Raphus cucullatus (Dodo)
Era inetto al volo, si nutriva di frutti e nidificava a terra. Si estinse rapidamente nella seconda metà del XVII secolo (Wikipedia) http://www.enzopennetta.it/2015/10/la-teoria-del-gender-non-e-darwinianamente-sostenibile/
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L’evoluzione della dottrina spiegata da «Civiltà Cattolica»
Nel prossimo numero della rivista un articolo di padre
Rausch riporta esempi di come l’insegnamento dottrinale si sia sviluppato e
abbia subito correzioni e contestualizzazioni «guidate dalla fedeltà al kerygma
essenziale e ai princìpi che esprimono l’aspetto duraturo del messaggio
cristiano»
L’evoluzione della dottrina e dell’identità cristiana al
centro di un articolo della Civiltà Cattolica
L’obiettivo dell’articolo è implicito ed è quello di entrare
nel dibattito che ha affiancato il lavoro dei Sinodi sulla famiglia continuando
ora dopo la pubblicazione dell’esortazione apostolica «Amoris laetitia»: è
possibile e in che termini uno sviluppo della dottrina?
Sul prossimo numero di «Civiltà Cattolica» l’argomento è
proposto in un articolo di padre Thomas P. Rausch, intitolato «Missione
pastorale della Chiesa». L’autore parte dalla domanda che si pose nel V secolo san
Vincenzo di Lerino: «Un progresso della religione ci può essere nella
Chiesa di Cristo?». Quesito oggi traducibile così: «Come si custodisce e
trasmette nel tempo il prezioso deposito della fede? In che senso si può
parlare di “evoluzione” della dottrina»? Il santo rispondeva affermativamente,
proponendo l’esempio delle membra del corpo umano, che sono
certamente diverse dal bambino all’adulto e poi nella persona anziana, pur
rimanendo sempre le stesse. E dunque si può rispondere di sì, secondo Vincenzo
da Lerino, «a condizione però che si tratti veramente di un progresso
nella fede e non di un cambiamento. È caratteristico del progresso che
ogni realtà si sviluppi intrinsecamente, mentre il cambiamento implica il
passaggio di una data cosa a qualcos’altro di diverso».
Nell’intervista con padre Antonio Spadaro apparsa
su «La Civiltà Cattolica» nel 2013, Papa Francesco aveva affermato di meditare
spesso su questo brano e lo aveva commentato così: «San Vincenzo di Lerino fa
il paragone tra lo sviluppo biologico dell’uomo e la trasmissione da un’epoca
all’altra del depositum fidei, che cresce e si consolida con il passar del
tempo. Ecco, la comprensione dell’uomo muta col tempo, e così anche la
coscienza dell’uomo si approfondisce. Pensiamo a quando la schiavitù era
ammessa o la pena di morte era ammessa senza alcun problema. Dunque si
cresce nella comprensione della verità. Gli esegeti e i teologi aiutano la
Chiesa a maturare il proprio giudizio. Anche le altre scienze e la loro
evoluzione aiutano la Chiesa in questa crescita nella comprensione. Ci sono
norme e precetti ecclesiali secondari che una volta erano efficaci, ma che
adesso hanno perso di valore o significato. La visione della dottrina
della Chiesa come un monolite da difendere senza sfumature è errata».
Padre Rausch cita in proposito la costituzione conciliare «Dei
Verbum», nella quale si afferma: «Questa Tradizione che viene dagli
Apostoli progredisce nella Chiesa con l’assistenza dello Spirito Santo: cresce
infatti la comprensione tanto delle cose quanto delle parole trasmesse, sia con
la riflessione e lo studio dei credenti che le meditano nel loro cuore (cfr Lc
2,19.51), sia con l’intelligenza interiore delle cose spirituali che
sperimentano, sia per la predicazione di coloro che con la successione
nell’episcopato hanno ricevuto un carisma sicuro di verità. In altri
termini, nel corso dei secoli la Chiesa tende incessantemente alla pienezza
della verità divina, finché in essa giungano a compimento le parole di Dio».
