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martedì 1 dicembre 2015

Requiescat in pace!?

Il vescovo di strada alza bandiera bianca

Natale a Padova, mons. Claudio Cipolla: “Passi indietro sulle tradizioni pur di stare in pace”
Il vescovo di Padova, mons. Claudio Cipolla
Roma. “Io farei tanti passi indietro pur di mantenerci nella pace, nell’amicizia e nella fraternità. Non dobbiamo presentarci pretendendo qualsiasi cosa che magari anche la nostra tradizione e la nostra cultura vedrebbero come ovvio. Se fosse necessario per mantenere la tranquillità e le relazioni fraterne tra di noi, io non avrei paura a fare marcia indietro su tante nostre tradizioni”. L’oggetto della disquisizione sono le celebrazioni natalizie, presepi inclusi, e a parlare a Rete Veneta (quindi a prova di smentite) è il novello vescovo di Padova, Claudio Cipolla.
Monsignor Claudio Cipolla è un esponente di spicco del nuovo corso episcopale nostrano, di quella rivoluzione (Palermo e Bologna sono gli esempi eclatanti) che Francesco vuole imprimere alla chiesa italiana dopo il ventennio ruiniano. Un bravo “prete di strada”, è stato definito quando la scorsa estate il Papa – a sorpresa – lo scelse tra il clero di Mantova per mandarlo a Padova, sbaragliando l’agguerrita concorrenza di pretendenti che già vedevano pendere al proprio collo la croce pettorale. E da parroco di strada sa meglio di ogni altro, ben più di chi s’arrovella su dispute teologiche o dissertazioni sui massimi sistemi nel chiuso delle curie arcivescovili, quanto sia rischioso dire apertis verbis che se vi fosse la necessità di “mantenere la tranquillità” bisognerebbe “fare marcia indietro su tante nostre tradizioni”. Il problema, insomma, è che si inizia dalle scene della Natività e non si sa dove si va a parare.

ARTICOLI CORRELATI Il vademecum della laicità in Francia è una boiata pazzesca I vescovi francesi si sono accorti che i cristiani bisogna cercarseli Touche pas à ma crècheIl presule, a ventiquattro ore di distanza, ha diramato un comunicato in cui chiarisce di “non aver mai detto ‘rinunciamo al presepe’”, ma conferma che “non possiamo utilizzare le religioni per alimentare conflitti o inutili tensioni. Purtroppo le religioni spesso sono strumentalizzate per altri interessi”. Mons. Cipolla ha aggiunto di non essere “contro la presenza della religione nello spazio pubblico, né tantomeno contro le tradizioni religiose, ma né le religioni né le tradizioni religiose possono essere strumenti di separazioni, conflittualità, divisioni”. “Il Natale, in questo senso – ha chiosato il presule nella nota diffusa dalla curia – è un esempio straordinario, un’occasione di incontro con i musulmani, che riconoscono in Gesù un profeta e venerano Maria, ma anche con persone di altre fedi e non credenti, proprio perché il cristianesimo ha un messaggio universale e abbraccia l’umanità intera. Un modo per vivere il Natale “è proprio tradurre nella vita i grandi valori del Vangelo, in cui tante religioni si ritrovano unite: pace, attenzione al Creato, solidarietà con gli ultimi”. Ma la ricetta prospettata dal vescovo – “i tanti passi indietro” – non pare aver dato risultati esaltanti ove applicata. In Francia, un anno fa, il tribunale di Nantes ordinò di trasferire altrove (cioè negli scantinati) il presepe dal municipio di La Roche-sur-Yon, in base alla santissima laicità e al principio che lo spazio pubblico non deve ammettere alcuna connotazione religiosa. Per non parlare della piccola statua della Vergine collocata in uno sperduto comune dell’Alta Savoia: una cosa “scioccante”, sbottò il leader locale socialista, chiedendone l’immediata rimozione. Polemiche “ridicole”, disse alla vigilia dello scorso Natale l’arcivescovo di Parigi, il cardinale André Vingt-Trois, ricordando come il presepe sia parte “del nostro universo culturale”, più ancora che “della nostra tradizione cristiana”. Eppure, nonostante l’attenzione maniacale nel rendere religiosamente neutri i luoghi pubblici, il modello francese pare fallito, come dimostrano le sempre più vaste e quasi inaccessibili società parallele che ruotano attorno ai borghesi e très chic arrondissement parigini. Non è rimuovendo la croce dalla bandiera occitana – se ne parla ancora, benché meno dopo il rinascimento patriottico post 13 novembre – che si può vivere tutti in pace e mantenere “le relazioni fraterne tra di noi”.

Non si tratta di salvaguardare fino all’estremo sacrificio – come facevano i Bersaglieri nelle trincee del Carso col cappello piumato – un simbolo posticcio, né è il caso di dar risalto ai sit-in fuori dai cancelli degli asili (con le telecamere di qualche talk-show televisivo pomeridiano a fare da contorno) di politicanti in cerca d’autore impegnati nella difesa dei presunti valori occidentali. Le parole del vescovo di Padova, la città del santo predicatore Antonio, sono il sintomo di un cedimento al quieto vivere: per non disturbare, insomma, meglio evitare quelle che potrebbero essere considerate delle provocazioni. Un’assurdità, come scriveva lunedì sul Corriere della Sera il rabbino capo di Roma, Riccardo Di Segni, quando spiegava che “se nella mensa scolastica il cibo offerto è per alcune religioni proibito, la risposta non è togliere il maiale dalle mense”. E lo stesso vale sia per il presepe sia per il crocifisso, spiega intervistato dal Mattino di Padova l’imam del Veneto, Kamel Layachi: “Ma quale offesa. Nessun musulmano cosciente può invocare la loro scomparsa. Sarebbe assurdo sul piano teologico e inaccettabile sul versante del rispetto dell’identità del popolo cristiano che ci ha accolti e che ci ospita”.

