ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

lunedì 19 ottobre 2015

« La nostra regola è l'amore»..!?

Misericodia per il peccatore o per il peccato?

Proponiamo alla lettura un testo di Padre Garrigou Lagrange, che fu uno dei più grandi cattolici tomisti contemporanei, tratto dal suo trattato di spiritualità Le tre età della vita interiore (T I cap. VIII)Esso è di una stridente attualità e ricorda che la vera carità deve portarci ad essere misericordiosi con il peccatore ma non con il peccato.
 «Esiste una falsa carità, fatta di colpevole indulgenza e di debolezza, come la dolcezza di coloro che non urtano nessuno perché hanno paura di tutti. Vi è anche una presunta carità fatta di sentimentalismo umanitario che cerca di farsi approvare dalla vera e che spesso, per il suo contatto, la inquina.

Uno dei principali conflitti dell’ora presente è quello che si erge fra la vera e la falsa carità. Quest’ultima fa pensare ai falsi cristi di cui parla il Vangelo; essi sono più pericolosi prima di essere smascherati che quando si fanno conoscere per veri nemici della Chiesa.
Optima corruptio pessima, la peggior corruzione è quella che si attacca in noi a ciò che vi è di migliore, alla più alta virtù teologale.
Il bene apparente che attira il peccatore è infatti tanto più pericoloso quanto è simulacro di un bene più elevato; come per esempio l’ideale dei pancristiani che cercano l’unione delle chiese a detrimento della fede che questa unione suppone.
Se quindi per stupidità o per codardia coloro che dovrebbero rappresentare la vera carità approvano in qualche cosa ciò che afferma la falsa, ne può risultare un male incalcolabile, ancora maggiore a volte di quello che farebbero dei persecutori dichiarati, con i quali è manifesto che no si può avere più niente in comune».
http://www.sanpiox.it/public/index.php?option=com_content&view=article&id=1677:misericodia-per-il-peccatore-o-per-il-peccato&catid=62&Itemid=82
Vaticano, Papa Francesco e le speranze nel Sinodo

Inizia la terza e ultima settimana dei lavori del sinodo dei vescovi, ormai divulgato come sinodo sulla famiglia. In realtà i problemi, su cui l’assemblea sinodale è chiamata a discutere e decidere, coinvolgono temi dottrinali e...


