ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

martedì 2 giugno 2015

La santità del vero culto.

A proposito di, Dogma e liturgia…e pastorale
«Nella liturgia terrena noi partecipiamo, pregustandola, a quella celeste,
che viene celebrata nella santa città di Gerusalemme,
verso la quale tendiamo come pellegrini[…].
Con tutte le schiere della milizia celeste
cantiamo al Signore l’ inno di gloria»
(Catechismo della Chiesa Cattolica, 1090)
La nozione di santità e il conseguente discernimento dei segni ad essa relativi, manifesti nella Chiesa Cattolica e nei suoi atti, è di fondamentale importanza per stabilire come solo in Essa sia la vera religio. E, come dice San Tommaso d’ Aquino , «religio est quae Deo debitum cultum affert» (1) e «habet quidem interiores actus quasi principales et per se ad religionem pertinentes, exteriores vero actus quasi secundarios, et ad interiores actus ordinatos» (2). Del resto anche Sant’ Agostino, e non a caso proprio all’ incipit del De Vera Religione afferma:
«Cum omnis vitae bonae ac beatae via in vera religione sit constituta, qua unus Deus colitur, et purgatissima pietate cognoscitur principium naturarum omnium, a quo universitas et inchoatur et perficitur et continetur» (3).

E la pietà è quella virtù con cui si onora con speciali riguardi una persona, e quindi Dio soprattutto, che per natura è causa o principio della nostra esistenza e del nostro vivere
«Debetur autem aliquid specialiter alicui quia est connaturale principium producens in esse et gubernans. Hoc autem principium respicit pietas, inquantum parentibus et patriae, et his qui ad haec ordinantur, officium et cultum impendit. Et ideo pietas est specialis virtus», insegna l’ Aquinate (4).
Lo stesso cardinal Giuseppe Siri (5) non mancò di scrivere una lettera dove espressamente parla dei «santi segni nella liturgia», con un discorso che non pare azzardato definire innanzitutto metafisico. E così dopo aver definito la furia iconoclasta che imperversava e, ahinoi, imperversa ancora nel mondo cattolico, «una ondata collettiva di spoliazione», «un vento protestantico, che ha alla base le stesse ragioni per cui un giorno popoli cattolici hanno abbandonato la loro primitiva fede», passando a ristabilire la verità circa gli elementi esterni e simbolici avuti dalla tradizione apostolica, si espresse dicendo:

«Noi siamo tenuti per disposizione di natura a raggiungere le realtà esterne alla nostra intelligenza attraverso i sensi, cioè attraverso le cose materiali che, sole, si offrono ai sensi…La conseguenza è chiara: tutto ciò che si vuol fare giungere all’intelletto deve essere espresso con elementi materiali[…]La Chiesa porta con sé grandissime cose, che sono per sé oggetto dell’anima e della sua intelligenza. Tutta la Realtà del Regno di Dio, tutto il suo tesoro, tutto il fatto della incarnazione e redenzione, per sé riferito e appartenente come elemento recepito nei fatti umani, al passato anche se divinamente presente, i sacramenti, il Sacrificio, i sacramentali: ecco quello che deve rendere presente ai sensi prima che all’intelletto[…] Il ridurre o, peggio, l’abolire gli elementi espressivi esterni significa togliere la ordinaria, abituale, insostituibile cognizione delle cose che debbono restare vive, penetranti, espressive, operanti attraverso il dato esterno» (6).
