Crollo di fedeli alle udienze di Bergoglio i cristiani abbandonati lo abbandonano. Da che è diventato Pontefice Bergoglio ha perso suppergiù due fedeli su tre un’emorragia lenta e costante che in poco più di 2 anni ha assunto proporzioni preoccupanti
L' ottimismo del sedere
L' ottimismo del sedere
"L’italiano, come lo struzzo,
ha nascosto la testa nella sabbia,
ma il suo tondo ma poco rispettabile sedere
è rimasto in superficie a contatto diretto della realtà.
Quando una proditoria pedata turberà l’ottimismo
di quel sedere,
sarà troppo tardi......"
G. Guareschi
http://muniatintrantes.blogspot.it/2015/09/l-ottimismo-del-sedere.html
Quell’“esameˮ che fa perdere la coscienza del peccato
(di Luigi Bertoldi) È un testo, che circola ai ritiri per istituti religiosi. Quattro paginette fitte, ma che presentano numerose criticità. Sono state recentemente proposte da padre Gianni Notari, gesuita, al ritiro delle suore Canossiane ‒ provenienti da tutta Italia ed alcune anche dall’estero ‒, svoltosi a Roverè, nel Veronese.
È uno schema che, sotto un’apparenza di ortodossia cattolica, si rivela essere un autentico campo minato, contrapponendo al tradizionale esame di coscienza una versione davvero problematica della cosiddetta «preghiera di alleanza».
Ne girano anche altre edizioni, più o meno accettabili. Ma questa è densa di insidie. In cosa consiste? Nello spostare pericolosamente il centro della questione, invitando a prestar attenzione non più «alle mie azioni per distinguerle e classificare in buone e cattive», bensì «all’azione di Dio in me per far crescere e “fiorireˮ la mia relazione con Lui».
Lo sguardo al «vissuto di oggi», agli «avvenimenti interiori ed esteriori» ed ai «sentimenti che li hanno accompagnati» non sarebbe più finalizzato quindi ad individuare le proprie colpe ed a farne ammenda, bensì semplicemente a «scoprire la presenza e le opere» del Signore. Per questo lo schema proposto crea anche neologismi, bollando il primo come «esame morale di coscienza», quasi squalificandolo, ed il secondo appunto come «esame spirituale» o «preghiera di Alleanza», compiendo distinzioni inesistenti, operando distinguo insussistenti e così rischiando di confondere le carte, almeno nell’ordinaria Dottrina cattolica.
È corretta tale procedura? No, e lo dice in modo esplicito il Catechismo Maggiore di San Pio X: «L’esame di coscienza si fa col richiamare diligentemente alla memoria, innanzi a Dio, tutti i peccati commessi, non mai confessati, in pensieri, parole, opere ed omissioni, contro i Comandamenti di Dio e della Chiesa, e gli obblighi del proprio stato, a cominciare dall’ultima confessione ben fatta» (n. 697).
Il proposito è quello di individuare e denunciare «le abitudini cattive e le occasioni del peccato» (n. 698), in particolar modo ricercando eventualmente «il numero dei peccati mortali» (n. 699) ovvero quelli per i quali vi sia «materia grave, piena avvertenza e perfetto consenso della volontà» (n. 700).
Non solo. Secondo tale schema “innovativo” andrebbe cambiato «l’oggetto» cui applicare il «dialogo con il Signore»: non più la Parola di Dio, bensì «il vissuto della giornata appena trascorsa», come se i famosi «segni dei tempi», di cui parla la Costituzione pastorale Gaudium et Spes del Concilio Vaticano II, dovessero prevalere sulla Sacra Scrittura. La realtà è un’altra e ben la precisa il Catechismo della Chiesa Cattolica, laddove spiega come sia da compiersi l’esame di coscienza: «Alla luce della Parola di Dio» (n. 1454) con particolare riferimento al Decalogo, ai Vangeli ed alle Lettere degli Apostoli. Ovvero l’esatto contrario.
