D'accordo: il Sinodo non ne parla. Ma ne parla Pippo Baudo. E non è detto che la cosa contribuisca alla serenità generale. Eucaristia, questa sconosciuta nella Relatio dei Padri Sinodali, che non l'hanno citata nemmeno una volta, a proposito di divorziati risposati. C'è chi dice che sia una vittoria dei reazionari, chi invece dei progressisti. Che categorie stantie, vintage, siamo andati a ripescare!
L'abbiamo capito: i punti 84 e 85 sui divorziati risposati sono frutto di un compromesso. Che ora potrà essere usato come un canovaccio all'interno del quale scorgervi, ognuno, una sua istanza.Pippo Baudo ci fa sapere che «ora chiederò di fare la comunione».
Da che cosa deriva questo convincimento? Dai titoli dei giornali, non certo dalla Relazione, che non glielo permette, né dall'esortazione post sinodale di papa Francesco, che ancora non c'è. Ne si sa se ci sarà. Intanto però il terreno si tiene, diciamo, innaffiato. La grande stampa italiana si è attrezzata a tradurre quel «decideremo caso per caso» che è uscito a poche ore dalla pubblicazione delle relatio. Come?
«Francesco ci porta fuori dalle catacombe», recita il titolo d'apertura di pagina de La Stampa. In che senso? Nel senso che è arrivata «una rivoluzione pastorale». Escono fuori come funghi sacerdoti che, con tanto di nome, ammettono con orgoglio, che loro la comunione ai divorziati risposati la davano già. Repubblica invece punta sulla «nuova strada di apertura di Francesco» che fa entusiasmare il cardinal Hummes. E non poteva mancare lui, il cardinal Kasper che lancia il suo alalà dalle colonne del giornale più conservatore d'Italia, Il Giornale: «Sono soddisfatto, si è aperta una possibilità concreta di concedere la comunione ai divorziati risposati». Ma si è aperta dove? Quale Sinodo ha visto il cardinal Kasper dato che la Relatio, letta in lungo e in largo non ne parla? Semplice: ne parla lo spirito, non la lettera.
Eccoci tornati indietro di 50 anni. Ricordate? Al Concilio Vaticano II l'approvazione della divina costituzione sulla liturgia, la Sacrosantum Concilium. I padri non toccarono di uno iota la messa, la liturgia, il latino, il canto gregoriano, l'orientamento ad Deum del fedele e del celebrante. E nemmeno introdussero quelle parole killer che hanno distrutto il linguaggio con il quale Dio vuole essere comunicato: adeguamento liturgico, aula liturgica, creatività liturgica, chitarre, messa come banchetto e non anche e soprattutto come sacrificio. Furono le singole Conferenze episcopali a iniziare a introdurre di sperimentazione in sperimentazione le variazioni con le quali oggi assistiamo a messe show, abusi e alla completa desacralizzazione della messa, «fonte e culmine della vita cristiana», sempre per stare al Concilio. Neppure la riforma di Paolo VI, con il relativo messale, andava a toccare il cuore sacrificale della messa, né la sua lingua. Eppure oggi le messe show, la creatività liturgica del celebrante, gli abusi ormai intollerabili dai fedeli, sono la prova che qualche cosa è successo.
Quel qualche cosa è lo spirito del Concilio. Una malintesa e strumentalizzata idealizzazione di ciò che la messa non era ed è poi diventata facendo perdere il senso del sacro e di conseguenza la corretta disposizione di animo e di cuore all'incontro perfetto con Dio. Di questo spirito del Concilio, contrario alla lettera, dunque alla dottrina, Benedetto XVI fu uno dei più acuti e intransigenti detrattori. Condannò il Concilio mediatico con parole che oggi, applicate al neonato Spirito del Sinodo, non possono non risultare profetiche. Era il 14 febbraio 2013 e il mondo era sconvolto da quella che appena tre giorni prima era stata la sua rinuncia al ministero petrino. L'occasione era il 50esimo anniversario di indizione dell'assise. «C’era il Concilio dei Padri, il vero Concilio», diceva Ratzinger, «ma c’era anche il Concilio dei media. Era quasi un Concilio a sé, e il mondo ha percepito il Concilio tramite i media». Benedetto XVI lo chiamava «il Concilio dei giornalisti», che «non si è realizzato all’interno della fede, ma all’interno delle categorie dei media di oggi, cioè fuori dalla fede, con un’ermeneutica politica».
