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martedì 8 dicembre 2015

Il sacco di farinella

Il prete anti-Salvini: "Niente presepe in chiesa"

Don Paolo Farinella si rifiuta di fare il presepe in chiesa pur di non aver nulla da spartire con il leader della Lega
Don Paolo Farinella è un prete di strada. Uno abituato ad andare controcorrente e, molto spesso, anche contro le gerarchie ecclesiastiche.








Un prete un po' di sinistra che, l'anno scorso, ha salutato positivamente l'iniziativa di don Prospero Bonzani, che aveva inserito una moschea nel presepe della parrocchia di via Vesuvio.
Come riporta Il Secolo XIX, quest'anno, don Farinella, pur di andar contro Salvini, ha deciso di non fare il presepe: "Io quest’anno il presepe non l’ho fatto. Per protesta. Contro chi sputa sopra una cosa sacra, un simbolo di amore e di unione. Io con Salvini (che dopo le stragi di Parigi ha detto: 'Facciamo il presepe per non arrenderci') non voglio avere niente a che spartire. Perciò, è deciso, nessun presepe nella mia chiesa".
Questa iniziativa, però, non danneggia Salvini. Danneggia solamente i parrocchiani che non possono godere della bellezza delle tradizioni e della dolcezza del presepe e, in definitiva, rappresenta una scelta ideologica. Proprio quello che il prete rinfaccia a Salvini.

QUELLI DELLA SCUOLA LAICA. Socci: "Presepi via dalle scuole?