Natale, tutti i balletti del vescovo di Padova

È un vescovo dallo stile bergogliano quello che sta facendo discutere mezza Italia sul tema delle tradizioni cristiane di Natale. Si tratta di monsignor Claudio Cipolla, 60 anni, originario di Goito nel mantovano, con una predilezione per i poveri e poco avvezzo a certe ritualità ecclesiastiche, tanto che nel giorno del suo recente insediamento alla guida della Diocesi di Padova ha chiesto ai fedeli di chiamarlo solo don Claudio spiegando che “non mi si addicono, e così deve essere almeno per noi cristiani, titoli, onorificenza, primi posti. Non posso accettare distanze sociali e di classe”.
Uno, quindi, che non ha intenzione di perdere il suo stile da parroco e direttore della Caritas, ruoli che ha ricoperto fino a pochi mesi fa a Mantova. All’annuncio della sua nomina, voluta da Papa Francesco, i giornali veneti erano stati colti di sorpresa dopo aver visto sfumare i loro totonomi per il vertice di una delle Diocesi più grandi del bianco Nord Est. Poi sono arrivate quelle dichiarazioni parecchio sui generis di due giorni fa con tanto di scontata precisazione e mezzo dietrofront finale; il tutto, nel bel mezzo delle polemiche sui canti di Natale e i presepi vietati in certe scuole per non urtare le sensibilità di alunni atei o di altre religioni.
COSA HA DETTO MONSIGNOR CIPOLLA
Al termine del funerale di don Luigi Mazzucato, storico direttore del Cuamm (l’ong Medici con l’Africa), una giornalista dell’emittente televisiva Rete Veneta ha posto a monsignor Cipolla la seguente domanda: “Si parla in questi giorni di celebrare il Natale anche nelle scuole. Alcuni presidi dicono: evitiamo i canti di Natale per non offendere la sensibilità di chi non è cristiano. Lei cosa ne pensa?”. La risposta del vescovo ha lasciato di stucco: “Io farei tanti passi indietro pur di mantenerci nella pace, nell’amicizia e nella fraternità. Non vorrei che ci presentassimo pretendendo qualsiasi piccola cosa che magari la nostra tradizione e la nostra cultura renderebbero come ovvie. Se fosse necessario per mantenerci nella tranquillità e nelle relazioni fraterne tra di noi non avrei paura a fare una marcia indietro su tante nostre tradizioni”. Il riferimento al presepe e ai canti natalizi è evidente; è di quello che le chiedeva conto la cronista, e su quelle “piccole cose” il vescovo Cipolla ha invitato a fare “tanti passi indietro” in nome della pace tra i popoli.
Peccato però che in quello stesso giorno il segretario generale della Cei, monsignor Nunzio Galantino (non proprio un tradizionalista conversatore) ha usato toni perentori in ben altra direzione: “Lasciatemelo dire. Se questo è il Natale, trovo pretestuosa e tristemente ideologica la scelta di chi, per ‘rispettare’ altre tradizioni o confessioni religiose, pensa di cancellare il Natale o di camuffarlo scadendo poi nel ridicolo”. Chissà ora cosa ne penserà Galantino di quanto detto da Cipolla, e se riterrà pure i suoi “tanti passi indietro” un po’ ridicoli.
LA REAZIONE DEI LEGHISTI
