ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

mercoledì 16 dicembre 2015

Di quanto odio è capace un essere umano?

CHI ERA QUELLA DONNA ?

    



Chi era quella donna sulla metropolitana dallo sguardo demoniaco? Una quantità di delitti irrisolti e una quantità ancora più grande di numerose sparizioni di persone sono riconducibili alle attività infernali di servitori del Demonio                                 di F. Lamendola  


Gli occhi, dice un vecchio adagio – veritiero, per quanto abusato –  sono lo specchio dell’anima, o, anche, sono le finestre aperte sull’anima di una persona; ed è opinione comune che lo sguardo, di conseguenza, non possa mentire, nemmeno se si sforza di farlo con molta abilità.
Di fatto, di tutte le parti del corpo, gli occhi sono la più espressiva; e lo sguardo di una persona, il quale, come funzione fisiologica, è ciò che le consente di vedere le cose che stanno al di fuori -, è, nello stesso tempo, lo strumento di cui la persona si serve, a volte intenzionalmente, a volte no, per relazionarsi con gli altri, per dire qualcosa di sé, per esprimere paure, desideri, aspettative. Pertanto, lo sguardo può essere “letto” in due direzioni, verso l’esterno e verso l’interno: nel primo caso, per “agganciare” lo sguardo altrui, per esercitare una richiesta, o una pressione, o una implorazione; nel secondo caso, per consentire agli altri di accedere all’intimità di quella persona, di frugare nei suoi angoli più intimi. Tanto è vero che le persone timide tengono lo sguardo rivolto verso il basso, oppure fissano nel vuoto: solo così ritengono di potersi proteggere dall’invadenza o dalla indiscrezione altrui.
Vi sono sguardi aggressivi, che “spogliano” l’altro: tali, ad esempio, sono gli sguardi di natura erotica, nei quali si esprime un desiderio violento, brutale, che imbarazza e offende l’altro, che lo riduce a cosa, a oggetto passivo di una brama sessuale; e vi sono sguardi lusinghieri, carezzevoli, seduttivi, mediante i quali si esprime, ma in forme più morbide e insinuanti, lo stesso desiderio, invitando l’altro a una complicità, o, quanto meno, a un abbandono. Insomma vi sono sguardi simili a stupri, e sguardi simili ad amplessi. Analogamente, vi sono sguardi di supplica, di minaccia, di simpatia, di solidarietà, d’intesa, di rassegnazione, di invito, di resa, di abbandono, di sfida, di rabbia, di odio, d’invidia, di gelosia, di superbia, eccetera. Lo sguardo può essere intenzionale oppure no (ad esempio quando è assente, o distratto); ma è quasi impossibile che menta circa i veri sentimenti della persona. Uno sguardo carico di odio, ad esempio, è qualcosa di più di una minaccia: è, o almeno può essere, un pericolo reale per colui che lo subisce; da ciò deriva la parola”malocchio”: dalla credenza che uno sguardo cattivo porti sfortuna, cioè che eserciti una influenza negativa sulla persona che ne è vittima. Ma quanto può essere carico d’odio, quanto può essere cattivo, uno sguardo umano? E la cattiveria che esso esprime, si dirige necessariamente verso una persona precisa, oppure può esprimere una malvagità generalizzata, ossia diretta contro tutto e contro tutti, effettivamente o potenzialmente? In questo secondo caso, ci troveremmo in presenza d’una malvagità cronica e stabilizzata, non di uno stato d’animo momentaneo, provocato, magari, da una situazione ben precisa, finita o risolta la quale, l’anima può tornare alle condizioni di vita precedenti.
Sorge, perciò, la domanda: di quanto odio è capace un essere umano? Un odio cronico e stabilizzato eccede la misura ordinaria dell’esistenza: esso esprime una condizione definitiva e irreversibile della vita interiore, esclusivamente polarizzata intorno alla negatività. Questo significa che ci si trova, in simili casi, alla presenza di un’anima persa: perché, quando la vita dell’anima abbraccia, in maniera deliberata e definitiva, la propria dimensione inferiore, popolata da sentimenti puramente negativi, è come se le sorgenti della spiritualità si inaridissero per sempre e su quell’anima scendesse una oscurità paurosa, inumana, innaturale. Secondo natura, infatti, l’anima oscilla fra i due poli, positivo e negativo, del bene e del male; allorché si stabilizza sul polo negativo, essa è perduta per la dimensione luminosa, superiore; e allo stesso modo, se si polarizza su quest’ultima, anche in tal caso la natura viene superata e l’anima entra in una sfera soprannaturale: e ciò le conferisce anche dei poteri straordinari.