Ignoranti, aboliamo anche il calendario". Ma il problema non è il presepe, è l' ignoranza e il dominio del «secondo me».
Nei giorni scorsi è scoppiata una guerra sul Natale nelle scuole. Ma il problema non è il presepe, è l' ignoranza e il dominio del «secondo me». Carlo Giovanardi ha giustamente ricordato un fatto dimenticato da tutti: «Il 25 dicembre, Natale, è una festività cattolica di precetto come tale riconosciuta dallo Stato anche agli effetti civili sin dal tempo dell' Unità d' Italia (decreto 17 ottobre 1860, n. 5342)». Faccio presente che il governo del Regno d' Italia a quel tempo era fatto di politici che erano in guerra con la Chiesa e una guerra molto dura, dopo le leggi Siccardi e quelle sulla soppressione degli ordini religiosi: uno scontro che portò anche alle scomuniche. Eppure quella legge riconosceva la festa del Natale, la nascita dell' Uomo-Dio, come festa dello stato laico risorgimentale.
Dopo il Regno d' Italia arriva la Repubblica e il Natale (che per la Chiesa è «la Gloria del Cielo che si manifesta nella debolezza di un bambino»), viene riconosciuto come festa: in base alla legge della Repubblica 27 maggio 1949 n. 260, il 25 dicembre è «giorno festivo con l' osservanza del completo orario festivo e del divieto di compiere determinati atti giuridici». Cioè - spiega Giovanardi - lo Stato laico riconosce la festività cattolica del Natale come sua festa civile. Esattamente come istituì la festa nazionale del 4 novembre (oggi soppressa), la festa della Repubblica il 2 giugno o il 25 aprile come festa della Liberazione e il 1° Maggio come festa dei lavoratori. Quest' ultima - com' è noto - è una festa nata nell' alveo del movimento socialista, ma è stata riconosciuta come festa civile e oggi è festa di tutti. È ovvio che una scuola che fa fare vacanza ai ragazzi per il 1° Maggio o per il 25 aprile debba spiegare loro perché fanno vacanza e cosa si celebra. Così come è ovvio che, dando quindici giorni di festa ai ragazzi, per il Natale, si spieghi chi e cosa si festeggia: non «l' inverno» o altre corbellerie, ma la nascita di Gesù Cristo. E a Pasqua non si celebra la pace, ma la Resurrezione di Gesù.
Questo taglia la testa al toro, spazzando via tutte le chiacchiere sulla «scuola laica» che non dovrebbe parlare del Natale cristiano o della Pasqua. Tanto più dovrà spiegarlo agli studenti immigrati e di altre religioni: proprio a scuola questi giovani possono imparare un fatto fondamentale della nostra cultura, quel fatto in base al quale si dice che oggi siamo nel 2015 (perché si computano gli anni a partire dalla nascita di Gesù), quel fatto per cui abbiamo la settimana e la domenica facciamo festa.
Il fatto cristiano, che è rappresentato in gran parte del nostro patrimonio artistico, ha «inventato» le Cattedrali, gli ospedali e le università. Anche la nostra lingua ha lì la sua origine, perché l' italiano è una lingua istituita avendo come paradigma il Poema sacro, la Divina Commedia, ed ha il Cantico delle creature come sua prima opera poetica (Cantico scritto dallo stesso san Francesco che ha «inventato» il presepio). Se volessimo scavare nella nostra storia scopriremmo che pure Europa è stata forgiata dalla storia cristiana e così il diritto internazionale (vedi la Scuola teologica di Salamanca), così le banche (prima c' erano perlopiù usurai) e il sistema economico moderno. Ma perfino le nostre delizie gastronomiche - dal parmigiano, al prosciutto allo spumante - ci portano nelle abbazie medievali che insegnarono l' agricoltura a un' Europa barbarica e trasmisero la cultura classica e quella ebraica e inventarono la notazione musicale. Pure le origini della nostra tecnologia e della nostra scienza vanno cercate lì.
