ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

giovedì 22 ottobre 2015

Historia docet?


LA RESURREZIONE FATTO STORICO ?                                                                                                                         La resurrezione di Cristo è un fatto storico? Quella tomba vuota così come descritta dagli evangelisti e che turba da secoli la coscienza degli studiosi è una sfida ai canoni della scientificità? di Francesco Lamendola   


Quella tomba vuota, così come descritta dagli evangelisti, turba da secoli la coscienza degli studiosi e delle persone comuni: è una sfida ai canoni oggi universalmente accettati dell’oggettività e della scientificità. Ma che cosa vuol dire “oggettivo”, che cosa vuol dire “scientifico”? Siamo proprio sicuri di saperlo? Di possederne realmente il concetto, oltre che di avere sottomano la definizione formale?
Quella tomba vuota, fuori di Gerusalemme, rimanda, a sua volta, a un evento, presentato come tale dai discepoli di Cristo, ma tenacemente negato non solo dai loro oppositori, allora come oggi, bensì anche da tutti coloro i quali, in nome, appunto, della oggettività e della scientificità, rifiutano di ammettere, in linea di principio, anche la sola possibilità di un fatto come la risurrezione, così come quella di qualsiasi altro miracolo: perché i miracoli, essi dicono – da Voltaire in poi -, non hanno nulla a che fare con la storia.
E dunque: la risurrezione di Cristo deve essere considerata come un fatto storico, nel senso che a questo termine attribuisce, appunto, la disciplina storiografica? Oppure è qualcosa di diverso, qualcosa che, pur collocandosi anche sul piano storico, per un altro verso lo eccede, ed entra nel campo del soprannaturale, la cui via d’accesso non è la scienza, ma la fede? Ma, se è così, quale speranza hanno di comprenderlo, proprio sul piano storiografico, coloro che vi si accostano senza l’elemento della fede e, quindi, senza l’ausilio della Grazia, ma solo con i gli strumenti della ragione naturale? Infine: può il non credente capire qualcosa del fatto della resurrezione di Cristo? E, se sì, che cosa, e fino a che punto?
Ci sembrano utili le riflessioni svolte su questo tema dal padre gesuita François Varillon (nato a Lione nel 1905 e ivi deceduto nel 1978), amico del grande poeta Paul Claudel, in un breve saggio, destinato a una pubblica conferenza, scritto nel 1971-72 e intitolato, appunto, «La résurrection du Christ est-elle un fait historique?» (da: F. Varillon, «Gioia di credere, gioia di vivere»; titolo originale: «Joie de croire joie de vivre», a cura di Bernard Housset, Parigi, Editions du Centurion, 1981; traduzione di Alberta Poltronieri Rizzi, Bologna, Centro Editoriale Dehoniano, 1984, pp. 81-83; 93-94):

