La formazione cattolica, questa sconosciuta…
“Penso che la maggior parte dei cristiani che si dannano si dannano a causa della propria ignoranza”
San Giovanni Maria Vianney
Da tempo ripeto che l’“analfabetismo cattolico”, cioè l’ignoranza della dottrina da parte di chi si professa cattolico, è uno dei fondamenti dell’annacquamento della fede che si riscontra da anni a questa parte.
La formazione alla base della propria fede è fondamentale per poter sostenere con sicurezza e fermezza di essere (ancora) cattolici, di non essersi trasformati in cripto-protestanti o in agnostici.
Come potremmo dire di essere capitalisti, se non conosciamo cos’è il capitalismo? Così, nella fede, come possiamo dire di essere cattolici, se non sappiamo cosa voglia dire esserlo, se non conosciamo Chi è il Fondatore della Chiesa Cattolica e quali insegnamenti ci ha lasciato?
Purtroppo è molto frequente incontrare chi suppone di conoscere la dottrina cattolica, magari perché si ricorda una preghiera, retaggio del catechismo da piccolo, o perché una volta nella sua vita ha letto qualche frase del Vangelo. E su questa supposizione si dice cattolico.
Questi stessi però non sanno che le “regole” della nostra fede non sono opinabili, non sono passibili di contraddittorio, ma sono date, immutabili e indiscutibili. A noi sta solo decidere se seguirle o meno. Una volta dichiaratici cattolici, però, abbiamo il dovere di aderire a tutte le verità di fede, a tutti i precetti e a tutti gli insegnamenti morali. Come ci insegna il Catechismo di San Pio X «per vivere secondo Dio, dobbiamo credere le verità rivelate da Lui e osservare i suoi comandamenti, con l’aiuto della sua grazia, che si ottiene mediante i sacramenti e l’orazione» (can. 27) e «dobbiamo crederle con piena fede come insegnate da Dio, il quale né s’inganna né può ingannare» (can. 28). Se però non si conosce il Catechismo, come si fa a sapere questo?
Facendo seguito a Benedetto XIV («la maggior parte di coloro, che son dannati agli eterni supplizi, incontrano quella perpetua sventura per ignoranza dei misteri della fede, che necessariamente si debbono sapere e credere», Instit. XXVI, 18), San Pio X, il 15 aprile 1905, pubblicò la lettera enciclica “Acerbo Nimis” sull’“insegnamento della dottrina cristiana”.
L’esordio mette subito in chiaro che «l’ignoranza della religione [è la, ndr] causa precipua dell’odierno rilassamento» (Cap. I); l’odierno rilassamento e la «quasi insensibilità degli animi e dei gravissimi mali che quindi si derivano ripongono nell’ignoranza delle cose divine».
Questa enciclica denuncia e mette a fuoco i problemi di tale condizione, nella consapevolezza di questo grande santo che a lungo andare “l’ignoranza della religione” avrebbe causato danni ancor più gravi di quelli che lui poteva vedere in quei tempi.
- Pio X già nel 1905 evidenziava come la piaga dell’“ignoranza della religione” fosse molto comune («infatti fra i cristiani dei nostri giorni sieno moltissimi quelli i quali vivono in una estrema ignoranza delle cose necessarie a sapersi per la eterna salute, è lamento oggimai comune») ed andasse aumentando («troppi sono adesso coloro, ed ogni dì ne cresce il numero, i quali ignorano affatto le verità religiose o di Dio e della fede cristiana hanno soltanto quella scienza la quale permette loro di vivere a mo’ d’idolatri in mezzo alla luce stessa del cristianesimo», cap. XI)
Oramai quei problemi denunciati a inizio ‘900 sono esplosi in tutta la loro gravità. Siamo giunti a un’epoca in cui si è quasi definitivamente persa la cognizione della dottrina cattolica ed in cui il fedele medio raramente conosce a fondo le basi di quel che dice di credere.
Tanto è andato avanti questo male da arrivare a sentire persone dichiararsi cattoliche e nello stesso tempo affermare espressamente di non aver bisogno della Chiesa (“con Dio me la vedo io”), di non essere praticante (“non è scritto da nessuna parte che è obbligatorio andare a Messa la Domenica”), di essere favorevole al divorzio e all’aborto, e tanto altro. Si vive, insomma, senza curarsi del soprannaturale, «niun pensiero quasi sorge loro di Dio autore e moderatore dell’universo e di quanto insegna la Fede cristiana» (cap. II).
