ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

martedì 18 agosto 2015

Il sacro (?) fuoco della censura

La Preghiera dell’Alpino  

… siccome ci sono preti che la proibiscono ed altri che invece nulla hanno da obiettare, viene da chiedersi se nella Chiesa esistano ancora “regole” alle quali vescovi e sacerdoti e religiosi devono attenersi… però, gli ambienti clericali non rifiutano quel che gli Alpini fanno per loro, o spontaneamente o dietro precisa richiesta. Offerte in danaro per parrocchie, iniziative di solidarietà, opere in muratura (costruzione o restauro di edifici di proprietà di diocesi o di istituzioni religiose)…

di Giovanni Lugaresi
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zzzzalpiniIn tante manifestazioni delle Penne Nere in congedo iscritte all’Ana, alla fine della Messa viene letta la “Preghiera dell’Alpino”. A leggerla non è il sacerdote celebrante la liturgia, ma un presidente di sezione, un capogruppo, o un socio all’uopo incaricato.
Di quando in quando, però, ci si trova di fronte a sacerdoti che magari accettano in chiesa ogni tipo di laica “creatività”, per non parlare dei canti, ma non tollerano la “Preghiera dell’Alpino”, se non… mutilata di un passo.
E la mutilazione è la seguente (rivolti a Dio Onnipotente): “… Rendi forti le nostre armi contro chiunque minacci la nostra Patria, la nostra bandiera, la nostra millenaria civiltà cristiana”.

Ora, ci pare opportuno sottolineare quel “contro chiunque minacci”. Ecco: non rendi forti le nostre armi per offendere, ma contro le minacce. E le minacce a chi? A soggetti ben precisi, ivi compresa la “millenaria civiltà cristiana”. Vorrebbero – vien da chiedersi – questi sacerdoti disarmare e far crollare quella civiltà cristiana alla quale pure loro appartengono (fino a prova contraria)?
La storia di questa preghiera risale al 1935, pare scritta da un maggiore comandante il battaglione Edolo: Gennaro Sora. Venne adottata da diversi reparti di alpini in armi e nel dopoguerra (1949), sottoposta da un cappellano all’allora ordinario militare Carlo Alberto Ferrero di Cavallerleone, perché vi apponesse i ritocchi ritenuti opportuni, venne approvata.
Questa preghiera è sempre stata recitata nelle manifestazioni dell’Associazione Nazionale Alpini, mentre per quel che riguarda le Penne Nere in armi, è stata apportata una modifica: “rendici forti a difesa della nostra Patria, e della nostra Bandiera…”.
Ora, chi scrive (servizio di leva prestato, ma non nel Corpo degli Alpini) si trovava a Milano in occasione dell’adunata nazionale scarpona del 1992 ed era presente alla Messa che tradizionalmente viene celebrata dall’ordinario diocesano locale il sabato pomeriggio.
 In quella circostanza, il rito venne officiato dal cardinale Carlo Maria Martini e alla fine venne letta la “Preghiera dell’Alpino”… senza alcuna  mutilazione. Nessuna obiezione venne fatta dal porporato, né da altri ecclesiastici milanesi. Ergo, quella formulazione andava bene anche ad uno dei punti di riferimento del cattolicesimo progressista nazionale – cari “martiniani”, che cosa ne dite?
zsgnrcmQuesto, per sottolineare negativamente atteggiamenti come quello del sacerdote della diocesi di Vittorio Veneto che domenica scorsa al Passo San Boldo (tra Belluno e Treviso), in una manifestazione delle Penne Nere, ha intimato la mutilazione della preghiera, appunto, con le polemiche che ne sono seguite.
In altre occasioni, in altri luoghi, e con altri sacerdoti celebranti la liturgia, non ci sono mai stati problemi, e le Penne Nere in congedo non hanno avuto difficoltà a leggere la loro preghiera nella formula consueta.
Non si capiscono allora queste prese di posizione. O si capiscono?!. Siamo allo stesso livello di quegli/lle insegnanti che a Natale nelle scuole elementari non allestiscono il presepe per rispetto (dicono loro) agli extracomunitari? E qui magari si vuole vedere un atteggiamento ostile alla tanto sbandierata “accoglienza” di chi ha scambiato l’Italia per una sorta di paese del benessere diffuso e cerca di approdarvi con ogni mezzo?
Sulla quale “accoglienza” ognuno può avere le sue idee, ma la Preghiera dell’Alpino risale a tempi, come si è visto, ben diversi da quelli attuali, e dunque, voler trovarci quel che non c’è, significa comportarsi da demagoghi – quanto meno.
Ma l’episodio del Passo San Boldo, che, come abbiamo avvertito, non è l’unico “in materia”, induce ad un paio di riflessioni.
La prima: siccome ci sono preti che proibiscono ed altri che invece nulla hanno da obiettare, viene da chiedersi se nella Chiesa esistano ancora “regole” alle quali vescovi e sacerdoti e religiosi devono attenersi. Oppure siamo in piena anarchia, per cui ogni sacerdote fa quello che vuole, intende come vuole, perché tanto è lui che comanda?
La seconda: non rifiutano, però, gli ambienti clericali, quel che gli Alpini fanno per loro, o spontaneamente o dietro precisa richiesta. Offerte in danaro per parrocchie, iniziative di solidarietà, opere in muratura (costruzione o restauro di edifici di proprietà di diocesi o di istituzioni religiose)…
E per concludere, ci piace sottolineare che fra le tante imprese compiute dal 1945 ad oggi su quello che noi chiamiamo “il fronte della solidarietà”, reca la firma dell’ANA la realizzazione di una scuola multietnica a Zenica (Bosnia Erzegovina)… Avete letto bene: scuola multietnica per bambini e giovani di religione cattolica, ortodossa, musulmana, nella speranza che crescendo e studiando insieme, si accettino reciprocamente!!!
Per non parlare dell’Operazione Sorriso, realizzata a Rossosch nel 50° anniversario della battaglia di Nikolajewka: progettazione e costruzione di un asilo nido-scuola materna per 150 bambini, dono alla popolazione di quella città nella quale durante la campagna di Russia aveva sede il comando del Corpo d’Armata Alpino.
Ecco: queste sono le Penne Nere, oggi come ieri. E il passo di quella preghiera formulato come si è visto, non è un incoraggiamento, un incitamento ad offendere con le armi, bensì una dichiarazione-invocazione in caso di minaccia alla Patria, alla bandiera e alla millenaria civiltà cristiana, sissignore, che è tale nonostante certi preti e certi prelati, e alla quale faceva riferimento un Benedetto Croce quando sottolineava il perché “non possiamo non dirci cristiani”.
E certo: allora, meglio l’ateo Croce che certi pastori della Chiesa cattolica!!!

