ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

sabato 26 marzo 2016

Nulla andrà perduto




La Pasqua, il sapore della conservazione del proprio umano


Il Cristianesimo non fa perdere nulla. Affascina perché ci assicura che ogni umana affezione non andrà perduta
 C’è una questione che è meravigliosamente risolta dal Cristianesimo ed è quella riguardante la distruzione del proprio essere e del proprio umano. Il dramma – cioè – di vedere infrangere, con la perdita del proprio corpo, ogni umana integrità, appunto il proprio umano, intendendo per  “umano” ciò che l’uomo costruisce di buono nella propria vita, con i propri affetti e con le proprie fatiche.

La risposta a questa questione è proprio nella Resurrezione di Gesù, che è sconfitta vera e completa della morte, sconfitta che avviene non con una ricreazione ma con una restituzione del proprio corpo.  Nel bellissimo Canto XIV del Paradiso, Dante ci dice proprio questo: «Tanto mi parver subiti e accorti/ e l’uno e l’altro coro a dicer ‘Amme!’/che ben mostrar disio de’ corpi morti;/forse non pur/per lor, ma per le mamme,/per li padri e per li altri che fuor cari,/anzi che fosser sempiterne fiamme». I beati rispondono “Amen!” alla spiegazione di Salomone su come si potrà conservare la luminosità dell’anima beata quando ad essa si riunirà il corpo. Essi rispondono con entusiasmo perché hanno desiderio che avvenga al più presto questa riunificazione. E Dante aggiunge: il desiderio forse non è tanto per se stessi, ma per le mamme (sì, per le mamme!), per i padri, per gli altri, che erano stati loro cari, prima di diventare eterni lumi in Cielo. Dante tiene a sottolineare tutta la bellezza della risoluzione; una bellezza che è apertura di affettività e di sensibilità esistenziali: può andar perduto l’abbraccio della mamma o una carezza al proprio figlio? Può andar perduto anche la più piccola (che è anche grande!) gioia della vita?
Insomma il Cristianesimo, con la Resurrezione di Gesù, legittima il desiderio di recuperare tutto l’umano. Torniamo al Canto XIV del Paradiso. Da una parte: il giusto desiderio del corpo: che ben mostrar desìo de’ corpi morti; dall’altra: il corpo come maggiore possibilità di restituire e completare l’affezione: forse non pur per lor, ma per le mamme, per li padri e per li altri che fuor cari, anzi che fosser sempiterne fiamme.
Una volta il cardinale Giacomo Biffi, forzando certamente i concetti, come solitamente sapeva fare molto bene, ma indubbiamente in maniera incisiva, disse in una sua lezione sul Paradiso: «Il Paradiso non è rinunciare ai tortellini o spiritualizzare le lasagne, ma mangiare tutti i giorni tortellini e lasagne senza la paura del colesterolo e della bilancia!». Che significa: il Paradiso cristiano non è né un vuoto, con un consequenziale annullamento dell’individualità, né un vago esistere in una separatezza totale di ciò che si è costruito nella vita terrena, ma il recupero e la sublimazione di tutto l’umano. Il Paradiso cristiano non è una sorta di nirvana, dove tutto si perde, anche l’illusione (perché secondo il Buddismo sarebbe solo un’illusione) del proprio esistere individuale; ma è il continuare a vivere individualmente nella massima e indescrivibile gioia generata dalla visione beatifica di Dio, recuperando e superando in intensità ogni gioia (piccola e grande) della vita terrena.
C’è un’angoscia che può attanagliare ogni uomo: quella di credere di essere gettati nel mondo, che tutto non abbia senso, che ogni cosa che si sperimenta in questa vita sia solo un passaggio insignificante e che andrà definitivamente perduto. Leopardi neiCanti riflette sulla sua esistenza e dice: «Dispera / l’ultima volta. Al gener nostro il fato / non donò che il morire. Omai disprezza / te, la natura, il brutto / poter che, ascoso, a comun danno impera, / e l’infinita vanità del tutto»Ed è così: se Dio non c’è, se non c’è un Dio che ha sconfitto la morte, all’uomo non resta che “l’infinita vanità del tutto” nella constatazione che al genere umano “il fato non donò che il morire”. Il morire sarebbe un soffrire senza senso. Il morire, senza speranza, sarebbe solo uno strazio di se stessi e dei propri sentimenti. Sofocle fa dire ad Antigone che va alla condanna: «Nessuno mi piange, nessuno è mio, non ho musica di nozze io. La mia anima è in pezzi, trascino passi già segnati! Soffro: il mio occhio non ha più diritto al chiarore dell’alba. La mia fine brucia: nessuno la bagna di pianto».
Il Cristianesimo, invece, ha la pretesa (assolutamente affascinante) di dirci che non sarà così, che, se sceglieremo di abbracciare Dio e la Sua Legge, nulla andrà perduto, anzi tutto sarà ridonato in abbondanza. Il Cristianesimo ha la pretesa di dirci che il nostro occhio è destinato alla luce e non come dice Sofocle:“il mio occhio non ha più diritto al chiarore dell’alba”.
Questo soprattutto grazie alla resurrezione dei corpi, che è esito della Resurrezione di Gesù.BY  · 24 MARZO 2016

