Il dato fondamentale è che fra tanto fumo di sapore cattolico diffuso pour épater les buorgeois, viene sempre ossessivamente ribadita la necessità di sostituire ai principi della Chiesa cattolica, l’attenzione per le condizioni esistenziali concrete, perché sono queste che dettano le regole…
di Patrizia Fermani
Chi si è inflitto la pena di leggere l’intero volume dei documenti sinodali, ha avuto davanti il quadro completo del rapporto che la Chiesa di Bergoglio ha inteso stabilire ufficialmente col mondo. E dunque aspettando la Relatio finale, c’erano buoni motivi per pensare che in ogni caso l’esito del Sinodo sarebbe stato negativo.
Si è detto che nella migliore delle ipotesi, sarebbe stata riconfermata teoricamente la dottrina di sempre, e lasciato alla prassi il compito di eroderne a poco a poco il dettato. Del resto è quanto si verifica già da decenni, con quel distacco tra dottrina e prassi persino teorizzata dai teologi, di cui pochi si sono accorti, molti hanno fatto finta di non accorgersi, mentre altri hanno ritenuto la cosa un dato del tutto trascurabile. Ma è chiaro che il solo parlare di riconferma della dottrina, sul presupposto che essa possa diventare oggetto di decisione assembleare, sta ad indicare come siamo già stati traghettati fuori dal cattolicesimo perché Vangelo e comandamenti dipendono dal consenso, vero pilastro della attuale religione civile.
Tuttavia, si è anche detto che l’esito peggiore del sinodo sarebbe stato quello di rimettere caso per caso ogni decisione sulla questione cruciale della ammissione ai sacramenti dei divorziati risposati, oggi al vescovo, domani al consiglio pastorale e poi al capo scout, tutti abilitati ad impiegare l’ormai noto criterio di nuovo conio ecclesiastico del discernimento. Una parola questa, che un tempo evocava la paziente fatica dell’intelligenza, ma ora è entrata stabilmente nel formulario della chiesa, che la impiega con insistenza per rassicurare il popolo di Dio sulla ponderazione e la accortezza dell’azione pastorale. Ma in realtà sta ad indicare come e perché l’azione pastorale debba accomodarsi al meglio alle richieste del mondo. Infatti per la nuova chiesa il discernimento è il sostitutivo del giudizio e della legge che lo presuppone. Ovvero in senso inverso, una volta abolita la legge, e abolito quindi il criterio per giudicare, qualunque realtà deve essere accolta se comunemente accettata, e questa arte di adeguarsi hegelianamente allo spirito del tempo, cosa che può persino evocare ad orecchio lo Spirito Santo, si chiama appunto “ discernimento”. E siccome è anche utile dare a tale vasta accoglienza del reale una connotazione virtuosa, la si chiama senza troppo scrupolo, “misericordia”. Così non vengono tirati in ballo i principi, è assicurata la benevolenza della clientela e ci si risparmia l’ostilità degli avversari. Vantaggi di tutto rispetto si dirà. Se non fosse che il rovescio di questa medaglietta di cartapesta segna il suicidio religioso, oltre a quello civile, morale e perfino giuridico.
Ora, nella relatio finale l’atteso riferimento alla questione in parola emerge quasi a fatica in certi passi abilmente fumosi, in mezzo ad una estenuante matassa di luoghi comuni, evidenze lapalissiane , banalità sociologiche, doverosi omaggi ai principi del nuovo collettivismo parrocchiale, trasferita da un documento sinodale all’altro con asfissiante ripetitività.
Improvvisamente ogni riferimento esplicito alla comunione per i divorziati risposati è scomparso. Tuttavia apprendiamo che essi : 1) sono fratelli e sorelle battezzati ai quali lo Spirito Santo riversa doni e carismi per il bene di tutti. 2) devono perciò essere più integrati nelle comunità cristiane “evitando ogni occasione di scandalo”(?) (e qui non si capisce se sono costoro che non devono dare scandalo o sono gli altri fedeli che non debbono scandalizzarsi), secondo la logica dell’accompagnamento pastorale. 3) ai fini di tale integrazione, possono essere impiegati in diversi servizi ecclesiali. Sicché bisogna discernere quali forme di esclusione attualmente praticate in ambito liturgico, pastorale, educativo e istituzionale possono essere superate(4).
