ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

mercoledì 30 settembre 2015

Un'illusione rovinosa

«La cura pastorale si perverte in un'illusione rovinosa, se dai “segni dei tempi” vengono dedotti contenuti di fede». Non lascia spazio alle ambiguità il cardinale Paul Josef Cordes, presidente emerito del Pontificio consiglio Cor Unum e uno degli undici cardinali che hanno collaborato al libro “Matrimonio e famiglia”. A pochi giorni dall'apertura del Sinodo sulla famiglia, il cardinale accetta di farsi intervistare dalla Nuova Bussola.

L’affondo di Cordes: «La fede non si piega ai segni dei tempi. Sciogliere il matrimonio è una bizzarria»

Il cardinale Josef Cordes
Il cardinale tedesco Paul Josef Cordes, presidente emerito del Pontificio consiglio Cor Unum, è uno degli undici cardinali che hanno collaborato al libro Matrimonio e famiglia, in uscita in questi giorni per le edizioni Cantagalli. Il contributo del porporato tedesco ha un titolo che richiama un discorso di Benedetto XVI del 2009 alla Plenaria della Congregazione per il Clero, quando esortava i pastori «alla comunione con l'ininterrotta Tradizione ecclesiale, senza cesure, né tentazioni di discontinuità». Nel suo intervento il cardinale Cordes si occupa in particolare di quel tema che tanto ha movimentato il dibattito sinodale e che riguarda il possibile accesso dei divorziati risposati alla eucaristia. Un tema che, parafrasando il titolo, rischia davvero di generare “cesure e discontinuità” nel sinodo che sta per iniziare. Di questo argomento si parlerà anche oggi, 30 settembre, a Roma nel convegno internazionale "Permanere nella verità di Cristo", co-organizzato da La Nuova Bussola Quotidiana.
Eminenza, a proposito della eucaristia per i divorziati risposati, la Chiesa tedesca da tempo si impegna per risolvere il problema. Al Sinodo delle diocesi della Repubblica Federale Tedesca del 1972-1975 si cercava la “scappatoia della misericordia”. Cosa può insegnare la storia alla chiesa tedesca di oggi?
«Siccome in quel periodo ero il referente per la sezione pastorale nella segreteria della Conferenza Episcopale Tedesca, ho ben presente quello che è accaduto. La Plenaria del Sinodo durante le consultazioni sul tema “Matrimonio e Famiglia” aveva formulato un voto: chiedere alla Santa Sede la possibilità dell'accesso dei divorziati–risposati ai sacramenti. Una commissione di vescovi e di professori universitari progressisti dovevano formulare tale voto. Io ero segretario della commissione. Abbiamo discusso diverse volte l'argomento, ma non riuscivamo a produrre un testo che fosse presentabile: se le formulazioni del Nuovo Testamento e dei Concili dovevano rimanere per noi vincolanti, non si sarebbe trovata nessuna “scappatoia della misericordia”. Inoltre, ci venivano degli scrupoli: quali conseguenze avrebbe provocato per i matrimoni in crisi una nuova disciplina pastorale, che avrebbe permesso ai divorziati-risposati l'accesso alla Comunione? Non avrebbe finito per indebolire la volontà di rimanere fedeli nei momenti di tensione coniugale?»
Il vescovo di Osnabruk, monsignor Franz-Josef Bode, alla plenaria della Conferenza episcopale tedesca del febbraio 2015 ha parlato della necessità di un «cambio di paradigma». Nella pastorale famigliare, secondo Bode, si dovrebbe prestare maggiore attenzione ai cosiddetti “segni dei tempi”. La vita e la storia come fonte della fede?
