Sabato 20 giugno a Roma: dal “No” al “Nì”
Grande “successo di pubblico”. Purtroppo, come era prevedibile, è subito partito l’utilizzo interessato di questa folla. E si tratta di “fuoco amico”…
di Paolo Deotto
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Che i partecipanti siano stati un milione, o 500.000, senza dubbio la manifestazione di sabato 20 giugno a Roma è stato ciò che si suol dire un “successo di pubblico”. Al di là della confusione sul programma e sulle finalità effettive di una manifestazione, definita dal portavoce Gandolfini (nel corso della conferenza stampa di presentazione) “contro nessuno”, non c’è dubbio che gran parte dei manifestanti si sono portati in piazza perché si oppongono alla dilagante follia che, dalle cosiddette teorie del gender, porta ai matrimoni tra omosessuali, all’adozione da parte degli stessi e che già ha portato alla diffusione nelle scuole di programmi di indottrinamento omosessualista, mentre aberranti disegni di legge sono in attesa dell’approvazione da parte di un parlamento di marionette.
Tutto bene, quindi. La voce sana del popolo si è levata forte e chiara. Allora abbiamo sbagliato noi quattro gatti, sconsigliando la partecipazione e motivando tale consiglio?
Quanto abbiamo letto ieri sul sito di Alleanza Cattolica di Milano ci fa temere di non esserci sbagliati. Infatti Massimo Introvigne – come potete verificare cliccando qui – è già partito all’assalto dei 500.000 o milione che fossero. In un articolo ripreso dal “Mattino” di Napoli, il vice-reggente di Alleanza Cattolica, comprensibilmente gioioso (era uno dei promotori della manifestazione) per il successo di pubblico, prende la palla al balzo per leggere a suo uso e consumo la grande affluenza.
“Il successo politico della manifestazione deriva proprio dal non essere stata «contro» le persone omosessuali. Non contro qualcuno, ma contro qualcosa: l’ideologia del gender e le sue trascrizioni legislative. E dall’essere stata prima «per» e solo dopo «contro»: per la famiglia, la più grande risorsa della nostra società assurdamente eclissata dalle politiche degli ultimi anni”. Benone. Lasciamo perdere qualsiasi polemica su questa ansia struggente di non essere “contro”; ne abbiamo già parlato più volte.
Dopo averci svelato un segreto eccezionale, ossia che le leggi le fa il Parlamento, Introvigne parte in quarta: “Dal palco romano non è venuto nessun rifiuto acritico del confronto. Ma il confronto è possibile solo a partire da un’identità e da posizioni espresse con chiarezza, di cui nessuno deve avere paura”. Oplà. Siamo arrivati al primo passo. La parole magica “confronto”, bella e dolce, come il “dialogo”, e magari anche come il “tavolo” (delle trattative, non quello da pranzo) schiude le porte al crescendo.
Per l’illustre studioso è l’ora di un “Riconoscimento del fatto che le convivenze omosessuali esistono, e che le persone che le vivono hanno diritti – individuali e patrimoniali, non matrimoniali – già riconosciuti da tante leggi italiane, che possono essere coordinate con la formula di un testo unico o con altre che la politica potrà inventare”. Ecco che torna a galla il famoso “Testo Unico”, di cui nessuno ha saputo spiegare l’utilità (gli omosessuali hanno gli stessi diritti di qualsiasi cittadino italiano), ma che di sicuro porta – lo ha ben spiegato la nostra Patrizia Fermani – a dare un riconoscimento giuridico a situazioni “di fatto” che non rivestono alcun interesse pubblico. Col disegno di legge Cirinnà, fa notare Introvigne – si vogliono creare le “unioni civili”, di fatto un “simil-matrimonio”. Verissimo. E questo, la piazza di sabato 20 a Roma lo rifiuta.
E col progettato “Testo Unico” che si vuol fare? Si sta solo giocando alle tre tavolette, per l’ansia di poter comunque essere a un “tavolo di trattativa” nascondendosi dietro la foglia di fico di poter dire domani, quando comunque le legislazioni omosessualiste saranno approvate da un parlamento sbandato, di aver frenato la deriva, di aver difeso la famiglia, di aver scelto il famoso “male minore”. Ma, in realtà, non si avrà fatto altro che salire sull’ultimo vagone del trenino che gaiamente corre verso il baratro. Lo stesso criterio con cui in Italia divorzio e aborto sono passati con il “placet” di fatto dei politici cosiddetti cattolici.