E tuttavia questi segni debbono essere santi, devono, cioè, adeguatamente significare la Realtà di Dio e tutto ciò che la riguarda e quindi la realtà della Creazione e della Redenzione. E’ per questa loro intrinseca ordinazione alla realtà divina e ai misteri che la riguardano e che sono oggetto della nostra fede nella Rivelazione che tali segni partecipano, non in sé ma almeno in alio et pro alio, alla santità che a sua volta ci comunica della credibilità e origine divina di suddetta fede e della Istituzione che ne è custode. Come affermò anche il cardinal Bona, citato dallo stesso venerabile Pio XII nella Mediator Dei:
«licet enim ipsae caeremoniae nullam secundum se perfectionem, nullam contineant sanctitatem, sunt tamen actus externi religionis, quibus, quasi signis, excitatur animus ad rerum sacrarum venerationem, mens ad superna elevatur, nutritur pietas, fovetur caritas, crescit fides, devotio roboratur, instruuntur simpliciores, Dei cultus ornatur, conservatur religio, et veri fideles a pseudochristianis et heterodoxis discernuntur». (7)

La celebrazione eucaristica in primis e le altre forme di pietà (Lex orandi) sono quindi la pratica della fede al suo massimo livello, in quanto estrinsecazione del rapporto diretto con Dio stesso, laddove per questo si svolge l’ impegno pastorale della gerarchia ecclesiastica «all’ insegna dell’unità tra la funzione sacramentale (potestas sanctificandi) e la funzione magisteriale (potestas docendi)»(8) . E insieme al fatto che sono il primo e più immediato frutto della validità di una dottrina religiosa (Lex credendi), perché si tratta sempre di «esprimere adeguatamente il Mistero còlto nella pienezza di fede della Chiesa» (9), costituiscono anche il livello più alto della realizzazione di quella vita che la stessa fede ispira alla Chiesa (Lex vivendi), valore ispiratore fondamentale e “serbatoio spirituale”: fonte e culmine della vita e della missione (della Chiesa), per usare l’ espressione con la quale gli stessi vescovi hanno parlato dell’ Eucarestia (centro della liturgia) nel Sinodo del 2005. Come ha scritto Joseph Ratzinger (Benedetto XVI):
«”la gloria di Dio è l’ uomo vivente, ma la vita dell’ uomo è vedere Dio” come afferma Sant’ Ireneo…:in definitiva è la vita stessa dell’ uomo, dell’ uomo che vive secondo giustizia, la vera adorazione di Dio, ma la vita diventa vita vera solo se riceve la sua forma dallo sguardo rivolto a Dio. Il culto serve proprio a questo, a offrire questo sguardo e a dare così la vita, che diventa gloria per Dio». (10)
Del resto è quanto affermato nella stessa costituzione dogmatica del Vaticano II, Sacrosanctum Concilium (11), che dice:
«La liturgia infatti, mediante la quale, specialmente nel divino sacrificio dell'eucaristia, «si attua l'opera della nostra redenzione», contribuisce in sommo grado a che i fedeli esprimano nella loro vita e manifestino agli altri il mistero di Cristo e la genuina natura della vera Chiesa. Questa ha infatti la caratteristica di essere nello stesso tempo umana e divina, visibile ma dotata di realtà invisibili, fervente nell'azione e dedita alla contemplazione, presente nel mondo e tuttavia pellegrina; tutto questo in modo tale, però, che ciò che in essa è umano sia ordinato e subordinato al divino, il visibile all'invisibile, l'azione alla contemplazione, la realtà presente alla città futura, verso la quale siamo incamminati».
La necessità poi che il culto sia anche esterno viene espressamente sostenuta dallo stesso venerabile Pio XII nella Mediator Dei :
«Tutto il complesso del culto che la Chiesa rende a Dio deve essere interno ed esterno. È esterno perché lo richiede la natura dell'uomo composto di anima e di corpo; perché Dio ha disposto che «conoscendoLo per mezzo delle cose visibili, siamo attratti all'amore delle cose invisibili» (cfr. Missale Romanum, Prefazio della Natività); perché tutto ciò che viene dall'anima è naturalmente espresso dai sensi; di più perché il culto divino appartiene non soltanto al singolo ma anche alla collettività umana, e quindi è necessario che sia sociale, il che è impossibile, nell'ambito religioso, senza vincoli e manifestazioni esteriori; e, infine, perché è un mezzo che mette particolarmente in evidenza l'unità del Corpo Mistico, ne accresce i santi entusiasmi, ne rinsalda le forze e ne intensifica l'azione».(12)
Il culto e le sue caratteristiche intrinseche sono quindi uno dei primi segni (motiva) di credibilità della istituzione religiosa custode della Rivelazione. Nel suo essere armonico e ordinato, nel suo splendore, nel manifesto ed oggettivo rispetto della natura umana e della natura divina in primis, esso si rivela come santo e canale di santità, come miracolo dato dall’ azione santificativa di Dio, di evidente e piena ordinazione, nonostante i limiti della contingenza nella quale si opera, al Trascendente. Come insegna Antonio Livi (13):
«…tali segni sono sperimentati empiricamente …, essi sono indizi della presenza di Dio proprio perché presuppongono la certezza che ci sia un Dio creatore, il solo che possa santificare».