Ora in modo molto felpato è così pronto il piatto di portata su cui potrà essere depositata la decisione finale di Bregoglio che ha l’ultima parola. In ogni caso, anche se non verrà detto in termini più espliciti per l’immediato, magari in considerazione della opposizione interna che in qualche modo si è manifestata ( i 72, 80 e 64 no ricavati dai paragrafi 84,85 e 86 nella votazione finale), il terreno è stato preparato a dovere ufficialmente sulla scia di quanto Begoglio ha largamente anticipato fin dall’inizio a partire dalla Evangelii Gaudium dove per la prima volta nella storia del pontificato, è stata dichiarata superata la legge naturale che per la chiesa è la legge divina esplicitata attraverso dottrina cattolica.
Alla fine del paragrafo 84 leggiamo in controluce il passaggio concettuale di base che rende possibile questo trapasso dalla legge assoluta scolpita nella dottrina al nuovo criterio relativista. Partendo dal valore della tenerezza che guida i rapporti famigliari, si passa ad esortare, con le parole di Bergoglio, ad accogliere con tenerezza le situazioni difficili di chi ci sta accanto piuttosto che adottare “soluzioni impersonali”. Poiché l’esortazione, nel contesto da cui è tratta, era rivolta alla chiesa stessa, ancora una volta qui come altrove ripetutamente, si insinua la confusione tra piani diversissimi ed irriducibili quali sono quelli della disposizione personale richiesta ai pastori come a qualunque cristiano, con la regola valida oggettivamente che da tutti deve essere rispettata. Come se la validità di questa e il rispetto che le è dovuto in quanto legge giusta, possa compromettere la inclinazione soccorrevole verso il prossimo. Come se l’obbligo morale di soccorrere anche il reo ferito avesse qualcosa a che fare con la legge che questi ha appena violato aggredendo qualcuno. Su questo equivoco scivola continuamente la supposta paideia bergogliana che conduce inevitabilmente alla confusione tra bene e male, osservanza e disobbedienza, colpevoli e innocenti e alla abolizione del giudizio e del timor di Dio.
Ora, per tornare alla questione discussa, è evidente che se si rimuovono le conseguenze sacramentali della violazione della indissolubilità matrimoniale, si rimuove il sacramento che ha il significato indiscutibile di elevare il vincolo matrimoniale ad istituzione di diritto divino. Il matrimonio cattolico si pone al disopra della finitezza degli sposi perché essi vi attivano le proprie facoltà superiori: la capacità di impegnare la propria ragione e il proprio senso morale, di dominare gli istinti in vista di un fine superiore assegnato alle proprie azioni, di riflettere sul significato e sulle conseguenze di esse, di dirigere al bene la propria volontà, di esercitare le virtù cristiane e soprattutto quella fortezza e quel coraggio divenuti estranei nella diffusa cultura del piagnisteo. Il sacrificio di Cristo, che non ha chiesto sconti di pena come non li ha concessi, fornisce anche in questo il modello per l’uomo.
Tommaso Moro ha messo in gioco la propria vita non perché ritenesse frivola e insensata la passione d’amore che il proprio re nutriva per la dama di corte di sua moglie, o perché considerasse quella ragazza inadeguata a ricoprire il ruolo di nuova regina. Ma perché sapeva che il matrimonio del re, come di chiunque altro mortale, doveva rimanere una cosa più grande dei suoi desideri e delle sue passioni. Perché il sacramento testimoniava il valore trascendente che ad esso aveva espressamente attribuito il Salvatore.
.
Non bisogna dimenticare a questo proposito come Joseph Ratzinger abbia sempre indicato in quattro elementi fondamentali l’essenza del cattolicesimo: i Comandamenti, il Padre Nostro, il Credo e i Sacramenti. I primi non vengono più nominati da tempo perché sopravvivono per la nuova religione civile postcattolica solo quelli che coincidono con la legge dello stato e nei limiti consentiti dallo stato sovranazionale. Il credo è svuotato di gran parte della maggior parte dei suoi contenuti, come il fiat voluntas tua del Padre è stata sostituito bergoglianamente con la tenerezza materna. I sacramenti vanno ridotti al minimo come nella sintesi luterana proprio perché il “sacer” che sta alla loro radice etimologica è stato il primo nemico combattuto dalla nuova “teologia” postconciliare, tutta intenta a staccare l’uomo dalla trascendenza. Basti ricordare come Bruno Forte, l’altro capomastro della chiesa di Bergoglio, dicesse insieme agli altri demolitori del cattolicesimo, che era stata la esasperata accentuazione del sacro ad impedire alla chiesa preconciliare di apprezzare adeguatamente i valori del mondo.
