ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

martedì 27 ottobre 2015

La preoccupazione dei cattolici “bambini”

Il VII Sacramento. E’ necessario tornarci sopra

“Non conformatevi alla mentalità di questo secolo, ma trasformatevi rinnovando la vostra mente, per poter discernere la volontà di Dio, ciò che è buono, a Lui gradito e perfetto”. (Rm 12, 2)

di Carla D’Agostino Ungaretti
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Scrivevo pochi giorni fa al Direttore che il momento che la Chiesa Cattolica sta attraversando è talmente oscuro che neppure io, cattolica “bambina”, nonché la più umile tra le pecorelle di Cristo, posso tacere il mio dolore e la mia preoccupazione nel vedere che si stanno realizzando le tristi profezie della Madonna di Fatima, nonostante il sorriso bonario e rassicurante di Papa Francesco che ha conquistato tanti cattolici “adulti”. Mentre scrivo queste mie umili riflessioni i lavori del Sinodo si sono ormai conclusi dopo aver suscitato, nel corso dell’ultimo anno, da un lato  l’esultante ottimismo dei cattolici “adulti”, come Alberto Melloni, per il nuovo modello di famiglia che essi sperano ne uscirà[1]  e, dall’altro, la preoccupazione dei cattolici “bambini” che venga travisata e adulterata l’immutabile Parola di Dio.
Al di là dei risultati del Sinodo,  mi sembra necessario che il popolo di Dio torni a meditare seriamente e ad approfondire sempre più la dottrina cattolica della famiglia quale discende dal Matrimonio – che in questa riflessione scriverò sempre con l’iniziale maiuscola, quando mi riferisco  alla sua natura sacramentale nella quale credo fermamente – perché mi sembra proprio che dopo duemila anni di Cristianesimo essi abbiano il fiato corto, come se il lungo cammino che hanno compiuto li avesse stremati. Comunque, spero ardentemente di sbagliare.
Il Codice di Diritto Canonico  (can. 1035) configura il Matrimonio come un contratto naturale che tra battezzati diventa automaticamente sacramentale in ragione della sua elevazione alla dimensione soprannaturale. Il Prof. Giovanni Turco ne ha spiegato la natura in base al principio filosofico di “non contraddizione”, secondo il quale “ogni cosa è ciò che è e non può non essere”. Il Matrimonio, in quanto realtà naturale iscritta nel cuore dell’uomo, immanente e immutabile , o è indissolubile o non è matrimonio. La naturalità del Matrimonio risiede nella sua sostanza; il suo successo o il suo fallimento sono solo categorie sociologiche[2].
E allora, che bisogno c’era di convocare addirittura un Sinodo per discutere del Matrimonio e del suo frutto più naturale, la famiglia, quando la Parola di Dio su questo argomento è chiarissima e comprensibilissima anche dalle persone più ingenue e meno acculturate? Evidentemente questo inizio del XXI secolo ha visto rinforzarsi l’onda lunga della Riforma protestante che ha inferto al Matrimonio un gravissimo “vulnus”, negando ad esso la natura di Sacramento. E’ vero che il Concilio di Trento, convocato appositamente per confutare l’eresia luterana, rimise le cose a posto in casa cattolica in materia di dottrina dei Sacramenti e quindi anche del Matrimonio, ma dobbiamo realisticamente riconoscere che dopo ben cinque secoli,  mentre ci addentriamo sempre più in questo XXI, qualcosa di terribile stia nuovamente accadendo perché il “nemico” sta seminando nuovamente, e con successo, la sua zizzania in quel campo, particolarmente amato dal Padrone, che è il Matrimonio e di conseguenza la famiglia, provocandone l’indebolimento e forse l’agonia della buona messe.
Infatti è triste dover riconoscere che non dovrebbe essere il Matrimonio sacramentale ad aver bisogno di cure ricostituenti, ma quel vincolo antropologico, sociale, psicologico, soltanto “umano”, che il Codice di Napoleone trasformò in un contratto regolato dal diritto civile per non lasciarne il monopolio alla Chiesa, ma che in duecento anni si è talmente logorato e indebolito, sulla scia del relativismo e della pretesa umana di soddisfare qualunque  “diritto”, che ha finito  per contagiare anche la percezione del Sacramento da parte di chi si professa cattolico.
Oggigiorno ci si riempie la bocca di “diritti” a ogni pie’ sospinto: diritti civili, diritti umani, diritto di sposarsi, diritto di procreare con qualunque mezzo, perfino diritto di cercare la felicità come recita, con una certa punta di melensa ingenuità, perfino la Costituzione degli Stati Uniti, nonostante sia stata ideata da uomini che tutto erano fuorché ingenui, perché illuministi e massoni. Così, attribuendo anche al Matrimonio cristiano la natura di “diritto” (mentre i Sacramenti non sono “diritti”, ma “doni” elargitici gratuitamente da Dio per santificarci senza alcun nostro merito) oggi accade anche che molti non credenti o tiepidi si sposano in chiesa, senza poi rimetterci più piede, forse perché affascinati (soprattutto le donne) dall’innegabile suggestione, che sulla cerimonia esercita una chiesa piena di opere d’arte e un favoloso abito da sposa di alta sartoria[3], tutte cose che non hanno nulla a che fare col  Sacramento.