Questa affermazione, spiega l’autore dell’articolo «illustra
il dinamismo accrescitivo della dottrina della Chiesa nell’intelligenza della
Tradizione, spiegando come il processo storico di comprensione della verità sia
il risultato dell’azione dei diversi soggetti della compagine ecclesiale, giacché
la dottrina si costituisce in un processo storico di intelligenza creativa del
popolo di Dio nella tradizione/trasmissione. È importante qui notare
l’importanza data dal Concilio all’esperienza spirituale dei fedeli. Emerge
chiaramente che la dottrina, nel suo dinamismo, è intimamente connessa con la
storia vissuta dalla Chiesa: nell’annuncio e nella custodia della fede così
come nell’approfondimento spirituale e nell’elaborazione teologica».
La Rivelazione, continua padre Rausch, «si dà nella storia:
da qui il dinamismo dottrinale nella Chiesa». Viene ricordata la dichiarazione
«Mysterium Ecclesiae»della Congregazione per la Dottrina della Fede (1973),
che «ha posto l’accento sul “condizionamento storico che incide
sull’espressione della Rivelazione”, ovunque si trovi, cioè nella Scrittura,
nel Credo, nel dogma e quindi nell’insegnamento del magistero». Ciò significa
che è da considerare «opportuna una riformulazione dell’enunciazione del
deposito della fede, ossia della verità della dottrina, chiarendone il significato
e dandogli nuova veste espressiva affinché sia efficace sotto il profilo
pastorale».
È la linea indicata nel discorso di apertura del Concilio
ecumenico Vaticano II da san Giovanni XXIII, quando
ricordava: «Occorre che questa dottrina certa ed immutabile, alla quale si deve
prestare un assenso fedele, sia approfondita ed esposta secondo quanto è
richiesto dai nostri tempi. Altro è infatti il deposito della fede,
cioè le verità che sono contenute nella nostra veneranda dottrina, altro è il
modo con il quale esse sono annunziate, sempre però nello stesso senso e
nella stessa accezione. Va data grande importanza a questo metodo e, se è
necessario, applicato con pazienza; si dovrà cioè adottare quella forma di
esposizione che più corrisponda al magistero, la cui indole è prevalentemente
pastorale». L’approfondimento e la riesposizione della dottrina devono
dunque tener conto del «nesso vitale tra la dottrina e l’annuncio (kerygma) al
cuore del Vangelo», osserva l’autore dell’articolo.
Un punto importante nel discorso sull’evoluzione della
dottrina è il rapporto tra dottrina e dogmi. «Chi respinge un
dogma si pone al di fuori della comunità di fede - ricorda padre Rausch - Ma i
dogmi possono essere reinterpretati da successive azioni magisteriali, com’è
accaduto quando il Concilio Vaticano II ha sviluppato e chiarito la definizione
del Concilio Vaticano I riguardo a quella che viene comunemente chiamata “infallibilità
pontificia”».
Il concilio Vaticano II ha infatti ampliato la
definizione del Vaticano I, comprendendovi i vescovi in unione con il
Papa nell’esercizio dell’infallibilità della Chiesa, quando in comunione tra
loro e con il successore di Pietro, «insegnando ufficialmente a proposito di
fede e morale convengono su una sentenza da ritenere come definitiva». E ancora
di più quando sono riuniti in concilio. Il Vaticano II ha insegnato che
anche i fedeli prendono parte all’infallibilità della Chiesa: «La totalità
dei fedeli che hanno l’unzione ricevuta dal Santo non può sbagliarsi nel
credere, e manifesta questa sua particolare proprietà mediante il
soprannaturale senso della fede di tutto il popolo, quando “dai vescovi fino
agli ultimi fedeli laici” esprime il suo consenso universale in materia di fede
e di morale».
Padre Rausch cita quindi il testo pubblicato nel
giugno 2014 dalla Commissione teologica internazionale nel quale si
afferma che i fedeli «non sono soltanto i destinatari passivi di ciò che la
gerarchia insegna e che i teologi esplicitano: essi sono al contrario soggetti
viventi e attivi in seno alla Chiesa». E svolgono un ruolo nello
sviluppo della dottrina, talvolta anche quando vescovi e teologi si
dividono su una determinata questione, e nello sviluppo dell’insegnamento
morale della Chiesa.
