ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

sabato 30 gennaio 2016

Una nuova coppia di fatto, o un’unione incivile..

NIENTE CROCE AL CIMITERO

Niente Croce al Cimitero di Casalecchio. Il comune di Casalecchio di Reno quasi quarantamila (ex) anime della prima cintura di Bologna già rosso come il fuoco non apporrà nessuna croce nel nuovo cimitero cittadino
di Roberto Pecchioli  


  
Un mio vecchio professore di latino e greco, laico impenitente, usava dire, di qualcosa o qualcuno davvero triste, orribile, che era come un funerale senza prete.

Mi è tornato in mente alla notizia che il comune di Casalecchio di Reno, quasi quarantamila (ex) anime della prima cintura di Bologna, già rosso come il fuoco, ora democraticissimo, non apporrà nessuna croce nel nuovo cimitero cittadino. L’aspetto esterno del manufatto ( come altrimenti definirlo? )  è imbarazzante: una massiccia colata di cemento a buon mercato, in forma di tozzo parallelepipedo, ingentilita soltanto dal colore rosa pastello , che è un tradizionale decoro esterno dell’architettura armoniosa ed umanissima dell’Emilia.
Un misero altare del nulla. Neanche una croce. La nausea , più L’essere e il nulla, due titoli di testi di Jean Paul Sartre, il mediocre, ma venerato maestro, punto d’incontro tra esistenzialismo borghese e marxismo. A Casalecchio, come nel resto d’Italia, quello è il brodo di coltura delle classi dirigenti, il ceto semicolto , con in più l’aggravante della penosa geometria parasovietica degli architetti al soldo delle Coop tiranne degli appalti, allievi dell’ex urbanista del PCI Cervellati.
La grande bruttezza ed il grande nulla, una nuova coppia di fatto, o un’unione incivile. Niente croce, e non è lacrimevole desiderio di accoglienza delle sensibilità altre, e neppure semplice quanto miserabile paura dell’ Homo islamicus. No, è proprio disprezzo di sé, odio verso la cultura, ora semplice civilizzazione, di cui anche loro, gli ex compagni emiliani tutti pragmatismo, feste dell’Unità e cooperazione, sono figli.
Loro sì, morti viventi già pronti per una laica tumulazione con la musica di Imagine, il venerato vangelo  di John Lennon “Immagina non esista paradiso/è facile se provi/ nessun inferno sotto noi /sopra solo cielo . Immagina che tutta la gente viva solo per l’oggi”.
Quanto alla reazione di chi alla croce dovrebbe tenere, come l’arcivescovo Zuppi, bergogliano di ferro e di fresca nomina, si è limitato a sussurrare “E’ una scelta sbagliata, la croce non offende nessuno”. Dopo duemila anni, sanno solo balbettare che la croce non offende ! Il mite prelato non ha capito nulla, o, come è più probabile per chi indossa quell’abito, fa il pesce in barile.
La croce, da simbolo del sacrificio di un tizio sul cui messaggio si è edificata la civiltà in cui viviamo da alcuni millenni, fosse o meno il figlio di Dio, è derubricata a qualcosa che “non offende nessuno”. Io sono offeso dal monsignore, ed arrivo a pensare che lui e i suoi sodali meritino gli schiaffoni quotidiani che ricevono nell’Europa sazia e disperata, come la definì un cardinale di Bologna, Giacomo Biffi, un tantino più importante del suo successore.
Thomas Stearns Eliot, nei Cori della Rocca, si domanda se è’ l’umanità che ha abbandonato la Chiesa, o la Chiesa che ha abbandonato l’umanità.  L’uno e l’altro, immagino, ma come è drammatico, quanto è definitivo e gelido quel cimitero senza croce, squadrato e pesante, scabro, inespressivo, senza grandezza, privo persino della malinconia discreta dei camposanti di campagna circondati da cipressi, dove si sente nelle narici l’odore dei fiori delle vedove e dei figli in visita.
E’ la rappresentazione di un tempo che ha rimosso la morte, a partire dalle leggi che la chiamano “fine vita”, e che ha smesso di sperare, e vuole soltanto allontanarne la vista o l’evocazione.
Quel cimitero potrebbe essere l’entrata di un capannone industriale o di un deposito. Proprio di un deposito si tratta, di corpi inerti che non abbiamo ancora deciso del tutto di lasciare a se stessi. A dire il vero, c’è chi sparge le ceneri dei suoi cari in mare, ed un impresario astigiano ha persino immaginato , dopo la cremazione, di sparare in aria dei fuochi artificiali la cui polvere sono i resti del defunto. Assicuro che è notizia vera.
Ugo Foscolo scrisse il suo capolavoro, i Sepolcri, dopo l’editto napoleonico di Saint Cloud, che imponeva cimiteri lontani dalle zone urbane e privi di segni di riconoscimento. I francesi veicolavano gli “immortali principi” della rivoluzione illuminista e borghese , ovvero della morale del mercante e della ragione umana divinizzata. Ma il poeta, in una immortale terzina, ricorda che il rispetto dei morti è , insieme con l’apertura alla trascendenza ed all’istituzione della legge , segno essenziale dell’incivilimento dell’uomo.    
