ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

martedì 9 febbraio 2016

Falsi maestri che gridano dai tetti

STORIA E DIMENSIONE VERTICALE

La storia non ha solo una dimensione orizzontale: ha anche una tensione verticale. Senza questa dimensione la storia umana smarrisce completamente il proprio significato profondo, diventa incomprensibile, inintelligibile 
di Francesco Lamendola   


 L’uomo moderno, da Machiavelli e Guicciardini in poi, sembra essersi completamente dimenticato che la storia degli uomini non ha solamente una dimensione orizzontale, tale cioè che si manifesta nello spazio e nel tempo, ma anche una dimensione – o, per meglio dire, una tensione - di tipo verticale, che si muove nei due sensi: di Dio verso l’uomo e dell’uomo alla ricerca di Dio. Senza questa dimensione, la storia umana smarrisce completamente il proprio significato profondo, diventa incomprensibile, inintelligibile: una semplice arena ove si confrontano forze e spinte contingenti, casuali, egoistiche, disordinate e, spesso, insensate. 
Considerata da un punto orizzontale, cioè esclusivamente umano, la storia diventa, puramente e semplicemente, il regno della pazzia; il regno del caos, della violenza, del terrore; un incubo a occhi aperti. E la stessa cosa vale per la vita del singolo essere umano: guardata da un punto di vista esclusivamente immanentistico, essa è priva di senso, se non è, addirittura, una crudele ironia. Eppure, i nostri avi sapevano molto bene che questa è una maniera sbagliata di considerare la vicenda umana; che il giusto modo di porsi di fronte ad essa, sia nella sfera della realtà quotidiana, sia quando si riflette sulla storia umana nel suo insieme, o anche su singoli aspetti e momenti di essa, è quello di non perdere mai di vista la dimensione verticale, la quale s’intreccia, invisibile e silenziosa, a quella orizzontale, ed aiuta a comprendere quest’ultima e a vederne l’intimo significato.
In effetti, la cultura moderna sembra aver caricato la storia di un valore quasi eccessivo, ma sempre considerandola nella prospettiva radicalmente immanente, come una costruzione puramente umana; se pure vi ha intravisto la presenza di una forza in qualche modo “superiore”, questa, in ultima analisi, era lo “Spirito assoluto”, come nel caso di Hegel, oppure il “Dio dell’umanità”, come in quello di Mazzini: una forza, in definitiva, non superiore all’umana, semmai una astrazione ricavata - contraddizione in termini – dallo stesso immanentismo; da qui il corto circuito e, come logico coronamento, la svalutazione e la disistima nei confronti della storia stessa, ad esempio da parte di Nietzsche, il grande distruttore. Del pari contraddittorie, a nostro avviso, sono state quelle posizioni della teologia moderna, e specialmente della cosiddetta “teologia negativa”, impegnate a dimostrare che l’uomo deve procedere etsi Deus non daretur, come se Dio non ci fosse: perché, con la scusa di rifiutare il “Dio tappabuchi”, alla Bonhoeffer, è Dio in quanto tale che, alla fine, viene escluso dall’orizzonte dell’agire umano; mentre la teologia della “demitizzazione”, intrapresa da Rudolf Bultmann e dai suoi molti, volonterosi seguaci – tra i quali, ahimè, da alcuni decenni si contano anche non pochi sedicenti teologi cattolici – toglie la nozione stessa del soprannaturale e, con ciò, la dimensione verticale, trascendente e sacra della storia.
Ora, conservare la piena consapevolezza, e anche la piena fiducia, nella dimensione verticale della storia, non è, semplicemente – come potrebbe apparire, forse, a uno sguardo superficiale – una specie di ozioso gioco intellettuale; è, al contrario, un fatto della massima importanza, per l’uomo di oggi e per l’uomo di sempre: perché equivale a ricordargli  il dono incommensurabile del libero arbitrio, che lo rende simile  a Dio stesso, e, nello stesso tempo, la tremenda responsabilità di farne un buon uso. In ogni caso, gli ricorda che nessuna neutralità, nessuna ignavia è possibile all’uomo, dotato del libero arbitrio e consapevole di esso: qualsiasi cosa egli faccia, si tratta di una scelta fra il Bene e il Male, dunque di una scelta che lo impegna in situazione, cioè come essere storico, ma anche davanti all’eternità, cioè in quanto creatura dotata di un’anima immortale.
Ci piace riportare le osservazioni svolte su questo tema da papa Giovanni Paolo II nel suo interessante volume-intervista «Memoria e identità. Conversazioni a cavallo dei millenni» (Milano, Rizzoli, Città del Vaticano, Libreria Editrice Vaticana, 2005, pp. 181-185):