Papa Sarto evidenziava tra l’altro un dato molto interessante, valevole sempre e che fa capire come l’ignoranza delle cose divine non sia indirettamente proporzionale alla cultura generale della persona.
Nel cap. II specifica che «quando diciamo fra i cristiani, non intendiamo solamente della plebe o di persone di ceto inferiore, scusabili talvolta (…) ma altresì e sopratutto di coloro, che pur non mancando d’ingegno e di cultura, mentre delle profane cose sono conoscentissimi, vivono spensierati e come a caso in ordine».
Oltre al controsenso del dire di credere a qualcosa che non si conosce, l’“analfabetismo cattolico” comporta problemi reali e gravi che si ripercuotono sulla fede di ognuno di noi e sul modo di intenderla.
È normale, infatti, che coloro che sono a corto di istruzione cattolica «nulla poi apprezzano la malizia e turpitudine del peccato, e quindi non hanno affatto pensiero di evitarlo o di liberarsene» (cap. II). È normale che ne derivi «l’odierna corruttela dei costumi»; «qual meraviglia che si veda oggi nel mondo, e non già diciamo fra i barbari, ma in mezzo alle nazioni cristiane, e cresca ogni giorno più la corruttela dei costumi e la depravazione delle abitudini?» (cap. III).
In sintesi, come stupirsi dell’annacquamento della fede, se alla base di questa non c’è la roccia solida dell’istruzione cattolica, ma la sabbia instabile dell’«ignoranza delle cose divine»?
Giustamente si rattristava S. Pio X al pensiero «di quali profonde tenebre questi tali sien circondati; e ciò che più accuora, tranquillamente vi si mantengono».
Tutto torna. «Sosteniamo però che non potrà mai esser retta la volontà né buono il costume, qualora l’intelletto sia schiavo di crassa ignoranza. Chi ad occhi aperti procede, può certamente uscire dal retto sentiero: ma chi è colto da cecità, è sicuro di andare incontro al pericolo» (Cap. IV).
Il mantenersi nelle tenebre denunciato dal Santo di Riese è anch’esso altrettanto normale. È un circolo vizioso. La conoscenza delle cose religiose, infatti, «non è soltanto lume all’intelletto, ma guida e stimolo della volontà» (Cap. IV). La cultura cattolica, insomma, non è solo astratta e fine a se stessa. È pungolo per la volontà dell’uomo che tende, per la ferita del peccato originale, a cadere nelle tentazioni. È incontestabile che chi ha maggior conoscenza di una cosa, evita gli errori. Vale per la matematica, per la grammatica. Vale a maggior ragione per la fede.
Ed è quindi la più importante delle istruzioni, dato che tocca il bene più grande per l’uomo: la salvezza dell’anima.
San Pio X non lascia nulla al caso o all’intuito di chi legge. Spiega con chiarezza anche chi ha l’obbligo di insegnare ai fedeli la dottrina cattolica. È categorico: «questo gravissimo dovere incombe a quanti sono Pastori di anime». E spiega anche il perché: «Ad essi, per comandamento di Cristo, è imposto di conoscere e di pascere le pecorelle affidate; ora il pascere importa in primo luogo l’insegnare: “Io vi darò”, così Dio prometteva per Geremia, “pastori secondo il cuor mio, e vi pasceranno colla scienza e colla dottrina” (Ier. III, 15). Per la qual cosa l’Apostolo San Paolo diceva: “Non mi ha Cristo mandato per battezzare, ma per evangelizzare” (I Cor. I, 17); volendo cioè indicare, che il primo officio di quanti, in qualche misura, sono posti a reggere la Chiesa, è di istruire nella sacra dottrina i fedeli».
Non c’è «per chiunque sia sacerdote né dovere più grave, né più stretto obbligo di questo» (Cap. VII). E d’altronde è davvero pacifico che sia così. Chi più dei sacerdoti può essere in grado di spiegare e far comprendere l’essere cattolico? Mi permetto di pensare che chi si avvicina al sacerdozio, senza dare per scontato questo obbligo, non ha una visione completa dell’essere sacerdote.
Ed un «obbligo specialissimo e quasi particolare che ne hanno i parrochi» (Cap. VIII).
San Pio X ritiene talmente importante il ruolo del parroco che prima ricorda come addirittura il Concilio di Trento stabilì quest’obbligo, «che se ciò vale di qualsiasi sacerdote, che dovrà poi pensarsi di coloro, che insigniti del titolo e dell’autorità di parrochi, in forza del loro grado e quasi per contratto, hanno officio di reggitori delle anime?» (cap. VIII); e poi determina e impone «quel che ogni parroco deve fare per l’ammaestramento dei fedeli nelle cose religiose» (cap. XIII).
