ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

mercoledì 14 ottobre 2015

Eorum aetate

«Cristianesino e giudaismo». Citazioni estratte dal libro di Francesco Spadafora: 2. Il ruolo del cardinale Agostino Bea nella produzione della Dichiarazione conciliare Nostra aetate.

Che le lobbies esistano dappertutto è cosa generalmente ammessa. Cosa poi essi siano esattamente è più difficile da dire. In alcuni paesi, gli USA, non solo esistono, ma sono ufficialmente ammesse ed esiste una legge che le regolamenta. Da noi, non potendone negare l’esistenza o continuare a far finta che non esistano, se ne parla da anni, ma senza riuscire a giungere a un loro elenco, a una registrazione, e a una regolamentazione. Impresa ardua. Più difficile è metabolizzare l’idea che siffatti gruppi di pressione e di interessi, più o meno leciti e commendevoli, che esistano anche dentro la Chiesa cattolica. Eppure, questa idea è diventata un luogo comune, grazie anche alla fiction cinematografica che dipinge i più variegati scenari romanzeschi, più o meno fondati su fatti realmente avvenuti. Ma di lobbies dentro il Vaticano ha parlato perfino papa Francesco, nel campo della finanza, degli omosessuali e di chissà cosa altro. L’aspetto che a noi qui interessa è se può parlarsi di lobbies anche nella produzione dei documenti dottrinali della Chiesa cattolica, vidimati dalla sua massima autorità, il Papa, o dai Concili, Sinodi e quanto altro concorre a formare la “dottrina della fede”, alla quale è tenuto canonicamente ogni fedele che voglia professarsi “cattolico”.
Con la Dichiarazione conciliare Nostra aetate viene a modificarsi la dottrina bimilleraria della Chiusa sugli ebrei, producendo non poco sconcerto fra i “tradizionalisti”, che ora devono loro temere forse delle “comuniche”... La materia è intricata e riteniamo utile una pagina di sintesi della questione fatta dallo stesso Spadafora:

2.
Agostino Bea
(1881-1968)

Card. Agostino Bea
Sulla parte preponderante avuta dal Card. Bea per la preparazione e il varo del testo conciliare, ha scritto il Padre Stjepan Schmidt, già suo segretario particolare, nella rubrica « Rileggere il Concilio » - 17 - su Il Tempo, 5 nov. 1985, p. 17. « Il ruolo decisivo suolto dal Cardinaie tedesco Bea ».

Papa Giovanni XXIII nel giugno 1960 riceve in udienza l’israelita Jules Isaac che dinanzi a Lui perora la causa del suo popolo, secondo le tesi già formulate nel suo libro Gesù e Israele, e lo manda dal Card. Bea.

Incominciano così i contatti di Bea con i rappresentanti più noti del giudaismo; e nell’udienza del 18 sett. 1960 riceve dal Pontefice l’incarico di preparare per il Concilio un documento sulla delicata materia. Era l’inizio del cammino che dopo cinque anni porterà alla Dichiarazione conciliare.

Per superare la diffidenza, le difficoltà manifestatesi e per ben disporre favorevolmente i Padri, il Card. Bea preparò per laCiviltà Cattolica un suo ampio articolo dal titolo impegnativo «Gli Ebrei sono 'deicidi' e 'maledetti da Dio'? ». L’articolo doveva simultaneamente apparire sulla rivista tedesca Stimmen der Zeit e sulla Nouvelle Revue Théologique di Lovanio. La Segreteria di Stato però non ne ritenne opportuna la pubblicazione.

I1 Card. Bea, tuttavia, cedette all’insistenza del direttore della rivista tedesca e l’art. vi apparve egualmente sotto la firma del P. Ludovico von Hertling, s.j., già prof. di Storia ecclesiastica alla Pontificia Università Gregoriana.

Quindi, l’articolo, tradotto in italiano e fatto stampare da un industriale di Genova, anche in varie lingue, fu distribuito ai Vescovi, al momento opportuno per la presentazione dello schema in Concilio. E il suo influsso fu notevole e davvero determinante.

Il brano si trova alle pagine 11-12 del citato Francesco SPADAFORA, Cristianesimo e giudaismo,


Elogio di Wahab, primo nella difesa dei Nostri Valori

Un tecnico petrolifero britannico di nome Karl Andree, che lavorava da 24 anni in Arabia Saudita, è da mesi in carcere a Jedda e riceverà 350 frustate . Motivo della condanna, è stato trovato in possesso di alcune bottiglie di vino. Siccome ha 74 anni, la famiglia teme che possa morire sotto la punizione, ed ha chiesto al governo di intercedere.