Strategico il lessico, cui fa ricorso l’«esame spirituale di coscienza»: non esiste più la parola «colpa», non si commette più il «peccato»; sono termini aboliti. Quindi, nemmeno è possibile emendarli. Né l’una, né l’altro. Al massimo, si parla di «non risposte», di «vuoti», di «chiamate non accolte, perché scomodanti oppure accolte a metà oppure non prese in dovuta considerazione». Ed ora è chiaro come, nell’immaginario collettivo, un invito non accolto, quand’anche fattoci da Dio, appaia meno grave del male da me volutamente compiuto, dell’errore da me volutamente commesso.
Un altro aspetto è quello del perdono: in questo schema pare esser gratis. Non più solo «per quanti si convertono a Lui», ma incondizionato, per tutti: «Ti ringrazio del Tuo perdono», si dà per scontato nel testo, come se fosse automatico, dimenticando così quanto dice la Sacra Scrittura: «Non esser troppo sicuro del perdono, tanto da aggiungere peccato a peccato. Non dire: “La Sua misericordia è grande; mi perdonerà i molti peccatiˮ, perché presso di Lui ci sono misericordia e ira, il Suo sdegno si riverserà sui peccatori» (Sir 5, 5-6).
La Lettera ai Galati spiega come Cristo ci abbia «liberati perché restassimo liberi; state dunque saldi e non lasciatevi imporre di nuovo il giogo della schiavitù» (Gal 5, 1), specificando come questa tale prospettiva sia possibile. Non esclude il giogo, anzi. Dice solo che, per evitarlo, occorre guardarsi da «fornicazione, impurità, libertinaggio, idolatria, stregonerie, inimicizie, discordia, gelosia, dissensi, divisioni, fazioni, invidie, ubriachezze, orge e cose del genere; circa queste cose chi le compie non erediterà il Regno di Dio» (Gal 5, 19-21). Non erediterà. Ergo, non è gratis.
L’«esame spirituale di coscienza» o «preghiera di Alleanza» si chiude con una sorta di riso, che richiama quel che Qoelet chiama «follia» (Qo 2, 2), tutto pieno di bei sentimenti, di sguardi acritici verso l’avvenire col «cuore nuovo colmo di fiducia, di coraggio, di ottimismo». Nessuno spazio per la mortificazione derivante dalla consapevolezza delle mancanze compiute. Ci si dimentica totalmente di ciò che scrisse S. Agostino: «Signore, fa ch’io Ti conosca per amarTi e che mi conosca per disprezzarmi». E guai al contrario, poiché – si legge – ciò significherebbe esser stati sviati «dallo spirito del male».
L’esatto contrario – anche in questo caso – di quanto contenuto nella Sacra Bibbia, laddove si dice: «È preferibile la mestizia al riso, perché sotto un triste aspetto il cuore è felice. Il cuore dei saggi è in una casa in lutto e il cuore degli stolti in una casa in festa» (Qo 7, 3-4). E l’invito contenuto nella Lettera di San Giacomo è molto chiaro: «Gemete sulla vostra miseria, fate lutto e piangete; il vostro riso si muti in lutto e la vostra allegria in tristezza. Umiliatevi davanti al Signore ed Egli vi esalterà» (Gc 4, 9-10).
In realtà, il Catechismo della Chiesa Cattolica invita a compiere l’esame di coscienza in tutt’altro modo, ovvero in modo «diligente», quand’anche si trattasse «dei peccati più nascosti e commessi soltanto contro i due ultimi Comandamenti del Decalogo, perché spesso feriscono più gravemente l’anima e si rivelano più pericolosi di quelli chiaramente commessi» (n. 1456). Il desiderare la donna o la roba d’altri appartiene cioè a quei «peccati impuri», che – come rivelò la Madonna alla piccola Giacinta, veggente di Fatima – son poi quelli che «più offendono Dio e portano più anime all’inferno». Aggiunse Giacinta: «Verranno certe mode che offenderanno molto Nostro Signore. Le persone che servono Dio, preti, religiosi, buoni cristiani, non devono seguire le mode. La Chiesa non ha mode. Nostro Signore è sempre lo stesso».