Ratzinger attribuiva questo potere dei media all'interno di una «una lotta politica e di potere tra le diverse correnti nella Chiesa». E i media presero così posizione «per quella parte che a loro appariva quella più confacente con il loro mondo. C’erano quelli che cercavano la decentralizzazione della Chiesa, il potere per i vescovi e poi, tramite la parola “Popolo di Dio”, il potere del popolo, dei laici. C’era questa triplice questione: il potere del Papa, poi trasferito al potere dei Vescovi e al potere di tutti, sovranità popolare. Naturalmente, per loro era questa la parte da approvare, da promulgare, da favorire». A farne le spese, tornando alla Sacrosantum Concilium, la tanto bistrattata lettera, con una liturgia che «non interessava come atto della fede, ma come una cosa dove si fanno cose comprensibili, una cosa di attività della comunità, una cosa profana». L'analisi dell'ormai Papa emerito era impietosa: «Queste traduzioni, banalizzazioni dell’idea del Concilio, sono state virulente nella prassi dell’applicazione della Riforma liturgica; esse erano nate in una visione del Concilio al di fuori della sua propria chiave, della fede. Sappiamo come questo Concilio dei media fosse accessibile a tutti».
Ma le conseguenze sono state disastrose, come vediamo sotto gli occhi ormai da tanto tempo: «Il Concilio virtuale ha creato tante calamità, tanti problemi, realmente tante miserie: seminari chiusi, conventi chiusi, liturgia banalizzata e il vero Concilio ha avuto difficoltà a concretizzarsi, a realizzarsi; il Concilio virtuale era più forte del Concilio reale». Leggendo le prime entusiastiche reazioni dei cosiddetti novatori e l'uso che ne sta facendo la grande stampa, l'impressione è che si stia ricreando lo stesso meccanismo di scissione che abbiamo visto con il Concilio Vaticano II. Con un martellamento insistente, fino a quando non entrerà nella testa di ogni singolo fedele, il concetto che la comunione ai divorziati risposati non è altro che una risultante dello spirito del Sinodo. E poco importa se la dottrina non ne parla, anzi la esclude proprio. A questo ci pensano i giornali e i laudatores capitanati da Kasper & C. Diventerà prassi alla luce del sole, senza che ce ne accorgiamo.
LA REALTA' DEL SINODO E IL DELIRIO DEI TURIFERARI
Si tirano le somme del secondo Sinodo sulla famiglia, in cui la maggioranza ‘conservatrice’ in sostanza non si è lasciata intimidire da una campagna mediatica di violenza inaudita. Una Relazione finale equilibrata, approfondita, che sui divorziati risposati – per la preoccupazione di non intaccare l’unità della Chiesa – contiene però qualche considerazione che può apparire ambigua. I ‘progressisti’ sconfitti cercano di rovesciare l’esito, imponendo la loro lettura mendace e causando già grande smarrimento nelle parrocchie.
E così si è conclusa anche la XIV Assemblea generale ordinaria del Sinodo dei Vescovi - in realtà l’ultima parte (solo per ora) di un ciclo incominciato nel febbraio del 2014 con il concistoro caratterizzato dalla relazione “aperturista” del tedesco Walter Kasper. La Relazione finale (criticata duramente nella sua prima versione consegnata ai padri il giovedì sera e poi profondamente modificata) è stata approvata in tutti i punti con i due terzi dei voti necessari ed è stata offerta come elemento per “un documento sulla famiglia” a papa Francesco. Il quale, nel suo intervento conclusivo in aula - certo non entusiasta del documento a lui presentato – ha scelto di bacchettare con durezza insistita quei padri (tanti, in realtà la maggioranza) che avevano dimostrato con coraggio di non condividere certi suoi progetti di una Chiesa ‘rinnovata’.
In effetti, scorrendo con onestà giornalistica la Relazione finale, ai “progressisti” – che avevano affrontato con la consueta baldanza, certi della loro conclamata superiorità intellettuale e morale, l’inizio del Sinodo – si sarebbe ben adattato il detto “Andarono per suonare e furono suonati”, con conseguente rovinosa ritirata di pifferi e tamburi, trombettiere, gazzettieri, Capitani, Fanti e Cavalleri con i loro poveri ronzini. Tanto che in Sala Stampa vaticana sabato pomeriggio qualche “progressista” non d’accatto e d’antico pelo si struggeva sconsolato: “Fallimento, fallimento… a che cosa sono serviti questi due anni di impegno… che cosa sono venuti a fare per tre settimane i padri sinodali? Non abbiamo ottenuto nulla, nulla!”