Dato che nella vita della Chiesa gli insegnamenti sono
espressi per mezzo dei concetti che sono frutto dei tempi e delle culture
diverse, si legge ancora nell’articolo di «Civiltà Cattolica», «essi vanno
sempre interpretati. La regola della fede nella sua essenza non cambia,
ma le espressioni della dottrina e la sua comprensione spontanea segnata dalla
cultura cambiano, e per questo il Magistero e i Concili devono assicurare la
giusta formulazione della fede». Nella vita pastorale «si deve tener conto
dell’esperienza umana, delle nuove informazioni, dei contesti culturali e
storici e degli effetti provocati sugli altri».
Tra gli esempi che padre Rausch cita c’è
l’indiscutibile ed evidente evoluzione avvenuta con il documento conciliare
«Dignitatis humanae» rispetto al magistero del secolo precedente. Passando
dall’enciclica «Mirari vos» di Gregorio XVI (1832) che definiva «assurda ed
erronea sentenza, o piuttosto delirio, che si debba ammettere e garantire a
ciascuno la libertà di coscienza», e dal Sillabo del beato Pio IX
(1864), all’affermazione della libertà religiosa tra i diritti
fondamentali di ogni essere umano.
È vero che il concetto di «libertà religiosa» di Gregorio
XVI o di Pio IX non equivaleva a quello che valido per noi oggi, dato che nel
XIX secolo la libertà religiosa si comprendeva «come un atto dell’intelletto,
che ha il diritto di ignorare arbitrariamente la verità, mentre nel secolo XX
essa è intesa come atto della volontà, di libera scelta». Tuttavia, resta vero,
scrive l’autore dell’articolo, che «con il Vaticano II si è avuta una
svolta significativa», una «chiara evoluzione» rispetto a ciò che teologi,
vescovi e Papi hanno insegnato precedentemente.
Un altro esempio citato riguarda l’affermazione
«fuori della Chiesa non c’è salvezza», che è stata notevolmente
approfondita e per la quale, ha affermato il Papa emerito Benedetto XVI si è
verificata «una profonda evoluzione del dogma».
Un ulteriore esempio riguarda la schiavitù.
Citando il beato John Henry Newman, il teologo Yves Congar
affermava che lo sviluppo comporta rispetto delle forme acquisite e passate,
fedeltà, fondamento e continuità; ma implica pure movimento, crescita e
adattamento. La preoccupazione di Papa Francesco, scrive padre Rausch,
appare oggi proprio quella di «ricontestualizzare» la dottrina al servizio
della missione pastorale della Chiesa. «Ciò può condurre a evoluzioni
e correzioni guidate dalla fedeltà al kerygma essenziale e ai princìpi che
esprimono l’aspetto duraturo del messaggio cristiano. Se non si riconoscesse
questa necessità, si rischierebbe di restare fermi a una visione della
dottrina intesa come un deposito di verità astratte e statiche, indipendenti da
qualsiasi particolare contesto storico».
Alla luce degli esempi proposti, «La Civiltà Cattolica»
conclude che «la dottrina della Chiesa non va ridotta a qualcosa di
meramente regolativo e informativo, espungendone il carattere vissuto e
trasformativo proprio del dinamismo della fede guidato dall’annuncio dell’amore
salvifico di Dio manifestato in Gesù Cristo».
«Come abbiamo precedentemente ricordato - conclude l’autore
- questa fu la prospettiva di san Giovanni XXIII, il quale desiderava un
magistero di carattere fondamentalmente pastorale, piuttosto che soltanto
dedito a ripetere precedenti formulazioni dottrinali. Così, anche la
prospettiva di Papa Francesco mette in evidenza con decisione la “pastoralità
della dottrina”. La dottrina va dunque interpretata in relazione al
cuore del kerygma cristiano e alla luce del contesto pastorale in cui verrà
applicata, sempre ricordando che la suprema lex deve essere la salus animarum,
la salvezza delle anime».
28/04/2016 ANDREA TORNIELLI CITTÀ DEL VATICANO
Citarsi non è fine, lo so. Però....
Citarsi non è fine, lo so. Però in certi casi è utile a capire come si siano formate certe situazioni. Mi riferisco all’esortazione post-sinodale del Pontefice, e delle controversie che sta – giustamente – sollevando
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