Nel frattempo, in Veneto gli amministratori di centrodestra cavalcano la polemica. Il sindaco salviniano di Padova,Massimo Bitonci, ha avviato un’ispezione nelle scuole comunali per verificare che ci siano presepi e non anonime feste dell’inverno. L’assessora veneta alla Scuola, l’ex An Elena Donazzan, ha addirittura scritto alla direzione dell’Ufficio scolastico regionale per sollecitare controlli su eventuali “storture” nella gestione delle celebrazioni natalizie. Il leader della Lega Matteo Salvini ha invece invitato il vescovo a non avere paura delle tradizioni cristiane, mentre il governatore Luca Zaia ha spedito una lettera al vescovo in cui gli propone di “allestire un bel presepe e tacere”. Fa riflettere infine quanto scritto dal vaticanista de La Stampa Marco Tosatti nel suo blog: “Questo tipo di comportamento – l’appeasement – nella storia ha dato risultati pessimi. Con il dialogo questo non ha a che fare; il dialogo presuppone il rispetto reciproco, anche delle proprie storie”.
LA PRECISAZIONE CHE SA TANTO DI DIETROFRONT
Accortasi del polverone mediatico sollevato, nel pomeriggio di ieri la Diocesi di Padova ha diramato una nota dal titolo “Religioni e tradizioni per la pace” per precisare il significato delle parole di monsignor Cipolla. Un intervento però che sa tanto di dietrofront, perlomeno parziale. “Non ho mai detto ‘rinunciamo al presepe’ e non ho mai fatto riferimento ad alcun luogo specifico” esordisce il vescovo nelle sue dichiarazioni, mentre il comunicato parla di “un’indebita attribuzione alle sue parole”. “Non sono contro la presenza della religione nello spazio pubblico, né tantomeno contro le tradizioni religiose – puntualizza il prelato -, ma né le religioni né le tradizioni religiose possono essere strumenti di separazioni, conflittualità, divisioni”. In quest’ottica, aggiunge, “fare un passo indietro non significa creare il vuoto o assecondare intransigenze laiciste, ma trovare nelle tradizioni, che ci appartengono e alimentano la nostra fede, germi di dialogo. Le fedi religiose – conclude – , in particolare la fede cristiana, costruiscono, infatti, relazioni, rispetto, dialogo e aprono ponti. Tutto ciò significa rifiutare ogni forma di strumentalizzazione polemica, perché le fedi sono sempre occasioni di incontro e di reciprocità, senza rinunciare alla propria storia, ma riscoprendone il valore più autentico”.
Padova, Cipolla e l'appeasement.
Le celebrazioni del Natale a scuola? «Io farei tanti passi indietro pur di mantenerci nella pace e pur di mantenerci nell'amicizia». Così il vescovo di Padova, Cipolla. Ma bisogna chiedersi: che amici sono o sarebbero, che fratelli sono o sarebbero quelli che desiderano o pretendono che si rinunci a essere quello che uno è – tradizione, cultura - per esserci amici e fratelli?
Le celebrazioni del Natale a scuola? «Io farei tanti passi indietro pur di mantenerci nella pace e pur di mantenerci nell'amicizia». Parole controcorrente, rispetto al dibattito soprattutto politico di questi giorni, quelle pronunciate dal vescovo Claudio Cipolla parlando ai microfoni di Rete Veneta. «Non dobbiamo presentarci pretendendo qualsiasi cosa che magari anche la nostra tradizione e la nostra cultura vedrebbe come ovvio - aggiunge - Se fosse necessario per mantenere la tranquillità e le relazioni fraterne tra di noi, io non avrei paura a fare marcia indietro su tante nostre tradizioni».
 Questo è quanto il nuovo vescovo di Padova, Claudio Cipolla, ha detto ieri parlando ai microfoni di Radio Veneta. Capisco che il neo-vescovo voglia differenziarsi da quelle che probabilmente considera strumentalizzazioni politiche o di parte (anche se così facendo sceglie di essere da una parte, consapevolmente o meno); ma sentire un vescovo, un pastore, pronto a rinunciare a pezzi di tradizione e di cultura per il quieto vivere mi provoca una profonda pena.