Inizia la terza e ultima settimana dei lavori del sinodo dei vescovi, ormai divulgato come sinodo sulla famiglia. In realtà i problemi, su cui l’assemblea sinodale è chiamata a discutere e decidere, coinvolgono temi dottrinali e aspetti pastorali d’inestimabile valore per le ricadute sulla vita sia dei singoli che dei popoli. Sicuramente d’indiscusso rilievo rimane l’attenzione verso le angosce delle famiglie difficili o irregolari, che, in verità, hanno preoccupato la gerarchia cattolica sempre, ma, in modo costante e puntuale dal Concilio Ecumenico Vaticano II (1962-1965). Ora, dall’odierno sinodo si attendono valide decisioni più operative e più aderenti all’evoluzione della realtà sociale, compresa quella del riconoscimento dei diritti civili e della giustificazione etica delle coppie omosessuali. Ci si aspetta il coraggio da parte di tutti a non problematizzare l’evidente e a non creare difficoltà, dove vi sono soltanto realtà chiare, oneste e semplici. Era questo il significato anche dell’appello, che cinquant’anni fa il cardinale Suenens rivolse nella Basilica di san Pietro ai Padri del Concilio Vaticano II, proprio mentre discutevano sui problemi del matrimonio: ”Prego tutti voi, miei fratelli vescovi – implorò il Primate del Belgio -  evitiamo un nuovo caso Galilei! Uno è già sufficiente!”. Anche questa volta fa ben sperare il constatare che ben tre delle 27 Assemblee sinodali si siano concentrate sulla famiglia.
Tuttavia, è di rilevanza davvero storica e annuncia probabili tempi meno guerreggianti e più solidali  - sia per la coesistenza delle diverse religioni e sia per le difficoltose relazioni internazionali - il comportamento “concretamente” rivoluzionario di papa Francesco, con cui ha dichiarato con semplicità e chiarezza il suo modo di concepire e gestire il “potere pontificio”, ch’egli immagina e programma non più ristretto nei termini tradizionali del primato pietrino. Rivelatore ed eloquente è stato lo scenario, che lui ha voluto offrire sabato scorso nell’Aula Nervi, in occasione della commemorazione del 50° anniversario del Sinodo, istituito da Paolo VI: si è visto non un Pontefice sul trono papale, che rivolge la sua parola a cardinali e vescovi seduti di fronte a lui ad ascoltare, ma un papa seduto intorno a un ampio tavolo, e con lui c’erano, anch’essi seduti e pronti a rivolgere la propria parola, porporati e presuli provenienti da tutte le parti del mondo.
La storia documenta come l'interpretazione radicale del decreto “Pastor aeternus”, con cui nel 1871 il Concilio Vaticano I aveva definito e stabilito l'autorità del primato del papa su tutta la terra (insieme alla sua infallibilità in materia di fede e di morale) sia stato in realtà l'ostacolo più forte, che ha impedito il dialogo fra le confessioni religiose e un rapporto positivo e costruttivo con i poteri laici delle società e degli stati. A riconoscere ciò è stato vent’anni fa lo stesso papa san Giovanni Paolo II: “La convinzione  della chiesa cattolica - scriveva nel 1995 nell’enciclica “Ut unum sint” - di aver conservato, in fedeltà alla tradizione apostolica e alla fede dei padri, nel ministero del vescovo di Roma, il segno visibile e il garante dell'unità costituisce una difficoltà per la maggior parte degli altri cristiani”. Ecco, allora, il paradosso, a cui papa Francesco non riesce ad arrendersi: il vescovo di Roma, da strumento e garante di unità e di pace, è stato fatto segno di divisione e di contrasti. L’umanità – non solo credente o cattolica - finalmente guarda a questo papa che, continuando sulla strada tracciata già dalla fine della seconda guerra mondiale col papato di Pio XII, sta portando a buon fine la riflessione e la soluzione del problema del rapporto tra il potere del pontefice e quello del collegio episcopale. E ciò grazie al rispetto della sinodalità codificata mezzo secolo fa da papa Montini.
Facendo eco alle parole di papa Wojtyla, con cui esortava a “Trovare una forma di esercizio del primato che, pur non rinunciando in nessun modo all’essenziale della sua missione, si apra ad una situazione nuova”, papa Francesco sabato scorso ha ribadito “la necessità e l’urgenza di pensare a una conversione del papato”, ricordando che “l’impegno a edificare una Chiesa sinodale è gravido di implicazioni ecumeniche”, in quanto  “Il Papa non sta, da solo, al di sopra della Chiesa; ma dentro di essa come battezzato tra i battezzati e dentro il Collegio episcopale come Vescovo tra i Vescovi, chiamato al contempo – come successore dell’apostolo Pietro – a guidare la Chiesa di Roma che presiede nell’amore tutte le Chiese”.
Non può essere la vita reale del mondo a doversi limitare e adattarsi alle esigenze della Chiesa e della religione, ma il contrario. Non possono le leggi – anche religiose - ostacolare lo sviluppo dell’umanità, ma debbono rispettarlo, accompagnarlo, sostenerlo e guidarlo mediante un attento e continuo dialogo. Nessuno può servirsi del mondo per scopi anche nobili, ma tutti debbono essere disponibili per il conseguimento e l’accrescimento del benessere e della felicità degli uomini. E lo sottolinea ancora papa Francesco, quando, ricordando come Paolo VI prospettava un organismo sinodale che “col passare del tempo potrà essere maggiormente perfezionato”, esorta: “Dobbiamo proseguire su questa strada (…). Il mondo in cui viviamo, e che siamo chiamati ad amare e servire anche nelle sue contraddizioni, esige dalla Chiesa il potenziamento delle sinergie in tutti gli ambiti della sua missione. Proprio il cammino della sinodalità è il cammino che Dio si aspetta dalla Chiesa del terzo millennio”.
Di Cosimo Scarcella
UNA VOCE DAL SINODO
''Comunione ai divorziati
Spero che a favore
ci sia una maggioranza''
Il cardinale Walter Kasper: ''Auguriamo che lo Spirito Santo illumini i Padri Sinodali e li unisca al Papa. Auguriamo che la grande maggioranza dei presenti sia accanto al Papa nella risoluzione dei problemi''. L'attesa: ''È probabile che per un documento finale serva un po’ più di tempo, ma spero che il Papa dica già qualcosa alla fine dei lavori, dopo aver ricevuto tutte le relazioni''
Emanuela Vinai


