Sì, è un Papa che preoccupa
Da Trump a Charlie fino al profetismo pauperista. Il programma santo di Francesco è chiaro e persino magnifico ma i mezzi scelti sono inclini a pregiudicare il risultato, propendono verso una resa senza condizioni
di Giuliano Ferrara | 19 Febbraio 2016
Messico, Papa Francesco parte dall'Aeroporto di Ciudad Juarez (foto LaPresse)
Da Trump a Charlie fino al profetismo pauperista. Il programma santo di Francesco è chiaro e persino magnifico ma i mezzi scelti sono inclini a pregiudicare il risultato, propendono verso una resa senza condizioni – di Giuliano Ferrara
Non è difficile criticare un Papa che giustifica la reazione violenta contro la blasfemia dopo Charlie Hebdo, che invita i fedeli a non far figli come conigli in un mondo cristiano demograficamente a pezzi, che lascia riconfigurare il matrimonio senza “impicciarsi” e delegittimando vescovi e popolo di Dio che si oppongono come possono, che predica in automatico contro l’aborto (“sono figlio della chiesa, è un crimine, è il male assoluto”) ma consegna agli archivi la nozione di questioni non negoziabili, che è in procinto di ratificare il divorzio sacramentale nella chiesa con astuta prudenza ma senza battere un ciglio, che si impiccia delle presidenziali americane scomunicando come “non cristiano” un candidato perché non contrasta la sua politica evangelica pro-immigrazione (esistono politiche evangeliche, dunque, e non negoziabili), che bandisce il profetismo pauperista e anticapitalistico incurante della riduzione della povertà realizzata dai mercati aperti, che definisce la Curia romana come una lebbra e lancia oscure minacce contro la “lobby gay” in Vaticano, che ha appena incontrato da Raul Castro il pope di Putin un po’ alla carlona, che arde dal desiderio di abbracciare Al Azhar e il suo imam (e Dio ci protegga da quel che si diranno, così lontani da Ratisbona), che sogna di andare in Cina praticando ovunque può l’appeasement, come fece digiunando con Putin per la Siria allo scopo di rafforzare la linea del non intervento occidentale, con conseguenze che si sono viste, che evoca la rifondazione dell’Europa non in nome dei santi Cirillo e Metodio quanto di Adenauer e Schuman, che dissimula un’ostile e opaca disdegnosità verso l’America yankee e abbraccia le sue radici centro e latinoamericane, che si tiene a una teologia del popolo callejera e peronista, e molta legna da ardere si potrebbe aggiungere.
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Criticarlo non è difficile, tenuto anche conto del coro filisteo dei suoi estimatori e chiosatori, e magari del partito preso dell’establishment vaticano conservatore, ma capirlo? Capire cosa pensi un gesuita è uno dei massimi misteri della psicologia, della cultura e della spiritualità contemporanea. Forse non è nemmeno saggio provarcisi. Il mio modesto contributo interpretativo, dall’inizio, dalla notizia e dai primi passi del pontificato, puntava su alcuni elementi: la chiesa è in ginocchio, deve riguadagnare terreno nel mondo, deve convertire più che prescrivere e combattere guerre culturali, deve secondo Martini ridurre un ritardo di duecento anni sul moderno, giusto il tempo che ci divide dalla vittoria dei lumi, deve elevare una testimonianza alla Pietro Favre, il santo cinquecentesco del santo padre, fatta di soavità, di misericordia, di tenerezza e di pastoralità ravvicinata, questo è il programma santo di Francesco, la trama delle sue mitologie, dei suoi simbolismi, dei suoi comportamenti, alcuni dei quali addirittura magnifici, e va bene, ma i mezzi scelti sono inclini a pregiudicare il risultato, propendono verso una resa senza condizioni. Ecco. Mi pare che ci siamo. Siamo proprio lì. Ed è evidente che si preoccupa chiunque abbia a cuore un mondo di differenze, in cui la laicità delle istituzioni (ora abbiamo perfino un Alberto Melloni che evoca una chiesa che abbia “il senso dello stato”!) s’intrecci con la libertà confessionale e il pluralismo spirituale e culturale. Mi preoccupo.
tratto da
Il “no” che impoverisce la chiesa di Francesco
“No alla ricchezza”, dice il Papa ai messicani in fuga per l’America
di Redazione | 18 Febbraio 2016
Papa Francesco (foto LaPresse)
No alla ricchezza”, ha tuonato domenica il Papa celebrando la messa a Ecatepec, enorme sobborgo di Città del Messico dove – si diceva su Tv2000, il canale della Cei – si registra il più alto tasso di furti “violenti” a danno dei residenti. Niente di nuovo, nell’oratoria bergogliana: un appello del genere il Pontefice lo ha già ripetuto, più o meno usando gli stessi sostantivi, in Ecuador e Bolivia, in Paraguay e negli Stati Uniti. E’ la prima delle tre tentazioni da cui fuggire (le altre sono vanità e orgoglio) per essere considerati buoni cristiani, un caposaldo del suo programma pontificale da tre anni in qua. Fa un po’ impressione che l’intemerata contro la ricchezza venga lanciata in un paese che tenta da qualche lustro – tra mille contraddizioni e difficoltà – di scrollarsi lo storico marchio di “cugino” povero della grande America con cui confina a nord, terra promessa in cui migliaia di messicani cercano ogni anno di entrare a rischio della loro stessa vita.