«Il tentativo di armonizzare l'esperienza di vita dell'uomo con la fede, è motivato senza dubbio da un grande intuito pastorale. Tuttavia, la cura pastorale si perverte in un'illusione rovinosa, se dai “segni dei tempi” vengono dedotti contenuti di fede. Durante l'elaborazione della Costituzione La Chiesa e il mondo contemporaneo del Vaticano II (Gs) questo aspetto occupò i padri conciliari, ed il teologo conciliare Joseph Ratzinger riferisce in modo dettagliato il rifiuto di una tale teoria teologica. La discussione girava intorno alla rilevanza in termini di fede del fenomeno sociale ed ecclesiale e si fermava sull'espressione biblica “segni dei tempi”: Vediamo o sentiamo in questi segni l'indicazione o la voce di Dio? Possiamo interpretarli come verità teologica? Nelle discussioni poi venne rifiutato categoricamente di rintracciare questi “segni dei tempi” nella vita degli uomini come “fonte della fede” - come era stato formulato inizialmente da Gs nr. 11. Occorreva piuttosto discernere tali segni. In questo modo i padri conciliari spiegavano che nuovi avvenimenti e bisogni dei cristiani che si presentavano servivano ai pastori della Chiesa come impulso, e dovevano essere letti alla luce della fede, provati, e occorreva rispondervi a partire dalla verità della Rivelazione. I padri hanno escluso di proposito il cortocircuito penoso, secondo cui un fenomeno che sfida la Chiesa diventerebbe già per se stesso una fonte della fede (locus theologicus); ciò è stato da loro spiegato in modo approfondito. A questo proposito si può ricordare che Joseph Ratzinger descrive in modo dettagliato, come i padri conciliari hanno affrontato questa questione nel commentario al nr. 11 della Costituzione Gs, nel Lexikon für Theologie und Kirche (XIII, Freiburg 1968.) D'altronde la stessa Costituzione del Concilio sulla “Divina Rivelazione” non lascia alcun dubbio sul fatto che la Chiesa cattolica deve la sua fede solamente alla Sacra Scrittura e all'insegnamento della Chiesa (Cfr. H. de Lubac, Die göttliche Offenbarung, Einsiedeln 2001, 140 ss.). La Parola di Dio, interpretata dall'insegnamento della Chiesa cattolica, è pertanto la pietra, che dà alla Chiesa il fondamento sicuro (cfr. Lc 6,47 ss.). La cosiddetta ortoprassi o la “mistica del popolo” sono sempre imbevuti dello “spirito del mondo” (cfr. Rm 12,2) e oscurano la verità della fede».
Leggendo il suo contributo nel libro degli 11 cardinali colpisce il titolo di un paragrafo: “Scurrilità”. Mi scusi la domanda: ma a chi e a cosa si riferisce?
«Il senso esatto della parola italiana “scurrilità” non mi è familiare. In tedesco chiamiamo “skurril” ciò che è strano e bizzarro. La volontà sfrenata di annacquare l'indissolubilità del matrimonio seduce anche professori universitari a proferire astrusità teologiche. Vorrei dimostrarlo con due citazioni. Le ho trovate in un volume pubblicato da Herder-Verlag (G. Augutin/I. Proft (Hg.), Ehe und Familie. Wege zum Gelingen aus katholischer Perspektive, Freiburg 2014). In un contributo l'ordinario di una facoltà cattolica è a favore di un secondo matrimonio dopo il divorzio, a motivo della “sacramentalità generativa, che toglie il limite al sacramento del matrimonio. Il primo matrimonio sacramentale continua ad esistere, ma la rottura fattiva non demolisce il carattere indistruttibile della promessa di fedeltà di Dio, ma mette in azione nuovamente la Sua promessa...” (391).  Con questa speculazione il “secondo matrimonio” viene interpretato come una specifica fonte di grazie! Un altro insegnante universitario cattolico utilizza un passaggio dell'Apostolo delle genti ai Corinzi, per ammettere la possibilità della ricezione indegna del Corpo di Cristo. Mentre Paolo spinge a esaminare se stessi minacciando diversamente il castigo - “Perchè chi mangia e beve senza riconoscere il Corpo del Signore mangia e beve la propria condanna.  É per questo che tra voi ci sono molti malati e infermi e un buon numero sono morti” (1 Cor. 11,29 ss). Il professore rovescia il senso dell'apostolo, facendogli dire che consiglia la Comunione indegna, perchè essa “non porta alla condanna, ma alla salvezza” (418). Veramente una interpretazione sbalorditiva!».
di Lorenzo Bertocchi30-09-2015

Card. Caffarra: Misericordia e conversionePubblicato il  in sinodo2015.