“La Chiesa deve essere costante riferimento della famiglia, anche quando attraversa delle difficoltà e le famiglie devono sapere che hanno nel Papa un promotore molto importante”. Parola del cardinale Walter Kasper, teologo e presidente emerito del Pontificio Consiglio per la promozione dell’unità dei cristiani, che ieri (18 ottobre), nella domenica dedicata alla Giornata missionaria mondiale, ha presieduto la Messa nella parrocchia romana della Trasfigurazione.
Eminenza, in che modo la famiglia è missionaria?
“Attraverso la testimonianza della gioia, della bellezza di essere famiglia. Già Giovanni Paolo II disse che la famiglia è via della Chiesa: non solo oggetto della pastorale della Chiesa, ma soggetto. Il Sinodo ci ripete che la famiglia ha vocazione missionaria, perché solo con la famiglia la Chiesa è presente nella quotidianità. Pensiamo al fondamento della fede nella famiglia: la famiglia è Chiesa domestica e la fede è un collante basilare. E, infine, consideriamo la parrocchia come la famiglia delle famiglie, un punto d’incontro, di aiuto, di unione”.
Cosa è necessario per promuovere questa realtà?
“Servono politiche attive nei confronti della famiglia! Ci sono spesso interventi a favore degli imprenditori, ma ci si dimentica che molte famiglie attraversano difficoltà sociali e finanziarie. Non c’è solo l’economia, ci sono anche le persone: quando si aiuteranno anche loro?”.
Il Sinodo è nel suo pieno svolgimento e il dibattito al suo interno appare vivo e vivace.
“Ricordiamoci che il Sinodo è mondiale e vi si confrontano culture e realtà diverse, espressione di tanti Paesi: non è facile portare a sintesi questa grande varietà e ricchezza di contributi. Ci sono vescovi più aperti e vescovi più conservatori, per questo il dibattito è necessario: è l’unico modo in cui si possono chiarire tutti i problemi. Ci sono tante attese, le discussioni non sono sempre semplici e vengono a contatto modi di pensare differenti tra loro. In questo il Papa deve essere il centro di riferimento per tutti e sappiamo che c’è grande fraternità tra i Padri Sinodali. Ma il Sinodo affronta il tema della famiglia come cellula fondamentale della società e il concetto cristiano di famiglia è fondato su donna, uomo e bambini”.
Tra i molti argomenti in discussione c’è la possibilità per i divorziati risposati di accedere alla Comunione.
“Spero in un’apertura, in una maggioranza in favore della comunione ai divorziati, con un processo d’integrazione nelle parrocchie e nella vita della Chiesa. Vediamo molte famiglie in posizioni irregolari, ma anche loro sono figli di Dio. Anche loro hanno bisogno del Pane della Vita, perché l’Eucaristia non è per gli ‘ottimi’ ma per i peccatori, e tutti siamo peccatori: lo diciamo ogni volta nella consacrazione. È probabile che per un documento finale serva un po’ più di tempo, ma spero che il Papa dica già qualcosa alla fine dei lavori, dopo aver ricevuto tutte le relazioni”.
A leggere i giornali e seguendo gli interventi in Rete, è netta la percezione dell’alto interesse per il Sinodo e dell’attenzione fiduciosa cui vi si guarda.
“In queste settimane molte famiglie, molte persone, hanno pregato per il Sinodo e questo non può rimanere senza alcun effetto. Penso anche alla grande veglia del 3 ottobre in piazza S. Pietro. Il Papa in quella occasione ha detto che la famiglia è una piccola luce e ricordiamoci che tante luci insieme possono illuminare le tenebre e le ombre”.
Un augurio per questa ultima settimana di lavori?
“Auguriamo che lo Spirito Santo illumini i Padri Sinodali e li unisca al Papa. Auguriamo che la grande maggioranza dei presenti sia accanto al Papa nella risoluzione dei problemi. Non c’è solo la dottrina astratta, ma anche la vita concreta con cui confrontarsi: il centro del Vangelo è la Misericordia e la Chiesa deve essere testimone della Misericordia”.