Cameron ha protestato, anzi farà di qualcosa di più alto in difesa dei nostri valori e salvare la pelle al suo cittadino: sospenderà un contratto (di 5,9 milioni di sterline) grazie a cui Londra vende ai sauditi “le competenze acquisite dal ministero della Giustizia inglese nel servizio delle prigioni”, veniamo informati dal Telegraph.
Apprendiamo il Regno Unito, quello che impone (come i nostri amati governi europei) sanzioni contro la Russia perché non obbedisce ai nostri valori, e arma i ribelli per distruggere Assad perché non sta al livello di alta civiltà che noi pretendiamo dagli altri, fornisce ai wahabiti il know-how carcerario. Immaginarsi il dolore dei principi sauditi  per la perdita di tanta competenza. Pazienza, i wahabiti dovranno fare a meno delle tecniche moderne. Del resto se la cavano bene anche con quelle antiche loro; la loro magistratura resta altamente produttiva, facendo eseguire una condanna a morte ogni due giorni, ancorchè le esecuzioni vengano eseguite a mano con la vecchia cara scimitarra per lo più sulla pubblica via.
Quanto al britannico è da 12 mesi nella galera di Briman, “che ha reputazione di torture e condizioni inumane”, e non potrà godere della preziosa expertise inglese in fatto di tecniche carcerarie. L’ Arabia Saudita è il più grosso cliente del Regno Unito quanto ad armamenti. Ma ancor più grande cliente degli Stati Uniti, a cui ha comprato armamenti per 95 miliardi di dollari negli ultimi 5 anni.
Restiamo tutti molti vicini all’Arabia Saudita perché paga ed arma i ribelli moderati e vari tagliagole a cui vogliamo consegnare il potere in Siria, perché quello di Assad è disumano. E non è un buon cliente del sistema militare-industriale anglo-americano.

La padrona le ha tagliato una mano
La padrona le ha tagliato una mano

E’ di pochi giorni fa la notizia che una cameriera indiana di 55 anni, Kasturi  Munirathinam, che lavorava presso una casa privata saudita da tre mesi, è stata oggetto di continue violenze ed umiliazioni fin dai primi giorni; dal suo letto d’ospedale, la signora racconta: “Ho capito che volevano farmi del male, allora ho detto alla padrona che non avevo bisogno di soldi, che volevo solo rientrare in India. Allora lei mi ha chiuso in una stanza. Io ho pianto, ho pregato che mi aprisse la porta. Alla fine ho cercato di scappare dalla finestra, ma la padrona mi ha visto e mi ha tagliato la mano”.
La cameriera ha avuto la mano tagliata dalla datrice di lavoro wahabita. In pratica, secondo la legge coranica, è stata trattata come una ladra. Ogni padrona di casa saudita può e deve fare altrettanto. La diplomazia indiana ha elevato una protesta ufficiale contro il luminoso alleato che in Siria lotta al nostro fianco per i nostri valori. Il ministero degli Esteri dell’India ha trovato la cosa “Inaccettabile”. Proprio da poche settimane, un diplomatico saudita di stanza a Nuova Delhi se n’era dovuto partire con urgenza abbandonando le sue elevate funzioni, per il seguente motivo: la polizia aveva fatto irruzione nella sua casa di Gurgaon (una trentina di chilometri da Delhi) per salvare due donne nepalesi, che l’addetto d’ambasciata stuprava e pestava da tre mesi. Le due donne, uscite senza più nulla dal terremoto che ha scosso il Nepal il 25 aprile, avevano accettato quella che sembrava una vantaggiosa offerta di lavoro presso il diplomatico. Invece, appena arrivate, erano state chiuse dentro l’appartamento ed usate sessualmente dal personaggio e da suoi amici. “Per indebolirle, i torturatori le tenevano digiune per giorni, oltre a minacciarle di morte”, hanno raccontato i media indiani. Il governo saudita ha sottratto il suo delinquente al processo facendolo rientrare, e rifiuta di rispondere alle pressanti richieste del governo indiano. I nostri marò li difendiamo peggio.