Impossibile non scorgere, in queste parole della Beata Vergine, una fotografia di quel che oggi, tragicamente, accade, proprio grazie anche alla crescente inconsapevolezza del peccato, alla perdita del senso della colpa. Il che erode la nostra coscienza. Anche a causa di schemi come questa «preghiera di Alleanza». Che non pare proprio esser di aiuto. Tutt’altro. (Luigi Bertoldi)
http://www.corrispondenzaromana.it/quellesame%CB%AE-che-fa-perdere-la-coscienza-del-peccato/
ARTICOLO 4 DEL CATECHISMO DELLA CHIESA CATTOLICA
IL SACRAMENTO DELLA PENITENZA E DELLA RICONCILIAZIONE
1422 «Quelli che si accostano al sacramento della Penitenza ricevono dalla misericordia di Dio il perdono delle offese fatte a lui e insieme si riconciliano con la Chiesa, alla quale hanno inflitto una ferita col peccato e che coopera alla loro conversione con la carità, l’esempio e la preghiera».
Come viene chiamato questo sacramento?
1423 È chiamato sacramento della Conversione poiché realizza sacramentalmente l’appello di Gesù alla conversione, il cammino di ritorno al Padre da cui ci si è allontanati con il peccato.
È chiamato sacramento della Penitenza poiché consacra un cammino personale ed ecclesiale di conversione, di pentimento e di soddisfazione del cristiano peccatore.
1424 È chiamato sacramento della Confessione poiché l’accusa, la confessione dei peccati davanti al sacerdote è un elemento essenziale di questo sacramento. In un senso profondo esso è anche una «confessione», riconoscimento e lode della santità di Dio e della sua misericordia verso l’uomo peccatore.
È chiamato sacramento del Perdono poiché, attraverso l’assoluzione sacramentale del sacerdote, Dio accorda al penitente «il perdono e la pace».
È chiamato sacramento della Riconciliazione perché dona al peccatore l’amore di Dio che riconcilia: «Lasciatevi riconciliare con Dio» (2 Cor 5,20). Colui che vive dell’amore misericordioso di Dio è pronto a rispondere all’invito del Signore: «Va’ prima a riconciliarti con il tuo fratello» (Mt 5,24).
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Il Sacramento della Confessione è il processo tramite il quale ci ricongiungiamo in pace con Dio, consci d’aver mancato ai nostri doveri e d’aver peccato in maniera grave o meno grave.
Sebbene, secondo la logica del nostro sito, l’argomento in sé dovrebbe rientrare nella sezione Res Sacrae (ovvero quella dedicata a sacramentali, preghiere e sacramenti), sentivamo l’esigenza d’approfondire la questione nel suo aspetto prettamente metafisico, teologico: cosa realmente avviene alla nostra anima? come può agire Satana in quei momenti? come una confessione fatta male può pregiudicare la salvezza eterna?
Questa era (ed è) la reale condizione delle anime di coloro che, per i motivi più disparati, omettevano d’accusare determinati peccati compiuti. Non conta dunque il numero delle confessioni, ma la qualità.
Si noti in questo estratto come il Diavolo persino nel sacramento della riconciliazione ci tende una trappola.
Naturalmente discorso a parte meritano i peccati non dichiarati per mancanza di memoria, ovvero non omessi volontariamente: in quel caso non v’è colpa grave.
Il Santo piemontese, per incoraggiare la franchezza nell’esporre i propri peccati e rimuovere il sentimento di vergogna nocivo, era solito commentare i fioretti in Nome dell’Immacolata precisando che “le miserie umane si sa, sono miserie umane. Non andate mica a confessarvi per raccontare miracoli! Bisognerebbe che il sacerdote vi credesse impeccabili, e voi stessi ridereste di questa sua opinione. Non ve la tolga la paura che il confessore possa svelare un segreto così terribile per lui, poiché la minima colpa svelata fuori dalla confessione basterebbe a farlo condannare all’Inferno“.