METAFISICA TRADIZIONALE

“Nemmeno un capello del vostro capo”. Metafisica della Resurrezione dei corpi

resurrezione dei corpi. 1Pur essendo dogma del Cristianesimo e delle altre religioni abraminiche – presente tra l’altro, benché in prospettive diverse, anche in altre tradizioni spirituali- la dottrina della Resurrezione dei Corpi solo di rado viene inquadrata in quell’ottica metafisica che sola potrebbe farne intendere il senso più profondo. Questa è la ragione per cui tale dogma sembra essere diventato oggi quasi incomprensibile alla maggior parte dei nostri contemporanei, e viene  visto, anche dalla maggior parte dei teologi, in maniera “mitologica” (ovvero come ritorno dell’essere ad un’esistenza fisica identica a quella presente), o puramente metaforica, quale simbolo di una possibile “sopravvivenza” della nostra “individualità” dopo la morte fisica.
INDIVIDUALITA’ E PERSONALITA’
Riguardo al concetto di “individualità” e all’idea che essa possa “sopravvivere alla morte”, d’altronde, è necessario più che mai essere chiari con i termini perché, se considerata in una prospettiva puramente temporale, è evidente che la nostra “individualità” –intesa nell’accezione “psicologica” con cui di solito la si indica- non è meno evanescente e transeunte dello stesso corpo fisico e, come quest’ultimo, sottoposta a continui cambiamenti e trasformazioni che ne inficiano ogni illusione di “unità”.
Al contrario, da una prospettiva non più temporale ma metafisica, l’individualità umana è realmente, almeno sul suo piano specifico, qualcosa di reale, essendo il riflesso di una Personalità spirituale non legata al piano del divenire. La nostra Persona, in sostanza, realizza e manifesta delle Possibilità particolari e uniche che non sono affatto il risultato di eventi esterni (i quali agiscono sono “in negativo” come privazione) ma di un’Archetipo presente nello stesso Principio divino. La nostra individualità temporale e transeunte, pertanto, non è altro che il riflesso nel tempo di una Possibilità che la precede: possibilità che deve passare dalla potenza all’atto. Alcune di queste possibilità si realizzeranno, mentre altre rimarranno solo “virtuali”: e questo dipende, nel concreto, sia dai condizionamenti esterni in cui il nostro essere si manifesta, sia per effetto delle scelte della nostra volontà. Al momento in cui, con la morte fisica, questa manifestazione “in divenire” si interrompe, l’insieme delle possibilità che si sono realizzate costituisce “l’aspetto” con cui l’essere umano si presenta alle soglie dell’eternità.
RESURREZIONE, OVVERO SUPERAMENTO DEL TEMPO
E’ nel cambiamento di stato tra dimensione temporale e atemporalità che si pone, dunque, ciò che chiamiamo Resurrezione. Con il passaggio dalla modalità temporale a quella non più temporale (passaggio che normalmente coincide con la morte fisica), l’individualità non ha più possibilità di mutare: fuori dal tempo, tutte le possibilità realizzate appaiono non più in una indefinita successione, ma coesistenti nell’identico Istante. Ed è lì che, al cospetto della Presenza Divina, avviene quel grande discernimento tra possibilità “positive” e “negative” che il linguaggio religioso definisce Giudizio. Al cospetto della Presenza Divina, infatti, la manifestazione degli esseri “eternati” nelle loro possibilità non è identica: ed è questo il “terribile discernimento”, di cui parla il linguaggio religioso, tra salvati, dannati e chi, pur avendo conseguito la salvezza, dovrà comunque “consumare” dolorosamente certe possibilità negative in quel prolungamento postumo che la tradizione cattolica definisce Purgatorio. Da questo punto di vista, è assolutamente pertinente la verità celebrata nella liturgia cristiano-orientale che afferma che, al momento del Giudizio, “la stessa fiamma irrora di rugiada i santi ma brucia gli empi”[1].
Solo in questa prospettiva, pertanto, assumono un significato intellegibile espressioni come quella presente nell’Apocalisse in cui si afferma, in riferimento alla condizione post-mortem degli individui, che “le loro opere li seguono”[2]; o l’espressione, apparentemente paradossale, in cui il Cristo promette che “nemmeno un capello del vostro capo perirà”[3]. L’espressione è solo in apparenza assurda (i “capelli” sono quanto di più effimero possa esserci nel nostro corpo, visto che essi cadono e ricrescono continuamente), ma è assolutamente reale se si comprende che ogni possibilità realizzata nella nostra esistenza –financo le possibilità attinenti alla dimensione corporea- non vengono in alcun modo “cancellate”, ma permangono nella modalità a-temporale determinando il destino postumo della creatura[4].