Come accostarsi all'Eucaristia lo spiegava già San Paolo
di Gloria Riva 18-10-2015
Prima comunione
Il problema è delicato e il fatto che ci sia di mezzo un bambino, immagine dell’innocenza, lo rende ancora più delicato. Mi riferisco all’episodio che ha scosso i sentimenti di milioni di persone: il bambino, figlio di separati che, dopo aver ricevuto per la prima volta l’Eucaristia, sottrae alla particola che ha sulla mano due pezzetti e li offre ai genitori, comunicandoli.
Non è difficile in questo caso cedere al sentimento e lasciarsi impietosire riguardo al bambino e al suo pio desiderio, ma la di là della piena e sincera compassione rispetto alla circostanza sorgono alcune lecite domande.
Abbiamo avuto la gioia di preparare diversi bambini al sacramento della Comunione e molti non avevano alle spalle famiglie regolari. La domanda subitanea che nasce di fronte a un tale fatto è semplice: chi ha preparato (e com’è stato preparato) questo bambino al Sacramento? Perché il vero abuso non è tanto il fatto che il Comunicando abbia offerto la particola a due divorziati, cosa che forse poteva capire fino a un certo punto, quanto il fatto che il bambino si sia permesso di dare la comunione (come fosse un ministro straordinario dell’Eucaristia) a due persone le quali, con tutta probabilità, non erano adeguatamente preparate con la confessione a riceverla. Persone cioè che si sono trovate “di fatto” a comunicarsi senza aspettarselo.
Il problema della comunione ai divorziati/separati non si può affrontare sulla base dei sentimentalismi o di una pietà generale, soprattutto perché dietro la parola «divorziati» si celano situazioni diametralmente opposte fra loro. E se tutti i divorziati registrano una separazione con il sacramento del matrimonio che hanno ricevuto a suo tempo, è pur vero che non tutti i sacramenti amministrati possano dirsi validi. Tant’è che la Chiesa non permette il divorzio ma attesta la nullità del sacramento.
Inoltre il fatto del bambino pone altre questioni, come appunto la liberalità con la quale i fedeli oggi possono trattare l’Eucaristia, o la preparazione stessa alla ricezione del Sacramento.
Non credo sia tramontato quello che soltanto dieci anni fa affermava Giovanni Paolo IInella Ecclesiae de Eucharistia: «A questo dovere (di confessarsi) richiama lo stesso Apostolo con l’ammonizione: "Ciascuno, pertanto, esamini se stesso e poi mangi di questo pane e beva di questo calice" (1 Cor 11,28)». San Giovanni Crisostomo, con la forza della sua eloquenza, esortava i fedeli: «Anch’io alzo la voce, supplico, prego e scongiuro di non accostarci a questa sacra Mensa con una coscienza macchiata e corrotta. Un tale accostamento, infatti, non potrà mai chiamarsi comunione, anche se tocchiamo mille volte il corpo del Signore, ma condanna, tormento e aumento di castighi». Allo stesso modo il Catechismo della Chiesa Cattolica (n. 1385) afferma: «Chi è consapevole di aver commesso un peccato grave, deve ricevere il sacramento della Riconciliazione prima di accedere alla comunione».

Dunque commozione o simpatia per il bambino, sentimenti da me condivisi nel più profondo dell’animo, la verità deve restare salda: al fine di una degna ricezione dell’Eucaristia «si deve premettere la confessione dei peccati, quando uno è conscio di peccato mortale» (Ecclesia de Eucharistia 36).
Nessun bambino può essere educato a distribuire a proprio piacimento l’eucaristia in modo indebito, perché la pena non cade sul povero ragazzo che segue, naturalmente, i suoi giusti sentimenti, ma cade su chi l’ha preparato ai sacramenti e su chi, presente al gesto, non è intervenuto con prontezza e decisione.