Come desumibile tuttavia, una confessione in malafede risulta sia velenosa per la nostra crescita spirituale sia per l’anima, la quale si macchia d’un peccato molto grave: il sacrilegio (che può essere aggravato esponenzialmente dal ricevimento dell’Eucarestia in tale stato; a tal riguardo Gesù stesso, tramite una mistica italiana, è tornato a ribadirlo in una sua locuzione interiore).
Padre Giovan Battista Ubanni, gesuita, raccontava che una donna per anni, confessandosi, aveva taciuto un peccato di impurità. Arrivati in quel luogo due Sacerdoti domenicani, lei che da tempo aspettava un confessore forestiero, pregò uno di questi di ascoltare la sua Confessione.
Usciti di Chiesa, il compagno narrò al confessore di aver osservato che, mentre quella donna si confessava, uscivano dalla sua bocca molti serpenti, però un serpente più grosso era uscito solo col capo, ma poi era rientrato di nuovo. Allora anche tutti i serpenti che erano usciti rientrarono.
Ovviamente il confessore non parlò di ciò che aveva udito in Confessione, ma sospettando quel che poteva essere successo fece di tutto per ritrovare quella donna. Quando arrivò presso la sua abitazione, venne a sapere che era morta appena rientrata in casa. Saputa la cosa, quel buon Sacerdote si rattristò e pregò per la defunta. Questa gli apparve in mezzo alle fiamme e gli disse: “Io sono quella donna che si è confessata questa mattina; ma ho fatto un sacrilegio. Avevo un peccato che non mi sentivo di confessare al sacerdote del mio paese; Dio mi mandò te, ma anche con te mi lasciai vincere dalla vergogna e subito la Divina Giustizia mi ha colpito con la morte mentre entravo in casa. Giustamente sono condannata all’inferno!“.
Dopo queste parole si aprì la terra e fu vista precipitare e sparire.
Sant’Alfonso de Orozco (1500 – 1591) descrisse un episodio simile che riguardava la figlia d’un illustre nobile la quale, per aver omesso un grave peccato persino in punto di morte, venne inesorabilmente condannata eternamente.
La Beata Anna Katharina Emmerick (1774 – 1824) tentò addirittura di lottare spiritualmente a favore d’una donna che sempre taceva in confessionale la sua relazione illecita, senza tuttavia avere molta fortuna:
Natuzza Evolo, parlando d’un suo contemporaneo da poco deceduto, affermò che egli, nonostante l’apparente vita esemplare che conduceva, era stato dannato per aver dimenticato volontariamente dei peccati gravi.
Santa Teresa d’ Avila (1515 – 1582), tramite una visione, ricevette un monito urgente da diffondere ai fedeli riguardo la pericolosità di questo tipo di sacrilegio:
La Santa volle in seguito precisare che per “confessioni mal fatte” non si intendono solo quelle costellate da omissioni volontarie, ma anche quelle fatte con poca fede, nessuna intenzione di cambiare vita o, perlomeno, cambiare quei piccoli aspetti del carattere che andrebbero modificati.
A questi si potrebbero aggiungere i pensieri che falsamente inducono a farci credere santi, come se non peccassimo mai o come se lo facessimo sempre e solo venialmente.
In questo caso la Confessione si tramuta – come dice espressamente Gesù – da medicina a veleno per l’anima.
D’altro canto un sacramento della riconciliazione fatto con il dovuto rimorso e volontà di cambiare direzione è uno dei più pontenti mezzi che possiediamo per purificare la nostra anima nel miglior modo possibile.
Ci si ricorderà a tal proposito del giovinotto resuscitato da San Filippo Neri (1515 – 1595) il quale, tornato in vita dichiarando d’aver dimenticato di confessare un peccato, venne assolto dal Santo e spirò felicemente di nuovo poco tempo dopo, salendo direttamente in Paradiso.
Questo è chiaramente il simbolo dell’infinita Misericordia Divina: con un semplice atto di contrizione l’anima si può salvare. Si capirà dunque il motivo per il quale molti Santi (San Giovanni Bosco, San Leopoldo Mandic, San Pio, Santo Curato d’Ars e molti altri ancora) confessavano persino 16 ore al giorno, ricevendo persone di continuo.
