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giovedì 9 luglio 2015

Noi aborticoli

Summorum Pontificum e “status necessitatis”. Breve riflessione di un MotuPropista.

[fonte: sanctamissa.org]
[fonte: sanctamissa.org]

Amo particolarmente il 7 Luglio.
Perché mai ?
“Ah, è l’anniversario del Summorum Pontificum, ovvio! Sei un motupropista!”, mi si potrebbe rispondere.
Non solamente: questa occasione mi è sempre grata per fare un bilancio delle vittorie del tradizionalismo (passatemi questa insensata etichetta) e puntualmente rifletto su quante grasse risate si facciano i modernisti alle nostre spalle: questi ordiscono le loro tele a danno della nostra fede cattolica mentre noi “tradizionalisti” – motupropisti, lefebvriani e sedevacantisti – ci azzuffiamo come cane e gatto. Mi sembra già di udirli nell’usare le parole del Nostro Signore per descriverci: «Se un regno è diviso in se stesso, quel regno non può reggersi; se una casa è divisa in se stessa, quella casa non può reggersi.» (Mt 3:24-25)!
Come negarlo?!?

Come possiamo noi tradizionalisti essere davvero efficaci nel “combattere la buona battaglia” della fede autentica ed integrale e aiutare gli “incolpevoli vaticanosecondisti” (la gente normale, per capirci) nel recupero di una fede cattolica incorrotta?
Tutti noi sappiamo che la dottrina integrale di Cristo è il farmaco giusto per questo malanno della Chiesa, la giusta terapia per l’infezione modernista. Eppure ci facciamo la guerra per capire chi di noi sia più cattolico.
Azzardo un parallelismo: assomigliamo ad un triage di medici che discutono su come somministrare lo stesso farmaco ad un paziente, il quale, attendendo una decisione unanime che mai arriverà, va incontro alla morte.
Tale è la nostra scelleratezza!
Non sono tempi facili: lo avremmo dovuto capire già ripercorrendo la storia del Vaticano II.
Il palco del Concilio è calpestato da tanti e troppi personaggi, dalla personalità controversa e complessa. Tanto tra i liberali quanto fra i conservatori. Sicché prendere una posizione coerente sembra davvero essere molto complicato.
Mentre l’ala progressista dell’episcopato, costituita da Lercaro, dal tragicomico e carismatico Suenens o dal Bugnini e tanti altri, risultava compatta, il tradizionalismo cattolico era piuttosto frammentato.
Quel sant’uomo del Card. Siri rifiutò di entrare a far parte del Coetus Internationalis Patrum, ma, pur combattendo a favore della Sacra Tradizione,  ebbe modo di consigliare di “leggere i documenti del Concilio in ginocchio”. Ottaviani fu autore, insieme a Bacci, dell’Esame Critico del Novus Ordo Missæ e a lui è attribuita la frase: “Prego Iddio di farmi morire prima della fine di questo Concilio in modo da morire cattolico”. Eppure, lo stesso riconobbe le autorità conciliari. Idem fece Antonelli, le cui ire sulla riforma liturgica sono affidate alle pagine dei suoi diari.
Ancora: Mons. Marcel Lefebvre – un Santo – incoraggiò gli Spiritani ad “approfittare della grazia del Concilio”, accettò tutti i documenti tranne due e poi si rimangiò tutto dichiarando il Papa modernista, quindi eretico, ma pur sempre Papa.
Non meno importante è la figura di Mons. Thuc, arcivescovo del Vietnam, che insieme a Guerard des Lauriers,esiliato dalla FSSPX, inaugurò la storia dell’Istituto Mater Boni Consilii.
Al centro del Concilio,invece, troviamo Papa Giovanni XXIII: Egli fece giusto in tempo ad esortare la Chiesa a gaudere per il Concilio che avrebbe dovuto solamente dire con parole nuove l’antica sostanza, ma poi è dipartito.
Il vero Papa del Concilio è stato Montini, il Paolo Mesto.