Anche perché bisogna chiedersi: che amici sono o sarebbero, che fratelli sono o sarebbero quelli che desiderano o pretendono che si rinunci a essere quello che uno è – tradizione, cultura - per esserci amici e fratelli?  

Questo tipo di comportamento – l’appeasement – nella storia ha dato risultati pessimi. Con il dialogo questo non ha a che fare; il dialogo presuppone il rispetto reciproco, anche delle proprie storie. Che nella Chiesa sia suonata l’ora dei Quisling?  
MARCO TOSATTI


http://www.lastampa.it/2015/12/01/blogs/san-pietro-e-dintorni/padova-cipolla-e-lappeasement-ENKS5wAapDV8EJXxgWtFIK/pagina.html
Il preside, il vescovo e un cane
di Riccardo Cascioli 02-12-2015
Salvini
Ha un che di surreale la polemica che va avanti da giorni sulla celebrazione del Natale nelle scuole. Del fatto all’origine abbiamo già parlato: a Rozzano (Mi) un preside ha deciso di abolire l’usuale festa di Natale, proponendo invece per gennaio una Festa d’inverno: «per rispetto di chi non è cattolico». Dopo le proteste di alcuni genitori, il caso è diventato nazionale, e la scuola di Rozzano è diventata il teatro di scontro fra giornali, politici, anche con punte di comicità involontaria, tra il leader della Lega Matteo Salvini che porta un presepe da introdurre nella scuola e Mariastella Gelmini che intona “Tu scendi dalle stelle”.
Perché surreale? Perché – seppure parzialmente giustificati dai recenti fatti di Parigi che costringono a farsi qualche domanda sull’immigrazione e sulle regole di convivenza – non si capisce come mai tanta reazione nei confronti di un preside che ha fatto né più né meno quello che altre decine e centinaia di dirigenti scolastici hanno fatto prima di lui. Nel caso nessuno se ne fosse accorto sono anni che cresce il numero di scuole di ogni ordine e grado in cui si vietano spettacoli natalizi. E le denunce, apparse su pochi giornali, sono sempre state ignorate dai “Signori dell’opinione e dell’informazione”. Si fossero mobilitati quando il fenomeno è cominciato forse non ci troveremmo a questo punto.
«Non è - ha dichiarato il preside di Rozzano - un passo indietro di fronte all’islam rispettare la sensibilità delle persone che appartengono ad altre culture ad altri credo religiosi, mi pare un passo in avanti rispetto all’integrazione e rispetto reciproco». Un’idiozia, certo, il dialogo si fa tra identità diverse e coscienti della propria diversità e non ci può essere accoglienza e integrazione se non c’è apertura a tutto ciò che l’altro è. 
Ma proprio mentre fai queste riflessioni, ecco che si fa avanti il solito immancabile prelato che afferma sostanzialmente le stesse cose. È il nuovo vescovo di Padova, monsignor Claudio Cipolla che, rispondendo a una tv locale, si è detto pronto a rinunciare alle proprie tradizioni natalizie pur di salvare la pace e la fraternità con i concittadini islamici. «Non dobbiamo presentarci – ha detto il vescovo - pretendendo qualsiasi cosa che magari anche la nostra tradizione e la nostra cultura vedrebbe come ovvio. Se fosse necessario per mantenere la tranquillità e le relazioni fraterne tra di noi io non avrei paura a fare marcia indietro su tante nostre tradizioni». Da non credere.
Più tardi monsignor Cipolla, davanti alle reazioni giustamente scandalizzate dei fedeli, ha cercato di correggere il tiro prendendosela con chi ha strumentalizzato le sue parole. Ma cosa c’è da strumentalizzare? È così chiaro quel che ha detto. E comunque ecco la precisazione: «Papa Francesco ci sollecita di continuo nell’obiettivo di costruire un mondo di pace, senza conflitti, in cui la relazione tra fratelli sia prioritaria e l’indifferenza non trovi casa. Per noi cristiani è un richiamo forte, costante, specie in questo tempo di Avvento che ci accompagna al Natale. Ed è per questo che non possiamo utilizzare le religioni per alimentare conflitti o inutili tensioni. Purtroppo le religioni spesso sono strumentalizzate per altri interessi. Non sono contro la presenza della religione nello spazio pubblico, né tantomeno contro le tradizioni religiose, ma né le religioni né le tradizioni religiose possono essere strumenti di separazioni, conflittualità, divisioni. Fare un passo indietro non significa creare il vuoto o assecondare intransigenze laiciste, ma trovare nelle tradizioni, che ci appartengono e alimentano la nostra fede, germi di dialogo».
In questi casi si usa dire che la toppa è peggio del buco. In che modo infatti un presepe può essere considerato un uso della religione «per alimentare conflitti o inutili tensioni»? E a proposito di separazioni e conflittualità, monsignore dovrebbe sapere che l’annuncio di Cristo sempre provoca separazioni, tra chi lo accoglie e chi no. È successo così a Gesù, il vescovo di Padova pensa di essere più furbo?
La verità è che da un po’ di tempo le priorità di tanti vescovi e sacerdoti – ma anche di laici - sembrano essere cambiate e si tende a dare un valore positivo e un bel nome (dialogo, integrazione) a quella che è la solita vecchia codardia. L’islam, quando arriverà in forze, non avrà neanche bisogno di combattere, i cattolici si saranno già autoliquidati.
Per mantenere almeno il ricordo delle tradizioni cristiane sembra dovremmo affidarci ai cani. Lo si capisce dal numero di Dicembre della rivista “Da noi”, distribuita nei supermercati Esselunga, dove a pagina 91 si spara il titolo “La ghirlanda dell’Avvento”. Ah, finalmente qualcuno che non si vergogna delle tradizioni cristiane, pensi mentre la foto di un cane, che correda il servizio, ti fa subito nascere qualche dubbio. E infatti, ecco cosa dice il sommario: «A Nuvola non bastano mai, così in casa c’è sempre una bella scorta dei suoi ossi preferiti da mordicchiare! A tal punto che di questi snack abbiamo fatto una ghirlanda. Così anche per lei il Natale sarà più goloso!». Insomma, una ghirlanda dell’Avvento, per cani. Il futuro ci viene incontro.

Il vescovo s'inchina all'islam: "Pronto a fare marcia indietro sulle tradizioni"

Monsignor Claudio Cipolla, vescovo di Padova, risponde alla domanda sui canti natalizi vietati nelle scuole: "Un passo indietro per mantenere la serenità"














