le unioni omosessuali comportano: “Non solo l’adozione, ma anche la fecondazione artificiale e una cosa disumana come l’utero in affitto”. Il cardinale ha ammonito a non promuovere “solo i diritti degli omosessuali, ma anche i diritti dei bambini che nessuno difende”. Un bambino, ha continuato il porporato, “ha il diritto di sapere chi sono suo padre e sua madre”; in ogni caso “i relativi problemi psicologici e giuridici sono enormi”. E nella “catena generazionale si produce una rottura che rende l’uomo un prodotto economico e tecnico per gli enormi interessi finanziari in gioco”.
Per Kasper – alcune delle cui asserzioni nell’occasione potrebbero essere state per qualcuno assai sorprendenti -  “non possiamo condurre una guerra ideologica, dato che non possiamo vincere. Gli altri hanno a disposizione mezzi economici giganteschi, hanno anche dalla loro i massmedia”. Dobbiamo perciò “disarmare il nostro linguaggio”, cercando di entrare in contatto con il mondo secolarizzato.
KASPER: NON C’E’ DUBBIO CHE L’ABORTO SIA UN OMICIDIO, MA LA DONNA NON VA CRIMINALIZZATA
Il teologo Marco Vergottini ha rilevato che “le attese per il Sinodo sono tante e perciò si deve poter portare a casa qualcosa di concreto”. Non sarà facile, poiché ci sono “settori tradizionalisti, in buona fede, che cercano di impedire ogni cambiamento”. Per Vergottini occorre “ripensare il discorso dell’ Humanae vitae” di Paolo VI, aprire all’ ammissione dei divorziati risposati al’Eucaristia, “riconoscere le coppie omosessuali”, rilevando che “in una società democratica le unioni civili sono un diritto”. Vergottini ha poi evidenziato che “anche l’aborto è una sconfitta per l’umanità”. Pur se ciò non significa che “bisogna gambizzare i medici abortisti”. Qui il cardinale Kasper ha convenuto che “non c’è dubbio che l’aborto sia un omicidio”, ma - questo premesso - “ci si deve rapportare ai casi concreti e allora non si può definire la donna che ha abortito come una criminale”. Da ultimo si è posto sul tappeto anche il “diritto ad avere un figlio”: è un vero diritto? ha chiesto una delle convenute.
Non si può certo dire che sia mancata la carne al fuoco in questo incontro del ‘Cenacolo’. Che si è svolto in un ambiente disteso, condotto con ‘parresia’ e nel contempo con civiltà di modi. Insomma: “bergogliani” sì, ma aperti a un confronto razionale. In ambito mediatico, in cui si illustrano i doganieri sempre accigliati e mai sorridenti del nuovo pensiero unico, capita ormai raramente.  
AMICI DI FRANCESCO: LE SORPRESE DI KASPER – di GIUSEPPE RUSCONI –www.rossoporpora.org – 29 maggio 2015


La polemica sul matrimonio gay rivela i limiti della rivoluzione di papa Francesco

Il papa a piazza San Pietro, a Roma, il 22 aprile 2015.  - Filippo Monteforte, Afp

