Già da tempo molti teologi, anche cattolici, cercano di sdoganare l’omosessualità, perché sia accettata dalla comunità credente come una forma legittima di amore. Naturalmente, questo discorso riguarda solo quelle persone omosessuali che si dicono credenti e che vorrebbero continuare a vivere come credenti nella comunità ecclesiale, senza rinnegare l’esercizio della loro omosessualità. Ecco le loro argomentazioni. Essendo la sessualità un potenziale carico di eros, è certamente importante che questo eros non decada nello sfruttamento dell’altro o nel dominio sull’altro, ma sia educato a diventare strumento di una relazione autentica.
Questo discorso, secondo quegli autori, vale non solo per gli etero, ma anche per gli omosessuali. Non importa quale sia il sesso fisiologico. L’eros prescinde dal sesso. Il piacere erotico, infatti, si può provare anche nell’incontro con una persona dello stesso sesso. Si deve dunque proporre agli omosessuali credenti un cammino di crescita spirituale, orientata all’incontro con l’altro tu, in cui si rivela il Tu ineffabile e trascendente del Mistero d’Amore. In questo contesto, dicono, gli atti omosessuali non possono più essere considerati immorali. La moralità di un atto, proseguono, infatti, non sta nell’adesione a una norma, ma consiste nel favorire l’incontro, la relazione, l’aiuto reciproco. In questo senso si può parlare anche di una “fecondità” della relazione omosessuale, anche se è diversa dalla fecondità procreativa. In questo percorso spirituale, alla coppia omosessuale va però chiesta la stabilità e l’esclusività.
Stando così le cose, argomentano, non si capisce perché non si possa parlare di matrimonio e di famiglia anche per una coppia omosessuale, dato che ci sono i requisiti fondamentali della stabilità, dell’esclusività e della fecondità (sia pure in senso metaforico). E poiché una relazione stabile ed esclusiva è un bene per la società, non si vede perché una coppia omosessuale non debba avere un riconoscimento e una tutela giuridica da parte dello Stato. Una società in cui i gay possono sposarsi è una società che incoraggia l'impegno fedele.
Ho cercato qui di sintetizzare, con molta benevolenza, il discorso di quei teologi, i quali spingono perché la Chiesa cattolica cambi il suo insegnamento sulla morale sessuale. Lì infatti vogliono arrivare. In sostanza, la loro argomentazione si riassume in questo: poiché in una coppia omosessuale è possibile (non è automatico, ma è possibile, tanto più se è formata da credenti) che ci siano sentimenti di amore, di oblatività, di sacrificio per l’altro/a, ciò è sufficiente per ritenere moralmente a posto quelle persone, e quindi ammetterle alla comunione eucaristica. Toccherà al sacerdote che segue quelle copie verificare se ci sia quel cammino spirituale, quel “vissuto”, e quindi anche eventualmente benedire quelle relazioni omosessuali basate su valori di amore, fedeltà e impegno.
Di fronte a queste tesi, che sembrano di alta spiritualità, la prima cosa che uno si chiede è che fine abbia fatto il corpo, che, da che mondo è mondo, si distingue in maschile e femminile. Si parte dall’affermazione, ormai data per scontata, che l’omosessualità non sia più una patologia psichiatrica (com’era considerata prima del 1973), né un disturbo della personalità, né l’espressione di un disagio o di una mancata maturazione affettiva, ma un orientamento normale della sessualità umana. La componente genitale è allora solo un aspetto secondario e persino irrilevante della sessualità. Sbagliano dunque quelli che pensano che l’omosessuale sia interessato solo al sesso, sia pure fatto in un certo modo. Questo “certo modo” è del tutto marginale rispetto alla dimensione affettiva e spirituale.
Qui siamo chiaramente in una posizione di tipo gnostico. Per gli gnostici del II secolo quello che avveniva a livello del corpo (genitali) non aveva nessuna rilevanza morale per la persona “pneumatica”, quella cioè che aveva raggiunto o scoperto la sua “consustanzialità” con il Pneuma, lo Spirito divino. Da qui il loro libertinismo in materia sessuale. A parte il fatto che nessuna persona di buon senso ritiene moralmente irrilevante l’uso del piacere sessuale, anche se poi uno cerca sempre di giustificare i propri comportamenti, l’insegnamento della parola di Dio, e in particolare quello dell’apostolo Paolo, è chiarissimo su questo punto. Di fronte alle tendenze pre-gnostiche dei cristiani di Corinto, i quali dicevano: «Tutto mi è lecito» (1 Cor 6,12), Paolo ricorda che «il corpo è tempio dello Spirito Santo» (6,19), «membra di Cristo» (6,15), e che non bisogna «peccare contro il proprio corpo» (6,18) con la fornicazione. Il corpo, infatti, è destinato alla risurrezione (6,14). Occorre dunque «glorificare Dio nel proprio corpo» (6,20).