Se Papa Francesco manda in crisi i vecchi apparati di potere mediatici e culturali


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L’Italia ha un rapporto schizofrenico con la Chiesa, e un po’ la cosa si capisce. La sede di Pietro è a Roma da tempi lontanissimi, il papato è stato, attraverso i secoli, parte essenziale della storia del Belpaese e lo stesso equilibrio scaturito dal Risorgimento e poi aggiornato dalla Costituzione – non senza passare dai Patti Lateranensi firmati dal cardinal Pietro Gasparri e da Benito Mussolini – riassumibile nell’ideale “libera Chiesa in libero Stato”, è un’acquisizione tutto sommato abbastanza recente e mai del tutto risolta in una reciprocità che viene spesso alterata o messa in discussione.
Allo stesso modo il rapporto fra media e Vaticano, fa informazione e Chiesa, risulta spesso pesantemente influenzato da simile eredità, da un quadro tanto complesso e soprattutto da una relazione incerta e interessata fra palazzi del potere e palazzi vaticani, fra le famose due sponde del Tevere dove, più della collaborazione e dell’autonomia fra la sfera religiosa e quella civile, viene valorizzato un modello unico di consociativismo culturale e politico che tanto fa urlare gli anticlericali e tanto deprime e umilia il cattolicesimo ispirato dal Concilio Vaticano II segnato dal principio dell’autonomia del credente rispetto alla sua Chiesa nella vita politica e nel proprio impegno pubblico e civile.
Ma appunto nel ventennio che ci lasciamo alle spalle il ‘trait d’union’ fra politica e Chiesa, o ancor meglio fra maggioranze parlamentari e vescovi, fra governo e alte gerarchie ecclesiastiche e vaticane, è risultato essere elemento centrale dell’egemonia politica e culturale della destra italiana. Il volto del cardinale Camillo Ruini ha incarnato al meglio un patto di potere tale da determinare assetti ed equilibri anche nel centrosinistra, e poi i Quagliariello, gli Alfano, i Sacconi, le Roccelle i Gasparri – e cioè ex radicali, socialisti, fascisti e democristiani convertiti al verbo dell’integralismo quale nuova identità dell’occidente conservatore, hanno giocato di sponda stringendo un accordo fondato su scambi legislativi principalmente in materia etica e bioetica, ma anche in campo educativo e soprattutto evitando in tutti i modi che in Italia venisse approvato una legge sulla libertà religiosa, tale cioè da ammettere una trasformazione profonda dei caratteri fondanti del Paese, divenuto ormai nei decenni trascorsi dal dopoguerra, laico e multireligioso oltre che cattolico. E quando si pensa alla minorità culturale reazionaria tipica di una parte non piccola dell’Italia nel misurarsi col fenomeno migratorio, si pensi anche a questo.
Nel frattempo però è accaduto qualcosa: la Chiesa con una di quelle svolte che caratterizzano il suo durare nel tempo, la sua lungimiranza, ha scelto di cambiare sé stessa, rovesciando tutto o quasi. Una rivoluzione dall’alto che cerca ora sostegno nella base, per evitare appunto di finire risucchiata e infine perire nel modello ruinino le cui appendici e alleanze si prolungavano negli Stati Uniti e nell’Europa dell’est. E se la Chiesa cambia, i media italiani lo fanno un po’ meno. Così, per esempio, non ci si accorge che monsignor Nunzio Galantino nel corso dell’intervista con Lucia Annunziata in un inciso non casuale, ammette senza problemi che la Chiesa è minoranza in Italia (concetto fino ad oggi sempre negato) e anche il cambiamento di tono sulle unioni civili – il passaggio dagli anatemi alla richiesta di politiche “per” la famiglia – non trova ascolto, non viene colta; ma certo la Cei bifronte di Bagnasco (ancién regime), e Galantino (che prova a levare le incrostazioni del passato), fa fatica a staccarsi da questi suoi decenni retrivi e incerti, da un potere e da un mondo decadente sì, ma rassicurante e colmo di privilegi.
Tuttavia è sul sinodo dei vescovi sulla famiglia in corso in Vaticano che la sfida mediatica sembra ancora incapace – anche per scelta, per mancata volontà – di cogliere la rivoluzione in atto. Il Papa chiede ai vescovi, ma l’appello è a tutto il popolo di Dio, ad ogni singola parrocchia, di imparare a discutere di ogni problema anche quelli tradizionalmente più difficili per la Chiesa – l’omosessualità, le coppie di fatto, le unioni civili, appunto – e di dialogare, senza sentenze preventive, senza ‘Istruzioni’ della Congregazione per la dottrina della fede – e qui il salto è enorme – con i mutamenti sociali profondo che attraversano il nostro mondo, con un concetto di famiglia non solo in crisi ma forse e soprattutto in trasformazione verso una sua reinterpretazione più larga, che – come è stato detto al sinodo e qui ancora non si coglie la novità – non è un affare solo cattolico ma riguarda tutti, e allora tutti dobbiamo discuterne.
La conseguenza di questa impostazione aperta, ‘sinodale’, avanzata da papa Francesco, è importante per la Chiesa e ha rilevanti ricadute in una società dove la partecipazione attiva e collettiva ai processi decisionali si è andata via via riducendo. Si tratta della riapertura a un percorso di dibattito ampio e comune, ispirato in questo caso dal Vangelo, finalizzato a trovare delle soluzioni partendo da posizioni diverse a problemi etici e morali, a valorizzare quanto c’è di condiviso in punti di vista anche differenti. L’obiettivo non è però la mediazione al ribasso purché sia, quanto la sintesi che ‘apprende’ dalle varie sensibilità presenti. In termini ecclesiali è la strada che porta all’incontro con l ‘altro sia fra chiese particolari portatrici di storie differenti – dall’Europa all’Africa – , sia con il diverso, il lontano, il non credente o il seguace di una altra fede mosso certo dal medesimo afflato.
Su un piano che ci riguarda più da vicino è la fine della Chiesa autoritaria, guidata come un partito politico conformista – quasi sempre, ma non solo, di destra o conservatore – chiusa al dialogo con il campo ampio delle trasformazioni sociali e antropologiche, con la realtà di società multiculturali e multireligiose, con il progredire dei diritti civili; non tutti, questi ultimi, perfetti o indiscutibili, eppure segno anch’essi dell’affermarsi di una nuoca cultura dell’umano non liquidabile come “individualismo”, e che alla lunga sarà tra le più significative di quest’epoca.
Lo scandalismo mediatico di queste settimane sinodali, allora, il puntare sempre sulle polemiche del passato, sul conosciuto, sul rassicurante ‘già detto’ giornalistico, sono il segno di due tendenze che animano spesso alcuni dei maggior media del Paese. Da una parte c’è un tentativo di contrastare il progetto riformatore di Francesco per cristallizzare una realtà cadente in grado però di garantire ancora qualche rendita; dall’altro la fine della contrapposizione laicisti-clericali, costringe a ripensare attivamente il mondo nel quale viviamo, a confrontarci con fatti nuovi, con i mondi lontani – anche geograficamente – portati da Francesco nel cuore di questa nostra capitale che soffre, come tutto il Paese, di un ripiegamento provinciale su sé stessa; è la paura di aprire le finestre e fare entrare aria fresca anche esercitando di nuovo un pensiero critico.
http://www.articolo21.org/2015/10/se-papa-francesco-manda-in-crisi-i-vecchi-apparati-di-potere-mediatici-e-culturali/