Per  di più, il recente “motu proprio” di Papa Francesco, anche se forse intendeva solo agire tecnicamente per snellire la procedura giuridica della dichiarazione di nullità matrimoniale, ha finito per svuotare d’importanza il principio canonico del “favor vinculi” per far prevalere il “favor nullitatis”.  In questo modo si è fatto credere a molti di aver sciolto o allentato i nodi che rendono indissolubile il Matrimonio cristiano, istituendo una sorta di “divorzio cattolico”.
Invece, dei doveri e della responsabilità umana nei confronti dei nostri simili, a cominciare dai più deboli che ci sono più vicini, cioè  dai nostri figli, non parla nessuno, o meglio se ne parla solo per convincere gli altri, e noi stessi per primi, che se siamo soddisfatti noi della nostra vita, avendo realizzato quello che crediamo essere il nostro “diritto”, saranno più felici anche loro.
Il preteso diritto a realizzare la propria soddisfazione è il “punctum dolens” di tutto il discorso che, a mio giudizio, non è più compreso dai cattolici (all’acqua di rose) che vedo intorno a me. I cattolici sanno – o dovrebbero sapere, se hanno ricevuto un’educazione catechistica adeguata, cosa di cui dubito molto per le giovani generazioni – che presentandosi davanti all’altare di Dio, essi fanno una promessa irrevocabile a Lui, prima ancora che al coniuge, al mondo e alla società: quella di costituire una famiglia secondo il primordiale progetto di Lui che, in tal modo, fa di loro i Suoi collaboratori nel dare origine alla vita ed effonde in loro la Grazia Santificante, quella forza misteriosa che ci sorregge nella nostra debolezza, che ci conforta e ci sostiene nei momenti di scoraggiamento, di delusione, di solitudine, che ci fa sentire la voce di Dio sussurrarci: “Coraggio!  Devi andare avanti perché Io ti aiuto a superare questi brutti momenti!” Anche io, come tanti miei fratelli,  ho vissuto alcuni di questi tristi momenti e posso ben testimoniare che la Grazia Santificante, nelle cui mani avevo consegnato la mia vita al momento del SI’, non mi ha mai abbandonato.
Mi si obietterà che è una questione di “fede” che non si può imporre a chi non ha una visione sacramentale dell’istituto matrimoniale. E’ vero: ma io, che in questo momento mi sto rivolgendo a chi si professa cattolico, penso che se accettiamo di recitare davanti all’altare di Dio il Simbolo Niceno, ci  assumiamo anche una notevole responsabilità: Madre Teresa di Calcutta diceva che non si può vivere la fede se non a proprie spese. Altrimenti si dovrebbe avere il coraggio di non dichiararsi più cattolici, ma protestanti, per i quali il matrimonio religioso consiste in una semplice benedizione del Pastore, o rivolgersi all’Ufficiale di stato civile, il che, a mio giudizio sarebbe molto più serio e degno di stima per chi non è fermamente convinto della dimensione soprannaturale del Sacramento in questione.
In altre parole, quello che io invoco, per me stessa in primo luogo e poi anche per tutti i miei fratelli è la coerenza  nella nostra vita di fede, sull’esempio di innumerevoli Santi che sono stati capaci di anteporre la Parola di Dio a tutto, e finanche alla propria famiglia come San Tommaso Moro, il ministro del Re d’Inghilterra Enrico VIII che, giunto ai sommi fastigi della sua carriera politica, non esitò a buttare tutto a mare e a farsi decapitare piuttosto che avallare il divorzio e il successivo nuovo matrimonio, contrario alla legge di Dio, di un Re adultero e libertino.
Grazie a Dio oggi non si rischia più la testa per questo genere di dissenso, ma il rischio della peccaminosa incoerenza è sempre presente e si manifesta nel tentativo di servire ad un tempo Dio e Mammona. Infatti come mai adesso si chiede con tanta insistenza di ammettere alla S. Comunione i divorziati risposatisi civilmente che ne sono sempre stati esclusi? Secondo la mia personale esperienza di vita, la maggior parte dei cristiani battezzati che si trova in questa condizione da tempo non è più praticante o lo è solo saltuariamente; di conseguenza, potersi accostare o no alla S. Comunione è l’ultimo dei suoi problemi.  Perciò, volendo ragionare sul filo della pura logica, bisogna ammettere che un adulto cattolico più o meno praticante che, a un certo punto della sua vita, fa una scelta così radicale e totalizzante come quella di divorziare e poi risposarsi civilmente, dovrebbe sapere bene quello che fa e le conseguenze di ordine spirituale che ne conseguono. La Chiesa ha sempre ribadito con forza che egli (o ella) non è affatto escluso dalla comunità dei fedeli, anzi lo invita a perseverare nella partecipazione alla S. Messa domenicale, a pregare con gli altri fratelli e a partecipare ai momenti aggregativi della comunità parrocchiale. Resta il fatto, però,  che il suo stile di vita, nel quale egli (o ella) intende perseverare, è diametralmente contrario alle Parola di Cristo espresse dai Vangeli secondo Matteo (19, 3 ss) e Marco (10, 2 ss) e ribadite con forza da S. Paolo (Ef  5, 21 ss) perciò egli (o ella) non può pretendere che la Chiesa si mostri indulgente concedendogli buonisticamente degli sconti su quella Parola, che indubbiamente è tagliente come una spada,  ma della quale essa non può disporre perché  non è sua, ma di Dio.