La questione della Comunione ai divorziati risposati, di rilievo sociologico del tutto marginale, ha alimentato da tanti anni una polemica interna alla Chiesa perché, enfatizzata ad arte, doveva fungere da piede di porco per quell’indebolimento progressivo del cattolicesimo che lo ha avviato ad assimilarsi al protestantesimo .
Ecco dunque perché l’esito del sinodo, che non ha individuato le cause della crisi della famiglia, come ci si sarebbe dovuti aspettare, nello abbandono dei principi cristiani, era segnato. Esso era già tutto contenuto in quell’insano corpus che va dalla Evangelii Gaudium, ai documenti premessi o seguiti alla fase sinodale intermedia. Al tutto si sono aggiunti, anch’essi ampiamente preannunciati negli stessi documenti sinodali, i Motu Proprio sulle cause di nullità del matrimonio canonico. Non bisogna dimenticare che la questione era stata inserita fin dall’inizio fra le materie che dovevano essere discusse, e che poi è stata stralciata d’autorità perché superata preventivamente proprio con i Motu proprio pubblicati poco prima dell’inizio della Sessione di ottobre .
Il dato fondamentale è che in tutta questa congerie di scritti, fra tanto fumo di sapore cattolico diffuso pour épater les buorgeois, viene sempre ossessivamente ribadita la necessità di sostituire ai principi della Chiesa cattolica, l’attenzione per condizioni esistenziali concrete, perché sono queste che dettano le regole. Solo che la regola del caso concreto diventa il caso concreto che si regola da sé e quindi supera ogni esigenza di disciplina. E’ la regola del relativo , imponderabile, fluida e autodistruttiva per una comunità che invece, per non naufragare, dovrebbe avere sempre segnata con precisione la rotta da seguire. Nella nuova prospettiva sfacciatamente relativistica del discernimento a conduzione variabile, è segnato il naufragio della società, insieme a quello della civiltà cristiana. Un naufragio in cui saranno inghiottite anche tutte le esistenze singole, e che tuttavia sembra uscire clamorosamente dall’interesse di questi pastori teneri e misericordiosi.
Intanto gli accorti ideatori dell’abbraccio col mondo, nella sintesi dialettica tra demagogia comunista e liberalismo etico, non si sono accorti neppure che la regola da adottare ad personam, come legge della misericordia per il caso concreto, cozzi paradossalmente con il comandamento egualitario della Costituzione, quella che per tanti di essi ha sostituito il Vangelo, secondo l’esempio di un gigante della teologia cattolica come Don Gallo. Di quella Costituzione e di quella Dichiarazione Universale dei diritti dell’uomo, cui la nuova chiesa postconciliare si è votata e che anche il sinodo non ha mancato di evocare con compunzione.
Altra curiosità : se i Motu proprio firmati da Bergoglio e le nuove linee guida sinodali hanno abolito per vie traverse, ma non troppo, l’indissolubilità matrimoniale sull’esempio biblico di Mosè che aveva dovuto tenere conto della “durezza dei cuori” e delle cervici, bisognerà prender atto che Cristo è venuto ad annunciare invano il logos di Dio, anche per il tempo successivo a quello in cui Giovanni aveva constatato in modo lapidario che i suoi “non lo avevano riconosciuto”.
Di certo, in mezzo a questa orgia di misericordia spavaldamente sottratta ai disegni imperscrutabili di Dio, i provvidi pastori hanno dimenticato del tutto le ragioni profonde della disfatta etica e culturale in atto, cioè proprio di quello che avrebbe dovuto attrarre la loro attenzione. Insomma sembra proprio che ai “padri sinodali” plaudenti, e forse impazienti di mettere fine alla telenovela, continui a sfuggire che il risultato di questo surreale lavoro sarà una energica spinta verso il completamento dell’opera distruttiva. Insomma un capolavoro della demolizione cattolica applaudita da certi zelanti ufficiali di Bergoglio. In fondo lo erano anche i generali che tornavano a rapporto a Parigi dopo le riuscite campagne della Vandea.
Chi si è inflitto la pena di leggere l’intero volume dei documenti sinodali, ha avuto davanti il quadro completo del rapporto che la Chiesa di Bergoglio ha inteso stabilire ufficialmente col mondo. E dunque aspettando la Relatio finale, c’erano buoni motivi per pensare che in ogni caso l’esito del Sinodo sarebbe stato negativo.