(guarda gui il video)
Perché se da una parte nelle scuole si registrano l'addio al presepe e la censura di Tu scendi dalle stelle in nome del rispetto dei "non cristiani", mentre la continua laicizzazione sta svuotando di significati il Santo Natale, ci si aspetterebbe che almeno i pastori della Chiesa facessero una levata di scudi. Si impuntassero, difendessero Gesù Bambino, il bue e l'asinello.
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Qualche voce di protesta c'è stata. Anche di peso. Monsignor Nunzio Galantino, segretario della Cei, ha definito "pretestuosa e tristemente ideologica la scelta di chi per rispettare altre tradizioni o confessioni religiose, pensa di cancellare il Natale o di camuffarlo scadendo nel ridicolo". Ma il pastore dei fedeli di Padova, monsignor Cipolla, ha deciso di andare controcorrente. Mentre la cristianità sembra essere sotto attacco su più fronti, nei giorni in cui in Medio Oriente nuovi martiri versano il loro sangue per non rinnegare la fede, Cipolla si dice "pronto a fare marcia indietro su tante nostre tradizioni".
In nome della pace, s'intende. Il che lo rende un gesto nobile, sicuramente caritatevole, ma che non tiene conto di un fatto: non può esserci accoglienza senza il riconoscimento delle proprie radici. In fondo è stato papa Ratzinger a dire che "le radici cristiane in Europa sono sempre più ignorate" e che la sfida era (ed è) quella di tornare a costruire la casa europea riconoscendo le fondamenta cristiane.
Come avrebbe giudicato, Benedetto XVI, le parole del vescovo Cipolla? "Io farei tanti passi indietro pur di mantenerci nella pace e pur di mantenerci nell'amicizia - ha detto il vescovo di Padova parlando della celebrazione del Natale nelle scuole ai microfoni di Rete Veneta - Non dobbiamo presentarci pretendendo qualsiasi cosa che magari anche la nostra tradizione e la nostra cultura vedrebbe come ovvio. Se fosse necessario per mantenere la tranquillità e le relazioni fraterne tra di noi io non avrei paura a fare marcia indietro su tante nostre tradizioni".
Intanto, il sindaco di Padova ha "risposto" alle parole del vescovo, assicurando controlli nelle scuole per far si che in ogni aula ci sia il presepe e il rispetto del Natale. Perché in fondo non serve molto per dar acqua alle proprie radici. È quello che forse i fedeli si aspetterebbero da (tutti) i pastori della Chiesa.

Celebrazioni di Natale, il vescovo: "Un passo indietro pur di stare in pace"
Monsignor Cipolla: "Farei marcia indietro su tante nostre tradizioni se fosse necessario per mantenere la tranquillità"
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PADOVA. «Io farei tanti passi indietro pur di mantenerci nella pace e pur di mantenerci nell'amicizia».
L'ha detto il vescovo di Padova Claudio Cipolla parlando della celebrazione del Natale nelle scuole ai microfoni di Rete Veneta al termine della messa celebrata in Duomo.








Celebrazioni del Natale, il vescovo frena: "Un passo indietro per mantenere la serenità"Il vescovo di Padova Claudio Cipolla sulle celebrazioni del Natale ha rilasciato a Rete Veneta una dichiarazione che fa discutere: "Farei un passo indietro per mantenere la per la pace".









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«Non dobbiamo presentarci pretendendo qualsiasi cosa che magari anche la nostra tradizione e la nostra cultura vedrebbe come ovvio - ha aggiunto -. Se fosse necessario per mantenere la tranquillità e le relazioni fraterne tra di noi io non avrei paura a fare marcia indietro su tante nostre tradizioni».
Nel pomeriggio di oggi (martedì 1 dicembre) l'Ufficio stampa della Curia di Padova ha diramato un comunicato di precisazione a firma del vescovo: «Non ho mai detto “rinunciamo al presepe” e non ho fatto riferimento ad alcun luogo specifico».
Riferendosi all’intervista di Reteveneta sulle tradizioni natalizie di ieri 30 novembre 2015, successivamente ripresa dalla stampa locale e nazionale, il vescovo di Padova, monsignor Claudio Cipolla, dopo aver precisato un’indebita attribuzione alle sue parole, coglie l’occasione per ampliare e approfondire il suo pensiero, evitando semplificazioni. Pace, pace, pace! Papa Francesco ci sollecita di continuo nell’obiettivo di costruire un mondo di pace, senza conflitti, in cui la relazione tra fratelli sia prioritaria e l’indifferenza non trovi casa. Per noi cristiani è un richiamo forte, costante, specie in questo tempo di Avvento che ci accompagna al Natale. Ed è per questo che non possiamo utilizzare le religioni per alimentare conflitti o inutili tensioni. Purtroppo le religioni spesso sono strumentalizzate per altri interessi. Non sono contro la presenza della religione nello spazio pubblico, né tantomeno contro le tradizioni religiose, ma né le religioni né le tradizioni religiose possono essere strumenti di separazioni, conflittualità, divisioni. Fare un passo indietro non significa creare il vuoto o assecondare intransigenze laiciste, ma trovare nelle tradizioni, che ci appartengono e alimentano la nostra fede, germi di dialogo".








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"Le fedi religiose, in particolare la fede cristiana, costruiscono, infatti, relazioni, rispetto, dialogo e aprono ponti. Tutto ciò significa rifiutare ogni forma di strumentalizzazione polemica, perché le fedi sono sempre occasioni di incontro e di reciprocità, senza rinunciare alla propria storia, ma riscoprendone il valore più autentico. Il Natale, in questo senso, è un esempio straordinario, un’occasione di incontro con i musulmani, che riconoscono in Gesù un profeta e venerano Maria, ma anche con persone di altre fedi e non credenti, proprio perché il cristianesimo ha un messaggio universale e abbraccia l’umanità intera. Un modo per vivere il Natale è proprio tradurre nella vita – come testimoniano tante figure di uomini e di donne – i grandi valori del Vangelo, in cui tante religioni si ritrovano unite: pace, attenzione al Creato, solidarietà con gli ultimi…».















http://mattinopadova.gelocal.it/padova/cronaca/2015/11/30/news/celebrazioni-di-natale-il-vescovo-un-passo-indietro-pur-di-stare-in-pace-1.12537629
Padovano ha lasciato un nuovo commento sul tuo post ""Questo Vescovo diventerà Papa!"?":