In sostanza, il nostro destino eterno è molto condizionato non solo dalle scelte che si compiono all’esterno, ma anche quelle all’interno del confessionale, ove la nostra anima può radicalmente essere trasformata in luce vicina a Dio o sempre più degradata a livello di fango infernale.
Satana, in un impeto d’ira, così disse a San Nicola di Flue (1417 – 1487): “La sconfitta più grande che ci ha inflitto Dio è il sacramento della Confessione, perché se un’anima in peccato mortale ci appartiene, con una confessione ben fatta, subito ci viene strappata!“.
http://www.veniteadme.org/l-anima-nella-confessione/
L’anima nella Confessione
IL SACRAMENTO DELLA PENITENZA E DELLA RICONCILIAZIONE
1422 «Quelli che si accostano al sacramento della Penitenza ricevono dalla misericordia di Dio il perdono delle offese fatte a lui e insieme si riconciliano con la Chiesa, alla quale hanno inflitto una ferita col peccato e che coopera alla loro conversione con la carità, l’esempio e la preghiera».
Come viene chiamato questo sacramento?
1423 È chiamato sacramento della Conversione poiché realizza sacramentalmente l’appello di Gesù alla conversione, il cammino di ritorno al Padre da cui ci si è allontanati con il peccato.
È chiamato sacramento della Penitenza poiché consacra un cammino personale ed ecclesiale di conversione, di pentimento e di soddisfazione del cristiano peccatore.
1424 È chiamato sacramento della Confessione poiché l’accusa, la confessione dei peccati davanti al sacerdote è un elemento essenziale di questo sacramento. In un senso profondo esso è anche una «confessione», riconoscimento e lode della santità di Dio e della sua misericordia verso l’uomo peccatore.
È chiamato sacramento del Perdono poiché, attraverso l’assoluzione sacramentale del sacerdote, Dio accorda al penitente «il perdono e la pace».
È chiamato sacramento della Riconciliazione perché dona al peccatore l’amore di Dio che riconcilia: «Lasciatevi riconciliare con Dio» (2 Cor 5,20). Colui che vive dell’amore misericordioso di Dio è pronto a rispondere all’invito del Signore: «Va’ prima a riconciliarti con il tuo fratello» (Mt 5,24).
Il Sacramento della Confessione è il processo tramite il quale ci ricongiungiamo in pace con Dio, consci d’aver mancato ai nostri doveri e d’aver peccato in maniera grave o meno grave.
Sebbene, secondo la logica del nostro sito, l’argomento in sé dovrebbe rientrare nella sezione Res Sacrae (ovvero quella dedicata a sacramentali, preghiere e sacramenti), sentivamo l’esigenza d’approfondire la questione nel suo aspetto prettamente metafisico, teologico: cosa realmente avviene alla nostra anima? come può agire Satana in quei momenti? come una confessione fatta male può pregiudicare la salvezza eterna?
Le visioni dei Santi
San Giuseppe Cafasso (1811 – 1860) diceva che per quanto riguarda la scelta del confessore dobbiamo sentirci liberi come l’aria: il santo temeva che per l’imbarazzo che si può provare col proprio parroco o con un altro determinato sacerdote si potesse tacere per vergogna qualche peccato.
La «vergogna per il peccato» in sé è uno dei segni della penitenza e della contrizione, ma non dovrebbe assolutamente frenarci dall’accusare la nostra colpa nel confessionale poichè, come andremo presto a vedere, potrebbe presentarci gravissime conseguenze.
San Giovanni Bosco (Don Bosco, 1815 – 1888), che aveva avuto come confessore e direttore spirituale proprio il sopracitato santo, era solito insistere a più riprese riguardo la fondamentale importanza di questo sacramento: egli consigliava ai ragazzi d’accostarvisi almeno una volta ogni otto giorni o quindici giorni a seconda delle necessità, in generale perlomeno una volta al mese.