TURIFERARI AL LAVORO
Eppure da subito altri “progressisti” mediatici, stavolta spesso d’accatto, imponevano la loro lettura del documento. Chi sono questi altri? Fanno parte di una categoria numericamente non irrilevante nel giornalismo italiano, quella che più precisamente viene definita dei “turiferari”. Turiferario (dal latino tus, turis – incenso e fero, fers, tuli, latum, ferre – portare) è colui che inonda il Paese dei profumi del potere. Tre le sottocategorie: il turiferario per vocazione, sempre e comunque ossequiente ai voleri del Capo; il turiferario per scelta opportunistica (sovente gran navigatore, in altri casi voltagabbana pensoso); il turiferario per necessità (e lì comprendiamo la situazione). Allora… che lettura hanno dato i numerosi turiferari annidati in tante redazioni (cattoliche comprese), cartacee, online, radio-televisive? Qualche esempio attraverso i titoli imposti a lettori, ascoltatori, telespettatori, internauti: “Ostia a divorziati passa con 1 voto di scarto”, “Approvato il Documento finale: passa con un voto il sì ai divorziati”, “Sinodo, la comunione ai divorziati risposati passa per soli due voti”; “Sinodo, sì ai divorziati per un solo voto”, “Comunione ai divorziati: Sì del Sinodo, per un voto”. Da notare subito la disinvoltura nell’uso del termine “divorziati”, spesso senza l’essenziale specificazione “risposati”. Ma soprattutto è da evidenziare la falsità della notizia, come vedremo tra poco.
Nei commenti in genere autocompiaciuta soddisfazione, molta irrisione e acidità verso i ‘conservatori’ dichiarati sconfitti. Anche veri e propri deliri. Un paio di esempi: “Al Sinodo burattinai e burattini mediatici applicano questa spregevole e spregiudicata tecnica militare”. Quale? “La guerriglia”, cioè “ricorrono al terrorismo, disseminano bombe, agguati e trappole lungo il percorso del nemico destinato a trionfare. E lo fanno usurpando il nome di Dio come accade in Afghanistan, Iraq e Siria”. Pensate che sia finita? Per niente, godetevi anche questa: “Ancora una volta atei devoti, teocon, sedicenti tradizionalisti, reazionari, cristianisti senza Cristo, ultraconservatori e compagni di merende vari avevano fatto i conti senza l’oste” (sembra di capire che l’oste/castigamatti è papa Francesco). C’è chi poi, tra i turiferari, vorrebbe in cuor suo il cardinale Sarah dietro le sbarre, in pigiama a righe: (a proposito di Sinodo, coppie omosessuali e Chiesa) “Nei casi migliori non vi è stata volontà di affrontare la questione, nei casi peggiori si sono sentiti in aula discorsi che avrebbero avuto rilievo penale in alcune democrazie occidentali (il discorso del cardinale Sarah)”.
L’INTERVENTO DI FINE SINODO DEL PAPA CONTRO i "DURI DI CUORE"
Chiediamoci: i titoli massmediatici corrispondono alla realtà sinodale? E’ stata veramente votata la “comunione ai divorziati risposati”? E’ proprio vero che la maggioranza del Sinodo ha dato ‘luce verde’ alla ‘Chiesa rinnovata’, prefigurata da papa Francesco?
Già fa pensare che nel suo intervento in aula alla fine del Sinodo Jorge Mario Bergoglio in due paginette abbia insistito tanto su uno dei suoi temi preferiti, la “durezza di cuore” dei “rigoristi”. La domanda che il Papa si pone è: “Che cosa significherà per la Chiesa concludere questo Sinodo dedicato alla famiglia?”. Tra le risposte eccone alcune: “Significa aver testimoniato a tutti che il Vangelo rimane per la Chiesa la fonte viva di eterna novità, contro chi vuole ‘indottrinarlo’ in pietre morte da scagliare contro gli altri”; “Significa aver spogliato i cuori chiusi che spesso si nascondono perfino dietro gli insegnamenti della Chiesa, o dietro le buone intenzioni, per sedersi sulla cattedra di Mosè e giudicare, qualche volta con superiorità e superficialità, i casi difficili e le famiglie ferite”; “Significa aver affermato che la Chiesa è Chiesa dei poveri in spirito e dei peccatori in ricerca del perdono e non solo dei giusti e dei santi, anzi dei giusti e dei santi quando si sentono poveri e peccatori”; “Significa aver cercato di aprire gli orizzonti per superare ogni ermeneutica cospirativa o chiusura di prospettive (…) per trasmettere la bellezza della Novità cristiana, qualche volta coperta dalla ruggine di un linguaggio arcaico o semplicemente non comprensibile”.