Voi, di san Giacomo, giustamente vi state lamentando per la mancata celebrazione domenicale di una messa, ma guardate cosa scrive un MANTOVANO riguardo alla tradizione e al Santo Natale.
[cit] «Non dobbiamo presentarci pretendendo qualsiasi cosa che magari anche la nostra tradizione e la nostra cultura vedrebbe come ovvio - ha aggiunto -. Se fosse necessario per mantenere la tranquillità e le relazioni fraterne tra di noi io non avrei paura a fare marcia indietro su tante nostre tradizioni». Questo è quello che in internet il vostro mons. Cipolla... E voi vi lamentate per la messa? Ma se questo prelato paonazzo (per l'abito s'intende) ha già detto di voler celebrare in tono mesto il natale e limitare le processioni.... Mah... guardate in internet l'intervista integrale, c'è da inorridire!! Comunque vi capisco...credo che ora succederà da noi quello che voi già state sperimentando!

La stucchevole “superiorità etica” di chi critica i sostenitori del presepe a scuola

A Michele Serra non piace il presepe, specialmente se è usato da esponenti della Lega per ricordare l’identità popolare e nazionale. Nulla di male, se non fosse l’ennesimo pretesto per sottolineare l’appartenenza a una sedicente minoranza virtuosa
di Redazione | 01 Dicembre 2015 

Michele Serra (foto LaPresse)
A Michele Serra non piace il presepe, specialmente se è usato da esponenti dell’odiata Lega per ricordare l’identità popolare e nazionale (ma è lo stesso Serra che nell’Amaca di sabato criticava le scuole che non fanno il presepe e i canti di Natale per non urtare la suscettibilità dei non cristiani?). In questo non ci sarebbe niente di male se il corsivista di Repubblica non ne derivasse la convinzione di far parte di una minoranza di persone intelligenti assediate da due opposte tifoserie, che sarebbero composte da chi insiste nell’esposizione del bambinello come segno della tradizione da difendere e chi lo vorrebbe cancellare con l’idea di apparire così più accogliente verso migranti di origine islamica o comunque non cristiana. Descrivere chi ha opinioni differenti in modo caricaturale, in modo da poterlo usare come bersaglio di facili sarcasmi è un vezzo che caratterizza una elite intellettuale che si considera eticamente ed esteticamente superiore agli altri, e che poi si presenta come minoranza virtuosa che deve difendersi dalle ondate barbare degli opposti fondamentalismi. Loro sì che sanno distinguere, che sanno come si deve agire per non offendere i sentimenti e le identità di nessuno, grazie alla loro intelligenza e cortesia. Se poi questo li porta a considerare la maggioranza dei loro concittadini come degli imbecilli che si fanno abbindolare da fanatici, poco importa. Pensano di rappresentare una “minoranza gentile ma non silenziosa”, cioè di essere gli unici capaci di intendere e di volere in mezzo a un marea di mentecatti e di rissaioli.

ARTICOLI CORRELATI Il vademecum della laicità in Francia è una boiata pazzesca Istruzioni per vivere felici e spensierati ma con juicio Si corra a comprare il presepeIl carattere elitario dell’intellettualità italiana non è una novità, ma diventa stucchevole quando esaspera i toni della sua pretesa di superiorità. Che cosa vuol dire che la scuola non deve solo apparire ma essere di tutti “inclusiva di ogni identità e cultura”? Se vuol dire che non ci debbono essere discriminazioni e censure è una banalità, se vuol dire che la scuola deve bandire o cercare goffamente di occultare i riferimenti caratteristici della nostra cultura o mischiarli sincreticamente con generiche concezioni cosmopolite è invece una fesseria. Ma di questa sostanziale pochezza di queste genericissime banalità Serra non si renderà mai conto, appunto perché chi non le condivide finisce immediatamente dietro la lavagna.
http://www.ilfoglio.it/cronache/2015/12/01/michele-serra-stucchevole-superiorita-etica-di-chi-critica-i-sostenitori-del-presepe-a-scuola___1-v-135574-rubriche_c164.htm
crocifisso- scuola