Don Lorenzo Milani, che la Sinistra ritiene da decenni un prete dei suoi (ma lui se ne faceva beffe), scrisse, con i ragazzi della scuola di Barbiana, Lettera a una professoressa, un libro che veniva sbandierato dai Sessantottini come il loro testo di riferimento per la contestazione della «scuola borghese». Bene, credo che lo abbiano letto poco. Infatti, in quel libro, Don Milani, contestando il tempo che la scuola dedica ai classici, prosegue: «Neanche un minuto solo sul Vangelo. Non dite che il Vangelo tocca ai preti. Anche levando il problema religioso restava il libro da studiare in ogni scuola e in ogni classe. A letteratura il capitolo più lungo toccava al libro che più ha lasciato il segno, quello che ha varcato le frontiere. A geografia il capitolo più particolareggiato doveva essere la Palestina. A storia i fatti che hanno preceduto, accompagnato e seguito la vita del Signore. In più occorreva una materia apposta: scorsa sull' Antico Testamento, lettura del Vangelo su una sinossi, critica del testo, questioni linguistiche e archeologiche. Come mai non ci avete pensato? Forse chi v' ha costruito la scuola Gesù l' aveva un po' in sospetto: troppo amico dei poveri e troppo poco amico della roba».
Altro che presepio a scuola: don Milani voleva il Vangelo come programma di studio fondamentale in tutte le materie. Ma - si dirà - per quanto considerato di sinistra lui era pur sempre un prete. Eppure anche Immanuel Kant, vate della cultura laica europea, affermava: «Il Vangelo è la fonte da cui è scaturita la nostra cultura».
Un paio di aneddoti illuminanti. Attorno al 1978 frequentavo la Facoltà di Lettere e filosofia, a Siena, e seguivo in particolare i corsi di Critica letteraria tenuti da Franco Fortini. Era un professore straordinario, da cui ho imparato tantissimo. Un intellettuale affascinante.
Fortini stava fuori dagli schemi: era marxista, ma antistalinista, era ebreo (lui e suo padre subirono la persecuzione delle leggi razziali), ma critico con lo Stato d' Israele. Noi facevamo discussioni accesissime, furono scontri epici. Ma fecondissimi.
Una mattina iniziò la lezione leggendo (meravigliosamente) dei versi. In pochi riconoscemmo che era il «Mercoledì delle ceneri» di Eliot: «Perch' i' non spero più di ritornare/ Perch' i' non spero...». Quel giorno era appunto il Mercoledì delle ceneri e lui si mise a chiedere se sapevamo cosa significava. La maggior parte non ne sapeva niente. Così Fortini fece lezione per spiegarci che non era possibile studiare letteratura, filosofia, storia dell' arte o storia in Italia senza sapere tutto del cattolicesimo.
Tanto più disse se uno si professa marxista. Le stesse identiche considerazioni poi mi furono fatte, qualche anno dopo, da Massimo Cacciari, quando lavoravo al Sabato, durante un' intervista. Cacciari, originariamente marxista, si occupa da sempre di teologia ed era inorridito dall' ignoranza in materia religiosa che riscontrava nei suoi studenti. È una questione centrale della formazione e la scuola non l' ha ancora compreso. Non è una questione confessionale, ma culturale e educativa.
Ho già ricordato - su queste colonne - cos' hanno scritto in proposito i campioni della nostra cultura laica. Nella sua Storia dell' idea d' Europa, Federico Chabod dice: «Il Cristianesimo ha modellato il nostro modo di sentire e di pensare in guisa incancellabile; e la diversità profonda che c' è fra noi e gli Antichi (…) è proprio dovuta a questo gran fatto, il maggior fatto senza dubbio della storia universale, cioè il verbo cristiano. Anche i cosiddetti "liberi pensatori", anche gli "anticlericali" non possono sfuggire a questa sorte comune dello spirito europeo». E il papa laico, Benedetto Croce, il maestro della cultura liberale, nel saggio del 1942 Perché non possiamo non dirci cristiani, spiegava: «Il Cristianesimo è stato la più grande rivoluzione che l' umanità abbia mai compiuta (…). Tutte le altre rivoluzioni, tutte le maggiori scoperte che segnano epoche nella storia umana, non sostengono il suo confronto, parendo rispetto a lei particolari e limitate (…). E le rivoluzioni e le scoperte che seguirono nei tempi moderni (…) non si possono pensare senza la rivoluzione cristiana (…) perché l' impulso originario fu e perdura il suo». Ripeto: il problema della scuola italiana non è il presepio, ma l' ignoranza