Chi sta lavorando alacremente per distruggere la civiltà, non ha fretta. Quindi non ha nessuna remora nel dare spazio a questi intellettuali e politici “cattolici”, che sono così malfermi nei loro “No” da trasformarli subito in “Nì”, sempre pronti al dialogo e al confronto, soprattutto con avversari che li hanno sempre trattati, e sempre li tratteranno, come utili idioti. Gli avversari sanno perfettamente dove vogliono arrivare e, più compagni di strada dialoganti hanno e meglio è per loro: ci vorrà un po’ di più, ma si camminerà senza intoppi, che non siano programmati e superabili.
Poniamo il caso che il “Testo Unico” sponsorizzato da Introvigne e Mantovano passi. Benissimo. Si è fatto il primo passo, si è aperta la prima smagliatura nella rete. Poi è solo questione di tempo. Quando gli italiani saranno ben assuefatti all’apodittica affermazione dei diritti dei conviventi, sarà molto più facile fare i successivi passi, oppure una magistratura che ormai è fuori controllo (o forse è fin troppo sotto controllo…) darà la spinta necessaria.
Aperta la prima maglia, la rete non può che sfasciarsi. Basterebbe rileggere un po’ la Storia, anche e soprattutto quella recente. La rete sfasciata lascerà passare il matrimonio tra omosessuali, le adozioni, e le infinite altre porcherie che potranno derivare. La fantasia del demonio è (quasi) inesauribile.
Introvigne afferma categoricamente che “La maggioranza degli italiani sta con Papa Francesco, vuole riconoscere ai conviventi omosessuali ragionevoli diritti individuali ma non vuole le adozioni e detesta l’utero in affitto”. E da qui arriva la chicca finale: “Su queste basi cattolici e laici, il popolo di Piazza San Giovanni e chi dalla manifestazione si è sentito disturbato, possono sedersi intorno a un tavolo e iniziare un confronto serio”.
Chiaro, no? Il discorso è semplice semplice: noi abbiamo dimostrato di essere capaci di mobilitare centinaia di migliaia di persone. Adesso diamo “l’interpretazione autentica” dei motivi e del valore di questa mobilitazione e quindi siamo pronti a iniziare un confronto che con innegabile umorismo viene definito “serio”.
Ma cosa c’è di serio in tutto ciò? È forse “serio” amoreggiare con i “confronti”, fatti con chi sa già bene – né lo nasconde – cosa vuole? È forse “serio” utilizzare i manifestanti di Roma per perseguire i propri progetti?
Introvigne sbarra le porte al matrimonio omosessuale e all’adozione. Si scorda però di chiudere le finestre, anzi alle stesse finestre mette una scaletta perché entri chi vuole. Questa scaletta chiamatela “dialogo” o “confronto”. La sostanza non cambia.
Chi e cosa rappresenta Introvigne? Ben poco in termini di reale rappresentanza popolare. Ma è un uomo del sistema, per vocazione. Lo dimostra anche questa volta, prima enfatizzando un “no” chiaro da parte dei manifestanti, poi utilizzando questo “no” a suo uso e consumo, chiarendo bene la disponibilità al “confronto”. È un uomo che non parla mai a vuoto; ciò che dice, poi, è un altro discorso.
Così, en passant, notiamo che tutti i promotori del “Testo Unico” erano anche promotori della manifestazione del 20 giugno.
Sorvoliamo per ora anche sul fatto che la manifestazione si è trasformata nell’esibizione di Kiko Arguello. Sorvoliamo non perché l’argomento non sia serio. Tutt’altro: è così serio che merita una trattazione a parte, per capire un po’ meglio cosa sia il movimento neo-catecumenale. E ci torneremo a breve.
Ora ci chiediamo solo: cosa faranno le centinaia di migliaia di persone che il 20 giugno sono andate in piazza per dire il loro “no” deciso alla deriva distruttrice della famiglia? Si auto-convocheranno di nuovo per dire il loro “no” deciso a chi le sta già utilizzando per i propri fini?
Non ha certo torto Introvigne quando ricorda che le leggi si fanno in parlamento. Magari, con maggior precisione, potrebbe dire che, al di là dei voti formali, le leggi si fanno nei centri di potere di cui il parlamento è docile esecutore.
Le leggi non si fanno in piazza, certo. I cittadini vanno in piazza per manifestare il loro dissenso a una politica da cui non si sentono più tutelati, nella speranza che i politici stessi raccolgano il messaggio e facciano quindi le leggi giuste.
Poi accade, lo abbiamo appena visto, che ci sono le “voci autorevoli” che stabiliscono il perché e il percome i cittadini sono andati in piazza, e cosa ne consegue.
Domanda finale: le centinaia di migliaia di persone che si sono radunate in piazza San Giovanni non si sentono un tantino utilizzate per scopi diversi da quelli per cui pensavano di essere state convocate?
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