caffarraIn questi giorni è in uscita nelle librerie Matrimonio e famiglia. Prospettive pastorali di undici cardinali, il libro edito da Cantagalli di cui parlammo nel cuore dell’estate (clicca qui). Per gentile concessione dell’editore siamo in grado di offrire ai lettori della Nuova Bussola quotidiana un significativo estratto del contributo del cardinale Carlo Caffarra, arcivescovo di Bologna e teologo esperto dei temi in questione. Il suo intervento ha un titolo molto interessante, non solo per l’ormai prossimo Sinodo, ma anche in vista del Giubileo della Misericordia.
È proprio della persona umana essere in possesso di se stessa (sui juris)mediante la sua volontà libera. È principio delle proprie azioni in forza della sua libertà e del dominio che ha su di esse. Se il perdono non muta la direzione della libertà, non converte, non possiamo dire con verità che l’uomo è stato perdonato. È la natura stessa del rapporto che Dio vuole ri-stabilire in Cristo che esige la co-operazione della libertà finita. È un rapporto di Alleanza; è Sposalizio; è Amicizia: nessuna di queste relazioni può costituirsi senza la libertà di ambedue i partner. L’Amore che perdona è apparso e si è fermato alla porta di ogni cuore umano, attendendo che gli si dica: «Sì, vieni; entra». È da questo invito che dipende la più alta rivelazione del Mistero di Dio: il perdono del peccatore.
Quali atti umani pongono in essere la co-operazione della persona? Due, fondamentalmente. Riconoscere la propria condizione di miseria morale, il proprio peccato: «non è giusto ciò che ho fatto». È ilpentimento che si esprime nella confessione. La conseguenza – secondo atto – è la decisione di non compiere in futuro ciò che riconosco essere non giusto: il proposito. Ma se questi sono i due atti che segnano la svolta, l’inversione di rotta, il percorso della nuova rotta esige un’attitudine permanente; in termini etici, il continuo esercizio della virtù della penitenza. «La seconda ragione per cui la penitenza deve essere perpetua è che ogni peccato è come una ferita; e per quanto una ferita si rimargini, la cicatrice, il segno, l’impronta del peccato persiste» (I. Hausherr, Penthos. La dottrina della compunzione nell’Oriente cristiano, Abbazia di Praglia, Bresseo di Teolo (Pd) 2013, p. 36). La conversione è un evento e un’attitudine permanente. È un evento costituito dall’atto del pentimento-confessione-proposito; è un’attitudine, una condizione permanente, poiché la giustizia donata dalla Misericordia chiede di entrare in ogni fibra della persona. E ciò non può che accadere progressivamente.  Il frutto dell’incontro della Misericordia colla miseria, del perdono colla conversione è la recuperata capacità di produrre frutti di giustizia, di compiere azioni buone. (…)
È questa l’opera mirabile della Misericordia che incontra la miseria; la santità di Dio il peccatodell’uomo. L’incontro ha un nome divino: perdono dei peccati; ha un nome umano: la conversione della libertà umana. Ci sono narrazioni sbagliate di questo incontro; recitazioni false di questo dramma divino-umano. Sbagliate, false perché non le raccontano come in realtà avvengono. E ciò può accadere in due modi fondamentali: misericordia senza conversione; conversione senza misericordia.
a) Misericordia senza conversione. È l’annuncio di una – supposta– misericordia di Dio fatto senza la denuncia del peccato dell’uomo e del mondo. Non senza ragione la catechesi apostolica ha depositato per sempre nella memoria della Chiesa la predicazione di Giovanni il Battista. Come voce che non deve mai cessare di risuonare. La verità è tenuta prigioniera nell’ingiustizia16 e deve essere liberata. Cioè: va detto che l’uomo deve convertirsi, e da quali azioni ed attitudini, cioè vizi, lo deve fare.  La Santità di Dio è misericordiosa; la Misericordia di Dio è santa e santificante. «Noi dobbiamo attribuire a Dio qualità positive, come la giustizia, la misericordia. Queste sono per noi due qualità differenti. Un uomo può possedere una delle due senza possedere l’altra. In Dio non esiste nessuna pluralità di qualità. Il suo essere è semplice. Solo noi vediamo la luce rifratta nell’arcobaleno. Questo significa: giustizia e misericordia in Dio non sono qualità differenti. Noi però non possiamo rappresentarci l’identità delle due qualità» (Giovanni Paolo II, Conversazione privata col prof. R. Spaemann, riferita in R. Spaemann, Dio e il mondo, Cantagalli, Siena 2015, p. 261) Una misericordia senza (esigenza della) conversione non è misericordia divina. È pietà sbagliata di un medico incompetente e/o debole che si accontenta di fasciare le ferite anziché curarle.