Questo obbligo dei sacerdoti, dei pastori d’anime, dei parroci, dei Vescovi (che San Pio X indica come coloro a cui tocca vigilare sulle cose prescritte) comporta per loro una maggiore responsabilità in caso di «ignoranza dei fedeli delle cose della fede». Siamo tutti d’accordo, credo, che se al «fedele comune», cioè colui che non ha possibilità né mezzi per approfondire oltre le basi, si insegna male o non si insegna cosa vuol dire essere cattolici o addirittura si dicono cose eterodosse, non si può criticarlo se fa o dice cose non cattoliche. La buona fede c’è tutta, «giacché non potrà mai adempiere i doveri del cristiano chi non li conosca» (Cap. V).
Questo obbligo e questa responsabilità ovviamente non dispensa il fedele dall’avere una conoscenza, adeguata alla sua condizione, quindi anche il minimo indispensabile, delle “cose della religione”.
Sarebbe troppo semplice. Il sacerdote non me l’insegna, io sono libero da responsabilità. L’aderire alla fede cattolica, il diventare cristiani con il Battesimo, implica dei doveri ai fedeli. In particolare quello di essere a conoscenza delle regole base della propria fede. Quindi non sono esentati da responsabilità coloro che, pur nominalmente cattolici, non seguono le “regole” cattoliche.
Non sono esentati da responsabilità, tanto più che per conoscere le regole base basta davvero poco. Basterebbe infatti leggere il Catechismo…
Anche San Pio X ammoniva su questo punto, ricordando che «la fede infusa nel battesimo ha bisogno di coltura» (cap. XII): «tutti i battezzati in Cristo hanno infuso l’abito della fede: ma questo germe divinissimo, non “si sviluppa né mette ampî rami” (Marc. IV, 32) abbandonato a se stesso e quasi per virtù nativa».
Non si può più tenere la testa sotto la sabbia e non voler vedere il nesso causale tra l’ignoranza denunciata e i problemi (eufemismo) nella fede dei nostri tempi. Non si può più aspettare inerti che le cose cambino. Non ci si può proprio stupire se ci troviamo, oggi come allora, di fronte ai problemi che S. Pio X vedeva e prevedeva nella mancanza di conoscenza delle cose divine.
Nel nostro tempo dove il mondo tira contro la cultura cattolica (anche con il tentativo di creare difficoltà alle scuole cattoliche paritarie), dobbiamo iniziare ad impegnarci a fondo in un’opera di “ri-culturizzazione” cattolica, ognuno per il proprio.
Che la Santa Vergine e il Santo Spirito infondano in ognuno di noi la forza e l’ispirazione per una azione che, partendo dai più piccoli, riporti pian piano nei fedeli la consapevolezza e l’orgoglio di cosa voglia dire essere cattolici.
Ho iniziato oggi a far catechesi.... quanto è difficile!!! Quest'anno dovrò prepararli a ricevere degnamente Gesù nella Santissima e Divinissima Eucaristia. Il problema è che dovrò farlo in una parrocchia in cui durante la S. Messa si portano all'"Offertorio" carrelli della spesa giocattolo, tricicli, bambole e palloni gonfiabili da spiaggia come è successo questa domenica... Una meraviglia vedere il Sacerdote che alza la Sacra Ostia e davanti a tutto quel popò di roba che ho descritto sopra. Vai a insegnarli che la S. Messa riattualizza il Santo Sacrificio della Croce dopo che insieme al parroco 75enne hanno ballato l'alleluja delle lampadine... E' UNA TRAGEDIA!!! E appena entrati in classe si è palesato il seminarista che aiuta il parroco per distribuire i volantini dello spettacolo di Santa Lucia, priorità MOOOOLTO discutibile... ripeto è una TRAGEDIA.... Vorrei tanto buttar tutto alle ortiche.. come si va a combattere per il Signore quando chi dovrebbe sostenerti si volge contro di te per percuoterti.... lo dico per l'ennesima volta è una TRAGEDIA...