ARTICOLI CORRELATI Dopo Mosca tocca al Cairo: verso il disgelo tra il Papa e l'imam di al Azhar Il momento clou del viaggio papale in Messico è stata la (consueta) ramanzina ai vescovi Il Papa davanti al muro che separa Messico e Stati Uniti: "La migrazione forzata è una tragedia umana" Piano con la festa, il patto tra il Papa e Kirill non è solo miele e sorrisi Sì, è un Papa che preoccupaNon scappano dalla “ricchezza” così presente nell’arte omiletica di Francesco, bensì dalla grande povertà che spesso costringe famiglie intere a finire inghiottite nel giro delle bande criminali che sopravvivono con le rendite del narcotraffico. Il Papa l’ha visto bene ieri, visitando il penitenziario di Ciudad Juárez, la città di un milione di abitanti che ha uno dei più alti tassi di omicidi al mondo, nonché di pandillas, le gang che ne controllano le strade (ne sono state censite 950). Terra di confine che separa il Messico dagli Stati Uniti, chilometri di deserto che dividono – biblicamente parlando – l’inferno dal paradiso, la povertà dal benessere. Che non è certo un peccato, neanche per la chiesa.
E' un vero e proprio incubo. Ma lo aspettavo: il Papa eretico.
RispondiEliminaSì, come no? Il papa è eretico. Aprite due o tre libri ogni tanto. Il pauperismo c'è sempre stato, in tutte le tradizioni cristiane, cattolicesimo compreso (e non da parte di cattolici 'devianti', no, erano proprio cattolici ortodossi). Il cristianesimo è complicato, il cattolicesimo pure. Essersi abituati a – o preferire – una sola versione non cancella i fatti. Rassegnatevi: nessuna eresia.
RispondiEliminaTu invece, Anonimo delle 18:09 collega la bocca cervello prima di parlare, ogni tanto altrimenti ti dimostri degno di Bergoglio e della sua ciurma di apostati!
EliminaGentile Anonimo delle 20.03, io ho sostenuto che il pauperismo è una tendenza diffusa presso pensatori cristiani del tutto ortodossi, tra cui anche molti cattolici. E che questo vale non per pochi decenni, ma per molti secoli. Per rispondermi adeguatamente lei avrebbe dovuto sostenere che mi sbaglio. Ma non lo ha fatto. Perché? Perché probabilmente non ha idea di cosa sia una discussione, e perché, se anche ne avesse sentore, non avrebbe potuto negare l'evidenza. Quindi ha deciso di parlare d'altro. Ma la capisco: ragionare, e conoscere i fatti, non è facile per nessuno. Stia bene, vedrà che la presunta 'ciurma di apostati' esiste solo nella sua eccitabile fantasia.
EliminaMa, se Trump vuole costruire muri e cerca Dio, chi è Bergoglio per giudicare?
RispondiEliminaSe Bergoglio è eretico o meno lo diranno i teologi.
RispondiEliminaQuel che possiamo dire noi del popolo cattolico è che non gli mancano qualità confusionarie, calabraghiste e cerchiobottiste, dove 'il vostro dire sia sì sì, no no' è un'altra cosa.
Con Ferrara mi dico preoccupata, anzi, di più.
Con l'occasione: sul sito di Antonio Socci si può leggere il testo della lettera manoscritta inviata a Socci dal papa in persona, in occasione del lancio dell'ultimo libro del giornalista.
Bergoglio usa un tono remissivo e affettuoso verso colui che in assoluto l'ha più 'fustigato' (in punta di dottrina cattolica e di fede personale).
Socci ammette la propria commozione e le qualità che gli piacciono del papa, ma conserva il punto e non si lascia sciogliere, perché la posta in gioco è troppo alta e non è proprietà di alcun uomo, neanche di un papa.
Marisa
Socci, chi lo conosce lo evita! Uno schizofrenico modernista ingenuo e confusionario, Dio ce ne scampi e liberi!
Eliminasi si i "teologi" alla Vito Mancuso..... Hans Küng....
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