Una conferma di quanto la crisi del sacramento della confessione sia avvertita come un punto critico della vita della Chiesa è stato il picco altissimo di lettori che ha avuto in tutto il mondo la lettera choc di un sacerdote in cura d'anime pubblicata il 9 gennaio su www.chiesa:
Dalla Francia, il direttore di "Catholica" Bernard Dumont ci ha scritto che "conosciamo tutti dei casi come quelli che riferisce il sacerdote" e che una tendenza alla "protestantizzazione", con l'assegnazione alla propria coscienza del primato assoluto, può essere effettivamente accentuata da una certa predicazione di papa Jorge Mario Bergoglio.
"Tuttavia esistono anche segnali in senso opposto", continua Dumont. "C'è gente che ritorna al sacramento della confessione proprio perché assimila correttamente il discorso sulla misericordia" sviluppato dall'attuale papa.
A fine anno, l'edizione domenicale del diffuso quotidiano francese "Le Parisien" ha lanciato in prima pagina un'inchiesta sulle confessioni, interrogando tra l'altro i fedeli che affollano ogni giorno i confessionali della chiesa parigina di Saint-Louis-d'Antin.
Non ci sono prove di una ripresa numerica del ricorso al sacramento, come il titolo di prima pagina dell'inchiesta farebbe pensare. "Ma so di altri luoghi in Francia in cui le confessioni sono numerose, come per esempio il santuario di Rocamadur", conclude Dumont. "Anche di questo va tenuto conto".
Il libro-intervista di papa Francesco uscito proprio oggi in 85 paesi del mondo con il titolo "Il nome di Dio è Misericordia" può essere in effetti letto come un'enciclica rivolta primariamente ai confessori e ai penitenti.
È un testo breve, di sole 66 pagine stampate a grandi caratteri. Ma per chi volesse leggerne una sintesi curata dallo stesso autore e con le stesse parole, non ha che da andare al discorso rivolto da Francesco il 12 marzo 2015 ai partecipanti al corso annuale promosso dal tribunale della penitenzieri apostolica:
È il discorso che Francesco Arzillo, magistrato di Roma e studioso di filosofia e teologia, nella lettera che segue, ritiene il più adatto a capire la vera "mens" di papa Francesco sul sacramento della confessione e quindi a cogliere il cuore del problema messo a nudo dalla lettera pubblicata da www.chiesa.
A lui la parola.
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Gentile Magister,
ho letto con attenzione l’accorata lettera del sacerdote-confessore. Il compito del confessore, giudice del foro interno e ministro della misericordia di Dio, merita sempre grande attenzione e rispetto. Si tratta di un ruolo tanto bello quanto difficile, che comporta una responsabilità assai particolare e personale, la quale si traduce infine in un atto: l’assoluzione o anche – dolorosamente – la non assoluzione, o il differimento dell’assoluzione, del penitente.
Io penso che la singolarità di questo atto (che si svolge nel foro interno e non reca una motivazione pubblica) renda assai difficile estrapolarne conclusioni da utilizzare nelle argomentazioni pubbliche. Personalmente anche io potrei fare qualche osservazione sul contenuto delle due vicende riportate nella lettera, ma me ne astengo, proprio perché non mi pare una materia che si presti alla discussione pubblica. Per esserlo, dovrebbe procedersi a un esame “dialettico” dei singoli casi, il che è praticamente precluso dall’ovvia impossibilità di superare il segreto (di cui il sacerdote in questione si mostra del resto ben consapevole).
E allora dov’è il problema, se il confessore giudica e se può dare o negare l’assoluzione come ha sempre fatto (intendo: lui e non altri – fosse anche il papa – al posto suo, ad eccezione dei casi riservati alle istanze superiori)?
Sembrerebbe che il problema risieda nel generale rilievo dell’aggravamento della difficoltà del compito del confessore: il giudizio sulle disposizioni del penitente sarebbe reso più difficile dal fatto che oggi la coscienza di quest’ultimo, non ben formata, si limita a recepire in modo superficiale quanto della predicazione papale viene distillato dai mezzi di comunicazione di massa.
Io immagino che anche in questo caso il confessore possa fare il doveroso discernimento e procedere di conseguenza.
Sul piano della pastorale generale, è invece legittimo interrogarsi sulle modalità comunicative, senza però dimenticare che la comunicazione presuppone la trasmissione del messaggio, l’intermediazione – spesso plurima – del medesimo e la ricezione. Non è che di tutte queste fasi il papa possa essere umanamente considerato responsabile. Parlando egli si espone, come sempre accade nella vita umana, a un possibile rischio di fraintendimento.
Circa la confessione, in particolare, a me sembra che la "mens" papale sia stata espressa con chiarezza – e in maniera tutt’altro che indefinita – nella sede più propria e più “tecnica”, se vogliamo: ossia nel discorso da lui tenuto in occasione del XXVI Corso annuale sul Foro interno tenuto dalla Penitenzieria apostolica il 12 marzo 2015.
Basta leggere questo testo per cogliervi un lucido intarsio di precisione dottrinale e delicatezza spirituale, senza alcun cedimento al lassismo, che è esplicitamente respinto, con l’invito a non confondere la misericordia con l’essere confessore “di manica larga”.
Mi sembra significativo che il discorso si chiuda col richiamo alle storie mariane riportate nel libro “Le glorie di Maria” di sant’Alfonso Maria de’ Liguori: un richiamo classico, che ci fa capire come Francesco attinga a filoni di spiritualità assai solidi e per nulla eversivi.
Stiamo discutendo allora di un problema che non esiste?
Non direi. Ma la discussione seria – quella sulle modalità della comunicazione del magistero nell’epoca della comunicazione universale – mi sembra ancora agli inizi.
Con i più cordiali saluti.
Francesco Arzillo
"È un testo breve, di sole 66 pagine" : significativo il numero delle pagine di questa pubblicazione (che ovviamente non leggerò, mi bastano e mi avanzano gli scritti dei papai fno a PIO XII incluso), un umero che rinvia ad un pwrsonaggio inquietante, subdolo e ingannatore (menzognero e omicida fin dal principio, come diceva ai bei tempi Padre Livio).
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