Ancora: “Nel cammino di questo Sinodo le opinioni diverse che si sono espresse liberamente – e purtroppo talvolta con metodi non del tutto benevoli (NdR: sembra o no un riferimento pungente alla lettera del gruppo di cardinali, che – firmandosi con nome e cognome - avevano espresso le loro paure per una rinnovata manipolazione del Sinodo?) hanno certamente arricchito e animato il dialogo, offrendo un’immagine viva di una Chiesa che non usa ‘moduli preconfezionati’, ma che attinge dalla fonte inesauribile della sua fede acqua viva per dissetare i cuori inariditi”.
Infine: “Cari Confratelli, l’esperienza del Sinodo ci ha fatto anche capire meglio che i veri difensori della dottrina non sono quelli che difendono la lettera, ma lo spirito; non le idee, ma l’uomo; non le formule, ma la gratuità dell’amore di Dio e del suo perdono”.
Fin qui il Papa, verosimilmente poco entusiasta della Relazione finale, dati i numerosi ‘cartellini gialli’ (forse in attesa dei ‘rossi’) distribuiti al fronte ‘conservatore’. Che era maggioranza. Su che cosa fondiamo l’asserzione? Sul voto per l’elezione del Consiglio sinodale e sul documento conclusivo.
‘CONSERVATORI’ IN TESTA ALLE ELEZIONI DEL CONSIGLIO SINODALE
Consiglio sinodale: dodici dei quindici membri sono eletti dal Sinodo, gli altri tre dal Papa. Il voto, svoltosi il 22 ottobre, ha mostrato la conferma della forza dei ‘conservatori’: in testa l’arcivescovo di Filadelfia Chaput, poi i cardinali Sarah, Pell, Napier (tre dei firmatari della famosa lettera, fatti oggetti di attacchi forsennati da parte dei turiferari… un vero boomerang per gli aspiranti killer mediatici), il cardinale canadese Ouellet (altro ‘conservatore’), l’africano del Gabon Madega Lebouakehan. Gli altri, ‘centristi’ o ‘progressisti’ più o meno moderati sono i cardinali Rodriguez Maradiaga, Tagle, Gracias, Schönborn, Nichols e l’arcivescovo italiano Bruno Forte, che ha approfittato della discesa in campo di due candidati ‘conservatori’ italiani, i cardinali Caffarra e Scola (ma si può essere così elettoralmente sprovveduti?).
NELLA RELAZIONE FINALE IL DOVERE MORALE DELL’OBIEZIONE DI COSCIENZA ALL’ABORTO E AL ‘GENDER’
Relazione finale: se si legge attentamente il testo approvato, si nota in primo luogo un suo ampio respiro di fondo: la famiglia viene considerata in tutta la complessità che si riscontra quotidianamente nella nostra società, nei suoi aspetti positivi e nei problemi di ogni genere con cui è confrontata. Si ribadisce dappertutto che la famiglia è formata da un uomo e una donna aperti alla vita. Si evidenziano le tante famiglie che vivono, lottano e soffrono tra difficoltà grandi e piccole, cercando di restare fedeli alla dottrina cattolica.
Si critica l’ideologia del gender, “che svuota la base antropologica della famiglia”; al paragrafo 76 (approvato con 247 voti contro 14) si legittima l’obiezione di coscienza degli educatori “contro progetti formativi che presentano contenuti in contrasto con la visione umana e cristiana”; al paragrafo 76 (approvato con 221 voti contro 37) si chiede attenzione per le famiglie al cui interno “vivono persone con tendenza omosessuale”, si nega una pur remota analogia tra unioni omosessuali e “il disegno di Dio sul matrimonio e la famiglia”, si ritiene “inaccettabile” che le Chiese locali “subiscano delle pressioni in questa materia” e che “gli organismi internazionali condizionino gli aiuti finanziari ai Paesi poveri all’introduzione di legge che istituiscano il ‘matrimonio’ fra persone dello stesso sesso”. Non manca al paragrafo 64 (approvato con 247 voti contro 11), a proposito di aborto, un richiamo forte agli operatori nelle strutture sanitarie; a loro “si rammenta l’obbligo morale dell’obiezione di coscienza”.