La confusione nella Chiesa che contribuisce a spopolare le chiese


0-pizziolo - faceVittorio Veneto: Una diocesi inquieta. Il Vescovo di Vittorio Veneto, mons. Corrado Pizziolo ha festeggiato male il suo quarantesimo anno di sacerdozio, censurando “La preghiera degli Alpini” da leggersi in chiesa in ossequio a chissà quale malinteso buonismo. proprio non piace alla diocesi di Vittorio Veneto. “Ieri – si legge nei giornali – l’ufficio liturgico diocesano ha proibito a un gruppo di “penne nere” di leggere in chiesa la loro storica preghiera. Anzi: armata di sacro fuoco della censura, la diocesi ha imposto di sbianchettare una frase giudicata troppo dura nei confronti degli stranieri: “Rendi forti le nostre armi contro chiunque minacci la nostra patria, la nostra bandiera, la nostra millenaria civiltà cristiana”.

Pronta la risposta del segretario locale dell’ANA che ha sottolineato come “solo la malafede o un certo pacifismo ideologico possono pensare che gli alpini coltivino sentimenti di aggressione o di intolleranza… È amaro constatare che proprio all’interno della comunità cristiana possano crescere muri, che finiscono per incidere nella serenità di rapporti, usando pretestuosamente il Vangelo della pace come una clava per rompere armonie consolidate”.
Sarebbe fin troppo facile ripercorrere il percorso camaleontico della nostra Chiesa, anche recente, costellato di variopinti cambiamenti di fronte: dall’ossequio all’ “Uomo della Provvidenza” al coccolamento dei preti cattocomunisti, dall’indissolubilità del matrimonio al “podemus” dell’attuale Santo Padre, dall’elogio della famiglia alla benedizione delle famiglie gay. Fin troppo facile, inutile e soprattutto doloroso ripercorrere questo iter, specie per chi, credendo fino in fondo ai valori della Tradizione, è stato confinato nell’abominio della scomunica e dell’isolamento.
Non è forse un caso che questo episodio sia maturato all’interno della diocesi di Vittorio Veneto dove, in fatto di amor di Patria e di confusioni, è accaduto, nell’ultimo secolo, nel bene e nel male, un po’ di tutto.
Fin dalla prima metà del Novecento, dopo anni di entusiastica adesione al fascismo di molti preti della Diocesi, si verificarono nella diocesi inquietanti episodi che coinvolsero nella resistenza preti guerriglieri (don Giuseppe Faè da Sarmede) che custodivano nei campanili le armi dei sanguinari partigiani comunisti locali. Poi nel dopoguerra qualche prete si adoperò, anche di recente, per interpretare il Vangelo nell’unico modo possibile, parlando il linguaggio dell’amore e della pacificazione. In questo contesto, l’intervento del Vescovo di questi giorni riapre vecchie ferite non contribuendo certo a fornire chiarezza in un momento di grandi tensioni e di confusione civile e spirituale come l’attuale. Mala tempora currunt.
di Antonio Serena – Liberaopinione del 18.08.2015
http://www.liberaopinione.net/wp/?p=10471

Preghiera degli alpini censurata
La Diocesi: serve un nuovo testo

Il parroco taglia la parola «armi» e recita la versione pacifista. Insorge l’Ana, la politica l’appoggia. Da Salvini a Manildo: «Insensato»

VITTORIO VENETO (TREVISO) Versione originale: «Rendi forti le nostre armi contro chiunque minacci la nostra Patria, la nostra Bandiera, la nostra millenaria civiltà cristiana». Versione modificata: «Rendici forti di fronte a chiunque minacci la nostra Patria, la nostra Bandiera, la nostra millenaria civiltà cristiana». Scompare «armi» e «contro» si trasforma in «di fronte». Stop ai riferimenti bellici e alle contrapposizioni fra popoli. E poco importa se qualche riga prima si dica che le armi sono «fede e amore». Questione di parole, dirà qualcuno. Ma le parole pesano come macigni, se fanno parte di una tradizione. Perché questo è uno dei passi più famosi della «preghiera dell’alpino», ottant’anni di storia: un passo discusso da anni, anche rivisto e riadattato, ma sempre presente nelle celebrazioni ecclesiastiche dell’esercito.
Nessuno però, almeno di recente, aveva mai «osato» imporre una modifica nelle cerimonie organizzate dall’Associazione nazionale alpini, soprattutto nel cuore pulsante della Marca. Almeno fino a sabato scorso, iniziativa di un sacerdote del Vittoriese, in linea con la spinta «progressista » della diocesi: abbastanza per far infuriare le Penne nere ed innescare una polemica che ha sconfinato nella politica, versante Lega Nord. Nella sua guerra quotidiana con la Chiesa, un furibondo Matteo Salvini ha tuonato su Facebook: «Sono sempre più sconcertato da certi vescovi. W gli Alpini».
La miccia si accende sul Passo San Boldo, fra Treviso e Belluno: raduno di Tovena, si celebra la Messa dell’Assunta, in una chiesa fatta costruire proprio dagli alpini quarant’anni fa. Festa e ricordo, come sempre. Stavolta però il sacerdote chiamato a celebrare, padre Francesco Rigobello dell’Abbazia di Follina, non sente ragioni: il riferimento alle armi ed allo scontro di civiltà non è da cristiani. O si legge la versione epurata o non se ne fa niente. I vertici della sezione, capitanati dal presidente Angelo Biz, rifiutano sdegnati e l’attesa preghiera attesa viene cancellata dalla Messa. La mattina finisce con gli alpini di Vittorio Veneto a recitare polemicamente le parole originali all’esterno della chiesa. La scontro con la diocesi non è nuovo, ma il clima, ora, è di quelli pesanti. «È tutta una strumentalizzazione – attacca il presidente nazionale Ana, il trevigiano Sebastiano Favero – prendiamo atto di quanto avvenuto, ma non cambiamo di una virgola la preghiera. È assurda la rigidità nell’interpretazione di un testo certo datato, ma che riassume tutti i nostri valori. Sono un cattolico praticante e leggo nella Bibbia riferimenti al Dio degli eserciti. Dovremmo per questo cambiare i testi sacri?».
Nell’abbazia di Follina padre Francesco cerca come può di evitare ogni replica, limitandosi a riferire che la modifica è necessaria perché in linea con quanto scritto nel Vangelo. Per il resto, fa sapere, occorre rivolgersi al vescovo. Ma che l’atmosfera sia bollente lo si capisce quando lo stessa diocesi di Vittorio Veneto evita di commentare: monsignor Corrado Pizziolo vuole informarsi con certezza sulla vicenda prima di esprimersi. A parlare è invece il settimanale diocesano. «Perché non aprire un confronto a livello di Chiesa italiana?», chiede L’Azione, argomentando poi: «La Chiesa continuamente aggiorna i propri testi, Bibbia compresa, per offrire a credenti e non credenti testi sempre più aderenti all’originale tradotti con termini contemporanei ». E ancora: Difficile che l’accettino gli alpini, addirittura impossibile che lo faccia la Lega Nord.Scrive ancora Salvini: «Vietata la preghiera dell’alpino a Messa! Pazzesco». «Salvini è un cattolico a corrente alternata», replica la deputata pd Simonetta Rubinato. Ma pure tra le fila del centrosinistra c’è chi si schiera sull’altro fronte. Il sindaco di Treviso è cattolico ed alpino. «Quelle parole sono impresse nella memoria – spiega Giovanni Manildo – se deve esserci una modifica sia fatta in accordo. Così è solo una decisione insensata».
SONDAGGIO “Censurata” la preghiera degli alpini. Il sacerdote dell’abbazia di Follina cambia le parole e i riferimenti alle armi. Giusto intervenire sul testo?