In questa stessa prospettiva, assume un significato ben più profondo anche l’idea della “remissione dei peccati”, che nel linguaggio teologico o devozionale é intesa semplicemente come il “perdono” da parte della Divinità per un atto commesso contro la Sua legge, ma che é in effetti molto di più: il “peccato” -ovvero la possibilità negativa manifestatasi nell’esistenza di un essere- pur essendo “avvenuto” nel divenire temporale viene al contrario cancellato nella Realtà Principiale; esso, in effetti, si può dire a rigore che non é mai esistito, perchè Dio stesso, al di la del tempo, annienta quel particolare “accidente” manifestatosi nell’esistenza di quella particolare creatura.
RESURPurgatorioREZIONE DEI CORPI E FINE DEI TEMPI
Da quanto è stato detto, si evince anche il perché del collegamento –presente di continuo nelle Scritture- tra l’evento della Resurrezione dei corpi e quello della Fine dei Tempi. Ciò che si è detto in merito al Giudizio Individuale, infatti, può riferirsi analogamente anche Giudizio Universale, con l’unica differenza che, in questo caso, il passaggio dal tempo al non-tempo, dal divenire all’Istante, non riguarda più il singolo individuo, ma l’insieme di “un mondo”.
Per questo alla Fine dei Tempi (ovvero al termine di quel processo di divenire che in termini profani chiamiamo “storia”) tutte le possibilità realizzatesi devono necessariamente ritrovarsi nell’atemporalità, comprese quelle particolari possibilità che costituiscono l’esistenza corporea dei singoli individui. Da ciò si evince come sia possibile che, all’atto del Giudizio Universale, le anime si riuniscano ai loro corpi, ovvero alle possibilità corporee realizzatesi durante l’esistenza e che adesso appaiono co-esistenti fuori dal tempo.
Vien da se, in ogni caso, che le possibilità psico-fisiche dell’essere umano nella condizione del risorto non sono limitate esclusivamente a quelle realizzatesi sul piano terreno: le possibilità terrene “trasfigurate”, infatti, sono solo un aspetto delle indefinite potenzialità e delle modalità possedute dal Beato, la cui condizione è assolutamente identica a quella dell’Uomo Primordiale precedente la “caduta”, con l’unica differenza che tali esseri (ormai “salvati”) non potranno più “ritornare” o “ricadere” nella condizione temporale e mortale.
I “RISORTI IN VITA” E LA RESURREZIONE DI CRISTO
Quello che per la maggior parte degli esseri umani “salvati” avviene solo nel post-mortem, o addirittura alla Fine dei Tempi, per certi esseri spiritualmente realizzati accade, al contrario, già nel corso dell’esistenza terrena. Nella Bibbia sono noti i casi del patriarca Enoch e del profeta Elia (assunti in cielo con il corpo senza dover passare dalla morte); poiché per un essere che ha già in questa esistenza realizzato la “vittoria sul tempo e sul divenire”, é evidente che non esiste più un prima e un dopo. Per tali esseri, se si può dire, la Resurrezione é già avvenuta ed essi rimangono in questo mondo esclusivamente nella misura in cui hanno una missione o un mandato divino da compiere.
Il Cristo Gesù, inviato per salvare e liberare l’uomo, deve al contrario ripercorre in Se Stesso tutte le fasi del cammino che l’uomo compie nella via della divinizzazione (pur non avendo in sé il Cristo alcun “bisogno” di percorrere tali tappe). All’atto della Sua Resurrezione, il Cristo si manifesta in primo luogo proprio come “vittorioso sul tempo” (e il tempo non é che uno dei nomi della morte); Egli può, a suo piacimento, comparire ai discepoli in tutte le forme possibili della Sua individualità: giovane o adulto, sano o piagato dalla dolorosa Passione, perché tutte le possibilità della Sua esistenza coesistono ormai nell’Istante atemporale.
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[1] Anthologhion, Memoria della Dormizione della Santissima Madre di Dio, Grande Vespro: “Il potentissimo angelo di Dio mostrò ai fanciulli come la fiamma irrorasse di rugiada i santi e bruciasse invece gli empi”.
[2] Apocalisse 14, 13
[3] Luca 21, 18
[4] “I diversi oggetti della manifestazione, inclusi quelli della manifestazione individuale, non vengono distrutti, ma sussistono in modalità principiale, essendo unificati proprio dal fatto che non sono più concepiti nell’aspetto secondario o contingente di distinzione (…). E’ questo che permette la trasposizione in senso metafisico della dottrina teologica della resurrezione dei morti, come anche del concetto di ‘corpo glorioso'; quest’ultimo, peraltro, non é un corpo nel senso proprio della parola ma la sua ‘trasformazione’, (…) in altre parole é la ‘realizzazione della possibilità permanente e immutabile di cui il corpo non è che un’espressione passeggera, in modalità manifestata”.
(René Guénon, “L’uomo e il suo divenire secondo il Vedānta”). Inizio modulo

BY   23 MARZO 2016 

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