I PARAGRAFI SUI DIVORZIATI RISPOSATI
Veniamo ai paragrafi sui “divorziati risposati”. Qui bisogna ricordare che tra i padri sinodali ce n’erano non meno di 45 (il 17%, un vero e inaudito record) nominati direttamente da papa Bergoglio e in gran parte favorevoli alla sua idea di Chiesa ‘rinnovata’ (tra loro ad esempio il molto controverso cardinale belga Danneels). Questi 45 hanno certo pesato nei voti più contrastati.
Il paragrafo 85 (approvato con 178 voti contro 80, un voto in più della maggioranza richiesta) cita il paragrafo 84 della Familiaris Consortiodi Giovanni Paolo II: Sappiano i pastori che, per amore della verità. Sono obbligati a ben discernere le situazioni. C’è infatti differenza tra quanti sinceramente si sono sforzati di salvare il primo matrimonio e sono stati abbandonati del tutto ingiustamente, e quanti per loro grave colpa hanno distrutto un matrimonio canonicamente valido. Ci sono infine coloro che hanno contratto una seconda unione in vista dell’educazione dei figli, e talvolta sono soggettivamente certi in coscienza che il precedente matrimonio, irreparabilmente distrutto, non era ma stato valido. Continua la Relazione finale del Sinodo 2015: “E’ quindi compito dei presbiteri accompagnare le persone interessate sulla via del discernimento secondo l’insegnamento della Chiesa e gli orientamenti del Vescovo. In questo momento sarà utile fare l’esame di coscienza, tramite momenti di riflessione e di pentimento”. Ecco le parole giuste che, indipendentemente dalla volontà di chi ha votato il testo, servono – agganciandosi alle considerazioni di Giovanni Paolo II - per intaccare la dottrina sociale in materia di matrimonio: “discernimento” e “coscienza”. Il fatto è che, nello stesso paragrafo 84 della Familiaris Consortio Giovanni Paolo II continua: La Chiesa, tuttavia, ribadisce la sua prassi, fondata sulla Sacra Scrittura, di non ammettere alla comunione eucaristica i divorziati risposati. Sono essi a non poter esservi ammessi, dal momento che il loro stato e la loro condizione di vita contraddicono oggettivamente a quell'unione di amore tra Cristo e la Chiesa, significata e attuata dall'Eucaristia. C'è inoltre un altro peculiare motivo pastorale: se si ammettessero queste persone all'Eucaristia, i fedeli rimarrebbero indotti in errore e confusione circa la dottrina della Chiesa sull'indissolubilità del matrimonio.
Come si nota, la citazione di Giovanni Paolo II per giustificare l’ammissione dei divorziati risposati alla Comunione non trova fondamento nel magistero del papa polacco. Sembra evidente che uno degli esperti che hanno collaborato con la Commissione sinodale di redazione e che hanno materialmente preparato il testo abbia volutamente taciuto quello che verosimilmente conosceva e che avrebbe potuto vanificare la vulgata ‘progressista’ (cioè il ‘no’ chiaro alla richiesta citata). Difficile che tale esperto fosse straniero, più verosimile che fosse un italiano ben introdotto presso la Segreteria del Sinodo dei vescovi, abile cesellatore di testi al servizio della ‘Buona Causa’. A proposito, un’altra ‘stranezza’: nell’Instrumentum laboris al discusso paragrafo 137 riguardante l’Humanae vitae si mettevano sullo stesso piano la norma e la coscienza individuale, mirando a conciliarle. Nella Relazione finale 2015 invece l’Humanae vitae ha perso l’aggiunta contestata e il tema della coscienza, del ‘discernimento’ è stato ‘spostato’ interamente nei paragrafi sui ‘divorziati risposati’: mossa tattica in vista di un traguardo ritenuto più importante?
Clamoroso è poi quanto accaduto con il paragrafo 86 della Relazione finale 2015. Il quale così suona: Il percorso di accompagnamento e discernimento orienta questi fedeli (NdR: i divorziati risposati) alla presa di coscienza della loro situazione davanti a Dio. Il colloquio con il sacerdote, in foro interno (NdR: leggi “in confessione”), concorre alla formazione di un giudizio corretto su ciò che ostacola la possibilità di una più piena partecipazione alla vita della Chiesa e sui passi che possono favorirla e farla crescere. Dato che nella stessa legge non c’è gradualità, questo discernimento non potrà mai prescindere dalle esigenze di verità e di carità del Vangelo proposte dalla Chiesa. (…). Domanda: guardate bene… trovate nel testo un qualsiasi accenno all’ammissione alla Comunione dei divorziati risposati?