«La battaglia di Austerlitz è un fatto storico, come pure la morte del generale De Gaulle.  Anche la risurrezione di Cristo è un fatto storico allo stesso modo? Sì e no. La risurrezione è a un tempo, e inscindibilmente, un fatto storico e un evento per la fede. Più esattamente, è un evento per la fede che comporta un fatto storico (senza il quale non si potrebbe parlare di evento). Fatto storico è la testimonianza degli apostoli: degli uomini che avevano vissuto con Gesù e l’avevano considerato il messia, hanno proclamato di averlo visto vivo dopo la sua morte sulla croce. Questa testimonianza, che è storica, implica qualcosa che non è storico, e che non può esserlo: la risurrezione, come atto di passaggio dalla morte alla vita eterna, può essere una realtà soltanto per la fede. Gli apostoli non sono stati testimoni di questo fatto, e non potevano esserlo (nemmeno se fossero rimasti nel sepolcro di Cristo fino al mattino di pasqua). Infatti, per ciò che riguarda questo mondo nel quale una cosa può essere constatata, la risurrezione è puramente e semplicemente una sparizione. Il corpo di Gesù risorto non appartiene più al nostro universo fisico  dello spazio e del tempo. Di conseguenza è impossibile constatare il passaggio – l’atto di passare -  dalla morte alla vita eterna. Per questo la risurrezione di Gesù non può essere in nessun modo equiparata  alla rianimazione di un cadavere, come nel caso di Lazzaro. La risurrezione di Lazzaro non è il passaggio dalla morte alla vita eterna, al mondo di Dio, ma alla vita così com’era prima della morte. Lazzaro è tornato in vita, alla sua vita di prima di morire. Quando mi rivolgo a dei bambini dico loro che, uscendo dalla tomba, Lazzaro forse ha starnutito, tossito, fatto apprezzamenti sul tempo (piove, c’è il sole). In ogni caso, ha ritrovato i parenti, gli amici, il mondo così come l’aveva lasciato prima di morire, ha ripreso la sua vita e non è stato dispensato dal morire  una seconda volta, anche se non ha trovato la morte definitiva a Marsiglia, come vorrebbe la leggenda.  Nulla in comune dunque tra ciò che chiamiamo la risurrezione di Lazzaro (che è piuttosto il miracolo di un cadavere rianimato) e la risurrezione di Gesù. L’elemento che possiamo considerare storico è ciò che è stato oggetto per gli apostoli di una constatazione  sensoriale o sensibile (per i sensi).  Ora, quello che essi hanno constatato con i loro sensi, ciò che è stato per loro oggetto di una constatazione sensoriale, può consistere soltanto in questo: la tomba vuota è non tanto la manifestazione di Gesù risorto quanto la manifestazione di qualcuno che si presenta loro, senza che essi lo riconoscano ancora come Gesù vivente.  Se lo avessero riconosciuto subito come Gesù vivente, bisognerebbe dire  che si trattava di un cadavere ri-animato. […]
Per lo storico che è solo tale, la risurrezione di Cristo pone una domanda e un problema insolubile con i mezzi  propri dello storico, una domanda che non si può liquidare  con spiegazioni di ordine empirico. È una domanda insieme insolubile e ineludibile: non la si può svuotare di senso, e, sul piano puramente storico, non la si può risolvere. Non si tratta soltanto di un enigma storico, come l’identità della maschera di ferro o la nascita di Weygand. Si tratta di un problema che supera qualsiasi possibilità di soluzione (mi riferisco naturalmente al piano  puramente storico). Non solo non è risolto, ma non è risolvibile. La risurrezione, a questo livello storico, non può essere affermata come fatto storico; ma non può nemmeno smettere di essere un problema storico, un problema oggettivamente posto. Dal punto di vista dello storico è impossibile andare oltre. Ma nessuno storico è solamente storico, così come nessuno scienziato è solamente tale. Uno scienziato è un uomo, e anche uno storico è un uomo che può essere sposato, avere dei bambini, essere musicista, essere credente… Ora, dal momento che è un uomo, lo storico non può rintanarsi  nello studio di un oggetto accuratamente delimitato e considerato con l’indifferenza  della scienza che è solo scienza. Lo storico non può evitare di sentirsi in prima persona impegnato nella storia: è necessario allora che lasci parlare l’uomo che è in lui, l’uomo che è alle prese con il senso di questa storia. Impossibile che oggi non avverta la domanda, il problema posto da venti secoli di cristianesimo; impossibile che non si interroghi sul possibile senso divino della storia umana. Il fatto assolutamente originale della risurrezione di Cristo (diciamo meglio per non dare nulla per scontato: il fatto assolutamente originale della testimonianza degli apostoli sulla risurrezione di Cristo) non può non porgli il problema di una “dimensione trascendente” della storia. Può dunque ragionevolmente ammettere che il “dito di Dio” è qui, presente, può ammetterlo in quanto uomo che si interroga sul senso dell’esistenza umana. Bisogna andare oltre e aggiungere che questa è l’unica ragionevole via d’uscita all’ineludibile problema? Ma questo esige che egli ammetta i limiti radicali della ragione umana nella sua funzione ermeneutica della concatenazione dei fenomeni. Egli deve anche, se vuole essere davvero serio, sviscerare una filosofia del corpo per comprendere che la scomparsa del cadavere di Gesù non è volatilizzazione della materia ma assunzione trasfigurante di questa materia in Dio. Gli sarà sempre lecito rifiutare questa valutazione; allora però  rimarrà chiuso nella valutazione di un fatto sprovvisto di senso. Soltanto l’atto di fede apre al senso. Questo senso ci dice che la morte è sconfitta, o che l’amore è più forte della morte. […]»