Il risalto che Don Bosco era solito dare alla Confessione e la doverosa sincerità in essa divenne più marcato a seguito d’alcune visioni ricevute in sogno:
La «vergogna per il peccato» in sé è uno dei segni della penitenza e della contrizione, ma non dovrebbe assolutamente frenarci dall’accusare la nostra colpa nel confessionale poichè, come andremo presto a vedere, potrebbe presentarci gravissime conseguenze.
San Giovanni Bosco (Don Bosco, 1815 – 1888), che aveva avuto come confessore e direttore spirituale proprio il sopracitato santo, era solito insistere a più riprese riguardo la fondamentale importanza di questo sacramento: egli consigliava ai ragazzi d’accostarvisi almeno una volta ogni otto giorni o quindici giorni a seconda delle necessità, in generale perlomeno una volta al mese.
Il risalto che Don Bosco era solito dare alla Confessione e la doverosa sincerità in essa divenne più marcato a seguito d’alcune visioni ricevute in sogno:
Vidi certi giovani di un aspetto tetro avevano attorcigliato al collo un gran serpente, che con la coda scendeva fino al cuore e sporgeva in avanti la testa e la posava vicino alla bocca del meschino, come per mordergli la lingua se mai aprisse le labbra.
La faccia di quei giovani era così brutta che mi faceva paura; gli occhi erano stravolti, la loro bocca era storta ed erano in posizione da mettere spavento.
Tutto tremante domandai nuovamente che cosa significasse e mi fu detto: “Non vedi? Il serpente antico stringe la gola con doppio giro a quegli infelici per non lasciarli parlare in confessione e con le fauci avvelenate sta attento per morderli se aprono la bocca. Poveretti! Se parlassero, farebbero una buona confessione e il demonio non potrebbe più niente contro di loro. Ma per rispetto umano non parlano, tengono i loro peccati sulla coscienza e tornano più e più volte a confessarsi senza osare mai metter fuori il veleno che racchiudono nel cuore”.
Questa era (ed è) la reale condizione delle anime di coloro che, per i motivi più disparati, omettevano d’accusare determinati peccati compiuti. Non conta dunque il numero delle confessioni, ma la qualità.
Si noti in questo estratto come il Diavolo persino nel sacramento della riconciliazione ci tende una trappola.
Naturalmente discorso a parte meritano i peccati non dichiarati per mancanza di memoria, ovvero non omessi volontariamente: in quel caso non v’è colpa grave.
Il Santo piemontese, per incoraggiare la franchezza nell’esporre i propri peccati e rimuovere il sentimento di vergogna nocivo, era solito commentare i fioretti in Nome dell’Immacolata precisando che “le miserie umane si sa, sono miserie umane. Non andate mica a confessarvi per raccontare miracoli! Bisognerebbe che il sacerdote vi credesse impeccabili, e voi stessi ridereste di questa sua opinione. Non ve la tolga la paura che il confessore possa svelare un segreto così terribile per lui, poiché la minima colpa svelata fuori dalla confessione basterebbe a farlo condannare all’Inferno“.
Come desumibile tuttavia, una confessione in malafede risulta sia velenosa per la nostra crescita spirituale sia per l’anima, la quale si macchia d’un peccato molto grave: il sacrilegio (che può essere aggravato esponenzialmente dal ricevimento dell’Eucarestia in tale stato; a tal riguardo Gesù stesso, tramite una mistica italiana, è tornato a ribadirlo in una sua locuzione interiore).
Padre Giovan Battista Ubanni, gesuita, raccontava che una donna per anni, confessandosi, aveva taciuto un peccato di impurità. Arrivati in quel luogo due Sacerdoti domenicani, lei che da tempo aspettava un confessore forestiero, pregò uno di questi di ascoltare la sua Confessione.
Usciti di Chiesa, il compagno narrò al confessore di aver osservato che, mentre quella donna si confessava, uscivano dalla sua bocca molti serpenti, però un serpente più grosso era uscito solo col capo, ma poi era rientrato di nuovo. Allora anche tutti i serpenti che erano usciti rientrarono.