Si è detto che nella migliore delle ipotesi, sarebbe stata riconfermata teoricamente la dottrina di sempre, e lasciato alla prassi il compito di eroderne a poco a poco il dettato. Del resto è quanto si verifica già da decenni, con quel distacco tra dottrina e prassi persino teorizzata dai teologi, di cui pochi si sono accorti, molti hanno fatto finta di non accorgersi, mentre altri hanno ritenuto la cosa un dato del tutto trascurabile. Ma è chiaro che il solo parlare di riconferma della dottrina, sul presupposto che essa possa diventare oggetto di decisione assembleare, sta ad indicare come siamo già stati traghettati fuori dal cattolicesimo perché Vangelo e comandamenti dipendono dal consenso, vero pilastro della attuale religione civile.
Tuttavia, si è anche detto che l’esito peggiore del sinodo sarebbe stato quello di rimettere caso per caso ogni decisione sulla questione cruciale della ammissione ai sacramenti dei divorziati risposati, oggi al vescovo, domani al consiglio pastorale e poi al capo scout, tutti abilitati ad impiegare l’ormai noto criterio di nuovo conio ecclesiastico del discernimento. Una parola questa, che un tempo evocava la paziente fatica dell’intelligenza, ma ora è entrata stabilmente nel formulario della chiesa, che la impiega con insistenza per rassicurare il popolo di Dio sulla ponderazione e la accortezza dell’azione pastorale. Ma in realtà sta ad indicare come e perché l’azione pastorale debba accomodarsi al meglio alle richieste del mondo. Infatti per la nuova chiesa il discernimento è il sostitutivo del giudizio e della legge che lo presuppone. Ovvero in senso inverso, una volta abolita la legge, e abolito quindi il criterio per giudicare, qualunque realtà deve essere accolta se comunemente accettata, e questa arte di adeguarsi hegelianamente allo spirito del tempo, cosa che può persino evocare ad orecchio lo Spirito Santo, si chiama appunto “ discernimento”. E siccome è anche utile dare a tale vasta accoglienza del reale una connotazione virtuosa, la si chiama senza troppo scrupolo, “misericordia”. Così non vengono tirati in ballo i principi, è assicurata la benevolenza della clientela e ci si risparmia l’ostilità degli avversari. Vantaggi di tutto rispetto si dirà. Se non fosse che il rovescio di questa medaglietta di cartapesta segna il suicidio religioso, oltre a quello civile, morale e perfino giuridico.
Ora, nella relatio finale l’atteso riferimento alla questione in parola emerge quasi a fatica in certi passi abilmente fumosi, in mezzo ad una estenuante matassa di luoghi comuni, evidenze lapalissiane , banalità sociologiche, doverosi omaggi ai principi del nuovo collettivismo parrocchiale, trasferita da un documento sinodale all’altro con asfissiante ripetitività.
Improvvisamente ogni riferimento esplicito alla comunione per i divorziati risposati è scomparso. Tuttavia apprendiamo che essi : 1) sono fratelli e sorelle battezzati ai quali lo Spirito Santo riversa doni e carismi per il bene di tutti. 2) devono perciò essere più integrati nelle comunità cristiane “evitando ogni occasione di scandalo”(?) (e qui non si capisce se sono costoro che non devono dare scandalo o sono gli altri fedeli che non debbono scandalizzarsi), secondo la logica dell’accompagnamento pastorale. 3) ai fini di tale integrazione, possono essere impiegati in diversi servizi ecclesiali. Sicché bisogna discernere quali forme di esclusione attualmente praticate in ambito liturgico, pastorale, educativo e istituzionale possono essere superate(4).
Ora in modo molto felpato è così pronto il piatto di portata su cui potrà essere depositata la decisione finale di Bregoglio che ha l’ultima parola. In ogni caso, anche se non verrà detto in termini più espliciti per l’immediato, magari in considerazione della opposizione interna che in qualche modo si è manifestata ( i 72, 80 e 64 no ricavati dai paragrafi 84,85 e 86 nella votazione finale), il terreno è stato preparato a dovere ufficialmente sulla scia di quanto Begoglio ha largamente anticipato fin dall’inizio a partire dalla Evangelii Gaudium dove per la prima volta nella storia del pontificato, è stata dichiarata superata la legge naturale che per la chiesa è la legge divina esplicitata attraverso dottrina cattolica.
