“In Siria e Iraq è un genocidio”
Il vescovo caldeo di Erbil chiede di chiamare le cose con il loro nome
Bashar Warda, vescovo caldeo, si rivolge al sinodo generale a Londra (foto LaPresse)
Il vescovo caldeo di Erbil, capoluogo del Kurdistan iracheno, mons. Bashar Warda, ha scelto la platea americana di Indianapolis per esortare l’occidente a chiamare le cose con il loro nome: quel che sta accadendo tra Siria e Iraq da più d’un anno, ha detto, “è un genocidio”.
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Certo, a cent’anni di distanza si discute ancora se le deportazioni degli armeni in Anatolia possano essere considerate genocidio (la comunità internazionale pensa di sì, tranne la rabbiosa Turchia, che ne fa una questione d’onore), ma nel caso delle persecuzioni dello Stato islamico le reticenze e la prudenza dovrebbero essere abbandonate. C’è sempre chi pensa di poter sedersi attorno a un tavolo negoziale con Abu Bakr al Baghdadi o con qualche suo luogotenente, ma discettare di terminologie conformi o meno al diritto internazionale con chi passa le giornate a sgozzare vecchi, a gettare dai tetti gli omosessuali, a bruciare vivi soldati giordani, a demolire tombe cristiane e a far saltare in aria antiche rovine ree d’essere pagane, non pare opportuno. I fatti e le evidenze di cui parla il vescovo di Erbil sono sotto gli occhi di tutti: bastava, come antifona, la “n” di nazareno pitturata sulle case degli infedeli da epurare. Il coltellaccio del boia jihadista avrebbe dovuto, poi, confermare a tutti il sospetto.
Certo, a cent’anni di distanza si discute ancora se le deportazioni degli armeni in Anatolia possano essere considerate genocidio (la comunità internazionale pensa di sì, tranne la rabbiosa Turchia, che ne fa una questione d’onore), ma nel caso delle persecuzioni dello Stato islamico le reticenze e la prudenza dovrebbero essere abbandonate. C’è sempre chi pensa di poter sedersi attorno a un tavolo negoziale con Abu Bakr al Baghdadi o con qualche suo luogotenente, ma discettare di terminologie conformi o meno al diritto internazionale con chi passa le giornate a sgozzare vecchi, a gettare dai tetti gli omosessuali, a bruciare vivi soldati giordani, a demolire tombe cristiane e a far saltare in aria antiche rovine ree d’essere pagane, non pare opportuno. I fatti e le evidenze di cui parla il vescovo di Erbil sono sotto gli occhi di tutti: bastava, come antifona, la “n” di nazareno pitturata sulle case degli infedeli da epurare. Il coltellaccio del boia jihadista avrebbe dovuto, poi, confermare a tutti il sospetto.
di Redazione | 29 Agosto 2015
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