RispondiEliminaMa scusate avrei una domanda che mi assilla? E' corretto insegnare che gli angeli sono figli di Dio e partecipi della Vita divina offertaci mediante Cristo? Io credevo che gli angeli fossero state creati per essere fedeli ministri di Dio che godono, dopo essere stati provati, della visione beatifica pur rimanendo servi. La vocazione ad essere figli adottivi di Dio mediante l'unione con Cristo, pensavo( e tuttora penso) fosse esclusiva dell'uomo! Qualcuno mi illumini, grazie!!! (PS: ho trovato questa affermazioni in un buonissimo catechismo "Spiegazione facile della Dottrina Cristiana" Mimep docete editore, che intendo regalare ai miei bambini di catechesi per aver sempre la Dottrina a portata di mano durante gli incontri, tuttavia limando alcune ambiguità presenti. Ho infatti deciso di adottare tale testo ugualmente(innanzitutto perché ben fatto generalmente parlando) e poi per mettere in atto il metodo della Chiesa che usa affermare una verità e condannare l'errore opposto ad essa per far loro capire che negli ultimi tempi in molti si prendono una certa libertà nel diffondere la Dottrina e lo fanno a scapito della Verità. Un modo penso per metterli in guardia e non nascondergli le odierne problematiche circa la trasmissione integrale della fede. Un modo per etterli sul chi va là insegnandoli a discernere).
RispondiEliminaMi sembra possano servire le ossevazioni contenute in
Eliminahttp://www.corsodireligione.it/bibbiaspecial/vangeli/figli_3.html
http://www.vatican.va/archive/catechism_it/p1s2c1p5_it.htm
Io sono convinto che non siano figli in senso stretto, ma che siano ben definiti da S.Agostino
329 Sant'Agostino dice a loro riguardo: « "Angelus" officii nomen est, [...] non naturae. Quaeris nomen huius naturae, spiritus est; quaeris officium, angelus est: ex eo quod est, spiritus est, ex eo quod agit, angelus – La parola "angelo" designa l'ufficio, non la natura. Se si chiede il nome di questa natura, si risponde che è spirito; se si chiede l'ufficio, si risponde che è angelo: è spirito per quello che è, mentre per quello che compie è angelo ». 411 In tutto il loro essere, gli angeli sono servitori e messaggeri di Dio. Per il fatto che « vedono sempre la faccia del Padre mio che è nei cieli » (Mt 18,10), essi sono « potenti esecutori dei suoi comandi, pronti alla voce della sua parola » (Sal 103,20).
330 In quanto creature puramente spirituali, essi hanno intelligenza e volontà: sono creature personali 412 e immortali. 413 Superano in perfezione tutte le creature visibili. Lo testimonia il fulgore della loro gloria. 414
ime riportato dal CCC.
Per quanto riguarda la ripresa del Catechismo: Coraggio, il Signore Ti assisterà, coi suoi Angeli!
Grazie dell'interessamento. Tuttavia ho posto male la domanda: E' giusto dire che gli angeli sono figli di Dio in quanto partecipi della Vita divina di Gesù? Io penso di no, perché Gesù si è fatto uomo non angelo, gli angeli sono chiamati a servire Cristo e quanti sono uniti a lui. La nostra Vocazione penso sia diversa rispetto a quella degli angeli! Dire che sono figli intendendoli come creature predilette, certo si può anche dire ma occorre non equivocare. I figli nel Figlio possono essere solo gli uomini. La Divinizzazione è stata promessa solo agli uomini uniti a Cristo non agli angeli he rimangono(e sono ben felici di esserlo) i componenti della Corte celeste fedeli esecutori dei comandi dell'Altissimo! Grazie!
EliminaSono d'accordo con te.
EliminaIl miglior Catechismo è quello di San Pio X .
RispondiEliminacerto infatti il catechismo di cui parlo è fedelmente modellato su quello di San Pio X , solo i commenti sono degli autori e, avendolo prima visionato, sono molto ortodossi salvo 2 punti ambigui che correggeremo coi ragazzi. Del resto è il momento di essere chiari e sinceri nei loro confronti dicendo loro che da tempo, anche i testi contemporanei dottrinalmente più buoni, contengono imprecisioni e ambiguità, figurarsi quelli non buoni che vanno comunque a ruba. E' giusto che sappiano e tocchino con mano la confusione che regna nella Chiesa per poterla efficacemente combattere. Anche perché fuori dall'aula hanno a che fare con preti e compagnia oratoriana modernisti, non serve far loro credere che tutto vada preso per oro colato. Ecco perché ho adottato un catechismo buono ma emendabile per abituarli a questa realtà. Spero di aver fatto cosa utile, che Gesù Maestro mi assista!
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