Tanto l’anima diabolica, indurita nel male, quanto l’anima santa, che ha voltato definitivamente le spalle alla dimensione inferiore, a prezzo di una dura lotta interiore, eccedono le condizioni normali dell’esistenza e sono suscettibili di prestazioni eccezionali, non spiegabili razionalmente, anche sul piano fisico: la perdita del peso corporeo, la levitazione, la conoscenza del passato e del futuro, o quella delle cose lontane nello spazio, la conoscenza inspiegabile delle lingue, comprese le lingue “morte”, e così via. È inutile precisare che tali facoltà straordinarie, nei due casi opposti dell’anima diabolica e dell’anima santa, traggono origine da due sorgenti del pari opposte: infernale la prima, celeste la seconda; e che tali poteri non giacciono sullo stesso piano, perché quelli della prima sono di natura effimera, ingannevole, e puramente negativa, o, tutt’al più, miranti a produrre stupore, per confondere coloro che vi assistono; mentre quelli della seconda sono di natura benefica, costruttiva, durevole e sostanziale.
Un’anima diabolica, abbiamo detto, si disumanizza; e, una volta che sia disumanizzata, il corpo in cui essa dimora diventa facilmente il ricettacolo di forze estranee di provenienza infera, che ne fanno il loro strumento ed il loro zimbello. Sorge la difficile domanda se un’anima persa sia acquisita alle potenze infernali, già in vita, in maniera stabile; ossia se quel tale individuo sia già diventato, di fatto, un demone in veste umana, o se qualche vestigia della sua precedente umanità sussista ancora, e se un intervento straordinario di Dio la potrebbe ancora sottrarre al suo tragico destino di auto-distruzione. Senza voler invadere il campo della teologia morale, riteniamo che il rispetto del libero arbitrio, da parte di Dio, sia così grande, da non poter salvare un’anima contro la sua stessa volontà: per cui, se un’anima ha deciso di dannarsi,  nessuna forza al mondo, e neanche al di sopra di questo mondo, la potrà mai salvare da se stessa. Dante ne era così convinto da pensare che taluni individui, già in vita, si sono trasformati in demoni, o meglio, che la loro anima è stata trascinata all’Inferno, ed il suo posto è stato preso da un demonio, che abita in quel corpo e simula le apparenze della vita, ma solo le apparenze esteriori (cfr. il nostro articolo: «Quando muore l’anima di un uomo e un demonio s’insedia nel suo corpo: il caso dio frate Alberigo», pubblicato sul sito di Arianna Editrice in data 29/10/2008).
Ora, tornando al discorso sulla forza e sulla verità interiore dello sguardo umano, possiamo dedurre che la presenza di un’anima profondamente malvagia viene tradita dalla luce che brilla negli occhi di quella tale persona; anche se non tutti sono abbastanza intuitivi e sensitivi da cogliere il messaggio, di per sé chiarissimo, che quella luce contiene. Otello, il Moro di Venezia, non era, evidentemente, abbastanza intuitivo e sensitivo da cogliere la luce maligna che brillava negli occhi Jago; così come la duchessa Josiane, ne «L’uomo che ride» di Victor Hugo, non si accorge della luce malvagia che brilla nello sguardo di Barkilphedro (cfr. il nostro articolo: «Alcune riflessioni sulla reale natura dell’odio», pubblicato sul sito di Arianna Editrice in data 19/05/2007). E anche per Shakespeare una tale carica di odio rimane un conturbante mistero: interrogato da Otello sulle ragioni del suo comportamento diabolico, costato la morte dell’innocente Desdemona, Jago si rifiuta di rispondere, portando con sé, nella tomba, il proprio terribile segreto.
Ed ecco un episodio singolare riferito dal medico psicanalista Alexander Lowen, discepolo di Wilhelm Reich, direttore dell’Istituto di Analisi Bioenergetiche di New York (da: A. Lowen, «Bioenergetica»; titolo originale: «Bioenergetics»,  New York, Coward, McCann & Gheorghegan, 1975; traduzione dall’inglese di Lucia Cornalba, Milano, Feltrinelli, 1983, p. 249):