Ecco un modo di ragionare chiaro, onesto, limpido: qui abbiamo un dire pane al pane e vino al vino. L’unica maniera onesta, per lo storico onesto, di accostarsi al fatto della resurrezione di Cristo, è quello di non eludere il problema, di accettare la sfida di quella tomba vuota, la testimonianza degli apostoli e degli altri testimoni (le pie donne al sepolcro), perfino il mancato riconoscimento, in un primo tempo, di Cristo risorto e trasfigurato, da parte di Pietro e degli altri, sul mare di Galilea.
Fin dall’antichità, i nemici del cristianesimo si sono soffermati su quelle discrepanze, su quelle aporie nelle testimonianze di parte cristiana; e già il filosofo Celso puntava il dito contro le apparenti contraddizioni: gli angeli che vegliavano presso il sepolcro, erano due o era uno solo? Come mai i racconti evangelici sono discordi? E come mai gli apostoli non hanno riconosciuto subito Gesù, quando è apparso loro presso le rive del lago di Tiberiade? Eppure, una riflessione anche superficiale porta ad avvalorare la testimonianza dei Vangeli: se si fosse trattato di un imbroglio preordinato, i ciarlatani si sarebbero accordati in maniera da fornire una versione più coerente e priva di contraddizioni.
Sia come sia: resta il fatto che la storia è storia delle cose umane, non è teologia; e la resurrezione di Cristo – ben diversa, ha perfettamente ragione il Varillon, dalla rianimazione del cadavere di Lazzaro – non appartiene all’ambito delle cose umane, non appartiene alla dimensione terrena – o non solo alla dimensione terrena. Essa è, essenzialmente, un evento soprannaturale: al punto che – ha di nuovo ragione Varillon – se anche Pietro e Giovanni, o le pie donne, si fossero trovati all’interno del sepolcro, e se avessero vegliato dal venerdì sera alla domenica mattina, senza mai perdere d’occhio quel cadavere, nemmeno allora avrebbero visto qualcosa: perché l’occhio umano non può vedere il soprannaturale, così come la mente umana non lo può comprendere, e tanto meno lo può spiegare.
L’obiezione classica del razionalista intransigente, a questo punto, è che, se un evento di ordine soprannaturale non è umanamente percepibile, né comprensibile, né spiegabile, allora non ha nemmeno senso il fatto che lo storico se ne occupi: meglio farebbe ad ignorarlo, perché la storia non deve occuparsi di ciò che esula dal suo ambito di competenza. Questa obiezione ha l’apparenza del ragionamento corretto, ma, a ben guardare, nasconde un sofisma. Infatti, la resurrezione di Cristo, per come la raccontano le fonti evangeliche e per come ne parlano le lettere paoline e gli altri testi neotestamentari, è un fatto: un fatto narrato, e non una opinione. Naturalmente, per credere al significato di quel fatto, bisogna fare appello alla fede, cioè ad una dimensione extrastorica; ma non per prendere atto, semplicemente, che alcune persone sostennero la realtà di quel fatto. Ecco perché lo storico non può eludere o ignorare la resurrezione di Cristo: perché ne parlano, e ne parlano come di cosa certa, alcune fonti coeve; e perché vi hanno creduto, come cosa vera, un discreto numero di persone, parte delle quali erano state testimoni, parte erano vissute all’epoca di quell’evento, pur senza averne avuto una esperienza diretta.
Questo è l’ambito della storia, questo è il dovere dello storico: registrare le cose accadute e tramandate, comprese quelle la cui verità è opinabile, e che già all’epoca non erano universalmente accettate. Però, per il solo fatto che se ne parlava, quelle cose afferiscono all’indagine storica: lo storico non deve eliminare dalla sua ricerca la Crociata dei fanciulli, o le stimmate di San Francesco d’Assisi, solo perché la prima non è storicamente certa e le seconde non sono scientificamente verificabili: quel che conta, per lo storico, è che di quei fatti si sia parlato come di cose reali, che siano entrati nell’immaginario collettivo, veri o non veri che fossero. Anche le origini della Grande paura del 1789 sono incerte; non si è nemmeno capito se si trattò di una ondata d’isteria collettiva, o di un piani preordinato, o di una via di mezzo fra le due cose: però lo storico si prende la briga di studiarla, per poi inserirla nel quadro complessivo della Rivoluzione francese. Alla storia non appartengono solo le cose vere, o incontrovertibilmente vere; ma anche le cose che furono ritenute vere da alcuni e che furono, comunque, oggetto di credenza, e sia pure controversa.
Il significato della Resurrezione, invece, esorbita dall’ambito della storiografia, perché si tratta di una questione prettamente teologica. Se non si crede in Dio, o, perlomeno, se non si ammette l’esistenza di Dio come una ragionevole ipotesi, non la si può nemmeno concepire. Dunque non sarà lo storico ad occuparsene, ma il teologo: essa, nel suo significato, è oggetto di fede, non di storia. Lo storico, in quanto tale, deve fermarsi davanti a quel sepolcro vuoto, a quelle vesti ripiegate in un angolo, a quella pietra rotolata a fianco dell’ingresso. In quanto uomo, egli può essere un credente, e allora può spingersi oltre; in quanto storico, no. Però non deve nemmeno escludere a priori che qualcosa di soprannaturale sia avvenuto. Il soprannaturale è la dimensione che si trova oltre quella naturale, noncontro di essa: non smentisce la ragione, la affianca. Dunque, la porta resta socchiusa: lo storico non afferma e non esclude; sospende il giudizio. Ma la storia non è una mera curiosità del passato: è parte dell’umana ricerca della Verità; come lo sono l’arte, la filosofia, la scienza, e, naturalmente, la religione. Ora, la storia ci fornisce un indizio ben preciso; altri indizi li forniscono la scienza, la filosofia, eccetera. E tutti convergono nella stessa direzione…

Francesco Lamendola




La resurrezione di Cristo è un fatto storico?

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Francesco Lamendola

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