Alla fine del paragrafo 84 leggiamo in controluce il passaggio concettuale di base che rende possibile questo trapasso dalla legge assoluta scolpita nella dottrina al nuovo criterio relativista. Partendo dal valore della tenerezza che guida i rapporti famigliari, si passa ad esortare, con le parole di Bergoglio, ad accogliere con tenerezza le situazioni difficili di chi ci sta accanto piuttosto che adottare “soluzioni impersonali”. Poiché l’esortazione, nel contesto da cui è tratta, era rivolta alla chiesa stessa, ancora una volta qui come altrove ripetutamente, si insinua la confusione tra piani diversissimi ed irriducibili quali sono quelli della disposizione personale richiesta ai pastori come a qualunque cristiano, con la regola valida oggettivamente che da tutti deve essere rispettata. Come se la validità di questa e il rispetto che le è dovuto in quanto legge giusta, possa compromettere la inclinazione soccorrevole verso il prossimo. Come se l’obbligo morale di soccorrere anche il reo ferito avesse qualcosa a che fare con la legge che questi ha appena violato aggredendo qualcuno. Su questo equivoco scivola continuamente la supposta paideia bergogliana che conduce inevitabilmente alla confusione tra bene e male, osservanza e disobbedienza, colpevoli e innocenti e alla abolizione del giudizio e del timor di Dio.
Ora, per tornare alla questione discussa, è evidente che se si rimuovono le conseguenze sacramentali della violazione della indissolubilità matrimoniale, si rimuove il sacramento che ha il significato indiscutibile di elevare il vincolo matrimoniale ad istituzione di diritto divino. Il matrimonio cattolico si pone al disopra della finitezza degli sposi perché essi vi attivano le proprie facoltà superiori: la capacità di impegnare la propria ragione e il proprio senso morale, di dominare gli istinti in vista di un fine superiore assegnato alle proprie azioni, di riflettere sul significato e sulle conseguenze di esse, di dirigere al bene la propria volontà, di esercitare le virtù cristiane e soprattutto quella fortezza e quel coraggio divenuti estranei nella diffusa cultura del piagnisteo. Il sacrificio di Cristo, che non ha chiesto sconti di pena come non li ha concessi, fornisce anche in questo il modello per l’uomo.
Tommaso Moro ha messo in gioco la propria vita non perché ritenesse frivola e insensata la passione d’amore che il proprio re nutriva per la dama di corte di sua moglie, o perché considerasse quella ragazza inadeguata a ricoprire il ruolo di nuova regina. Ma perché sapeva che il matrimonio del re, come di chiunque altro mortale, doveva rimanere una cosa più grande dei suoi desideri e delle sue passioni. Perché il sacramento testimoniava il valore trascendente che ad esso aveva espressamente attribuito il Salvatore.
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Non bisogna dimenticare a questo proposito come Joseph Ratzinger abbia sempre indicato in quattro elementi fondamentali l’essenza del cattolicesimo: i Comandamenti, il Padre Nostro, il Credo e i Sacramenti. I primi non vengono più nominati da tempo perché sopravvivono per la nuova religione civile postcattolica solo quelli che coincidono con la legge dello stato e nei limiti consentiti dallo stato sovranazionale. Il credo è svuotato di gran parte della maggior parte dei suoi contenuti, come il fiat voluntas tua del Padre è stata sostituito bergoglianamente con la tenerezza materna. I sacramenti vanno ridotti al minimo come nella sintesi luterana proprio perché il “sacer” che sta alla loro radice etimologica è stato il primo nemico combattuto dalla nuova “teologia” postconciliare, tutta intenta a staccare l’uomo dalla trascendenza. Basti ricordare come Bruno Forte, l’altro capomastro della chiesa di Bergoglio, dicesse insieme agli altri demolitori del cattolicesimo, che era stata la esasperata accentuazione del sacro ad impedire alla chiesa preconciliare di apprezzare adeguatamente i valori del mondo.
La questione della Comunione ai divorziati risposati, di rilievo sociologico del tutto marginale, ha alimentato da tanti anni una polemica interna alla Chiesa perché, enfatizzata ad arte, doveva fungere da piede di porco per quell’indebolimento progressivo del cattolicesimo che lo ha avviato ad assimilarsi al protestantesimo .