Il 25 settembre scorso, a Los Angeles, il principe Majed Abdulaziz Al-Saud (uno della grande Famiglia regnante), anni 29, è stato arrestato per aver obbligato una delle sue dipendenti a fargli quello che in America si chiama un “lavoro di bocca”; la donna è stata soccorsa mentre, sanguinante, cercava di fuggire al nobile wahabita saltando dall’alto muro di cinta della magione che questi aveva affittato a Beverly Glen. A questo punto, sono saltate fuori altre tre donne a deunciare di aver subito le stesse aggressioni sessuali da Sua Nobiltà, i cui comportamenti hanno descritto come “estremi, scandalosi e spregevoli”. Il Dipartimento di Stato ha fatto di tutto per proteggere l’augusto – egli difende infatti i nostri valori in Siria, contro l’omofobo Vladimir Putin – ma siccome egli non era coperto da immunità diplomatica, ha dovuto pagare 300 mila dollari di cauzione per non andare in galera. A piede libero, non abiamo dubbi che il personaggio sia stato espatriato senza processo. Anche l’11 Settembre l’intera famiglia Bin Laden si trovava a New York per shopping, e il suo aereo (privato) fu il solo a decollare quel giorno, quando Bush jr. aveva chiuso tutti gli Stati Uniti al traffico aereo.
Non si pensi però che il regno più coranico e virtuoso che ci sia copra con l’impunità tutti i suoi sudditi. Per esempio, proverà i rigori della giustizia wahabita quella anonima giovane moglie saudita che, avendo scoperto il suo sposo il flagrante adulterio, l’ha filmato con lo smartphone mentre palpava e cercava di baciare una giovane cameriera filippina (che resisteva alle sue avances) e l’ha punito postando il video su facebook per svergognarlo, con il commento: “Mio marito merita uno scandalo, come minimo”.

Il wahabita in azione
Il wahabita in azione ancillare

Il video ha avuto un notevole successo fra le donne saudite, evidentemente anch’esse aduse a questi problemi coi loro sporcaccioni di casa. Il fatto è che lo sporcaccione immortalato nelle sue palpazioni s’è rivolto alla inflessibile giustizia wahabita: la quale ha condannato non lui, ma la donna con la motivazione di aver “diffamato il suo consorte per mezzo delle nuove tecnologie” ma soprattutto “la nazione”, di cui la malvagia ha sporcato l’alta fama di purezza dei costumi e di insuperabile senso del pudore. La donna è sotto processo e rischia un anno di carcere e 500 mila rials di multa, ossia 180 mila euro.
Sempre meglio della pena cominata a Laila Bent Abdel Mouttalib Bassim, cittadina birmana che però faceva la serva in Arabia Saudita. Secondo la giustizia di re Abdallah, è colpevole di aver violato sessualmente la sua nipote di 7 anni e di averla uccisa. Un’accusa certamente provata dai meravigliosi tribunali islamici. La donna è stata decapitata sulle strisce pedonali di La Mecca. Lei ha gridato fino all’ultimo: “Sono innocente, è un’ingiustizia!”. Ma sì, ad ascoltare le donne di servizio, loro sono sempre innocenti. Ma sono donne. E di servizio. Una botta e via.
Le chiacchiere che wahabiti e wahabite si scambiano sui social preoccupano l’eccelsa Casa Regnante, la quale ha emanato un decreto per punire chi “diffonde voci sul governo” nei social media. Secondo la gravità dei pettegolezzi, le pene comprendono le usuali frustate, il carcere, il divieto di viaggiare all’estero e gli arresti domiciliari. Per i casi più gravi, la pena di morte.



La severità della pena è giustificata da alti valori morali: il re Salman, 80 e passa, già affetto da demenza senile o Alzheimer, è da settimane nel reparto di terapia intensiva al Re Faisal Specialist Hospital di Ryad, e si sta aggravando al punto che i medici curanti hanno cancellato il progetto di trasferirlo in più prestigiosi ospedali americani. In questo frangente vibra una intensa, bellissima lotta di potere fra nipoti e zii della famiglia Saud, di cui è bene che la popolazione non spifferi nemmeno una virgola.

E’ d’uopo ricordare che l’Arabia Saudita è da poco stata scelta per guidare il Consiglio dell’Onu sui Diritti Umani, evidentemente per i suoi meriti nella difesa dei Nostri Valori. Per esempio, contro la popolazione civile in Yemen usa il gas sarin: che è un gas odioso non usato da Assad, ma bastava l’accusa falsa per giustificare l’invasione occidentale in Siria. In Yemen le armi chimiche sono invece una necessità giustificata dal fatto che gli yemeniti odiano la nostra libertà.
L’Arabia è un modello per tutti noi, non come Assad o peggio, la Russia. Per questo ci si apre il cuore ad una speranza: che presto le pene alternative colà praticate vengano introdotte anche da noi. Non si capisce altrimenti perché frustate, tagli di arti e decapitazioni siano là dei “diritti umani” e da noi no.



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