Si capisce allora come e perché lo stesso Magistero della Chiesa ha sempre insistito sul carattere di santità che devono necessariamente possedere tutti gli elementi che si pretende entrino a far parte dell’ azione cultuale e della liturgia. Già San Pio X, infatti, nel Motu proprio Tra le sollecitudini ricordava, parlando in particolare di quella musica che si pretende sacra, che tale musica appunto
«come parte integrante della solenne liturgia, ne partecipa il fine generale, che è la gloria di Dio e la santificazione e la edificazione dei fedeli…La musica sacra deve per conseguenza possedere nel grado migliore le qualità che sono proprie della liturgia e precisamente la santità e la bontà delle forme, onde sorge spontaneo l’ altro suo carattere, che è l’ universalità». (14)
E Benedetto XVI, insistendo su questo punto, ha a sua volta evidenziato che questa stessa musica
«deve…condurre oltre, e precisamente in quella direzione che la liturgia stessa, in maniera insuperabilmente concisa, formula all’ inizio della Preghiera eucaristica: sursum corda – il cuore, cioè l’ uomo interiore, l’ interezza del sé, in alto verso l’ Altezza di Dio, verso quell’ altezza che è Dio e che in Cristo tocca la terra, l’ attira e l’ eleva a Sé». (15)
dove appunto la nozione di “Altezza di Dio” è equivalente a quella di “Trascendenza e santità di Dio” e dove il sursum corda esprime l’ atto fondamentale della santità per partecipazione dell’ uomo e il concetto di “attrazione” quello di “ricezione della grazia santificante”. Santità, bontà delle forme e universalità sono quindi gli elementi essenziali del vero culto, della vera religio. E da questo principio generale consegue la stessa determinazione particolare degli elementi adeguati e conformi all'essere e al fare liturgico, come può essere, ad esempio, l'elemento musicale, considerato accidente proprio della Missa solemne. Si capisce allora perché lo stesso Siri insisteva sul fatto che non una partecipazione qualsiasi ma
«la vera assistenza alla santa Messa fa il cristiano[…] Per avere una vera assistenza alla santa Messa, bisogna conoscere la sostanza teologica di essa…La santa Messa …è la rinnovazione del Sacrificio della Croce in modo incruento…Questo sacrificio non sarebbe possibile senza la presenza reale, perché è questa che rende presente in modo reale, vero e sostanziale la divina Vittima e il supremo Sacerdote offerente…Questa “sostanza” del Santo Sacrificio, mette in presenza di realtà grandi. Anzitutto mette alla Presenza di Dio; mette alla presenza dell’atto dal quale dipende la salvezza dell’uomo e pertanto il vero divenire della Storia…La santa Messa porta con sé la causalità più alta e veneranda del pellegrinaggio terreno, la mirabile ragione di una grazia soprannaturale agli uomini. Quando uno sa di tutto questo non ha bisogno gli si raccomandi il silenzio, la partecipazione, la compostezza. Ne è naturalmente compreso e colpito. Tutto questo non è opinione bensì fede» (16)

E’ per questo che anche gesti e canti di uso profano e addirittura, come disse l’allora cardinal Ratzinger parlando degli stili pop e rock (17), definibili come culto della banalità e contro-culti diametralmente opposti al culto cristiano, si precludono da sé l’ingresso nella sfera del sacro e della divina liturgia e costituisce un grande abuso, un satanico scimmiottamento dell’opera dell’Altissimo, inserirli e volerli inserire in essa. Come Ratzinger, anche il cardinal Siri ebbe a cuore esprimersi circa la retta partecipazione alla santa Messa da parte dei fedeli: participatio actuosa che non deve contrapporsi all’ ars celebrandi come si rammenta anche nella Sacramentum caritatis (18).