«Non siamo una Chiesa per i puri, la nostra regola è l'amore»

Donald Wuerl
DONALD WUERL

Intervista con il cardinale Donald Wuerl, arcivescovo di Washington: «È il Sinodo più libero a cui abbia partecipato, il sospetto di manipolazioni è assurdo. Coloro che manifestano questi sospetti hanno la vista annebbiata»

ANDREA TORNIELLICITTÀ DEL VATICANO

«Non siamo una piccola Chiesa soltanto per i puri, la regola della comunità cristiana è l'amore». Lo afferma, alla vigilia dell'inizio dell'ultima settimana del Sinodo dei vescovi sulla famiglia, il cardinale statunitense Donald Wuerl, arcivescovo di Washington e membro della commissione di dieci padri sinodali incaricati di redigere la relazione finale che sarà sottoposta al voto sabato 24 ottobre. Nato a Pittsburgh, in Pennsylvania, nel 1940, prete nel 1966, è stato nominato vescovo nel 1986 da Giovanni Paolo II. Dopo due anni a Seattle è stato trasferito nella sua città natale e nel 2006 Papa Ratzinger lo ha scelto come guida della diocesi di Washington creandolo cardinale nel 2010. Abbiamo incontrato Wuerl al Pontificio Collegio Nord Americano, nel pomeriggio di domenica, mentre il cielo di Roma si copriva di nuvole nere cariche di pioggia. In questa intervista con Vatican Insider racconta della sua esperienza di padre sinodale; respinge i sospetti sollevati da alcuni porporati sulla conduzione del Sinodo e racconta di come Francesco sia riuscito a parlare al cuore degli americani durante la sua recente visita.