Nicola Zanetti
http://corrieredelveneto.corriere.it/treviso/notizie/politica/2015/17-agosto-2015/vietata-preghiera-dell-alpino-salvini-sconcertato-certi-vescovi-2301797626094.shtml

Censurata la preghiera degli alpini per non offendere gli immigrati

Gli alpini contro la decisione del vescovo: "Solo malafede o un certo pacifismo ideologico possono portare a pensare che gli alpini coltivino sentimenti di aggressione o di intolleranza"

La preghiera degli Alpini proprio non piace alla diocesi di Vittorio Veneto.
Ieri, infatti, l'ufficio liturgico diocesano ha proibito a un gruppo di "penne nere" di leggere in chiesa la loro storica preghiera. Anzi: armata di sacro fuoco della censura, la diocesi ha imposto di sbianchettare una frase giudicata troppo dura nei confronti degli stranieri: "Rendi forti le nostre armi contro chiunque minacci la nostra patria, la nostra bandiera, la nostra millenaria civiltà cristiana".
Giustamente, il presidente della sezione locale dell'Ana, Angelo Biz, ha affermato: "Sappiamo che a far torcere il naso ad alcuni ecclesiastici è la frase della preghiera in cui si chiede di rendere forti le nostre armi contro chiunque minacci la nostra civiltà cristiana. Una frase che viene subito dopo quella in cui si definiscono gli alpini 'armati di fede e di amore'. Queste sono le armi degli alpini e solo la malafede o un certo pacifismo ideologico possono pensare che gli alpini coltivino sentimenti di aggressione o di intolleranza. Gli alpini non hanno armi e la cultura che li ispira è quella di una fratellanza che non ha confini. È amaro constatare che proprio all'interno della comunità cristiana possano crescere muri, che finiscono per incidere nella serenità di rapporti, usando pretestuosamente il Vangelo della pace come una clava per rompere armonie consolidate".
È strano che la diocesi di Vittorio Veneto se la prenda con una preghiera scritta circa 80 anni fa, in tempo di guerra, e che, certamente, è stata recitata da tanti sacerdoti alpini, compreso il beato don Carlo Gnocchi.

DOPO GLI ALPINI, È ORA DI CENSURARE ANCHE SANTA GIOVANNA D'ARCO, GUERRIERA DI DIO

Dopo gli alpini, è ora di censurare anche santa Giovanna D'Arco, guerriera di Dio
Qui succintamente la cronaca della censura della preghiera degli alpini avvenuta in diocesi di Vittorio Veneto, come riportato dalla stampa. Motivo della censura? L’invocazione a Dio perchè salvi «noi, armati come siamo di fede e di amore» e renda «forti le nostre armi contro chiunque minacci la nostra Patria, la nostra bandiera, la nostra millenaria civilità cristiana». Di seguito il profilo di santa Giovanna D'Arco, la cui chiamata, vocazione, da parte di Dio resta una delle più affascinanti e misteriose nella storia della Chiesa. 