«Una partecipazione di diletto - dice il cardinal Siri (19) - non è una partecipazione vera. Una partecipazione di solletico, stimolato da novità e da affinità con gusti profani, non è vera partecipazione. Una partecipazione all’azione interpretata come se fosse scenica e da taluni celebranti eseguita come se fosse recitazione teatrale non sarebbe vera partecipazione»
E una partecipazione di diletto e in generale una partecipazione secondo usi mondani non è partecipazione vera alla messa, per quanto possa abbondare di canti e parti eseguite dall’intero popolo, proprio perché è essenzialmente distratta, cioè lontana e separata, dal centro di tutto che è il Santo Sacrificio, la presenza di Dio e la sua opera. E quest’opera è opera di santità, di elevazione a Dio da parte dell’uomo in corpo e in anima, che proprio per questo implica la ordinazione e la subordinazione del più basso (il corpo) al più alto (l’anima) e questo al fine ultimo che è Dio, ordinazione ed elevazione che proprio la santa Messa viene a realizzare efficacemente. Una partecipazione banale, come le tante a cui assistiamo oggi, viene a coincidere allora con quell’ «imparaticcio di usi umani» di cui si lamentano le stesse Sacre Scritture (Is, 29,13). Anche san Giovanni Paolo II ebbe a biasimare quella che egli stesso definiva una «comprensione assai riduttiva» del Mistero:
«…vi sono luoghi dove si registra un pressoché completo abbandono del culto di adorazione eucaristica. Si aggiungono, nell'uno o nell'altro contesto ecclesiale, abusi che contribuiscono ad oscurare la retta fede e la dottrina cattolica su questo mirabile Sacramento. Emerge talvolta una comprensione assai riduttiva del Mistero eucaristico. Spogliato del suo valore sacrificale, viene vissuto come se non oltrepassasse il senso e il valore di un incontro conviviale fraterno. Inoltre, la necessità del sacerdozio ministeriale, che poggia sulla successione apostolica, rimane talvolta oscurata e la sacramentalità dell'Eucaristia viene ridotta alla sola efficacia dell'annuncio. Di qui anche, qua e là, iniziative ecumeniche che, pur generose nelle intenzioni, indulgono a prassi eucaristiche contrarie alla disciplina nella quale la Chiesa esprime la sua fede. Come non manifestare, per tutto questo, profondo dolore? L'Eucaristia è un dono troppo grande, per sopportare ambiguità e diminuzioni.»(20)
E a proposito del decoro che ogni celebrazione eucaristica deve possedere ebbe a dire:
«Come la donna dell'unzione di Betania, la Chiesa non ha temuto di «sprecare», investendo il meglio delle sue risorse per esprimere il suo stupore adorante di fronte al dono incommensurabile dell'Eucaristia. Non meno dei primi discepoli incaricati di predisporre la « grande sala », essa si è sentita spinta lungo i secoli e nell'avvicendarsi delle culture a celebrare l'Eucaristia in un contesto degno di così grande Mistero. Sull'onda delle parole e dei gesti di Gesù, sviluppando l'eredità rituale del giudaismo, è nata la liturgia cristiana. E in effetti, che cosa mai potrebbe bastare, per esprimere in modo adeguato l'accoglienza del dono che lo Sposo divino continuamente fa di sé alla Chiesa-Sposa, mettendo alla portata delle singole generazioni di credenti il Sacrificio offerto una volta per tutte sulla Croce, e facendosi nutrimento di tutti i fedeli? Se la logica del « convito » ispira familiarità, la Chiesa non ha mai ceduto alla tentazione di banalizzare questa « dimestichezza » col suo Sposo dimenticando che Egli è anche il suo Signore e che il «convito» resta pur sempre un convito sacrificale, segnato dal sangue versato sul Golgota. Il Convito eucaristico è davvero convito « sacro », in cui la semplicità dei segni nasconde l'abisso della santità di Dio: «O Sacrum convivium, in quo Christus sumitur!». Il pane che è spezzato sui nostri altari, offerto alla nostra condizione di viandanti in cammino sulle strade del mondo, è «panis angelorum», pane degli angeli, al quale non ci si può accostare che con l'umiltà del centurione del Vangelo: « Signore, non sono degno che tu entri sotto il mio tetto » (Mt 8,8; Lc 7,6).»(21)