Come descrive la sua esperienza di padre sinodale con le nuove procedure?

Il primo Sinodo a cui ho assistito è stato... il primo Sinodo, nel 1967. Ero allora il segretario di uno dei vescovi partecipanti. Poi sono stato membro, da vescovo, di sette Sinodi, e sulla base della mia esperienza posso dire che questo Sinodo permette ai vescovi di avere più tempo per parlare tra di loro. Questo cambiamento è stata la risposta del Papa a una richiesta dei vescovi lungo gli anni: quella di passare meno tempo ad ascoltare gli interventi in assemblea, e di averne di più per la libera discussione nei gruppi linguistici. Francesco ha fatto questo seguendo le raccomandazioni del Consiglio del Sinodo».

Perché servivano questi cambiamenti?

Adesso la maggior parte del tempo non si passa semplicemente ad ascoltare, ma anche a discutere tra di noi. C'è poi qualcos'altro che rappresenta un passo ulteriore: l'idea di avere voluto due Sinodi sullo stesso argomento, a distanza di un anno uno dall'altro, ha permesso la continuazione del lavoro, il coinvolgimento e la partecipazione di tutta la Chiesa. Così alla base di questa assemblea abbiamo avuto l'Instrumentum laboris che rappresenta tutta la discussione interna alla Chiesa. E nei «circuli minores», i gruppi linguistici, si preparano delle relazioni comuni. Ci tengo a sottolineare che i moderatori e i relatori di ciascun gruppo sono stati eletti da noi. Nel nostri circolo linguistico il relatore, dopo aver preparato il testo riassuntivo, l'ha fatto circolare perché lo controllassimo un'ultima volta. Mi pare democratico. Poi i relatori dei tredici «circuli minores» devono cercare tra di loro un consenso sugli elementi comuni che sono emersi nei vari gruppi. E quindi c'è la commissione di dieci persone per la relazione finale. Non è proprio possibile che l'idea di una persona possa manipolare tutti gli altri.

Che cosa pensa della lettera, firmata anche da tre cardinali stretti collaboratori del Papa nella Curia romana, nella quale si metteva in dubbio l'onestà e la trasparenza del processo sinodale così come lo stesso Pontefice l'ha stabilito?

Risponderò con una battuta che mi ha fatto una persona del governo del mio Paese. Mi ha detto: «Se questo accadesse nell'amministrazione degli Stati Uniti, con un ministro che si opponesse al Presidente e dicesse che il Presidente sta manipolando il Paese, non credo che otterrebbe la stessa risposta gentile». Non ho visto quella lettera, ho letto la versione che è stata pubblicata. Io solo so che l'accusa di manipolazione è assurda: con il processo che ho descritto, come si possono manipolare 270 partecipanti, che eleggono relatori e moderatori, e che votano? Coloro che lo affermano hanno una vista piuttosto annebbiata. È come chi soffre di itterizia e vede tutto giallo. Le racconto una storia: quando lavoravo qui a Roma, molti anni fa, in un angolo di via della Conciliazione c'era un gelataio che si chiamava Cesare ed era molto anticlericale. Ogni volta che passavo gli dicevo «Buongiorno», e lui mai mi rispondeva. Una volta mi sono fermato e gli ho detto buongiorno. Mi ha chiesto: «Perché mi saluta sempre?». Ho risposto: Cesare, se non l'avessi fatto, tu avresti detto a tua moglie: guarda questo prete che passa di qui ogni giorno e non saluta mai! Come nel caso di cui stiamo parlando: sembra non esserci nulla in grado di cambiare ciò di cui si sono convinti.

Al di là delle diversità su possibili soluzioni ai vari problemi, da diversi interventi sembra emergere un approccio pastorale che non si limita all'enunciazione della dottrina. È così?