Il papa a piazza San Pietro, a Roma, il 22 aprile 2015. 
La bomba del referendum irlandese ha mandato in frantumi gran parte della propaganda vaticana degli ultimi anni. L’omosessualità, del resto, sta diventando sempre di più una pietra d’inciampo insuperabile per la chiesa europea e di tutto l’occidente. Se il cattolicesimo parla infatti un linguaggio universale, indubbiamente la questione dell’estensione dei diritti civili come risposta positiva alle rivendicazioni dei movimenti gay, ha prodotto in molti paesi del Nord e Sudamerica e del vecchio continente (ma non in Italia), legislazioni che, con diverse varianti e sfumature, hanno riconosciuto le unioni civili o i matrimoni tra persone dello stesso sesso.
Così tutta la normativa relativa ai coniugi o ai conviventi eterosessuali è stata progressivamente o parzialmente applicata alle coppie omosessuali. È un cambiamento profondo che rileva nella sessualità umana una varietà e una diversità di tendenze non coercibili o correggibili, ritenute invece pienamente parte dell’identità della persona.
Tuttavia il Vaticano in questi anni ha sostenuto una sua particolare teoria, secondo la quale una sorta di indottrinamento culturale proveniente da agenzie internazionali – quelle delle Nazioni Unite sotto la spinta dei paesi nordeuropei, o dell’Unione europea, sempre influenzata dagli eurocrati laicisti di Bruxelles – avrebbe di fatto imposto cambiamenti collettivi nell’idea di famiglia e nei comportamenti sessuali, modificando il dna culturale dei popoli in varie parti del mondo.
Insomma, una minoranza influente e ricca che controlla gli organismi internazionali ed è in grado di dettare le agende sociali e culturali, avrebbe scientemente messo in crisi la famiglia eterosessuale fondata sul matrimonio e “aperta alla vita”, cioè pronta ad accogliere figli, in base a un’idea di uguaglianza pericolosa, tutto sommato consumistica e individualista, che annulla le differenze e sostiene una visione potenzialmente autoritaria della società. Un’accusa suggestiva e tutt’altro che di poco conto.
L’approvazione di leggi sui diritti delle coppie omosessuali da parte di diversi parlamenti nazionali, con orientamenti politici non omogenei, aveva già messo in crisi una simile lettura. Ma il caso irlandese è ancora diverso e in un certo senso fa cadere definitivamente la strategia della chiesa di Roma. Intanto si è trattato di un referendum popolare, vale a dire una consultazione generale che ha approvato le nozze omosessuali. Ma soprattutto all’Irlanda non può certo essere accusata di derive protestanti o anglicane sotto il profilo culturale, dato che anche se è stata oggetto un processo di secolarizzazione e diffusione della laicità tipicamente moderno, le sue radici restano profondamente cattoliche.
Ma c’è ancora un altro particolare a fare del caso irlandese un unicum nel suo genere: l’istruzione pubblica è stata a lungo controllata da ordini e congregazioni religiose cattoliche.
È anche in base a quest’ultima considerazione che secondo l’arcivescovo di Dublino, monsignor Diarmuid Martin, il voto ha rappresentato una rivoluzione culturale e sociale. Martin – che in verità non aveva lanciato anatemi contro la consultazione – ha rotto un tabù quando ha detto che la “chiesa deve guardare in faccia la realtà, non c’è stato alcun complotto”, e anzi sono stati i vescovi a rifiutarsi di guardare da vicino quello che stava accadendo. L’arcivescovo è certamente un prelato di peso, che pure in passato aveva messo in guardia la chiesa del suo paese dal rischio di sottovalutare l’impatto sociale dello scandalo degli abusi sui minori commessi da religiosi che proprio in Irlanda ha avuto uno dei suoi epicentri più potenti.
La vicenda ha indubbiamente influito sulla trasformazione del paese: dei vescovi si sono dimessi, movimenti religiosi e diocesi sono finiti sotto accusa, una serie di inchieste governative ha illuminato pagine oscure e poco onorevoli della storia della chiesa in Irlanda. Il paese non è più cattolico come un tempo, e in questo allontanamento va letto l’indebolimento della chiesa nel vecchio continente in generale.
Una sconfitta per l’umanità
Se Martin ha detto come stanno le cose, il segretario di stato Pietro Parolin, di solito molto attento a misurare le parole, ha definito l’esito del referendum “una sconfitta per l’umanità”, suscitando com’era ovvio critiche e sarcasmi per la sproporzione dei termini usati. Ma perché lo ha fatto? Naturalmente c’è una spiegazione elementare: la chiesa non intende recedere dalla propria visione della famiglia. Eppure anche messa così l’affermazione del cardinale è sembrata troppo forte. Vari problemi s’intrecciano in questo frangente. Papa Francesco ha provato fino dall’inizio del pontificato a rendere la chiesa meno rigida, più aperta al confronto con gli altri e capace di accettare la complessità umana senza giudicarla e senza però cambiare la dottrina. Un cammino incerto, che sta cominciando forse a rivelare i suoi limiti.
La componente “liberal” dei quadri ecclesiali – che pure si sono riuniti a Roma in questi giorni e hanno parlato anche di omosessualità lontano dai riflettori – a questo punto vuole rompere gli indugi, dare qualche segno di novità reale e non solo accennato nel metodo. I tradizionalisti – gruppo nel quale s’inscrive una parte del cattolicesimo statunitense, particolarmente forte anche sotto il profilo economico e lobbistico – non hanno intenzione di mollare di un centimetro sui propri princìpi. Sotto traccia questi ultimi minacciano uno scisma che non sono in grado di produrre, ma fanno intravedere il rischio di un conflitto interno ad alta intensità.
In questo quadro s’inseriscono i due sinodi sulla famiglia convocati da Francesco, di cui il secondo è in programma il prossimo ottobre. La doppia assise nata con l’idea di riaprire il dialogo tra chiesa e modernità anche sui temi più delicati, ha mostrato di fatto uno stallo e ormai una differenza non più colmabile tra le chiese dell’Europa centrale e settentrionale e alcune componenti delle chiese africane o nordamericane. Ma la frattura è anche più trasversale, e passa all’interno di ciascun episcopato. Forse nel progetto iniziale di Francesco c’era un eccesso di fiducia nella capacità della chiesa di cambiare, o forse un eccesso di tatticismo: apriamo le porte, ma non esageriamo.
L’intervento di Parolin chiude precipitosamente ogni spiraglio sul tema più controverso, quello della coppia omosessuale – e in questo modo evita di spaccare la chiesa, almeno per il momento – ma delude chi sperava in cambiamenti più rapidi e profondi anche nel corpo ecclesiale. Soprattutto, l’intervento del segretario di stato è un’ipoteca sul sinodo, forse l’inizio di un negoziato interno su varie questioni aperte. Tuttavia un dato è ormai assodato: esistono più chiese dentro la chiesa di Roma, e la loro convivenza è sempre più ardua.
Il tabù omosessuale
Infine, sembra che si stia risolvendo positivamente il caso dell’ambasciatore omosessuale (e credente) nominato da Parigi in Vaticano. Laurent Stefanini, prima respinto dalla Santa sede – probabilmente in base a una serie di colpi bassi tra apparati ecclesiali con l’obiettivo di mettere in crisi Bergoglio e la sua cerchia – sembra poter ottenere il suo incarico, ma la vicenda non è ancora conclusa. Al di là degli intrighi di corte, la storia dimostra come proprio l’orientamento sessuale possa rappresentare l’elemento critico che mette in difficoltà il pontificato. Anche perché, come ha detto di recente con battuta riuscita l’ex ministro degli esteri francese Bernard Kouchner, “il Vaticano non sembra il soggetto più indicato a rifiutare un omosessuale”.
Già, perché il capitolo dell’omosessualità nella chiesa – non solo nella cittadella d’Oltretevere – attende ancora di essere affrontato e non più nascosto o negato, così come quello del celibato dei sacerdoti che ormai mostra la corda in tutti i paesi in cui è presente la chiesa. Sono temi che, in una chiave ecumenica, di dialogo con ortodossi, anglicani e protestanti – e dunque con le culture d’oriente e d’occidente – il cattolicesimo dovrà affrontare se non vorrà incamminarsi sulla strada di un inevitabile declino.


 

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