Il preside di Rozzano in anticipo sui tempi

Ma se il preside di Rozzano si è trovato più ‘avanti’ di coloro che pure stanno ‘avanti’, lasciateci dire che, chi davvero ha a cuore la difesa delle nostre tradizioni, chi davvero non fraintende e non sbiadisce la propria identità nella pozzanghera liberale, sta più ‘indietro’ sia degli uni che degli altri, e non per smania di passatismo, ma poiché l’ ”indietro” che si conserva e che perdura è esattamente un ‘avanti’ che si rinnova eternamente, rigenerato per il bagno nel passato. L’uomo che si prolunga è l’uomo che trasmette; e l’uomo che trasmette si fa grande conservando.
DI  - 1 DICEMBRE 2015
Fa un certo effetto leggere le critiche della politica (in primis quelle del Presidente Matteo Renzi) piovute su quel preside di una scuola di Rozzano dove è stata cancellata la festa di Natale per rispettare le differenze di credo presenti all’interno dell’istituto. Fa un certo effetto perché è proprio la politica ad averla menata per anni con gli stessi paradigmi che ora sono stati integralmente osservati da quel preside di Rozzano. Sono stati infatti per primi i politici, e non le persone comuni, ad aver invocato la necessità del dialogo forzato con le altre culture, anche quelle comprendenti pratiche al limite della legalità, e ad aver esaltato i valori della laicità e del pluralismo, oltre che piazzato di tanto in tanto al centro dell’agenda politica – agenda a dire il vero assai fluida e affollata – il tema dell’integrazione delle minoranze. Di cosa credono d’incolpare, allora, quel preside così ligio e inappuntabile? Di troppa coerenza e di troppa lealtà nei loro confronti? D’aver applicato al meglio la loro amata Costituzione? D’aver messo fine a una lunga ambiguità e reticenza? D’essersi dimostrato fino in fondo un dirigente laico e liberale, aperto e rispettoso, tollerante e permissivo come essi volevano che fosse? Probabilmente no. Quel preside è caduto in un errore più maldestro, ma fatale: quello di non essere al passo – non perché in ritardo, bensì perché in anticipo- coi tempi. Un errore che, in una modernità così chiassosa e decadente, appare difficilmente emendabile.
Oggi esiste infatti la geniale convinzione – diffusa a tal punto da illustrarsi persino nei manuali scolastici – che determinate idee siano giuste o sbagliate a seconda dell’epoca a cui si riferiscono. Si sente dire spesso: “siamo nel 2015!”, come a significare che certe cose alle 7 di sera non possono più essere accettate, mentre prima potevano pur con qualche mugugno. Ma, allora, se esistono idee troppo vecchie per i tempi in cui viviamo – si domandano implicitamente i politici e gl’intellettuali che di tale geniale convinzione hanno fatto la propria bandiera ormai da decenni – perché escludere che ne esistano al contempo delle altre ancora troppo giovani e immature? Così si capisce che il preside di Rozzano, per questi signori così devoti ai dogmi inossidabili del cambiamento, non ha sbagliato in assoluto a dire che dei canti cristiani potrebbero turbare la sensibilità di bambini musulmani ed ebrei; ha soltanto sbagliato il momento della sua dichiarazione. “Siamo nel 2015” significa allo stesso modo che non siamo nel 1915 ma neanche nel 2115. E chi si ritrova o troppo indietro o troppo avanti, finisce nel tritacarne. É il Progresso, bellezza!
Non stupisce nemmeno che certe critiche provengano da ambienti che si definiscono esplicitamente o progressisti o liberali. Liberali di sinistra, liberali di destra o liberali di centro: che importa? Ai nostri fini si tratta pur sempre di gente col pallino della libertà; e quindi anche della libertà di ficcarsi in clamorosi equivoci ideali, come quello di credere nell’assoluta laicità delle istituzioni repubblicane e, al contempo, al Natale e al crocifisso nelle scuole pubbliche. Contraddizioni spesso occultate attraverso la formula assai generica della “difesa della nostra identità”. Ne ha parlato in un’intervista recente anche l’ex ministro dei trasporti, Maurizio Lupi.
Ma “identità” è parola che deriva da idem, che significa “medesimo”; e non v’è nulla di medesimo fra pensiero cristiano e laicismo liberale, fra Adeste Fideles e Imagine di John Lennon. O si sta con l’una o si sta con l’altra. O si è liberali (davvero o  per finta) o si è cristiani (davvero o per finta). E sennò, di quale identità si parla? Di un’identità sdoppiata? E, in subordine, di quale integrazione? Di un’integrazione impossibile?
Da tutto ciò s’intende che il preside di Rozzano si è trovato nella scomoda posizione di essere “più avanti” dei suoi stessi accusatori politici, che pure sono “avanti”, e di avere già risolto – in favore naturalmente del progresso e della libertà – l’unico autentico “scontro di civiltà” che imperversa oggigiorno nel cuore dell’Europa, ovvero quello fra amici e nemici delle nostre radici e consuetudini comuni e, nello specifico, quello fra amici e nemici del Cristianesimo. Egli precorre il futuro da incompreso, profeta del mondo che verrà. E così sembra dire ai suoi critici: “non possiamo non dirci multiculturali, in quanto progressisti e in quanto liberali”.
Ma se il preside di Rozzano si è trovato più “avanti” di coloro che pure stanno “avanti”, lasciateci dire che, chi davvero ha a cuore la difesa delle nostre tradizioni, chi davvero non fraintende e non sbiadisce la propria identità nella pozzanghera liberale, sta più “indietro” sia degli uni che degli altri, e non per smania di passatismo, ma poiché l’”indietro” che si conserva e che perdura è esattamente un “avanti” che si rinnova eternamente, rigenerato per il bagno nel passato. L’uomo che si prolunga è l’uomo che trasmette; e l’uomo che trasmette si fa grande conservando.
“L’IS è in Libia, minaccia l’Italia”. Tutto vero, lo dice l’US.




La notizia-bomba l’ha data il Wal Street Journal (di Rupert Murdoch), quindi c’è da preoccuparsi davvero: “Lo Stato Islamico ha rafforzato la sua presa nella sua roccaforte di Sirte in Libia”. I guerriglieri del Califfo sono cresciuti “da 200 a circa 5 mila”, sono “volonterosi combattenti”, e lo hanno assicurato al giornale (di Murdoch) persone “dell’intelligence libica”. Anzi, il “capo dell’intelligence militare per la regione che include la Sirte. Il quale risponde al nome di Ismail Shoukry, e dichiara: “Loro hanno esplicitato le loro intenzioni. Vogliono portare la loro lotta a Roma”.