Non possiamo, quindi, banalizzare ciò che vi è di più profondo e più alto nella nostra vita, la Santa Messa. Infatti, compiremmo, così facendo, soltanto una conversio ad creaturas, ossia un’opera di per-versione, e de facto mostreremmo solo di sottovalutare proprio il Mistero Eucaristico, fonte e culmine dell’essere e dell’agire cristiano. E’ per questo che la stessa arte e la stessa musica devono conformarsi all’autentico valore del Santo Sacrificio, della Santa Messa, che è quanto di più sublime il Redentore ci abbia lasciato nel nostro essere in statu viae, nel nostro cammino terreno:
«Gli splendori delle architetture e dei mosaici nell'Oriente e nell'Occidente cristiano sono un patrimonio universale dei credenti, e portano in se stessi un auspicio, e direi un pegno, della desiderata pienezza di comunione nella fede e nella celebrazione. Ciò suppone ed esige, come nel celebre dipinto della Trinità di Rublëv, una Chiesa profondamente «eucaristica», in cui la condivisione del mistero di Cristo nel pane spezzato è come immersa nell'ineffabile unità delle tre Persone divine, facendo della Chiesa stessa un'«icona» della Trinità. In questa prospettiva di un'arte tesa ad esprimere, in tutti i suoi elementi, il senso dell'Eucaristia secondo l'insegnamento della Chiesa, occorre prestare ogni attenzione alle norme che regolano la costruzione e l'arredo degli edifici sacri. Ampio è lo spazio creativo che la Chiesa ha sempre lasciato agli artisti, come la storia dimostra e come io stesso ho sottolineato nella Lettera agli artisti. Ma l'arte sacra deve contraddistinguersi per la sua capacità di esprimere adeguatamente il Mistero colto nella pienezza di fede della Chiesa e secondo le indicazioni pastorali convenientemente offerte dall'Autorità competente. È questo un discorso che vale per le arti figurative come per la musica sacra. […] Il «tesoro» è troppo grande e prezioso per rischiare di impoverirlo o di pregiudicarlo mediante sperimentazioni o pratiche introdotte senza un'attenta verifica da parte delle competenti Autorità ecclesiastiche. […] Si comprende, da quanto detto, la grande responsabilità che hanno, nella Celebrazione eucaristica, soprattutto i sacerdoti, ai quali compete di presiederla in persona Christi, assicurando una testimonianza e un servizio di comunione non solo alla comunità che direttamente partecipa alla celebrazione, ma anche alla Chiesa universale, che è sempre chiamata in causa dall'Eucaristia. Occorre purtroppo lamentare che, soprattutto a partire dagli anni della riforma liturgica post-conciliare, per un malinteso senso di creatività e di adattamento, non sono mancati abusi, che sono stati motivo di sofferenza per molti. Una certa reazione al « formalismo » ha portato qualcuno, specie in alcune regioni, a ritenere non obbliganti le «forme» scelte dalla grande tradizione liturgica della Chiesa e dal suo Magistero e a introdurre innovazioni non autorizzate e spesso del tutto sconvenienti. Sento perciò il dovere di fare un caldo appello perché, nella Celebrazione eucaristica, le norme liturgiche siano osservate con grande fedeltà.»(22)
Urge pertanto ritornare ad uno sguardo più attento sulle stesse nozioni di santità e di bellezza. Nel suo libro Le divine perfezioni secondo la dottrina di San Tommaso Padre Reginald Garrigou-