Eppure il paragrafo 86 si ispira a un passo della relazione del Circolo minore di lingua tedesca sulla terza parte dell’Instrumentum laboris:Questo cammino di riflessione e di penitenza, esaminando la situazione oggettiva nel dialogo con il confessore, può contribuire, nel forum internum, a prendere coscienza e a chiarire in che misura è possibile l’accesso ai sacramenti. (…). Non si può non notare che dal testo sinodale è sparito qualsiasi riferimento all’accesso ai sacramenti. Perché? Non avrebbe mai raggiunto non solo la maggioranza qualificata, ma nemmeno quella assoluta.
CONCLUSIONE: MAGGIORANZA ‘CONSERVATRICE’ , MA FORZATURE ‘PROGRESSISTE’ POTENZIALMENTE DEVASTANTI
Che la maggioranza del Sinodo fosse ‘conservatrice’ ci sembra dunque assodato, guardando sia ai risultati del voto per il Consiglio sinodale che ai contenuti della Relazione finale, in particolare per il ‘no’ chiaro a ogni forma di riconoscimento ecclesiale di unioni tra persone dello stesso sesso (argomento che nemmeno si è voluto prendere in considerazione), il richiamo al dovere dell’obiezione di coscienza in materia di ideologia del gender e di aborto, l’assenza di ogni riferimento all’ammissione alla Comunione dei divorziati risposati.
Tuttavia… quei paragrafi segnati dalla preoccupazione per l’unità della Chiesa… Uscendo dalla Sala stampa vaticana sabato 24 alle due, il cardinale Schönborn ha postillato una risposta che aveva dato a una nostra domanda durante il consueto briefing: gli avevamo chiesto se non temesse una ‘protestantizzazione’ del cattolicesimo nel caso in cui si concretizzasse l’annunciato decentramento (competenze pastorali e anche de facto dottrinali accresciute a conferenze episcopali continentali, nazionali, diocesi) ovvero l’indebolimento dell’unità della Chiesa. In sala aveva negato il timore. Ma fuori ha rilevato che nella domanda c’era una “giusta preoccupazione”.
E’, pensiamo, la stessa preoccupazione – quella di mostrare pubblicamente una Chiesa sostanzialmente ancora unita - che ha portato parte della maggioranza sinodale conservatrice ad accettare i paragrafi della Relazione finale riguardanti i divorziati risposati. Ripetiamo: in essi non c’è alcun accenno all’ammissione di tali persone alla Comunione. Ma il termine discernimento e l’espressione foro interno hanno indubbiamente offerto la possibilità ai ‘progressisti’ di forzare la mano, con l’aiuto dei tanti turiferari mediatici. Tanto che il generale dei Gesuiti, padre Adolfo Nicolas, già annunciava lunedì 26 al Corriere della Sera, a proposito della Relazione finale: “E’ un documento che lascia le mani libere a Francesco. Il Papa può fare ciò che considera buono, opportuno o necessario. Nella mente di tutti, in commissione (NdR: quella di redazione, nominata dal Papa, a forte maggioranza ‘progressista’) c’era l’idea di preparare un documento che lasciasse le porte aperte: perché il Papa potesse entrare o uscire, fare come crede”
Intanto i turiferari un grave danno l’hanno già provocato con le falsità propalate per il bene della ‘Causa’: in diverse parrocchie i parroci non sanno come rispondere a chi, in situazione canonicamente irregolare, chiede di poter ricevere la comunione. Certo, se rispondessero che non è possibile, rischierebbero di essere catalogati subito tra i ‘duri di cuore’, tra gli ‘anti-Francesco’. E’ una situazione questa oggettivamente di grande confusione, che crea d’altra parte forti reazioni negative nei tanti cattolici praticanti che fin qui hanno sempre cercato di attenersi, magari tra mille difficoltà, alla dottrina cattolica vigente. Il momento è grave e le provocazioni ‘progressiste’ e poco, pochissimo, per niente ‘misericordiose’ non fanno altro che appesantirlo ulteriormente. E’ sempre più evidente che la questione va anche oltre l’ammissione alla Comunione dei divorziati risposati, un tema che si può considerare un vero e proprio cavallo di Troia per introdurre novità devastanti nel cattolicesimo mondiale. Ne siamo tutti ben coscienti?
LA REALTA’ DEL SINODO E IL DELIRIO DEI TURIFERARI – di GIUSEPPE RUSCONI –www.rossoporpora.org – 27 ottobre 2015
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