b) Conversione senza misericordia. È il veleno pelagiano che fa morire la proposta cristianariducendola a un codice o esortazione morale. Alla necessità della conversione al bene, infatti, era giunta anche la sapienza pagana nei suoi momenti più alti. Ma hanno visto la meta, non la strada che vi conduceva; non hanno scoperto la fonte che dona la forza per percorrerla. Agostino è stato il grande maestro al riguardo. (Cfr. per es. Sant’Agostino, In Iohannis evangelium tractatus 2,16). Ma oggi, in Occidente, ci troviamo in una situazione spirituale, dentro uno “spirito del tempo” che ha reso vano, ha svuotato del suo senso proprio il dramma dell’incontro Misericordia-mi-seria, perdono-conversione. Ha trasformato il dramma in una farsa. Se si ignora questo fatto culturale, l’annuncio del Vangelo della misericordia e della conversione diventa una semina sul marmo. Può piacere a chi ascolta, ma non cambia il cuore. Può attirare consenso e plauso, ma lascia la persona come la trova. (…)
Vorrei ora esemplificare tutta la riflessione precedente applicandola alla questione dell’ammissione, sia pure a certe condizioni, di divorziati risposati all’Eucarestia. Non perché sia il problema centrale del prossimo Sinodo: almeno così spero. L’annuncio della Misericordia?conversione a queste persone è l’annuncio dell’offerta del perdono di Dio, e quindi dell’esigenza della conversione. Conversione da che cosa? Dalla condizione che contraddice obiettivamente il bene dell’indissolubilità donato da Gesù. Contraddizione che sul piano dell’agire è adulterio.  Come ho già detto, conversione significa alla sua origine un giudizio di valore: «ho peccato; mi trovo in uno stato di adulterio»; significa una decisione: «lascio questa condizione» (giudizio + decisione = pentimento).
“Lascio” ha un significato di separazione fisica dal supposto coniuge, poiché solo così si rompe la consuetudine adulterina. (Cfr. le proposizioni condannate dal beato Innocenzo XI, Propositiones LXV damnatae in Decr. S. Officii 2 Mart. 1679, nn. 61. 62. 63). Ci possono essere certamente circostanze che oggettivamente e moralmente impediscono la separazione fisica, quali per esempio: diritto all’educazione di figli eventualmente nati; gravi condizioni di salute dell’altro/a; rischio dell’altro/a di cadere in situazione di grave povertà. L’ipotesi è presente in tutta la tradizione etico-pastorale della Chiesa (Cfr. per es. Sant’Alfonso,Theologia Moralis, Lib.VI, Tract. IV, Cap.I, n. 455.), e la risposta è unanime: abbandonare il modo di vivere la propria sessualità che è contrario alla parola di Gesù, mediante l’uso dei mezzi della prudenza naturale e soprannaturale. Su che cosa si fonda questa risposta comune, ripeto, presso tutti i Dottori della Chiesa e Teologi? Sulla potenza della Misericordia di Dio che perdona ogni peccato; che, cioè, muove la libertà verso il bene, qualunque sia la situazione della persona. «Nulla è impossibile a Dio» (Lc 1,37).
Che cosa implica la risposta di chi nega la verità della risposta precedente? O si afferma che lacondizione di adulterio non permane, e allora non si vede che cosa significhi indissolubilità del sacramento del Matrimonio. O si afferma l’impossibilità, per l’uomo che si converte, di vivere in castità, ed allora “si abbrevia la Misericordia di Dio”.  La domanda di fondo è: quale delle due è a «maggiore gloria di Dio», ricco di misericordia?
                                                                   * Cardinale, arcivescovo di Bologna

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