«Abbiamo sempre detto: presenta l'insegnamento della Chiesa con chiarezza, e poi, come pastore d'anime, lavora con la persona nella situazione in cui quella persona si trova. Bisogna essere vicini alle persone e capire ciò che la persona riesce ad ascoltare. Se uno non capisce, ti offri di aiutarlo a capire. I genitori cercano di parlare in modo semplice e chiaro ai loro figli, ma se qualcuno non capisce non gli dicono che è fuori dalla famiglia. Non puoi cominciare dicendo che non è parte della famiglia. Il cuore della discussione al Sinodo è questo: verità e amore sono dimensioni della stessa realtà divina. La Parola, la Verità si è fatta carne. Non si può dire a qualcuno: vai fuori! Bisogna andare a incontrarlo, ascoltarlo per sapere come dire ciò che vuoi dirgli così da poter essere sentito. E così cercare di portarlo vicino a Gesù. Questo fa un pastore. È il messaggio del Vangelo di oggi: Gesù è venuto per servire e ha donato la sua vita per noi che non siamo perfetti. Tante persone rispondono positivamente a Papa Francesco e mostrano tanto affetto per lui, anche se sono lontane dalla Chiesa cattolica, perché percepiscono lo stesso atteggiamento di Gesù. Questo è lo scopo del nostro servizio. Credo che capiremo sempre più che Papa Francesco è un dono di Dio per il tempo che stiamo vivendo. I fedeli vedono nel Papa un invito ad avvicinarsi a Dio. Quando ero rettore del seminario, spiegavo che noi potevamo dare ogni indicazione ai seminaristi solo dopo aver fatto loro comprendere che noi ci prendevamo cura di loro, che volevamo loro bene. L'amore, non la legge, è l'architettura della comunità cristiana. Questo Gesù ci ha testimoniato sulla croce. Non siamo una Chiesa piccola per i puri.

In merito alla questione più controversa riguardante possibili aperture, a determinate condizioni, circa la concessione dei sacramenti ai divorziati in seconda unione, come crede che si concluderà il Sinodo?

Non so quale sarà risultato. Ma ne abbiamo già ottenuto uno, un passo davvero positivo: è chiaro che Papa Francesco vuole una Chiesa nella quale le preoccupazioni di tutti siano ascoltate. Non lo so che cosa accadrà alla fine di questa settimana. A me sembra che il risultato del sinodo è di dire a tutto il mondo che nella Chiesa cattolica si può discutere e che il principio dell'amore di Dio è la norma. Dobbiamo capire come avvicinare le persone a Dio.

A 34 anni di distanza dalla «Familiaris consortio» molto è mutato nella società e nel modo di vivere la famiglia...

Abbiamo passato tutto il tempo del Sinodo del 2012 per comprendere come il mondo sia cambiato: secolarismo, relativismo, materialismo, individualismo. Abbiamo parlato dello tsunami della secolarizzazione che ha totalmente cambiato il volto della cultura occidentale. Il Papa ci invita a interrogarci. Anche se c'è un piccolo gruppo che dice: non possiamo neanche parlarne.

Lei ha appena ospitato il Papa a Washington. Che cosa l'ha colpita dei suoi messaggi?

Francesco ha richiamato gli americani ai loro propri valori, non è venuto a dirci: dovete fare questo o quello. Ci ha detto: voi siete una nazione che dice che questi sono i valori da seguire. Questo ha colpito tutti. Non è venuto a puntare il dito, non ha condannato, ma è venuto a ricordarci ciò che noi diciamo di voler essere come americani. È stato bello che direttamente da Capitol Hill, dopo il discorso al Congresso, cioè il luogo del potere del nostro Paese, sia andato dai senza tetto e dalle persone che li aiutano, soltanto a sei strade di distanza. Francesco ci ha ricordato ciò che dobbiamo essere.

Dopo la realtà del viaggio, la settimana successiva è tornata al centro proprio quella polarizzazione che Francesco chiedeva di superare, con le polemiche mediatiche per due saluti avvenuti nella nunziatura di Washington.

Francesco ha parlato, la gente ha risposto. Poi ci sono state quelle polemiche, che rispecchiavano un'altra mentalità, il tentativo di dividerci gli uni dagli altri, di condannarci a vicenda. Si è visto il contrasto tra il messaggio del Papa e il messaggio polarizzato.

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