Ovviamente il confessore non parlò di ciò che aveva udito in Confessione, ma sospettando quel che poteva essere successo fece di tutto per ritrovare quella donna. Quando arrivò presso la sua abitazione, venne a sapere che era morta appena rientrata in casa. Saputa la cosa, quel buon Sacerdote si rattristò e pregò per la defunta. Questa gli apparve in mezzo alle fiamme e gli disse: “Io sono quella donna che si è confessata questa mattina; ma ho fatto un sacrilegio. Avevo un peccato che non mi sentivo di confessare al sacerdote del mio paese; Dio mi mandò te, ma anche con te mi lasciai vincere dalla vergogna e subito la Divina Giustizia mi ha colpito con la morte mentre entravo in casa. Giustamente sono condannata all’inferno!“.
Dopo queste parole si aprì la terra e fu vista precipitare e sparire.
Sant’Alfonso de Orozco (1500 – 1591) descrisse un episodio simile che riguardava la figlia d’un illustre nobile la quale, per aver omesso un grave peccato persino in punto di morte, venne inesorabilmente condannata eternamente.
La Beata Anna Katharina Emmerick (1774 – 1824) tentò addirittura di lottare spiritualmente a favore d’una donna che sempre taceva in confessionale la sua relazione illecita, senza tuttavia avere molta fortuna:
Ieri, 27 ottobre 1821, fui portata da una donna che era sul punto di perdersi. Lottai con Satana davanti al letto della malata, ma il demonio mi buttò fuori. Era troppo tardi…questa donna era sposata e aveva tre figli. Era considerata molto bella e viveva secondo il mondo e la moda. Aveva un rapporto illecito con un sacerdote, e aveva taciuto in confessione questo peccato. Aveva ricevuto i santi sacramenti e tutti facevano grandi elogi della sua buona preparazione e disposizione per ben morire…tutti i miei sforzi risultarono vani. Era troppo tardi, non mi fu possibile avvicinarmi a lei e morì. Era atroce vedere Satana che si portava via quell’anima.
Natuzza Evolo, parlando d’un suo contemporaneo da poco deceduto, affermò che egli, nonostante l’apparente vita esemplare che conduceva, era stato dannato per aver dimenticato volontariamente dei peccati gravi.
Santa Teresa d’ Avila (1515 – 1582), tramite una visione, ricevette un monito urgente da diffondere ai fedeli riguardo la pericolosità di questo tipo di sacrilegio:
(…) ed ecco, ad un tratto, spalancarsi innanzi agli occhi una voragine profondissima tutta ripiena di fuoco e di fiamma, e laggiù cadere abbondantissime, come la neve d’ inverno, le povere anime. Spaventata, santa Teresa alza gli occhi al cielo e dice :”Mio Dio, mio Dio! Che cosa vedo mai? Chi sono tutte quelle anime che vanno perdute? Saranno certamente anime di poveri infedeli…”.
“No, Teresa – rispose Gesù – no! Sappi: quelle anime che vedi in questo momento andare all’ inferno per mia permissione, sono tutte anime di cristiani come te”.
Teresa ancora più stipita intervenne: “Ma saranno anime di gente che non credevano, che non praticavano la religione, che non frequentavano i Sacramenti…”.
“No, Teresa, no! Sappi che sono anime di cristiani battezzati come te, che come te credevano e praticavano…”.
“Ma allora non si saranno confessati mai, neppure in punto di morte”.
“No, sono anime che si confessavano e si sono confessate anche in punto di morte…”, dice Gesù.
“Come, o mio Dio, vanno dannate?”.
“Vanno dannate perchè si confessano male!…Và, o Teresa, racconta a tutti questa visione e scongiura Vescovi e Sacerdoti di non stancarsi mai di predicare sul rischio delle confessioni mal fatte, onde i miei cari cristiani non abbiano a convertire la medicina in veleno e servirsi in male di questo sacramento, che è il sacramento della misericordia e del perdono”.
La Santa volle in seguito precisare che per “confessioni mal fatte” non si intendono solo quelle costellate da omissioni volontarie, ma anche quelle fatte con poca fede, nessuna intenzione di cambiare vita o, perlomeno, cambiare quei piccoli aspetti del carattere che andrebbero modificati.