Ecco dunque perché l’esito del sinodo, che non ha individuato le cause della crisi della famiglia, come ci si sarebbe dovuti aspettare, nello abbandono dei principi cristiani, era segnato. Esso era già tutto contenuto in quell’insano corpus che va dalla Evangelii Gaudium, ai documenti premessi o seguiti alla fase sinodale intermedia. Al tutto si sono aggiunti, anch’essi ampiamente preannunciati negli stessi documenti sinodali, i Motu Proprio sulle cause di nullità del matrimonio canonico. Non bisogna dimenticare che la questione era stata inserita fin dall’inizio fra le materie che dovevano essere discusse, e che poi è stata stralciata d’autorità perché superata preventivamente proprio con i Motu proprio pubblicati poco prima dell’inizio della Sessione di ottobre .
Il dato fondamentale è che in tutta questa congerie di scritti, fra tanto fumo di sapore cattolico diffuso pour épater les buorgeois, viene sempre ossessivamente ribadita la necessità di sostituire ai principi della Chiesa cattolica, l’attenzione per condizioni esistenziali concrete, perché sono queste che dettano le regole. Solo che la regola del caso concreto diventa il caso concreto che si regola da sé e quindi supera ogni esigenza di disciplina. E’ la regola del relativo , imponderabile, fluida e autodistruttiva per una comunità che invece, per non naufragare, dovrebbe avere sempre segnata con precisione la rotta da seguire. Nella nuova prospettiva sfacciatamente relativistica del discernimento a conduzione variabile, è segnato il naufragio della società, insieme a quello della civiltà cristiana. Un naufragio in cui saranno inghiottite anche tutte le esistenze singole, e che tuttavia sembra uscire clamorosamente dall’interesse di questi pastori teneri e misericordiosi.
Intanto gli accorti ideatori dell’abbraccio col mondo, nella sintesi dialettica tra demagogia comunista e liberalismo etico, non si sono accorti neppure che la regola da adottare ad personam, come legge della misericordia per il caso concreto, cozzi paradossalmente con il comandamento egualitario della Costituzione, quella che per tanti di essi ha sostituito il Vangelo, secondo l’esempio di un gigante della teologia cattolica come Don Gallo. Di quella Costituzione e di quella Dichiarazione Universale dei diritti dell’uomo, cui la nuova chiesa postconciliare si è votata e che anche il sinodo non ha mancato di evocare con compunzione.
Altra curiosità : se i Motu proprio firmati da Bergoglio e le nuove linee guida sinodali hanno abolito per vie traverse, ma non troppo, l’indissolubilità matrimoniale sull’esempio biblico di Mosè che aveva dovuto tenere conto della “durezza dei cuori” e delle cervici, bisognerà prender atto che Cristo è venuto ad annunciare invano il logos di Dio, anche per il tempo successivo a quello in cui Giovanni aveva constatato in modo lapidario che i suoi “non lo avevano riconosciuto”.
Di certo, in mezzo a questa orgia di misericordia spavaldamente sottratta ai disegni imperscrutabili di Dio, i provvidi pastori hanno dimenticato del tutto le ragioni profonde della disfatta etica e culturale in atto, cioè proprio di quello che avrebbe dovuto attrarre la loro attenzione. Insomma sembra proprio che ai “padri sinodali” plaudenti, e forse impazienti di mettere fine alla telenovela, continui a sfuggire che il risultato di questo surreale lavoro sarà una energica spinta verso il completamento dell’opera distruttiva. Insomma un capolavoro della demolizione cattolica applaudita da certi zelanti ufficiali di Bergoglio. In fondo lo erano anche i generali che tornavano a rapporto a Parigi dopo le riuscite campagne della Vandea.
http://www.riscossacristiana.it/il-sinodo-in-cui-si-specchia-la-chiesa-di-patrizia-fermani/
Continua l’opera di disinformazione sul Sinodo
Sarà noioso, ma non si può fare a meno: il tentativo costante, da
parte di una pattuglia di giornalisti cattolici, di imporre una lettura
del Sinodo fuorviante merita risposte pedanti e puntuali. Su Vatican Indsider di oggi, Gianni Valente riprende a suonare la stessa campana, intervistando, guarda caso, un padre sinodale che appartiene sempre alla stessa fazione. Uno di quelli, per intenderci, che i padri sinodali chiamati al voto per il nuovo consiglio sinodale non hanno eletto, non trovandolo così rappresentativo come lo trova invece il giornalista Valente: mons. Johan Bonny, già collaboratore del cardinale Walter Kasper, vicino al cardinale Godfried Danneels, oggi alla guida della diocesi di Anversa (1)
Valente deve fare una premessa, vaga, ma, visto il personaggio intervistato, necessaria: su Bonny “circolano ritratti caricaturali, scritti da penne intinte al veleno. Eppure il suo bilancio del Sinodo non sembra tratteggiato da un pasdaran del relativismo teologico“.