«La storia dell’uomo si sviluppa, com’è ovvio, in dimensione orizzontale nello spazio e nel tempo. Essa però è anche attraversata da una dimensione verticale. A scrivere la storia, infatti, non sono soltanto gli uomini. Con loro la scrive anche Dio. Da questa dimensione della storia, che potremmo qualificare come trascendente, si è decisamente allontanato l’illuminismo. La Chiesa, invece, vi torna di continuo:  una chiara testimonianza in questo senso è stato anche il Concilio Vaticano II.
In quale modo Dio scrive la storia degli uomini? La risposta ci è offerta dalla Bibbia, a cominciare dai primi capitoli del Libro della Genesi fino alle ultime pagine dell’Apocalisse. Già all’inizio della storia dell’uomo, Dio si rivela come il Dio della promessa. Tale è il Dio di Abramo, il grande patriarca del quale san Paolo dice che “ebbe fede sperando contro ogni speranza” (cfr. Rm 4, 18): accolse senza dubitare la promessa di Dio che sarebbe diventato padre di una rande nazione. Apparentemente, una promessa irrealizzabile: era, infatti, un uomo anziano, e a che sua moglie Sara era invecchiata. Parlando umanamente, le speranze di un discendente sembravano inesistenti (cfr. Gn 18, 11-14). E tuttavia, questo figlio viene al mondo. La promessa che Dio aveva fatto ad Abramo si compie (cfr. Gn 21, 1-7). Il bambino generato nella vecchiaia riceve il nome di Isacco e da lui ha inizio la stirpe di Abramo, che cresce gradualmente fino a diventare una nazione. È Israele la nazione eletta da Dio, alla quale egli confida la promessa messianica. Tutta la storia d’Israele si sviluppa come tempo dell’attesa  che si compia questa promessa di Dio.
La promessa ha uno scopo preciso: la “benedizione” di Dio per Abramo e la sua discendenza.  Sono le parole con cui si apre il colloquio di Dio con lui: “Farò di te un grande popolo e ti benedirò, renderò grande il tuo nome e diventerai una benedizione […] in te si diranno benedette tutte le famiglie della terra (Gn 12, 2-3). Per comprendere la portata salvifica di questa promessa, bisogna risalire ai primi capitoli del Libro della genesi e, in particolare, al capitolo terzo, ove è riferito il colloquio di Jahvé con coloro che furono le “dramatis personae” della caduta originale.  Dio chiede conto prima all’uomo e poi alla donna di quello che hanno fatto. E quando l’uomo incolpa la sua sposa, questa indica a sua volta il tentatore (cfr. Gn 3, 11-13). Di fatto, l’istigazione a trasgredire l’ordine di Dio era partita da lui (cfr. Gn 3, 1-5).è interessante tuttavia rilevare come, nella maledizione rivolta d Dio al serpente, sia già presente la promessa del futuro progetto di salvezza. Dio, maledice lo spirito maligno, istigatore del peccato originale dei primi esseri umani, ma nello stesso tempo pronuncia parole che contengono la prima promessa messianica. Dice infatti al serpente: “Io porrò inimicizia tra te e le donna, tra la tua stirpe e la sua stirpe: questa ti schiaccerà la testa e tu le insidierai il calcagno” (Gn 3, 15). È uno schema sintetico , nel quale tuttavia viene detto tutto. La promessa della salvezza èqui contenuta ed è già possibile intravedere l’intera storia dell’umanità, sino all’Apocalisse: la donna annunciata nel Protovangelo compare  nelle pagine dell’Apocalisse rivestita di sole e cinta di dodici stelle, mentre contro di lei si avventa l’antico drago, che vuole divorare la sua discendenza (cfr. Ap 12, 1-6).
Fino alla fine dei tempi quindi durerà la lotta tra il bene e il male, tra il peccato, che l’umanità ha ereditato dai progenitori, e la grazia salvatrice recata da Cristo, Figlio di Mario. Egli è la realizzazione della promessa fatta ad Abramo ed ereditata da Israele. Con la sua venuta iniziano gli ultimi tempi, quelli del compimento escatologico. Dio, che aveva mantenuto la parola data ad Abramo stringendo alleanza con Israele per mezzo di Mosè, in Cristo suo Figlio ha aperto davanti a tutta l’umanità la prospettiva della vita eterna oltre il termine della sua storia sulla terra.  Questo è il destino straordinario dell’uomo: chiamato alla dignità di figlio adottivo di Dio, egli accoglie questa sua vocazione nella fede e si impegna nell’edificazione del Regno, in cui troverà il suo punto d’arrivo definitivo la storia del genere umano sulla terra. […]
Ecco perciò la risposta alla domanda cruciale: il senso più profondo della storia va oltre la storia e trova la sua piena spiegazione in Cristo, Dio-Uomo. La speranza cristiana si proietta oltre il limite del tempo. Il Regno di Dio si innesta e si sviluppa nella storia dell’uomo, ma la sua meta è la vita futura. L’umanità è chiamata ad avanzare oltre il confine della morte, anzi oltre lo stesso succedersi dei secoli, verso l’approdo definitivo dell’eternità, accanto al Cristo glorioso, nella comunione trinitaria. “La loro speranza è piena di immortalità” (Sap 3, 4).»