Tutti hanno sentito pronunciare il suo nome, ma pochi ne conoscono seriamente la vita. Il nome di Jeanne d’Arc (Giovanna d’Arco) è più legato alla leggenda che alla santità, al mito epico che al martirio. Fin da quando aveva tredici anni fu eletta ed investita da Dio per una missione religiosa e politica di altissima responsabilità: liberare la Francia dalla prepotenza inglese in nome di Dio. 
La Chiesa, in quel periodo, viveva la profonda crisi del grande scisma d’Occidente, durato quasi 40 anni. Quando Caterina da Siena (1347-1380) morì c’erano un Papa e un antipapa; quando Giovanna nacque, nel gennaio del 1412 (si dice il giorno dell’Epifania, ma la cronologia è incerta), c’erano un Papa e due antipapa. Insieme a questa lacerazione all’interno della Chiesa, vi erano continue lotte fratricide fra i popoli europei, la più drammatica delle quali fu la «Guerra dei cent’anni» tra Francia e Inghilterra, iniziata nel 1337 e conclusasi, con pause intermedie, nel 1453.
Guerre, carestie, pestilenze, eresie prostrarono l’Europa. Era il tempo degli incubi, dove nell’immaginario collettivo le autentiche manifestazioni mistiche si intrecciavano con le magie e le stregonerie, il mondo reale della sofferenza e della morte cruenta si sovrapponeva alle fantasie demoniache popolate di mostri e di balli macabri.
In questo clima di sopraffazione, di congiure e di usurpatori, di confusione nella Chiesa e nelle nazioni, l’analfabeta Jeanne, nata a Domrémy (oggi Domrémy-la-Pucelle), nei Vosgi, nella regione della Lorena, scrive una lettera di fuoco e di grazia il 22 marzo 1429, martedì della Settimana Santa:
«Gesù, Maria! Re d’Inghilterra e voi duca di Bedford che vi dite reggente del regno di Francia, voi Guglielmo di La Poule, conte di Suffolk, Giovanni sire di Talbot, e voi Tommaso sire di Scales, che vi dite luogotenenti del duca di Bedford, rendete giustizia al Re del cielo. Restituite alla Pulzella che qui è stata inviata da Dio, il Re del cielo, le chiavi di tutte le buone città da voi prese e violate in Francia. Ella è venuta qui da parte di Dio per implorare il sangue reale. Ella è pronta a far pace, se volete renderle giustizia, a patto che le restituiate la Francia e paghiate per averla tenuta. E fra voi, arcieri compagni di guerra e voi altri che siete sotto la città di Orléans, andatevene nel vostro paese in nome di Dio; e se non lo fate attendete notizie della Pulzella che ben presto vi vedrà in grandissime disgrazie. Re d’Inghilterra, se così non fate, io sono condottiero e in qualunque luogo attenderò in Francia le vostre genti, volenti o nolenti le caccerò via. E se non vogliono obbedire, tutte le farò uccidere; sono qui inviata da parte di Dio, Re del cielo, corpo a corpo, per espellervi da tutta quanta Francia. E se vogliono obbedire saranno nelle mie grazie. E non pensate altrimenti, perché non otterrete il regno di Francia da Dio, il Re del cielo, figlio di Santa Maria, ma l’avrà re Carlo, il vero erede, perché Dio, il Re del cielo, lo vuole […]».
Jeanne, la cui vita, consumatasi in 19 anni, fu un mistero di ineffabile gioia  e di inesplicabile dolore, era la minore dei cinque figli di Jacques d’Arc e di Isabelle Romée, agiati contadini. Nell’estate del 1425, all’età di 13 anni, nel giardino di casa, sente una voce… è quella di san Michele Arcangelo, che le dice di far sua la causa della Francia. Udrà la voce ancora molte volte e ad essa si uniranno quelle delle vergini e martiri santa Margherita D’Antiochia (275- 290) e di santa Caterina d’Alessandria (287-305). L’incalzante invito era accompagnato a quello di far consacrare Carlo di Valois (1403-1461) quale re di Francia. Giovanna fece resistenza: come poteva un’adolescente diventare un condottiero? Ma il Signore rende possibile l’umanamente impossibile.
Domrémy si trovava ai confini del regno, nella valle della Mosa che divideva la Francia dall’Impero Romano-Germanico. Gli Anglo-Borgognoni nel 1428 si impadronirono di tutte le piazze della Mosa rimaste fedeli al Delfino di Francia: Domrémy fu devastata; ciò decise il capitano di Vaucouleurs, Robert de Baudricourt (ca. 1400-1454), che in un primo tempo aveva considerato Jeanne d’Arc una pazza, di inviarla alla missione da lei richiesta: salvare Orléans; far consacrare il Re; cacciare gli Inglesi dalla Francia; liberare il duca d’Orléans.
Jeanne, che aveva fatto voto di verginità, indossati abiti maschili e tagliati i capelli, venne armata di tutto punto e sul suo stendardo venne dipinto Cristo Re, affiancato da due angeli, con le parole «Jesus-Maria». Il nome di Gesù comparirà sempre nell’intestazione delle sue lettere, sul suo anello e morirà pronunciandolo più volte a gran voce. Nell’Udienza generale del 26 gennaio 2011, incentrata proprio sulla patrona di Francia, Benedetto XVI ha così spiegato: «il Nome di Gesù, invocato dalla nostra Santa fin negli ultimi istanti della sua vita terrena, era come il continuo respiro della sua anima, come il battito del suo cuore, il centro di tutta la sua vita. Il “Mistero della carità di Giovanna d’Arco”, che aveva tanto affascinato il poeta Charles Péguy, è questo totale amore di Gesù, e del prossimo in Gesù e per Gesù. Questa Santa aveva compreso che l’Amore abbraccia tutta la realtà di Dio e dell'uomo, del cielo e della terra, della Chiesa e del mondo. Gesù è sempre al primo posto nella sua vita, secondo la sua bella espressione: “Nostro Signore servito per primo”. Amarlo significa obbedire sempre alla sua volontà».
La Pulzella si unì ad un esercito d’appoggio che proteggeva un convoglio di approvvigionamento e riuscì ad arrivare ad Orléans dalla riva sinistra. L’8 maggio 1429 gli Inglesi assedianti furono sconfitti. Da qui si susseguirono una battaglia dopo l’altra e qui il coraggio soprannaturale della giovane ricorda la tempra dei condottieri dell’antico Testamento, garantiti dal Signore degli eserciti. Il 17 luglio dello stesso anno, Carlo VII venne incoronato a Reims alla sua presenza. Il successo la consacrò eroina inviata dal Cielo: la gente voleva toccare i suoi abiti, il suo cavallo, l’avvicinavano per conoscere il futuro, per richiedere grazie e guarigioni… 
Jeanne d’Arc vinse il dominio straniero per volontà di Dio e riuscì ad infondere audacia e speranza nell’esercito regio; ma gli storici concordano anche nel riconoscerle il merito di aver allontanato con il nemico anche il Protestantesimo, che altrimenti si sarebbe innestato in Francia. Tuttavia le truppe inglesi la fecero prigioniera a Compiègne il 23 maggio 1430. Dopo due giorni dalla cattura, l’Università di Parigi chiese che l’Inquisizione la giudicasse come una strega. Questa soluzione piacque molto al duca di Bedford in quanto gli consentiva di screditare Carlo VII, che sarebbe apparso come colui che doveva la conquista del trono alle potenze infernali. 
Il 9 gennaio 1431 il vescovo Pierre Cauchon (1371-1442) aprì il processo presso Rouen nel castello di Le Bouvreuil, fortezza di Richard Beauchamp (1382-1439) che, conte di Warwich e governatore della città dal 1427, aveva precise consegne dal sovrano Enrico VI (1421-1471). Fra gli assessori convocati, sei provenivano dall’Università di Parigi, inoltre erano presenti circa sessanta prelati ed avvocati ecclesiastici, fra cui il Vescovo di Norwich e, al di sopra del Collegio Giudicante, il Cardinale di Winchester, Henry Beaufort (ca. 1374-1447), prozio e cancelliere di Enrico VI. 
L’iniquo processo durò dal 20 febbraio al 24 marzo 1431. L’imputata era colpevole d’idolatria, di scisma e d’apostasia. Durante il processo le era stato chiesto se era in grazia di Dio ed ella rispose: «Se non ci sono, voglia Dio mettermici, e se ci sono voglia Dio tenermici». Fu abbandonata al braccio secolare. Il 30 maggio 1431 Giovanna venne arsa viva sulla piazza del Vieux-Marché di Rouen. Morì contemplando una grande croce astile che frate Isembard de la Pierre aveva portato per lei. 
Nel 1456 fu solennemente proclamata la sua riabilitazione; sarà beatificata da san Pio X (1835-1914) nel 1910 e canonizzata nel 1920 da Benedetto XV (1854-1922). Una sua statua è stata posta nella cattedrale di Winchester, dinnanzi alla tomba del Cardinale Beaufort, colui che ebbe un ruolo decisivo nel tragico e infausto processo.
La martire francese resta personalità unica e straordinaria e rivela tangibilmente la potente presenza di Dio nella storia; così come la sua limpida testimonianza dimostra gli errori che gli uomini di Chiesa possono commettere, ma come la verità della Sposa di Cristo emerga comunque e sempre. 
Jeanne d’Arc tese all’Imitatio Christi attraverso la fede salda, la carità immensa, la volontà indefettibile, l’umiltà, la purezza, l’oblio di sé, accettando la sofferenza e la morte come sacrificio supremo per amore. Da bambina saliva al romitorio di Notre-Dame di Bermont e nel mese mariano offriva alla Vergine Santissima corone di fiori. Nel maggio del 1431 dona la palma del martirio a «Jesus-Maria»: come per la clarissa santa Colette di Corbie (1381-1447), che probabilmente aveva incontrato a Moulins nel 1430, anche per Jeannette, come era amabilmente chiamata, la Regina del Cielo e Cristo Re sono inscindibili. 