Cosa dicono i presunti ritratti caricaturali non si dice; è meglio non farlo; basta accreditare
l’ospite, prima di lasciargli la possibilità di esprimere il suo pensiero.
Se Valente avesse detto la verità, e cioè che che Bonny è uno strenuo avversario dell’enciclica Humanae vitae, che il Sinodo però non ha affatto cassato, e un difensore dei matrimoni gay, che il Sinodo non ha per nulla approvato, forse alcuni lettori avrebbero drizzato le antenne e si sarebbero chiesti: ma da dove viene questo Bonny? Forse dal paese che ha il record di chiese vuote, insieme alla Germania di Kasper? E’ davvero necessario preferire il belga e il tedesco, ai padri africani, o a quelli dell’Europa Orientale?
Valente presenta dunque con tratti molto amibgui il luminare, scelto con il lumicino, perchè trovarne di così arditi non è facile, e poi lo imbocca. Vediamo un passaggio:
Hanno provato ad affossare il paragrafo sul discernimento dei divorziati risposati, nonostante non ci fosse nemmeno un riferimento esplicito alla riammissione ai sacramenti. A cosa miravano?
«Quelli che su quel punto non volevano lasciare la minima apertura erano convinti di “vincere”. Si sono detti: su quella formulazione non facciamo obiezioni preliminari, e poi al momento del voto voteremo contro. Volevano dare il segnale: di questo non vogliamo parlare più, nemmeno lontanamente. Ma hanno fatto male i calcoli. All’inizio erano certo più di ottanta. Vuol dire che, alla fine, alcuni hanno detto: adesso basta, andiamo avanti, verso la posizione pastorale condivisa. E questo cambiamento è maturato durante il Sinodo».
Notare l’incipit della domanda: “hanno provato...”. Chi ha provato? Il soggetto manca, quasi innominabile, ma il lettore è portato a pensare che coloro che hanno provato siano stati degli infiltrati, dei fuorilegge, dei sovversivi, degli extracomunitari entrati di soppiatto al Sinodo; insomma, una pattuglia di guastatori. No, caro lettore, Valente apostrofa così i moltissimi padri sinodali, vescovi e cardinali, decisi a rispettare Familiaris consortio di Giovanni Paolo II. Nel giusto, o errando? Valente ha già dato la sua riposta, nella domanda. E poi l’insinuazione: “A cosa miravano?“.
La risposta di Bonny è ancora più eloquente: sembra stia parlando di una partita di risiko, di una battaglia all’interno del Sinodo, in cui più di ottanta padri miravano a “vincere”! E in cui, invece, avrebbe vinto la fazione buona, la sua.
Un’altra perla, questa volta di Bonny, che cerca di svincolare quello che tutti i dati sociologici confermano, la correlazione tra secolarizzazione e crisi dei matrimoni:
Cosa l’ha convinta di meno, nella trattazione del tema dei matrimoni falliti?
«Alcuni hanno un modo meccanico di interpretare la diminuzione dei matrimoni e i fallimenti matrimoniali solo come effetto automatico della perdita di fede e della secolarizzazione. Dimenticando che divorziano anche tanti bravi cattolici, coinvolti nelle parrocchie e nei movimenti».
1) si noti: Bonny è parte della terna: Kasper-Danneels-Kasper, amatissima e intervistatissima dal quotidiano on line coordinato da Tornielli.
Per la campagna sinodale kasperiana di Gianni Valente:
http://www.libertaepersona.org/wordpress/2015/10/campane-kasperiane-gianni-valente-di-vatican-insider-2/
Per Bonny:
http://www.tempi.it/no-monsignore-quello-che-propone-non-e-cattolico-studenti-contro-il-vescovo-di-anversa-che-vuole-benedire-le-unioni-gay#.Vi5zYivbm70
http://www.espiritugay.com/obispo-johan-bonny-espera-reconocimiento-de-las-relaciones-gays/
http://www.libertaepersona.org/wordpress/2015/10/continua-lopera-di-disinformazione-sul-sinodo/?utm_source=rss&utm_medium=rss&utm_campaign=continua-lopera-di-disinformazione-sul-sinodo
Valente deve fare una premessa, vaga, ma, visto il personaggio intervistato, necessaria: su Bonny “circolano ritratti caricaturali, scritti da penne intinte al veleno. Eppure il suo bilancio del Sinodo non sembra tratteggiato da un pasdaran del relativismo teologico“.