«Molti anni fa vidi due occhi che non dimenticherò mai. Ero in metropolitana con mia moglie: lo sguardo ci cadde simultaneamente sugli occhi di una donna seduta di fronte a noi. Il contatto con quegli occhi mi diede uno shock. Aveva uno sguardo talmente cattivo che quasi rabbrividii dall’orrore. Mia moglie ebbe una reazione identica. Quando più tardi ne parlammo, riconoscemmo entrambi di non aver mai visto degli occhi dallo sguardo così malvagio. Prima di quell’esperienza non credevo possibile che gli occhi avessero uno sguardo cattivo. L’incidente mi fece ricordare le storie che avevo sentito da bambino sull’”occhio diabolico” e sui suoi strani e spaventosi poteri.»

Certo, se, da un lato, Alexander Lowen era un terapeuta abituato ad avere a che fare con una quantità di pazienti affetti da sofferenze mentali d’ogni genere, dall’altro si fatica a trattenere un moto di sorpresa davanti alla sua strana affermazione che «prima di quell’esperienza non credeva possibile che gli occhi avessero uno sguardo cattivo». Non si può fare a meno di domandarsi se davvero egli fosse abituato a guardare i suoi pazienti negli occhi: a guardarli, intendiamo, e non, semplicemente, a vederli. A meno che gli avesse fatto velo l’ideologia buonista, tipica di certi ambienti della contro-cultura, specialmente giovanile, degli anni Sessanta, nella cui vastissima galassia si muovevano anche i seguaci di Wilhelm Reich e di parecchie altre frange “eretiche” del grande movimento psicanalitico di matrice freudiana (e per i quali il buonismo era soprattutto in funzione naturalistica e russoviana, nonché di sottintesa polemica anticristiana, vedendo essi, nel cristianesimo, l’aspetto “crudele” della giustizia divina, e l’aspetto “pessimistico” della antropologia relativo al peccato).
A quanto pare, dopo anni e anni di attività terapeutica, il buon Alexander Lowen aveva scoperto l’acqua calda (meglio tardi, che mai), ossia ciò che qualunque parroco di campagna, dopo aver esercitato il sacramento della confessione anche solo per una settimana, sarebbe stato in grado di dirgli, se lui avesse mai avuto l’umiltà di ascoltare qualcosa da un simile pulpito: che la malvagità assoluta esiste, pur se in una creatura limitata e imperfetta come l’essere umano. Avrebbe anche potuto leggersi Shakespeare, o Dante, o i tragici greci, o il Vangelo, le vite dei santi, e sarebbe arrivato alla stessa conclusione: la cattiveria radicale è di questo mondo, anche se, in essa, traluce un fulgore corrusco che rimanda a un altro mondo, quello infernale, comunque uno se lo immagini e ovunque esso si trovi.
Quanto all’episodio specifico da lui raccontato, qui sopra riportato, vorremmo fare un’ipotesi. La malvagità assoluta, ripetiamo, è assai rara: è rarissimo trovare un uomo, una donna, che si siano interamente votati al male, e la cui anima si sia dannata inesorabilmente già in vita, anticipando in se stessa la condizione infernale che l’attende dopo la morte. Se ciò accade, bisogna quantomeno sospettare che vi sia una componente non umana, perché le possibilità umane sono limitate, sia nel bene che nel male. Una malizia assoluta eccede le possibilità umane; di conseguenza, è verosimile che quell’anima abbia fatto offerta di sé al Demonio, in cambio di potenza, successo, ricchezza e piaceri sessuali. Di fatto, il satanismo esiste ed è molto più diffuso di quel che, generalmente, non s’immagini: esistono parecchi milioni di persone che si sono votate al Male, e che si sono legate ad esso mediante un patto scellerato, che prevede anche il sacrificio di esseri umani, preferibilmente di bambini (perché i satanisti ritengono che l’anima del bambino, strappata violentemente al momento della morte, liberi energie potentissime, delle quali, come vampiri psichici, essi vogliono impadronirsi, per accrescere la loro forza). L’argomento è disgustoso e preferiremmo evitarlo; pure, non è lecito chiudere gli occhi davanti alla realtà, ed p giusto mettere in guardia contro siffatte individui che si aggirano come lupi rapaci in mezzo alle nostre città e lungo le nostre strade. Una quantità di delitti irrisolti, e una quantità ancora più grande di numerose sparizioni di persone, sono riconducibili alle attività infernali di questi servitori del Demonio, le cui messe nere esigono sempre nuove vittime sacrificali per propiziare agli adepti il favore delle Tenebre.
Lo sappiamo bene: tutto questo appare poco credibile. Infatti, a parlarne sono pochissimi giornalisti e scrittori; fra gli intellettuali bene affermati, praticamente nessuno. Nessuno di loro prende la cosa sul serio; e nessuno, o quasi nessuno, sarebbe disposto ad esporsi al ridicolo e alla gogna mediatica, se si mettesse a parlare apertamente del Diavolo, dei satanisti e dei loro sacrifici umani. Meglio parlare di cose serie: non di simili bazzecole. Quelle, le lasciano alla screditatissima categoria dei complottisti. Quanto all’altra categoria che avrebbe il diritto e il dovere di parlarne, i teologi, apriti cielo: hanno ben altro da fare: per esempio, sono tutti impegnati a sostenere che Dio è misericordia a senso unico, per cui lo stesso Diavolo, alla fine, verrà redento, e l’Inferno chiuderà i battenti per mancanza di clienti. Padronissimi di pensarlo. Quanto a noi, riteniamo doveroso mettere in guardia tutti questi buonisti e cristiani di manica larga.Come ammoniva Baudelaire, il Diavolo gode del fatto che gli uomini non credono più alla sua esistenza: ciò gli facilita immensamente il suo lavoro...

Chi era quella donna sulla metropolitana 
dallo sguardo demoniaco?

di Francesco Lamendola


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