Lagrange, sulla scia di San Tommaso d’ Aquino (I-II, q.81, a. 8), correttamente definisce la santità e la bellezza di Dio, fonte inesauribile di ogni santità e bellezza, come
«l’ armonia più intima e splendida delle più svariate perfezioni[…] l’ unione indissolubile di tutte le spirituali perfezioni nel sommo grado senza alcuna traccia di imperfezione». (23)
e lo stesso Catechismo della Chiesa Cattolica (24) ricorda a tal proposito il versetto evangelico «Estote ergo vos perfecti, sicut Pater vester caelestis perfectus est» (Mt 5,48). Ora, essendo la perfezione riguardo alle creature intelligenti il termine ultimo del divenire della loro stessa esistenza, è chiaro che la nozione di santità ha a che fare con quella di trascendenza: coincide in essentia con essa nel caso in cui si parla di Dio, indica la partecipazione (a vario titolo) ad essa nel caso in cui si tratti di una creatura e perciò lo stato in cui questa trova la trasfigurazione della sua natura nell’ unione intima con Dio, per la quale, relativamente alla creatura intelligente, come dice lo stesso Cornelio Fabro in una pagina dei suoi Momenti dello Spirito, non a caso dedicata alla partecipazione di Maria Santissima alla grazia di Cristo,
«l’ anima è elevata ad un modo di essere e quindi di operare deiforme: essa ottiene un modo di operare divino[…] l’ effetto principale della partecipazione alla grazia è l’ assimilazione ovvero la somiglianza dell’ anima con Dio…l’ anima allora è ammessa nel consorzio della vita intima di Dio ovvero diventa per partecipazione figlia (adottiva) di Dio…» (25)
Ma che si intende precisamente per trascendenza? Innanzitutto un concetto metafisico e quindi previo alla dottrina della fede in senso stretto. Pertanto, quando parliamo di trascendenza divina intendiamo con Sofia Vanni Rovighi (26) l’ essenza stessa di Dio come Esse Ipsum Subsistens e Atto puro «in confronto alla realtà dell’ esperienza che ci si manifesta composta di un elemento attuale e di un elemento potenziale, radice del divenire e della finitezza» (27) e per santità per partecipazione la stessa comunione con il Trascendente laddove il processo di santificazione va visto come l’ armonia progressiva delle perfezioni della vita della grazia, in un progresso che non guarda verso l’ avvenire ma appunto verso l’ eternità (28). La creatura intelligente è, in altri termini, chiamata a trasfigurare nell’ eternità, nella trascendenza stessa di Dio la sua stessa finitezza, ciò che avviene appunto quando partecipa della grazia santificante e poi col suo definitivo stato di santità. E possiamo dire, allora, che la santità per partecipazione, quella riservata alle creature intelligenti per sé stesse, coincide realiter con la concreta ordinazione a Dio di sé e dei propri atti (suscettibile di precarietà lungo il cammino terreno, libera da ogni fragilità nella ultraterrena visione beatifica). Ma a parte la creatura intelligente, è possibile parlare di partecipazione alla santità delle altre realtà create e finite? In base al fatto che l’uomo deve utilizzare mezzi per raggiungere qualsiasi scopo e soprattutto il suo fine ultimo, a causa della sua stessa struttura metafisica data dalla composizione ontologica essentia/actus essendi e quindi potentia/actus, substantia/accidentes, anima e corpo, intelligenza e sensi, occorre decisamente affermare che non possono essere del tutto aliene dalla partecipazione a tale qualità (la santità) le stesse cose materiali usate come mezzi nel cammino verso la vita eterna. E’ pertanto lecito parlare di una partecipazione alla santità di segni, parole, cose, non in sé ma in alio et pro alio, perché, dato che un uomo è santo nella misura in cui concretamente si ordina a Dio, il Santo per essenza e la fonte di ogni santità, lo stesso lo saranno i mezzi utilizzati nella misura in cui sono essi stessi oggettivamente e realmente ordinati alla stessa ordinazione dell’ uomo, in corpo ed anima:
«lo scopo della creazione è l’ alleanza, la storia d’ amore tra Dio e l’uomo[…]solo se si trova nell’ alleanza con Dio l’ uomo diventa libero…Se dunque tutto deve essere ricondotto all’ alleanza, allora è importante riconoscere che l’ alleanza è relazione: è un donarsi di Dio all’ uomo, ma anche un rispondere dell’ uomo a Lui. La risposta dell’ uomo a un Dio che è buono con lui si chiama amore, e amare Dio significa adorarlo» (29)
E poiché l’adorazione si esprime sommamente nel culto,
«se il culto…è l’ anima dell’ alleanza, allora ciò significa che non solo esso salva l’uomo, ma deve coinvolgere l’ intera realtà nella comunione con Dio[…] Possiamo allora dire che lo scopo del culto e della creazione nel suo insieme è lo stesso: la divinizzazione…»(30)
Gli atti cultuali, quindi, rientrano in questo caso di santità per partecipazione in alio e le cose (materiali) utilizzate in essi devono dire precisamente ordine alla santificazione, traendo questa loro capacità da Dio attraverso la Chiesa di cui appunto sono atti essenziali i primi e strumenti i secondi:
«la liturgia…presuppone il cielo aperto; solo così c’è liturgia. Se il cielo non è schiuso, quello che era liturgia si intristisce a un gioco di ruoli, a una ricerca, in fin dei conti irrilevante, di autoconferma comunitaria, in cui in fondo non accade nulla…La liturgia è opera di Dio, oppure non è; con questa priorità di Dio e della sua azione, che viene a cercarci con segni terreni, è data anche l’ universalità…di ogni liturgia, che non può venire compresa a partire dalla categoria di comunità, ma solamente a partire dalle categorie di popolo di Dio e di corpo di Cristo…l’ assemblea deve prepararsi ad incontrare il suo Signore, deve essere un popolo ben disposto» (31)
Nel suo essere santo e mezzo primario di santificazione il culto ed in special modo la Santa Messa sono ad un tempo fondamentali per la stessa azione evangelizzatrice. E questo per due motivi principali: perché, essendo Dio l’ unico che santifica tutto, essi sono innanzitutto un motivo di credibilità, ossia fanno parte di quegli elementi che garantiscono la possibilità logica dell’ atto di fede; e perché sono fonte, sia pur derivata, di quella grazia indispensabile per la missione ad gentes. Ed è per questo che anche il Santo Padre Francesco ha rammentato come
«la fede ha bisogno di un ambito in cui si possa testimoniare e comunicare, e che questo sia corrispondente e proporzionato a ciò che si comunica[…]Ma ciò che si comunica nella Chiesa, ciò che si trasmette nella sua Tradizione vivente, è la luce nuova che nasce dall’ incontro con il Dio vivo, una luce che tocca la persona nel suo centro…Per trasmettere tale pienezza esiste un mezzo speciale, che mette in gioco tutta la persona, corpo e spirito, interiorità e relazioni. Questo mezzo sono i Sacramenti, celebrati nella liturgia della Chiesa» (32) e come «la Parola di Dio ascoltata e celebrata, soprattutto nell’ Eucarestia, alimenta e rafforza interiormente i cristiani e li rende capaci di un’ autentica testimonianza evangelica nella vita quotidiana…La Parola proclamata, viva ed efficace, prepara la recezione del Sacramento, e nel Sacramento tale Parola raggiunge la sua massima efficacia» (33)
NOTE
(1) Summa theologiae, IIª-IIae q. 81 a. 5
(2) Ibid., a.7
(3) Sant’Agostino d’Ippona, De vera religione, 1.1.