Orfeo, a sua volta, nel mito classico, dopo aver ottenuto dagli dei il permesso di riportare la defunta Euridice sulla terra purché non si voltasse mai nel tragitto, vuol guardare il volto dell’amata e non riusce nell’impresa.
Insomma, un rapporto tra vita e morte, finito ed infinito, è presente in ogni civiltà: noi abbiamo interrotto la catena, e la nostra è ormai una civilizzazione morente. Spaventa, quel cimitero scabro, dunque pulitino, levigato, senza appigli, tetragono come una fortezza, per nascondere il suo interno ed il mistero che comunque lo abita.
Neanche una croce, un simbolo almeno di speranza, di vitalità spirituale. Bologna la Dotta è solo la Grassa, e l’unica Croce, con la C maiuscola, è il nome del quartiere di Casalecchio più prossimo alla grande città .
In San Martino del Carso, Giuseppe Ungaretti, davanti alla devastazione materiale della guerra, piange, ma ricorda e virilmente proclama “ma nel cuore nessuna croce manca ; è il mio cuore il paese più straziato“.
No, manca anche lo strazio, un secolo dopo quelle parole, ed il cuore non è che un muscolo rimovibile e sostituibile con una macchina artificiale. Tanto meglio per la nostra vita, ma alla fine smetterà di pulsare anche la macchina.
Che cosa facciamo, dunque, del nostro istruito nichilismo, della smania di liberarci di tutto, la patria è un imbroglio per farci combattere, la famiglia è una prigione, salvo estenderne i diritti legali a che famiglia non può essere, come le coppie dello stesso sesso, l’ identità morale, culturale, civile non è altro che una “narrazione”, decostruita prima e gettata poi nell’immondizia dall’ideario postmoderno.
Quanto a Dio, se volete, ed a quello cristiano in particolare, che è senz’altro il più rompiscatole di tutti, pregatelo a bassa voce ed in privato, senza disturbare chi lavora o porre fastidiosi ostacoli al mercato od al consumo. Da vecchio o malati, morite senza fare storie, magari con una punturina dell’Azienda Sanitaria Locale , che qualche centimetro quadrato a Casalecchio, pagando , s’intende, ve lo troveranno.
In questi giorni, l’amministrazione comunale della città di Genova, che, per inciso, possiede uno dei più bei cimiteri del mondo, quello di Staglieno, dal quale mi aspetto vorranno abbattere la grande statua della fede, ha riempito la città di migliaia di manifesti intitolati “L’importanza di fare testamento”, con tanto di numero verde, sito Internet di riferimento e l’insopportabile fervorino moraleggiante nella neolingua burocratico- sinistrese ad uso degli aspiranti testatori.
Il messaggio non è difficile da decifrare: quel che conta, di tutta una vita, non è chi siete stati , l’amore o il rancore, il bene ed il male che avete visto, suscitato o sofferto, quel che conta che scriviate in forma legale con tutti i timbri al loro posto, a chi lasciare i vostri beni, e, incidentalmente, chiarire se volete farvi portar via qualche pezzo eventualmente ancora funzionante.
Una società che corre verso la fine, ma rapida, igienica, indolore, batteriologicamente pura, come le acque minerali del supermercato di cui siamo consumatori. Per adesso, non aboliscono i cimiteri, ma è questione di tempo, perché in un mondo dove non resistono più neppure i legami di sangue, sostituiti dalla procreazione assistita e dalla solitudine individuale, dove si convive a tempo e ci si lascia via telefono cellulare o whatsapp , chi si prenderà la briga di seppellire i morti, croce o non croce ?
A Casalecchio, corrono più veloci verso il nulla. L’ateismo marxista, sconfitto nell’Unione Sovietica che hanno tanto amato, lo realizzano nel liberalismo societario di cui sono diventati entusiasti sostenitori.
Fra qualche generazione, forse, chi ci avrà sostituito nel territorio che abitiamo e nella cultura di cui registriamo la rapida decomposizione, dovrà studiare se abbia avuto un senso il nostro  nichilismo . Tra i tanti reperti che esamineranno, forse un posticino l’avrà anche la liscia facciata quadrangolare del cimitero emiliano  che assomiglia ad un magazzino , ed il massimo stupore sarà constatare come l’uomo che si è fatto Dio disprezzasse tanto se stesso, sino all’autoannientamento, e magari definiranno l’uomo occidentale del secolo XXI, tecnodipendente, laccato, androgino, salutista, miscredente di tutto, fanciullo anche in geriatria,  narciso, con il titolo di un libro di Gottfried Benn, Smalto sul Nulla.
                                                                  

Roberto Pecchioli 


NIENTE CROCE AL CIMITERO DI CASALECCHIO

di Roberto Pecchioli


In redazione il 31 Gennaio 2016

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