Ecco, ci siamo: l’ISIS minaccia direttamente Roma. Vedete com’è difficile la “lotta al terrorismo globale” o  “lotta globale al terrorismo” annunciata ed iniziata nel 2001 da Bush jr.: appena l’ISIS viene schiacciato in Siria, ecco che riappare in Libia. Con la nuova filiale, ampliata e rinnovata. Un miracolo.
E’ come un fungo, l’ISIS. Sempre più vicino all’Italia. Anzi, di più, dice il giornale di Murdoch: l’ISIS in Libia “ha cercato reclute che abbiano le conoscenze tecniche per far funzionare i vicini impianti estrattivi petroliferi”.
Quindi succhiano il petrolio anche da lì, e lo vendono (a chi? Le navi di Bilal Erdogan arriveranno?); diventano autosufficienti finanziariamente, e possono procurarsi armi (americane) e addestratori (Cia) per attaccare l’Italia. Essi infatti vogliono conquistare l’Italia, centro della cristianità.
Non è che scherziamo sopra questa minaccia. No, è da prendere sul serio. Soprattutto perché lo Stato Islamico ha postato questo tipo di mappe sui suoi siti.

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Se vedete, la mappa è stata  firmata o  distribuita dal MEMRI (Middle East Media Research Institute): un benemerito organo che scova gli articoli più luridi sui media islamici e li diffonde a noi giornalisti. Il MEMRI, come mi è capitato di ricordare recentemente, è diretto dal colonnello israeliano Yigal Carmon che l’ha fondato con Meyrav Wurmser, il quale dirige da par suo il Centre for Middle East policy ad Indianapolis: insomma due attivi dei servizi di Sion.
Quindi la minaccia è seria, quella è gente davvero pericolosa. E’ possibile che vogliano prendersi anche le installazioni che l’Eni ha ancora? O un vero e proprio attentato a Roma, per attrarre l’Italia in Libia con le armi? Chi lo sa. Tutto è possibile.
Se avverrà -e i media strilleranno – mega-attentato islamista nell’anno della misericordia, ricordiamo alcune realtà che i media, nella fretta e nell’angoscia, con gli occhi pieni di lacrime, potranno tralasciare.
Daesh è una creazione degli Stati Uniti”: generale Vincent Desportes nell’audizione davanti al Senato francese 12 dicembre 2014.








Vincent Desportes
Vincent Desportes

Ciò che chiamiamo ‘salafismo’ in arabo si dice ‘wahabismo’ . E noi siamo in contropiede sistematicamente e in tutte le situazioni di affrontamento militare, perché in Medio Oriente, nel Sahel, in Somalia, in Nigeria, noi siamo alleati con quelli che sponsorizzano il fenomeno terrorista da trent’anni”. Alain Chouet, già direttore della sezione anti-terrorismo del DGSE (i servizi francesi).
I nostri alleati, Turchia, sauditi ed emirati, hanno finanziato ed armato i terroristi. Hanno versato centinaia di milioni di dollari, e decine, migliaia di tonnellate di armi a chiunque volesse combattere contro Assad”: Joe Biden, vicepresidente degli Stati Uniti.








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Michael Flynn, DIA


Nel 2012, quando la mia agenzia avvisò l’amministrazione Obama della possibile emergenza di uno Stato Islamico tra Irak e Siria , la Casa Bianca ha deliberatamente scelto si sostenere clandestinamente le reti jihadiste combattenti contro il regime di Bashar Assad”: generaleMichael Flynn, ex capo della DIA, la Cia dei militari.
Il Wall Street Journal racconta anche che “ad agosto lo Stato Islamico ha schiacciato una insurrezione armata di libici locali “arrabbiati dall’uccisione da parte del gruppo di un giovane clerico che si era opposto agli estremisti. I quali hanno crocifisso diversi di coloro che hanno partecipato alla rivolta e ne hanno confiscato le case. Diversamente che in Siria, il gruppo non riesce a fornire servizi di base. Le pompe di benzina sono a secco e i residenti devono procurarsi di straforo il loro carburante – quando non viene confiscato dallo Stato Islamico. Gli ospedali sono abbandonati dopo che lo Stato Islamico ha ordinato la segregazione del personale femminile e maschile.
…Nonostante le difficoltà, lo Stato Islamico ha grandi progetti per Sirte. Un numero recente della loro rivista Dabiq portava una intervista di Abu Mughiral al Qahtani, indicato come il capo delegato dello Stato Islamico in Libia. Egli ha giurato di usare la posizione geografica della Libia, e le sue riserve di greggio per destabilizzare la sicurezza e l’economia dell’Europa. Circa l’85% della produzione di greggio libico nel 2014 è andato in Europa, e l’Italia ne è il massimo cliente. Circa metà della sua produzione di gas naturale










Piloti francesi che nel 2011 hallo liberato i libici da Gheddafi
Piloti francesi che nel 2011 hanno liberato i libici da Gheddafi










http://www.maurizioblondet.it/lis-e-in-libia-minaccia-litalia-tutto-vero-lo-dice-lus/

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