(4) Summa theologiae, IIª-IIae q. 101, a. 3
(5) Si veda: Card. Giuseppe Siri, Dogma e liturgia, a cura di mons. Antonio Livi, ed. Leonardo da Vinci, Roma 2014, p. 51
(6) Ibid., pp.53-55
(7) Card. Giovanni Bona, De divina psalmodia, c. 19, p.3,1, citato in Pio XII, Mediator Dei. Lettera enciclica sulla liturgia, I, 2.19, Castelgandolfo 20 novembre 1947
(8) Antonio Livi, Prefazione in Giuseppe Siri, Dogma e liturgia, p. 7
(9) San Giovanni Paolo II, Ecclesia de Eucharistia. Lettera enciclica sull’ Eucarestia nel suo rapporto con la Chiesa, n.50
(10) Benedetto XVI, Introduzione allo spirito della liturgia, San Paolo edizioni, Cinisello Balsamo 2001, p. 14
(11) Concilio Vaticano II, Costituzione dogmatica sulla Sacra Liturgia Sacrosanctum Concilium, a.2
(12) Pio XII, Mediator Dei. Lettera enciclica sulla Liturgia, Castelgandolfo 2 novembre 1947 I, 2.19
(13) Antonio Livi, Razionalità della fede nella Rivelazione. Un’ analisi filosofica alla luce della logica aletica, Ed. Leonardo da Vinci, seconda edizione, Santa Marinella (Roma), 2005, p. 107
(14) San Pio X, Motu proprio Tra le sollecitudini. Sulla musica sacra, Roma 22 novembre 1903, 1
(15) Benedetto XVI, “Di fronte agli angeli voglio cantarti”, Conferenza in occasione del congedo del fratello George dall’ ufficio di Maestro di Cappella, in Lodate Dio con arte, Marcianum Press, Venezia 2010, p.127
(16) Giuseppe Siri, Dogma e liturgia, pp.131-133
(17) Joseph Ratzinger, Introduzione allo spirito della liturgia, p.144
(18) Cfr Benedetto XVI, Sacramentum caritatis. Lettera enciclica sull’Eucaristia fonte e culmine della vita e della missione della Chiesa, Roma 22 febbraio 2007, cc. 39-65
(19) Giuseppe Siri, Dogma e liturgia, p.135
(20) San Giovanni Paolo II, Ecclesia de Eucharistia, n.10
(21) Ibidem, n.48
(22) Ibidem, nn. 50-52
(23) P. Reginald Garrigou-Lagrange OP, Le divine perfezioni secondo la dottrina di San Tommaso, Francesco Ferrari libraio editore, Roma 1923, p. 337
(24) Catechismo della Chiesa Cattolica, 2013
(25) C. Fabro, San Tommaso d’Aquino e la partecipazione di Maria alla grazia di Cristo (1974), in Momenti dello spirito, ed. Sala Francescana di cultura «P. Antonio Giorgi» Assisi - S. Damiano 1983,
(26) Sofia Vanni Rovighi, Elementi di filosofia II, ed. La Scuola, Brescia1964, p.167
(27) Ibid.
(28) Cfr. R.Garrigou-Lagrange, Le divine perfezioni, pp. 338-341
(29) Joseph Ratzinger, Introduzione allo spirito della liturgia, p.22.
(30) ibid., pp.23-24
(31) J. Ratzinger/Benedetto XVI, “Di fronte agli angeli voglio cantarti” in Lodate Dio con arte, p.120-121
(32) Francesco, Lumen fidei. Lettera enciclica sulla fede, Roma 29 giugno 2013, n. 40
(33) Francesco, Evangelii gaudium. Esortazione apostolica sull’annuncio del Vangelo nel mondo attuale, Roma24 novembre 2013, n.174

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