Personalità colta, forse un tantino ingenuo, si  lasciò prendere dall’entusiasmo per le novità, per poi pentirsene negli ultimi anni di Pontificato (così mi auguro per lui!): “Pensavamo che dopo il Concilio sarebbe venuta una giornata di sole per la Chiesa, invece tutto è buio” e ancora: ” Da qualche fessura il fumo di Satana è entrato nel tempio di Dio, nelle coscienze il dubbio”. Di fronte al Concilio e a ciò che è seguito, tutti noi siamo stati costretti a compiere scelte in nome di uno “status necessitatis” che ci ha indotti – purtroppo – a vivere uno “status incoerentiæ” (passatemi il grezzo neologismo). Inutile che prudano i nasi di noi motupropisti che siamo “una cum” con chi difficilmente ha la stessa nostra visione della Chiesa e della dottrina, dei “fedeli” del vescovo Lefebvre che considera ugualmente Papa quello che loro stessi giudicano un eretico e, infine, quello dei sedevacantisti che seguono una Chiesa Cattolica che ha delle restrizioni perché senza autorità. Possiamo controbattere quanto vogliamo: la drammatica realtà resta!
Tra le tante cose che – seduto alla mia scrivania – leggo ogni 7 di Luglio sono offese gratuite e per nient’affatto veritiere contro noi Motupropisti additati come pecora nera del tradizionalismo, aborti del cattolicesimo o peggio figli bastardi del modernismo. Agli occhi di tanti, siamo una combriccola di “vedove ratzingeriane”.
Potremmo anche essere vedove, ma allo stesso modo delle vedove di Lefebvre oppure di Guerard des Lauriers.
Tutto il tradizionalismo è vedovo, ma non di un uomo, bensì dell’Autentica Fede venuta a mancare nelle nostre Chiese.
Spesso sento parlare dei Papi conciliari come di un orologio rotto che almeno una volta al giorno segna l’orario giusto. Ecco: quel 7 luglio di 8 anni fa Benedetto XVI ha segnato l’ora giusta, se vogliamo rimanere nei termini della similitudine.
Celebrando più volte per la FSSP, il Card. Ratzinger percepì quella frattura insanabile tra il Concilio Vaticano II e il Tradizionalismo. Ecco perché ha portato avanti da Papa la sua politica di “ermeneutica della continuità nella riforma” per cui Novus Ordo e Vetus Ordo sono due usus dello stesso Ritus Romanus. “La Santa Messa rimarrà sempre il Sacrificio di Cristo sulla Croce” ebbe modo di dire.
Tutti noi motupropisti sappiamo bene (come i lefebvriani e i sedevacantisti) che l’ermeneutica della continuità non risolve i problemi del Concilio; essa non è stata e non costituirà mai il cammino della Chiesa nei tempi avvenire.
Eppure, attualmente, è per “stato di necessità” l’unica via percorribile (ai nostri occhi) che ci permette di operare dall’interno per un fine più alto: somministrare il vaccino della Fede autentica.
Il Summorum è la siringa tramite la quale iniettiamo il vaccino nel corpo infettato.
E se oggi alcuni prelati a capo dei Dicasteri Vaticani parlano di modificare l’offertorio del Novus Ordo alla luce del Vetus Ordo è dovuto all’effetto di questo vaccino.
Se il farmaco rimane nell’armadietto o in farmacia, chi è malato di certo non guarirà.
Il Summorum non ha una attuazione soltanto “terapeutica”: permette a noi tutti di vivere da figli di una Chiesa che, se anche “impazzita”, se anche “malata”, rimane pur sempre la Nostra Madre. Il Summorum è la nostra risposta amorevole alla Madre che ci ha generato. E se anche adesso sembra essere alienata da se stessa, noi non cerchiamo altre Madri là fuori.
Ci stringiamo alla nostra e piangiamo per lei. Questa non è apostasia, questo  non è ecumenismo!
Questa fase di impasse nella vita della Chiesa passerà, ma solo con la pazienza, con la pazienza dell’agricoltore che attende che il proprio campo allagato torni ad essere fecondo, con la pazienza dei discepoli nell’attendere il loro Signore risorgere.
Mi stupisco quando molti cattolici pensano che la situazione si possa risolvere con gesti eroici e dichiarazioni clamorose. Questi stessi gesti sono estranei al modus operandi della Chiesa, che, al contrario, ha sempre attuato gesti sommessi, non teatrali ma efficaci. La vicenda per la quale Pio XII è demonizzato ce lo insegna. È utopistico pensare di cancellare questi 50 anni o toglierli dalla Storia della Chiesa:  per risolvere la crisi, toccherà attuare la stessa strategia messa in atto dai modernisti al Concilio, ovvero erodere dall’interno quanto vi è di ambiguo e sbagliato.

E il Summorum Pontificum ci consente di farlo…… almeno per adesso!
di Gianluca Di Pietro

http://radiospada.org/2015/07/summorum-pontificum-e-status-necessitatis-breve-riflessione-di-un-motupropista/

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