Antonio Socci Libero 7.12.2015

Perché oggi più che mai "non possiamo non dirci cristiani"

Tra Giubileo e minacce del terrorismo islamico, il testo di Benedetto Croce del 1942 è un’utile lettura, oggi, per alcuni improvvisati "laici" e per lo strabico cotè che, in ossequio al multiculturalismo, si affloscia a concedere valore di provocatorietà alla esibizione dei simboli cristiani
di Umberto Minopoli | 08 Dicembre 2015 ore 13:14
Ce ne siamo dimenticati. Parlo di quel piccolo libretto che Croce scrisse di botto, a suo dire, in un’inquieta notte del 1942“Perché non possiamo non dirci cristiani”. Sarebbe un ottimo testo scolastico breve di storia della filosofia. E un’utile lettura, oggi, per alcuni improvvisati "laici". E per lo strabico cotè che, in ossequio al multiculturalismo, si affloscia a concedere valore di provocatorietà alla esibizione dei simboli cristiani. Simboli religiosi, al pari di altri, che andrebbero espulsi dalla sfera pubblica e rintanati in quella privata. Ma sono veramente, solo, residuali simboli religiosi quelli cristiani nella nostra sfera pubblica? Croce stimola, con il suo scritto una rappresentazione diversa, laica e civile, dei significato, per noi,  del Cristianesimo. Che non può non riguardare anche la sua simbologia.
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Il libretto del grande padre liberale del nostro 900 è una risposta alle strampalate semplificazioni, al clima di sincretismo relativista, di banalizzazionedi svalutazione comparata di “tutte” le religioni e delle loro simbologie che episodi come quelli di Padova hanno sollevato. Croce era “inquieto” quella notte del 42, certamente, per gli esiti della guerra, per la tragedia italiana e per il ruolo della chiesa cattolica di cui gli interessava alimentare il distacco dalla dittatura. E la speranza di un arruolamento motivato dei cattolici nella ricostruzione liberale dell'Italia del futuro. Ma lo scritto va oltre. Traccia un affresco della storia culturale europea. E finisce per caricare la Chiesa, implicitamente, di una responsabilità più vasta: di incarnare, pur con ritardi e contraddizioni, non tanto una comunità credente ma il corpus istituzionale di una civiltà, lo “spirito” europeo. E’ dichiaratamente non strettamente religiosa e laica la inevitabilità del dirsi “cristiani” che Croce rivendica.
Egli traccia una versione civile, laica, culturale del Cristianesimo che lo spoglia dei connotati dei riti, della credenza e dei “dommi”. E ne richiede la funzione, universalistica e laica, di origine e lievito dello spirito “liberale” europeo. La prospettiva “cristiana” è sintetizzata dal filosofo idealista nella “rivoluzione morale” rappresentata dal cristianesimo rispetto alle civilizzazioni e alle culture che l’avevano preceduto. Anche rispetto alla grandezza del pensiero, dell’arte e della cultura dell’ellenismo classico da cui il cristianesimo trae origine. Echeggiando in anticipo il Papa di Ratisbona, Croce specifica la “rivoluzione morale” del Cristianesimo come la più potente rottura filosofica e culturale della modernità. Che si sostanzia in un rovesciamento rispetto agli antichi: la rivoluzione cristiana, scrive Croce, porta il pensiero dell’uomo “al centro dell’anima”.
La centralità della “coscienza morale”, rispetto all'oggettivismo, alle mitologie, all'estraniamento delle vecchie religioni, è il prodotto umanistico della rivoluzione cristiana: il suo frutto più progressivo. La spiritualità cristiana, carburata dalla centralità della "morale" e dal concetto di "amore" per il prossimo diventa, scrive Croce, la base di un potente progresso civile e culturale che resiste anche alle resistenze buie dell’intolleranza, delle persecuzioni, delle intransigenze. Croce abbozza, in poche righe, il viaggio europeo che dall'Umanesimo, al Rinascimento, dal pensiero scientifico del Settecento all'Illuminismo alla riforma luterana e all'idealismo tedesco coronerà l'esito dello "spirito" liberale come tributario della originaria "rivoluzione morale" del Cristianesimo: una sorta, per Croce, di rivoluzione copernicana che spiega la specificità e le ragioni della civilizzazione europea. Il Cristianesimo, conclude Croce, in quanto prospettiva e spiegazione della storia civile e culturale europea è in qualche modo oltre la Chiesa.
E non "scriviamo”, dichiara Croce, “per gradire o sgradire gli uomini di Chiesa" quando rivendichiamo "l"uso di quel nome, cristiani, che la storia ci dimostra legittimo e necessario" ma per richiamare l'acquisizione del Dio cristiano come logica dello Spirito. Che, com'è noto, nel linguaggio idealista del liberale Croce non è altro che quella costruzione umana che trascende l'uomo: cultura, costume, stili di vita e di pensiero, storia. Di quella parte del mondo che ha conosciuto la "rivoluzione morale" del Cristianesimo. Croce deve oggettivare il significato del Cristo e non lo dice ma l'umanesimo come "rivoluzione dello spirito", umanistica e tollerante, e centralità della coscienza umana e' la stessa tensione che anima il tormentato cammino del giudaismo e la sua storia "europea": una grande cultura dell'uomo, risposta allo spaesamento della diaspora, che fa dire che lo spirito europeo è, certamente, giudaico-cristiano. Ecco: mi ricorderei del libretto di Croce e della sua idea civile, laica, culturale del "dirsi cristiani" quando discettiamo della simbologia cattolica nei nostri luoghi pubblici. Che è un richiamo di umanesimo, di cultura dell'amore e della tolleranza. E quando, stancamente e volgarmente, concediamo ragioni al carattere "offensivo" di un crocefisso o di un compassionevole canto di Natale.

2 commenti:

  1. Ecco un altro pretaccio utile idiota di questa pseudo chiesa conciliare. Parrocchiani ribellatevi e andate a celebrare il Natale in una parrocchia diversa.

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  2. Scuotere la polvere dai calzari. Se papa è sanfrancesco, se in comunione con lui è farinella, io sono ben contento di essere non in comunione con costoro, e che c***o.

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