VI DICONO CHE CRISTO È UN MITO, COME KRISHNA? ALLORA RACCONTATE LA STORIA DI DON ENELIO FRANZONI

Vi dicono che Cristo è un mito, come Krishna? Allora raccontate la storia di don Enelio Franzoni

Una signora, credente, è stata turbata da colleghi che sostengono: Cristo non è un personaggio storico, è un mito. E le hanno rifilato un testo dove si forniscono le «prove» della natura mitologica di Cristo.
Esempio: Virishna, in India, fece miracoli e guarigioni, fu crocifisso e risorse 1.200 anni prima (la fonte è seria: David Icke!). Horus, il dio egizio, nacque da una vergine (Iside), ebbe 12 discepoli, morì e risorse... Krishna nacque il 25 dicembre. 
E così via. Il tutto sulla scorta di esperti quali Icke e Umberto Eco. La signora chiede cosa rispondere ai colleghi; quali sono le prove della storicità di Cristo. 
Signora, sono stanco di questi argomenti, a cui ho creduto in passato. Sono stanco di dovervi rispondere, perché so che quei colleghi, quelle anime, avranno il loro momento in cui dovranno essere convinte: con la sofferenza personale e la morte imminente. Quel momento in cui non si scherza più in ufficio, fra colleghi. Arriva per tutti.
Io le do qui, signora, un mio racconto, perché si convinca lei, e non si lasci turbare. Le racconto dell’uomo che mi fece capire perché Cristo è radicalmente diverso, e irriducibile, a tutte le figure mitiche che pure lo prefigurano e lo annunciano. 
Quell’uomo si chiamava don Enelio Franzoni, che intervistai a Bologna per il settimanale Gente non so quanti anni fa. Niente in comune con un don Franzoni allora più noto alle cronache come prete progressista. Il don Enelio che ho conosciuto io se ne stava in una canonica, nella penombra, ormai vecchio.
Era stato cappellano militare dell’ARMIR, ed era stato preso prigioniero in URSS, in una delle tragiche sacche, con migliaia di soldati italiani, i suoi ragazzi. Con loro era finito in un campo in Siberia, anzi da un campo all’altro.
Non mi raccontò molto del freddo, della fame continua che degrada l’uomo a bestia, dell’umiliazione del defecare sulla neve in fila davanti ai carcerieri, dei pidocchi e della fatica del lavoro forzato. 
Quel che ricordava lui erano le confessioni ai giovani italiani prigionieri, i salti mortali per procurarsi un goccio di vino da Messa per comunicarli; a quanti aveva dovuto dare l’ultimo sacramento, a quanti aveva dovuto chiudere gli occhi. 
Dei ragazzi con le stellette che morivano nel lager, don Franzoni teneva nota. Cominciò a segnarli su un libretto: nome, cognome, data della morte, luogo della sepoltura. Ma i ragazzi morivano come mosche, e presto il libriccino non bastò più. Poiché non c’era altra carta ed era vietato averne, don Franzoni cominciò; a scrivere, con un mozzicone di lapis copiativo, sulla sua bustina militare; cognomi, data, fossa comune di sepoltura.
Non bastò; nemmeno la bustina militare. Don Franzoni continuò; dunque a scrivere sul suo cappotto; prima dentro, nella fodera, poi fuori. 
Conservava ancora quel cappotto, e me lo mostrò: il goffo cappotto di Lanital grigioverde, sfilacciato, irrigidito di sporcizia – cappotto da mendicante e da barbone, non più da soldato. Ed era tutto scritto, con una grafia minuta, in ogni minimo spazio. Nomi, cognomi, date, fossa di sepoltura. Migliaia di nomi. «Per poterli ritrovare» mi disse. 
Nel 1948, il regime consegnò una parte dei prigionieri di guerra italiani. Don Enelio Franzoni era nella lista dei liberati: non mi disse il suo stato d’animo, ma lo posso immaginare. Il cuore del prigioniero sobbalza: libero! Tornare a Bologna, così dolce e cordiale, così lontana dai cani e dagli urli degli aguzzini! Mangiare, finalmente! Riscaldarsi. 
Ma restavano altri ragazzi italiani nel lager; chissà perché, il regime sovietico aveva deciso di tenerli ancora dentro. Don Franzoni rifiutò la liberazione. Era il loro cappellano, doveva restare con loro. 
Ascoltò altre confessioni, benedisse altri morenti, chiuse altri occhi. 
Fu liberato con i sopravvissuti, infine, se non ricordo male, nel 1952. A guerra finita ormai da otto anni.
Appena tornato a Bologna, don Franzoni contattò; le famiglie dei ragazzi morti di cui aveva annotato i nomi; organizzò; un comitato di famiglie per reclamare la restituzione dei resti. 
Tanto fece e tanto brigò; ostinato, da riuscire ad ottenere con una delegazione di mamme dei soldati perduti un colloquio con Kruscev. 
Nikita Kruscev era allora il segretario generale del PCUS. Aveva denunciato i crimini di Stalin, in fondo era un brav’uomo. Davanti alla richiesta di riesumare quei corpi, don Franzoni aveva la lista, aveva i luoghi esatti dove li sapeva sepolti, restò interdetto. Non capiva. 
Domandò: «A che scopo tirar fuori quelle ossa? Esse sono mescolate ormai alla terra russa, sono terra russa».