A questi si potrebbero aggiungere i pensieri che falsamente inducono a farci credere santi, come se non peccassimo mai o come se lo facessimo sempre e solo venialmente.
In questo caso la Confessione si tramuta – come dice espressamente Gesù – da medicina a veleno per l’anima.
D’altro canto un sacramento della riconciliazione fatto con il dovuto rimorso e volontà di cambiare direzione è uno dei più pontenti mezzi che possiediamo per purificare la nostra anima nel miglior modo possibile.
Ci si ricorderà a tal proposito del giovinotto resuscitato da San Filippo Neri (1515 – 1595) il quale, tornato in vita dichiarando d’aver dimenticato di confessare un peccato, venne assolto dal Santo e spirò felicemente di nuovo poco tempo dopo, salendo direttamente in Paradiso.
Questo è chiaramente il simbolo dell’infinita Misericordia Divina: con un semplice atto di contrizione l’anima si può salvare. Si capirà dunque il motivo per il quale molti Santi (San Giovanni Bosco, San Leopoldo Mandic, San Pio, Santo Curato d’Ars e molti altri ancora) confessavano persino 16 ore al giorno, ricevendo persone di continuo.
In sostanza, il nostro destino eterno è molto condizionato non solo dalle scelte che si compiono all’esterno, ma anche quelle all’interno del confessionale, ove la nostra anima può radicalmente essere trasformata in luce vicina a Dio o sempre più degradata a livello di fango infernale.
Satana, in un impeto d’ira, così disse a San Nicola di Flue (1417 – 1487): “La sconfitta più grande che ci ha inflitto Dio è il sacramento della Confessione, perché se un’anima in peccato mortale ci appartiene, con una confessione ben fatta, subito ci viene strappata!“.
http://www.veniteadme.org/l-anima-nella-confessione/
SE LA PREFETTURA DELLA CASA PONTIFICIA DÀ I NUMERI (SBAGLIATI)
Considero di una gravità inaudita, l’incompletezza e la parzialità dei dati della Prefettura della Casa Pontificia, secondo cui è in calo l’affluenza di fedeli alle Udienze Generali di Papa Francesco. Intanto, la Prefettura avrebbe dovuto specificare che i dati erano relativi ai soli biglietti distribuiti e che alle Udienze si partecipa anche senza biglietto. I biglietti, infatti, servono solo a fare statistica, tanto che l’accesso in Piazza San Pietro, durante le Udienze, è consentito a chiunque, in possesso o meno del biglietto, si presenti ai varchi di ingresso. Inoltre, credo che la Prefettura non abbia calcolato, non so se in buona o cattiva fede, le centinaia di fedeli argentini che, ogni Mercoledì, accedono al baciamano del Papa o vengono fatti accomodare in un “reparto speciale” situato sul sagrato; i connazionali del Santo Padre, non passano per la Prefettura della Casa Pontificia, che non ne conosce quindi il numero,ma attraverso la segreteria personale del Papa. Vi sono, poi, gli ammalati e i loro accompagnatori, che arrivano a centinaia ad ogni Udienza e che sono così tanti, che bisogna sistemarli nei corridoi della Piazza, pur di trovargli una degna sistemazione. Alla luce di tutto ciò, che la Prefettura non abbia agito correttamente e con buon senso, fornendo dati falsati che, come si può vedere, sono stati subito strumentalizzati dai media ostili a questo Pontificato, che non hanno perso l’occasione di far credere che ci sia un calo di fedeli alle Udienze per una sorta di sopraggiunta “freddezza” verso il Papa. Invece sappiamo tutti che il Papa è amatissimo dai suoi figli e abbiamo tutti davanti agli occhi, la moltitudine di fedeli, che non di rado si prolunga fino a via della Conciliazione, stringendosi periodicamente intorno al Successore di Pietro. Con buona pace di chi, fuori e dentro il Vaticano, vorrebbe far passare Francesco, come un Papa isolato.
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