Non è crudeltà, questa, come asseriscono tanti, anche cattolici “adulti”, ma obbedienza alla Parola stessa e umiltà nel riconoscere quanto siamo piccoli di fronte a Dio e a me sembra che oggi i corsi di preparazione al Matrimonio non calchino sufficientemente l’accento su questo aspetto della vita cristiana a due alla quale i fidanzati si preparano, come se neanche i preti ci credano più perché anche essi credono che “i tempi sono cambiati”.
Ma la Chiesa, che oltre ad essere “magistra” è anche “mater”, non condanna nessuno, ma invita quei suoi figli a rivedere il loro stile di vita avviandosi in un cammino di conversione e di accettazione di quella Parola con l’aiuto di Dio che non abbandona mai chi Lo implora di aiutarlo a fare la Sua volontà .
Mi sono dilungata un po’ nella riflessione sulla prassi pastorale in vigore finora che conoscono tutti, ma ritengo sia necessario ribadirla con forza, dati i fraintendimenti cui assistiamo continuamente. Ma perché è avvenuto tutto questo? Forse è troppo facile accusare la filosofia nichilista e relativista dell’ultimo mezzo secolo che ha pervaso tutta la vita umana in occidente, negando l’esistenza della Verità, probabilmente le cause vanno ricercate ancora più a monte. E’ certo comunque che la visione moderna del matrimonio era finora modellata sulla visione cristiana. Lo dimostra il tentativo della Santa Sede di ottenere per via concordataria , almeno dagli Stati moderni ancora a maggioranza cattolica, il riconoscimento statale del Matrimonio canonico nel tentativo di arginare la conseguente configurazione civile di questo istituto in chiave anticristiana prevista dal Codice Napoleonico che ammetteva il divorzio. Così si è scavata una fossa anche se si è attribuita maggiore importanza al libero consenso in un’epoca ancora patriarcale.
E’ certo che la complessità della vita umana nel nostro tempo ha fatto sorgere dei problemi che appena cinquant’anni fa non sarebbero stati neppure immaginabili e di questo non solo il Sinodo, ma anche tutti noi  siamo ben consapevoli. Luciano Moia, per esempio, vede una contraddizione tra l’invito alla castità finora rivolto ai divorziati risposati che hanno figli e l’esortazione ad essere comunque dei buoni genitori[4], perché “la genitorialità educante” per essere veramente tale e costruttiva deve alimentarsi della reciprocità della coppia nell’amore autentico tra quell’uomo e quella donna. Quale amore educante può nascere da una coppia che si ama ma alla quale la Chiesa chiede di vivere come fratello e sorella?
Con tutto il rispetto, non sono d’accordo. O meglio, lo sarei se volessi pensare, agire e ragionare secondo gli uomini e non secondo Dio, come fece Simon Pietro attirandosi il rimprovero di Gesù che per questo lo chiamò addirittura Satana aggiungendo subito dopo: “Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua: Perché chi vorrà salvare la propria vita la perderà , ma chi perderà la propria vita per causa mia la troverà” (Mt 16, 23 – 24). Quindi non è quella la strada  che dobbiamo seguire noi cristiani. Gesù non ha mai detto che entrare nel Regno di Dio sarebbe stata una piacevole passeggiata, ma  ci ha invitati a “entrare per la porta stretta, perché larga è la porta e spaziosa è la via che conduce alla perdizione e molti sono quelli che entrano per essa” (Mt 7, 13).
Cristo ci ha promesso che la Sua Chiesa non perirà mai, ma che altro potrei dire per concludere questa mia riflessione, se non che invoco continuamente lo Spirito Santo perché non permetta che, alla fine dei tempi, la navicella di Dio sia ridotta a una sgangherata zattera con quell’unico traghettatore che è stato capace di mantenere la fede?
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[1] Cfr. IL CORRIERE DELLA SERA, 23.10.2015, pag. 29.
[2] Cfr. Giovanni Turco, 14.10,2015, Convegno della Fondazione Lepanto: la pastorale al servizio della dottrina.
[3]… che, si permette di aggiungere una cattolica “bambina”, oggi sembrano più abiti da gran sera mondana per le scollature e le trasparenze, piuttosto che abiti destinati a una cerimonia religiosa che, per il colore candido, dovevano simboleggiare la purezza della sposa. Ma riconosco che oggigiorno questi sembrano discorsi antidiluviani.
[4] Cfr. AVVENIRE 18.10.2015, pag. 7.

 – di Carla D’Agostino Ungaretti



Redazione

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