Cosa dicono i presunti ritratti caricaturali non si dice; è meglio non farlo; basta accreditare
l’ospite, prima di lasciargli la possibilità di esprimere il suo pensiero.
Se Valente avesse detto la verità, e cioè che che Bonny è uno strenuo avversario dell’enciclica Humanae vitae, che il Sinodo però non ha affatto cassato, e un difensore dei matrimoni gay, che il Sinodo non ha per nulla approvato, forse alcuni lettori avrebbero drizzato le antenne e si sarebbero chiesti: ma da dove viene questo Bonny? Forse dal paese che ha il record di chiese vuote, insieme alla Germania di Kasper? E’ davvero necessario preferire il belga e il tedesco, ai padri africani, o a quelli dell’Europa Orientale?
Valente presenta dunque con tratti molto amibgui il luminare, scelto con il lumicino, perchè trovarne di così arditi non è facile, e poi lo imbocca. Vediamo un passaggio:
Hanno provato ad affossare il paragrafo sul discernimento dei divorziati risposati, nonostante non ci fosse nemmeno un riferimento esplicito alla riammissione ai sacramenti. A cosa miravano?
«Quelli che su quel punto non volevano lasciare la minima apertura erano convinti di “vincere”. Si sono detti: su quella formulazione non facciamo obiezioni preliminari, e poi al momento del voto voteremo contro. Volevano dare il segnale: di questo non vogliamo parlare più, nemmeno lontanamente. Ma hanno fatto male i calcoli. All’inizio erano certo più di ottanta. Vuol dire che, alla fine, alcuni hanno detto: adesso basta, andiamo avanti, verso la posizione pastorale condivisa. E questo cambiamento è maturato durante il Sinodo».
Notare l’incipit della domanda: “hanno provato...”. Chi ha provato? Il soggetto manca, quasi innominabile, ma il lettore è portato a pensare che coloro che hanno provato siano stati degli infiltrati, dei fuorilegge, dei sovversivi, degli extracomunitari entrati di soppiatto al Sinodo; insomma, una pattuglia di guastatori. No, caro lettore, Valente apostrofa così i moltissimi padri sinodali, vescovi e cardinali, decisi a rispettare Familiaris consortio di Giovanni Paolo II. Nel giusto, o errando? Valente ha già dato la sua riposta, nella domanda. E poi l’insinuazione: “A cosa miravano?“.
La risposta di Bonny è ancora più eloquente: sembra stia parlando di una partita di risiko, di una battaglia all’interno del Sinodo, in cui più di ottanta padri miravano a “vincere”! E in cui, invece, avrebbe vinto la fazione buona, la sua.
Un’altra perla, questa volta di Bonny, che cerca di svincolare quello che tutti i dati sociologici confermano, la correlazione tra secolarizzazione e crisi dei matrimoni:
Cosa l’ha convinta di meno, nella trattazione del tema dei matrimoni falliti?
«Alcuni hanno un modo meccanico di interpretare la diminuzione dei matrimoni e i fallimenti matrimoniali solo come effetto automatico della perdita di fede e della secolarizzazione. Dimenticando che divorziano anche tanti bravi cattolici, coinvolti nelle parrocchie e nei movimenti».
1) si noti: Bonny è parte della terna: Kasper-Danneels-Kasper, amatissima e intervistatissima dal quotidiano on line coordinato da Tornielli.
Per la campagna sinodale kasperiana di Gianni Valente:
http://www.libertaepersona.org/wordpress/2015/10/campane-kasperiane-gianni-valente-di-vatican-insider-2/
Per Bonny:
http://www.tempi.it/no-monsignore-quello-che-propone-non-e-cattolico-studenti-contro-il-vescovo-di-anversa-che-vuole-benedire-le-unioni-gay#.Vi5zYivbm70
http://www.espiritugay.com/obispo-johan-bonny-espera-reconocimiento-de-las-relaciones-gays/
http://www.libertaepersona.org/wordpress/2015/10/continua-lopera-di-disinformazione-sul-sinodo/?utm_source=rss&utm_medium=rss&utm_campaign=continua-lopera-di-disinformazione-sul-sinodo
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