Recuperare la coscienza della dimensione verticale della storia, dunque, significa, di pari passo, recuperare anche la consapevolezza della dimensione verticale presente nella vita umana del singolo individuo: impegnato, sì, nel vivo della storia, della società, dell’economia, della politica, della cultura, dell’arte, della scienza, ma anche proiettato verso l’assoluto e l’eterno, e invitato a rispondere al richiamo di Dio, che è il richiamo del Vero, del Bene, del Giusto e del Bello. L’uomo non può agire razionalmente e liberamente nella storia, se si dimentica della valenza assoluta e trascendente del suo agire; ma non può nemmeno dare un senso autentico alla sua stessa vita individuale, al suo sperare, al suo soffrire e lottare, se smarrisce l’orizzonte di senso del divino, che, solo, può conferire dignità e autentica realizzazione alle sue aspirazioni migliori, aiutandolo a tenere a bada gli impulsi di natura inferiore che sono presenti nella sua anima.
La cultura moderna tende a negare che tali impulsi inferiori esistano; in nome del relativismo e dell’agnosticismo più radicali, vorrebbe avvalorare l’immagine d’un mondo privo di valori oggettivi, nel quale ciascuno è libero di perseguire la realizzazione di sé, secondo il proprio talento ed il proprio capriccio, per inseguire il proprio limitato ed egoistico miraggio di felicità: come se la vera felicità potesse venire anche solo concepita al di fuori di ciò che è vero, buono, giusto e bello in se stesso, e non solo dal punto di vista soggettivo di ciascun singolo essere umano, abbandonato in balia delle sue passioni disordinate e privo di un saldo punto di riferimento. Perciò la vita umana è diventata una specie di caccia al tesoro, da perseguire senza troppi scrupoli nei confronti degli altri, così come la storia umana è concepita come il campo di battaglia di forze cieche e sostanzialmente irrazionali, lanciate alla conquista di posizioni vantaggiose a scapito di altre forze e di altri soggetti, e dove domina unicamente la legge del più forte o del più astuto.
Se procederà lungo l’attuale linea di sviluppo, la civiltà moderna è destinata ad autodistruggersi, e i segnali già appaiono, minacciosi. L’attacco ormai scoperto contro gli ultimi pilastri dell’ordine morale e sociale, che trattenevano le forze scatenate della dissoluzione – la fede in Dio, nella identità nazionale e il senso della famiglia – mostra quali forze potentissime stiamo muovendo all’offensiva per dare la spinta finale alla nostra civiltà e per precipitarla nell’abisso del caos. Stiamo vivendo i tempi dell’Apocalisse, con una quantità di falsi maestri che gridano dai tetti che il vero è falso e che il falso è vero; che il bene è male e che il male è bene; che il giusto è ingiusto, e che l’ingiusto è giusto; che il bello è brutto, mentre il brutto è bello; che sovvertono sfacciatamente duemila anni di morale, di valori, di tradizione; che non si limitano a violare tutte le norme della legge naturale, oltre che di quella religiosa, ma che hanno stabilito le nuove tavole di una legge blasfema, nella quale tutto il nostro quadro di riferimento etico viene completamente stravolto. Questo è divenuto possibile grazie a un fraintendimento gravissimo nel concetto stesso di “libertà”: non si è compreso, o non si è voluto comprendere, che la libertà non è, né potrebbe mai essere, il potere di fare qualsiasi cosa, ma, al contrario, il potere – e il dovere – di fare ciò che è giusto e di evitare in ogni modo ciò che non lo è. «Ma che cosa è giusto?», insorgono subito, con scherno, i sacerdoti del nulla, travestiti da saggi e tolleranti maestri del sospetto. «È giusto – rispondiamo – ciò che corrisponde al disegno di Dio e alla vera natura dell’uomo; e in quest’ultima c’è il bisogno di Dio, così come nel disegno di Dio c’è l’amore per l’uomo». Tutto ciò che va nella direzione opposta, anche se sotto le apparenze della “libertà” umana, è da considerarsi falso e menzognero.
Il fatto che la cultura moderna abbia perfino smarrito la retta nozione del libero arbitrio, e che si sia pressoché dimenticata della dimensione verticale della storia, mostra fino a che punto essa si è allontanata da Dio e fino a che punto essa sta perpetrando un vero e proprio tradimento nei confronti dell’uomo. L’uomo non è soltanto un organismo biologico evolutosi a caso, né soltanto un cervello che registra impressioni, elabora concetti e pianifica l’immediato. È molto di più: è la creatura fatta a immagine di Dio, che reca impressi nella mente e nel cuore tanto la sua origine soprannaturale quanto la sua nostalgia dell’infinito. Ed è solo questo che conta, nella storia umana...

  
La storia non ha solo una dimensione orizzontale: ha anche una tensione verticale

di Francesco Lamendola


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