Anche se il nostro corpo attuale è segnato dalla corruttibilità e dalla morte, tuttavia l’unità della persona è tale che non si può considerare il corpo escluso dalla moralità, come se essa fosse solo dipendente dall’intenzione dell’animo: «Tutti infatti dobbiamo comparire davanti al tribunale di Cristo, ciascuno per ricevere la ricompensa delle opere compiute finché era nel corpo, sia in bene che in male» (2 Cor 5,10). Paolo conosceva bene il mondo pagano, con la sua esaltazione di una sessualità senza freni, che egli condanna apertamente (cf. Rom 1, 24-32), escludendo che ci possa essere una “via cristiana” all’interno di un comportamento omosessuale. Le sue parole sono chiare: «Che ciascuno sappia mantenere il proprio corpo con santità e rispetto, non come oggetto di passioni e libidine, come i pagani che non conoscono Dio. Che nessuno offenda e inganni in questa materia il proprio fratello, perché il Signore è vindice di tutte queste cose, come già vi abbiamo detto e attestato» (1Ts 4,3-6). E per non correre il pericolo di non essersi spiegato bene, aggiunge: «Dio non ci ha chiamati all’impurità, ma alla santificazione. Perciò chi disprezza queste norme non disprezza l’uomo, ma Dio stesso, che vi dona il suo Santo Spirito» (ivi, vv. 7-8). Già allora c’era chi con sofismi cercava di far passare nella vita cristiana il comportamento pagano.
Allora Paolo ammonisce: «Non illudetevi: né immorali, né idolastri, né adulteri, né effeminati, né sodomiti, né ladri, né avari, né ubriaconi, né maldicenti, né rapaci erediteranno il regno di Dio» (1 Cor 6,9-10). E in questa condanna sono inclusi non solo chi compie quelle azioni, ma anche chi le approva (cf. Rom 1,32). Se la parola di Dio ha ancora un senso, allora questi insegnamenti dell’Apostolo non possono essere messi da parte come superati. Ma questa, obiettano, è una lettura fondamentalista della Bibbia. Per Gesù, dicono, la norma morale non è un assoluto, perché prima di tutto viene l’amore: essere orientati all’amore, è questo che fa la moralità dell’atto umano. Ma, chiediamo, che cos’è l’amore? Forse risponderanno come Pilato di fronte alla verità, cioè non risponderanno (cf. Gv 18,38).
Siamo consapevoli che nelle persone omosessuali c’è un grande bisogno di affetto, di tenerezza, di amicizia, di amore, ma questo bisogno è presente in tutti e deve esprimersi con verità, nel rispetto della propria condizione. L’eros sessuale non può essere messo semplicemente a servizio dell’amore a prescindere dal proprio stato e dalla differenza tra maschio e femmina. Ci sono infatti vari tipi di amore, come l’amore di amicizia, l’amore fraterno, paterno, materno, filiale, che escludono l’eros sessuale, pena cadere nell’incesto e negli atti contro natura. C’è un unico amore capace di accogliere e di sublimare l’eros sessuale, ed è l’amore coniugale, dove il piacere sessuale e l’affettività sono al servizio dell’amore, che è una decisione che impegna tutta la persona per tutta la vita, in vista anche della generazione e dell’educazione dei figli. In un comportamento tra persone, non basta che ci siano elementi positivi perché esso risulti moralmente accettabile. Anche in una relazione adulterina ci può essere soddisfazione, affetto, dedizione, ma non per questo diventa moralmente accettabile.
Non è vero che la posizione cattolica porti la persona con tendenza omosessuale su una strada senza uscita, dando per scontato che la castità sia impossibile. Ciò significherebbe ammettere che la grazia di Cristo non sia efficace e che lo Spirito Santo non venga in aiuto alla debolezza umana. Proporre agli omosessuali un ipotetico percorso spirituale, chiedendo per di più un impegno di “stabilità” e di “esclusività” nell’esercizio della loro omosessualità, assomiglia molto a una visione romantica, assai lontana dalla realtà. Ciò non farebbe che illude ancora di più quelle persone e far loro del danno invece che aiutarle.
30-07-2015
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