Quella persecuzione cristianofobica fatta di bavagli, sanzioni e galera
(di Mauro Faverzani) Il discorso parte da lontano: per questo nel 2011 l’Observatory’s Report on Intolerance and Discrimination against Christians parlò espressamente di «negazione dei diritti dei Cristiani» in Europa, evidenziando numerose gravi violazioni: della libertà di espressione, ad esempio, di quella di coscienza, della dimensione istituzionale e collettiva della libertà religiosa e molte altre ancora.
Ma l’elenco potrebbe tristemente continuare. È ormai certo ed evidente: i tintinnii di manette e le aule giudiziarie sono il nuovo bavaglio, con cui si vuol ridurre al silenzio chiunque non canti col coro. Con un banale ricatto: chi non sia “politicamente corretto” si prepari ad esser ridotto sul lastrico da una mega-sanzione a troppi zeri oppure ad essere sbattuto in gattabuia come un pericoloso criminale. In entrambi i casi costui si ponga nell’ottica di divenire un pària, un emarginato sociale.
Anche l’Italia, pronta a dimostrare al mondo di non esser da meno, ha creato il suo caso, individuato la sua vittima, emesso la sua sentenza: quella per diffamazione, che ha condotto all’ennesima condanna in sede civile nei confronti di Magdi Cristiano Allam, giornalista e scrittore, già inviato de La Repubblica, vicedirettore del Corriere della Sera, europarlamentare dell’Udc, oggi editorialista de il Giornale.
La sua “colpa” è stata quella di metter in guardia un Occidente “narcotizzato” dalla minaccia di islamizzazione in atto: ciò gli valse già 15 anni fa una condanna a morte proclamata contro di lui da Hamas ed ora – pur con tutta la documentazione presentata a riprova di quanto da lui affermato – un’ulteriore condanna in primo grado. A denunciarlo, è stato Ezzedine Elzir, presidente dell’Ucoii-Unione delle Comunità islamiche d’Italia. Cui ora deve pagare sull’unghia 18 mila euro.
Non è, per lui, l’unica condanna, questa, anzi è soltanto l’ennesima. Ed il conto totale è lungo, al momento ammonta già ad oltre 70 mila euro complessivi. Le prime denunce furono anche penali, ora i suoi avversari mostrano invece di preferire il civile. Senza scordarsi del procedimento disciplinare per islamofobia, avviato nei suoi confronti dall’Ordine dei Giornalisti.
Il perché è evidente, come lo stesso Magdi Cristiano Allam ha spiegato in un’intervista alGiornale: «Sono vittima della persecuzione giudiziaria da parte degli estremisti islamici taglia-lingue, coloro che ti condannano se dici, scrivi o fai qualcosa che urti la loro suscettibilità, che si scontri con la loro strategia di islamizzazione subdola, strisciante ed inarrestabile dell’Italia e dell’Europa – ha dichiarato – Per loro sono un nemico da eliminare in quanto apostata e traditore. L’arma prediletta è il denaro: ti denunciano per costringerti alla resa, mettendoti con le spalle al muro».
I bavagli, dunque, sono pronti. E pendono come forche, per indicare a qual fine siano destinate le libertà di pensiero, d’espressione e di critica, ormai rimaste solo scritte sulla Costituzione, ma nei fatti messe a repentaglio ora dall’islamico risentito (mentre i cristiani nel mondo vengono massacrati dai suoi correligionari), ora dall’attivista Lgbt irritato (mentre nel mondo perde il posto e rischia multe e galera chi decida di rispondere alla propria fede ed alla propria coscienza), ora dall’abortista suscettibile (infischiandosene dei diritti dei bimbi uccisi nei grembi materni) e via elencando. Allam conclude: «Vorrebbero impormi il bavaglio, ma non ho intenzione di tacere».
Il prezzo per riuscirvi è quello di una coerente testimonianza. «Historia magistra vitae» (“la storia è maestra di vita”), scrisse Cicerone nel De Oratore. Ed allora il pensiero corre ad un altro personaggio illustre, che si ritrovò condannato suo malgrado, proprio per diffamazione: Giovannino Guareschi, il direttore del settimanale Il Candido, accusato niente meno che da un potente del tempo, l’on. Alcide De Gasperi.
Proclamando la propria totale innocenza, Guareschi rinunciò a ricorrere in appello contro la sentenza, per scontare fino in fondo la pena inflittagli dal Tribunale di Milano. E vi rinunciò con queste parole, apparse sul Candido del 24 aprile 1954: «Accetto la condanna come accetterei un pugno in faccia». Ed aggiunse: «Per rimanere liberi bisogna, ad un bel momento, prendere senza esitare la via della prigione», perché «in questo caso, accetto soltanto il consiglio della mia coscienza».
Ecco, la coscienza è ciò di cui mai nessuna denuncia, nessuna sentenza, nessun tribunale potranno privare. Ed è ciò che permette di restare liberi anche ridotti sul lastrico o dietro le sbarre. Ma è anche ciò che non può impedirci di chiamare ingiustizia l’ingiustizia, violenza la violenza, abuso l’abuso ed, in ultima analisi, soprattutto verso i cristiani, persecuzione la persecuzione. (Mauro Faverzani)
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