Com’era russa questa risposta! Ammirevole anche, perfino – in modo russo – religiosa. Anzi, com’era asiatica! 
Buddha stesso, credo, avrebbe risposto così, E anch’io – che a quel tempo amavo l’induismo, ero convinto della superiorità del neutro Brahman, dell’impersonale Nirvana sulla «salvezza cristiana» – avrei risposto così.
Ma don Franzoni, in russo, replicò a Kruscev: «Compagno Segretario, ciascuno di questi ragazzi è un figlio di famiglia. Alcuni di loro avevano una moglie che li attende; altri, fratelli e sorelle. Tutti hanno una mamma. Una mamma che ha amato ciascuno di loro singolarmente, per nome, e che non si accontenta di sapere mescolato suo figlio da qualche parte della terra siberiana. Ogni mamma vuole avere suo figlio, proprio lui, perché vuole bene a lui; e vuole una tomba su cui andare a parlargli. A lui solo». 
Una risposta cattolica, italiana e romana.
Kruscev diede un permesso alle esumazioni; delegazioni di genitori, guidate da don Enelio Franzoni, andarono sui luoghi e poterono riportare a casa le ossa dei loro figli. Naturalmente, trovarono altre ossa di soldati italiani; sconosciuti, non annotati dal don Emidio, non reclamati da una mamma, probabilmente morta nel frattempo. 
Don Enelio portò in Italia anche quelle ossa senza nome. Le fece mettere in un sacrario militare, e sopra vi fece scolpire, in caratteri grandissimi, una frase del profeta Isaia: 
«Ego vocavi te nomine tuo» 
È Dio che parla così: «Ti ho chiamato per nome». Ti ho chiamato con il tuo nome. 
Il che vuol dire: anche se la tua mamma non c’è più a chiamarti, tu singolarmente, unico, Io conosco il tuo nome, soldato. Anche se tutti l’hanno dimenticato, Io ti ricordo – ricordo il tuo nome singolo, unico e personale – perché ti amo, soldato, più della mamma. Tu sei mio figlio, soldato. Ti ho chiamato col «tuo» nome, il nome tuo – personale, per me unico – perché te l’ho dato io. Unico, benché siete in tanti. Non vi amo «tutti»; vi amo uno per uno. 
Ecco, signora turbata da miscredenti fatui, la mia «prova» che Cristo non è un mito. Non voglio nemmeno provare che Cristo è esistito nella storia, duemila anni fa; sarebbe troppo poco. 
La «prova» è che Cristo è qui, ancora oggi. E la prova è don Enelio Franzoni, soldato più coraggioso di un samurai – tanto da rifiutare la liberazione – e più tenero di una mamma italiana. 
Una mamma italiana è parziale: ama suo figlio anche se è un mascalzone, perché è «lui». Don Franzoni non vedeva peccatori tra quei suoi figli, che conosceva uno per uno; vedeva dei sofferenti; vedeva degli amati, e li ha restituiti uno per uno. 
Don Franzoni Enelio ha fatto questo convinto di dover imitare – nei limiti delle forze umane, nell’impotenza di prigioniero – il Dio a cui credeva; di imitare Cristo, il modo specifico di amare che ha Cristo: guerriero più di un samurai e parziale come la mamma che ci chiama uno per uno.
Capisco che questa non è una dimostrazione che si possa opporre a fatui miscredenti da ufficio, che straparlano di Krishna e di Horus. Non è un’argomentazione razionale, o nutrita di dati storici e reperti archeologici. 
La fede non si afferma con metodi intellettuali, signora: la fede è essenzialmente «azione», coraggio eroico, imitazione della misericordia di Quello che salì sulla croce per ognuno di noi (che non lo meritiamo). 
La prova dell’esistenza reale ed attuale di Cristo sta in personaggi coraggiosi e in persone d’azione, come don Franzoni o padre Pio. E in altre migliaia di imitatori di Cristo che amano irragionevolmente, come una mamma, chi non lo merita: persone ignote, che la Chiesa non santifica, ma di cui Dio conosce il nome, perché in ogni momento storico, coi loro limiti e superando i loro limiti, testimoniano Cristo incarnandolo.
Per questo, signora, benché ancora il Nirvana mi affascini e senta in esso una profonda verità, sento che Cristo e la sua salvezza hanno qualcosa di radicalmente diverso da quel che può; offrire Buddha, o Horus o Krishna.
È anche la mia personale speranza: io sono un figlio mascalzone, non ho amato mia madre come lei mi ha amato; l’ho trascurata, ed ora che è morta, non posso più rimediare; non ho fatto nemmeno un millesimo di quel che ha fatto don Enelio, né ho esercitato in azioni un milionesimo del suo amore. 
Ma ho una speranza: mia mamma mi ha amato anche come sono; ma può darsi che Dio, nell’ultimo giorno, mi condoni qualcosa, e ingigantisca (mia mamma lo farebbe) i miei meriti? 
Lo farà anche per i suoi colleghi che ora lo deridono, signora. In quel momento in cui tutti diventiamo prigionieri, sofferenti e impotenti, nell’agonia che tutti ci attende.
Le chiacchiere della buona salute restano chiacchiere, signora. Quel che conta è la prova personale, mandata a ciascuno singolarmente, come malattia, come sciagura, come agonia che è anche grazia e chiamata: «Ti ho chiamato per nome», Ego vocavi te nomine tuo.

DISPUTE IDIOTE – LA DIOCESI DI VITTORIO VENETO CENSURA LA PREGHIERA DELL’ALPINO CHE DICE “RENDI FORTI LE NOSTRE ARMI” E NE IMPEDISCE LA LETTURA IN CHIESA – GLI ALPINI ALLORA LA RECITANO ALL’APERTO E OVVIAMENTE INCASSANO LA SOLIDARIETÀ DI SALVINI

La preghiera viene letta in centinaia di chiese, specie in occasione dei funerali. Nella premessa al testo si specifica che le “armi” sono “fede e amore”. Ma la diocesi ha chiesto di cambiare le parole, cosa che l’associazione degli alpini si è rifiutata di fare. Il leader della Lega: “Sono sempre più sconcertato da certi vescovi”…

ALPINIALPINI
Da “la Repubblica

È di nuovo tensione tra il Carroccio, con il suo leader Matteo Salvini, ed i vescovi. Causa, questa volta, il divieto a Vittorio Veneto della recita in chiesa della "Preghiera dell' alpino", un classico di ogni celebrazione religiosa delle penne nere in tutta Italia, specie al termine dei funerali.

La Diocesi di Vittorio Veneto ha "censurato" il testo che avrebbe dovuto essere letto l' altro ieri in occasione di una cerimonia per la Festa dell' Assunta a Passo San Boldo. La proposta di modifica della frase «rendi forti le nostre armi contro chiunque minacci la nostra patria, la nostra bandiera, la nostra millenaria civiltà cristiana» non è stata accettata dai vertici locali dell' Ana (Associazione Nazionale Alpini) e la preghiera non è stata letta dal sacerdote che celebrava la messa.
ALPINIALPINI

ALPINIALPINI
Il gruppo locale dell' Ana, con i propri dirigenti ed iscritti, si è quindi riunito fuori della chiesetta che sorge sul passo (costruita dagli stessi alpini) e lì è stata letta la preghiera. Si tratta di un testo di 80 anni fa, nato in tempo di guerra, e che in premessa ricorda come gli alpini siano armati «di fede e di amore». «Sono sempre più sconcertato da "certi vescovi". W gli Alpini», ha commentato Salvini. Il presidente della sezione Ana, Angelo Biz, si chiede perché «nella diocesi il rapporto con gli alpini sia diventato così problematico».
matteo salvini da oggi nudo allo specchio del bagnoMATTEO SALVINI DA OGGI NUDO ALLO SPECCHIO DEL BAGNOhttp://www.dagospia.com/rubrica-3/politica/dispute-idiote-diocesi-vittorio-veneto-censura-preghiera-107047.htm
di Satiricus

Io non sono un alpino e non sono un pacifista, semplicemente chiedo che si torni all'uso tardo-romano e alto-medievale: che siano i vescovi e i vescovadi a fare da primo ed estremo baluardo nei casi di guerra e di assalti. Sono certo che la smetteranno allora di proporre modifiche idiote a preghiere solenni, di quella solennità conquistata non in qualche decennio di reiterazioni vacue o nei cavilli di patetici circolari da ufficio - esattamente il tipo di sopravvivenza di cui sono meritevoli i documenti curiali dell'ultimo cinquantennio -, bensì sul campo e nel sangue di tanti combattenti.
Ora, un amico mi provoca e mi interpella, facendo leva sulle dichiarazioni di Butac. La questione della preghiera alpina proibita sarebbe una mezza bufala:

In realtà il sacerdote celebrante (un padre Servita da poco giunto in diocesi) si era limitato a chiedere, in una celebrazione dell’Assunta in cui gli alpini erano non più del 30-40 per cento dei presenti, la sostituzione della parola “armi” con “animi” e della parola “contro” con “di fronte”...
Quindi non è censura della preghiera, non è divieto a leggerla in chiesa. E’ solo la richiesta di modificare POCHE parole: “Rendi forti le nostre armi contro i nostri animi di fronte a chiunque minacci la nostra patria, la nostra bandiera, la nostra millenaria civiltà cristiana“...
La preghiera con la frase che sarebbe stata censurata è del 1949 e si è usata fino al 1972, poi è tornata in auge dagli anni 90 ad oggi  per messe solo con iscritti ANA. Quindi la preghiera “storica” che sarebbe stata modificata per non “offendere gli immigrati” in realtà è un falso, redatto post guerra e che è stato usato da tutti i reparti per meno di trent’anni prima delle modifiche ulteriori. (SIC)

Dei tre estratti, che mi pare diano il polso dell'articolo, l'ultimo è l'unico plausibile, cioè tale da meritare un applauso, per la precisione della ricostruzione. Purtroppo rimane indifendibile nel contesto ecclesiastico attuale. Ecco come commenterei la faccenda, nulla togliendo alla buona smentita di Butac (che prendo per vera sulla fiducia).
Gli alpini hanno ragione.
Gli alpini hanno ragione perché un prete appena arrivato vuole modificare poche parole di una preghiera tradizionale non sua. Chi sarebbe tale individuo per permettersi tanto?
Va bene, si tratta di una preghiera che ha solo "qualche decennio" e si toccano giusto giusto due paroline, ma questo a che pro e con che effetti?
Persino il laicista Octavio Paz stronca senza mezzi termini l'uso moderno di correggere tradizioni che vivono benissimo senza di noi e senza i nostri intellettualismi. E' un tema a me caro, col quale apre il mio blog più dimenticato e più amato:

Duecento anni prima di noi e delle nostre domande e controversie, nel Tibet del XVIII secolo, sotto il quinto Dalai Lama, avvenne un fatto degno di nota. Un giorno Sua Santità vide, da una finestra di Patala, il suo palazzo-tempio-monastero, qualcosa di staordinario: la dea Tara, secondo il rito buddista, girava intorno al muro che circonda l’edificio. Il giorno dopo, alla stessa ora, si ripeté il fenomeno e così tutti i giorni. Dopo una settimana di vedetta, il Dalai Lama e i suoi monaci scoprirono che, ogni giorno, proprio nell’ora in cui appariva la dea, anche un povero vecchio girava intorno al muro recitando le sue preghiere. Interrogarono l’anziano: la preghiera che recitava era un poema-orazione a Tara che, a sua volta, era una traduzione da un testo sanscrito in onore di Prajna-paramita. Queste due parole significano la Perfetta Sapienza, espressione che designa la Vacuità. È un concetto che il buddismo Mahayana ha personificato in una divinità femminile di indicibile bellezza. I teologi fecero recitare il testo al vecchio. Immediatamente scoprirono che il pover’uomo ripeteva una traduzione difettosa e lo obbligarono a imparare la traduzione corretta. Da quel giorno, Tara non apparve più». (SIC)

Vediamo ora chi sarebbe a suggerire il delicato intervento testuale: il prete difeso dal suo vescovo, membri di una Istituzione che non ha ricusato di stravolgere intere preghiere lunghe secoli (cfr. la riforma liturgica cattolica post-conciliare); di fatto, venendo il consiglio dalle loro penne, si tratta non di una minimizzazione, né tantomeno di una circostanziazione, ma di un insulto. E' come se Siffedri provasse a consolarci dei tradimenti di nostra moglie.
La modifica suggerita poi è balorda e per nulla indolore, gli alpini, che forse han studiato poco, ma almeno non hanno studiato teologia, devono essersene accorti: rendi forti "i nostri animi di fronte a", anziché rendi forti "le nostre armi contro". Sono poche parole, ma fanno la differenza, per chi usi ancora sensatamente la lingua italiana. Nel primo caso si inneggia alla fortezza di non fuggire, ottimo preludio d'onore a un macello annunciato; nel secondo alla capacità di respingere il nemico, speranza di evitare il macello sullodato. Ora, siccome il principio di incarnazione insegna gratia non tollit naturam, va da sé che la recita fiera del rosario non sarà mezzo sufficiente a vincere una guerra. Ciò basta a che il sottoscritto voti per la tradizione alpina di contro a quella teologica: in caso di guerra, Signore, ti prego che i nostri alpini siano abbastanza forti da scacciare i nemici; di presbiteri da salotto che carezzano le resistenze diplomatiche, pronti a dir messa ora all'austriaco e ora all'italico, ora di faccia e ora di spalle, ora in latino e ora in ladino, ne abbiamo già troppi e tutti inutili.
A voler poi cavillare sulla questione dei testi ufficiali e non, se ben intendo, il pretino non viene a chiedere la sostituzione di una preghiera ufficiale con un'altra ufficiale, bensì la modifica abusiva di un testo ufficiale. Potrei sbagliarmi, ma qualora fosse così, si tratterebbe di un classico modo di procedere che caratterizza il clero rispetto alle proprie tradizioni, ma che forse non ha ancora viziato il modo di difendere altre appartenenze comunitarie e tradizionali. Sì, forse il prete aveva diritto a chiedere la sostituzione del testo del 49 col testo del 72, ma non il diritto di modificare il testo del 49.
E poi, scusate, ma da quando i preti sono diventati così ligi alle norme? Con le rubriche da Messa generalmente non lo sono, anzi. D'improvviso invece si son messi a quisquiliare sulle date abroganti e pure a fare il computo statistico delle rappresentanze assembleari. Siamo nel post-Concilio, i preti disprezzano le rubriche ufficiali, i vescovi si oppongono alle richieste pontificie per le messe tridentine pienamente riabilitate, vi pare che si debba fare i pignoli solo con i testi degli alpini? Fosse pure così, e fosse invalidata la mia obiezione del paragrafo precedente (testi del 49 o del 72 e sostituzioni eventuali),  l'atto del Servita sarebbe giusto nel caso citato, ma la sua condotta ingiusta in tutti gli altri (lo so, è un giudizio temerario, ma sono moralmente certo che il Servita neanche conosca tutte le rubriche, e se le conosce sa quanto esse siano confuse, nonché sfumate nell’ermeneutica dei liturgisti contemporanei).
Sulla stessa lunghezza d'onda: gli alpini sono usciti prima, inficiando l'andamento della celebrazione eucaristica. E' un problema? Forse, ma vogliamo parlare di tutti gli abusi liturgici degli amici preti che inficiano le sante Messe nel mondo? Vogliamo parlare di quanto non stonerebbe se i laici iniziassero a mandare a quel paese questi pretini che violano i nostri più cari tesori in nome di ammodernamenti individualistici, arbitrari, moralistici e sussiegosi?
A conti fatti, bufala o non bufala, il caso mostra l'intellettualismo senza carattere delle gerarchie. Mi auguro solo che i pastori protagonisti della ridicola faccenda siano di quelli che non temono - perché resi forti di fronte ai nemici - di predicare l'amore all'Eucaristia e alla Madonna, la lotta in difesa della vita nascente e della famiglia tradizionale, la difesa delle radici cristiane dell'Europa, la conversione degli infedeli migranti e non, l'opposizione almeno culturale alle pressioni geo-politiche dell'asse Obama-Bruxelles-Israele. Per meno di questo mi farebbero solo pietà.

Signore, rendi forti i nostri animi di fronte alle ingerenze buoniste di una gerarchia anodina.

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