Il veggente delle Tre Fontane vide un papa… eretico
di Antonio Socci (12-04-2016)
Pochi conoscono, fra le apparizioni della Madonna a Roma, quella avvenuta il 12 aprile del 1947 (oggi è l’anniversario), alle Tre Fontane, sulla strada per l’Eur, proprio dove nel 67 d.C. fu martirizzato san Paolo.
Il protagonista è Bruno Cornacchiola, che a quel tempo aveva 34 anni. La storia di questo “ragazzo di vita” sembra uscire da un film neorealista ed è ambientata in quelle misere borgate romane, fatte di baracche, poi raccontate da Pasolini. La sua era stata fino a quel momento, a tutti gli effetti, “una vita violenta”.
Verso il 1936 (in pieno ventennio) comincia a frequentare il Partito comunista clandestino e “i compagni, sapendo che era senza lavoro, gli proposero una vera e propria operazione di spionaggio: arruolarsi come volontario nella Missione militare Italiana in Spagna, che il governo fascista stava organizzando… per passare informazioni ai combattenti repubblicani del Fronte popolare”.
Così scrive Saverio Gaeta nel volume – appena uscito – Il veggente. Il segreto delle Tre Fontane (Salani editore) che poi racconta come il Cornacchiola – in quella spericolata avventura -diventò amico di un soldato tedesco e si convertì al protestantesimo più ferocemente anticattolico.
Tornato in Italia, Bruno sfoga la rabbia che aveva dentro (e che rendeva turbolenta anche la sua vita familiare) accostando alla militanza politica l’apostolato protestante.
Proprio per i suoi infuocati sentimenti anticattolici, quel 12 aprile 1947, portando i suoi figli a giocare nel bosco delle Tre Fontane, stava preparando un discorso “contro i dogmi di Maria”.
E lì, in un anfratto sudicio, di solito rifugio di coppiette, prima ai suoi bambini e poi a lui appare la “Bella Signora”.
L’Apparizione
Lei teneva nella mano destra una Bibbia e ai suoi piedi “c’erano un drappo nero simile a una tonaca e pezzi di un crocifisso, il medesimo che Cornacchiola aveva frantumato in casa al rientro dalla Spagna nel 1939”.
L’uomo ricorda che quel giorno “la Madre divina” lo rimprovera “perché la perseguitavo, essendomi fatto nemico di Dio, militando nelle sette protestanti. Mi invita amorosamente a rientrare nella Chiesa cattolica, apostolica, romana, promettendo benedizioni e guarigioni a tutti coloro che con fede entrano o si aspergono di questa terra benedetta”.
Bruno si converte e quello che riferisce farà scalpore sui giornali del tempo. Pio XII lo riceverà, con tenerezza paterna, e lui gli confesserà la sua precedente ostilità. Ma il veggente è stato anche incaricato dalla Madonna di consegnare un messaggio al Pontefice.
Gaeta lo pubblica nel suo libro mostrando anche i richiami che vi sono sia al Terzo Segreto di Fatima, sia alle future lacrime di sangue della Madonna di Civitavecchia.
La preoccupazione materna della Madonna – che alle Tre Fontane si presenta come “Vergine della Rivelazione” – è dolorosamente concentrata su drammatici eventi futuri riguardanti Roma, la Chiesa e il papato.
Non si paventano solo fatti tragici per un mondo che ha abbandonato Dio, con cenni alla minaccia islamica (“ma perché gli uomini responsabili non vedono l’invasione dell’Islam in Europa?”).
Soprattutto incombe una terribile minaccia alla vera fede cattolica, un’apostasia che sembra riguardare il cuore stesso della cristianità (“l’ira di Satana non è più mantenuta: lo Spirito di Dio si ritira dalla Terra, la Chiesa sarà lasciata vedova, ecco il drappo talare funebre, sarà lasciata in balìa del mondo”).
Messaggi e profezie
Scrive Gaeta: “Era soltanto il primo di una sessantina di messaggi, sogni e profezie che il veggente avrebbe continuato periodicamente a ricevere fino a pochissimi mesi prima della morte, avvenuta il 22 maggio 2001”.
Avendo lavorato sulle sue agende e i suoi appunti, Gaeta pubblica per la prima volta queste inedite profezie che vanno dal sequestro e l’uccisione di Aldo Moro, all’attacco alle Torri gemelle di New York, passando per l’attentato a Giovanni Paolo II, il quale avrà lo stesso atteggiamento di simpatia di Pio XII verso il Cornacchiola e verso le Tre Fontane, dove oggi sorge un santuario (già dal 1956 Papa Pacelli “consentì il culto pubblico, affidando ai francescani minori conventuali la custodia della grotta e della cappella adiacente”).
Il Cornacchiola addirittura riuscì ad avvertire papa Wojtyla prima del secondo (e poco noto) attentato del 1982: quella volta fu scongiurata la tragedia, ma – osserva Gaeta – l’episodio fu “una straordinaria conferma postuma della veridicità di quella premonizione”.
Il centro del “messaggio” delle Tre Fontane – e delle premonizioni del Cornacchiola – riguarda tuttavia le minacce dell’eresia e dell’apostasia alla vera fede cattolica:
“Figli miei, la salvezza non è riunire tutte le religioni per farne un ammasso di eresie e di errori… Gli uomini devono vivere la Chiesa e non la Chiesa vivere di loro. Gli uomini devono essere persuasi della verità… La dottrina della Chiesa è di Cristo… Non cambiate la dottrina, ma cambiate i vostri cuori a vivere essa dottrina per la salvezza vostra e del prossimo”.
Parole assai distanti da quello che si sente oggi nel Vaticano di Bergoglio.
Nelle pagine del Cornacchiola ci sono parole durissime che il Cielo rivolge agli ecclesiastici modernisti, quelli che vogliono “adeguare” la Chiesa ai tempi, cioè distruggerla. Già nel messaggio del 1947 si dice:
“L’Eucaristia sarà un giorno dissacrata e non più creduta la presenza reale di Mio Figlio. False ideologie e teologie!”.
Il papa che si mette al posto di Dio
Infine l’episodio più inquietante ed enigmatico è descritto così dal Cornacchiola in data 21 settembre 1988:
“Quello che ho sognato non si avveri mai, è troppo doloroso e spero che il Signore non permetta che il Papa neghi ogni verità di fede e si metta al posto di Dio. Quanto dolore ho provato nella notte, mi si paralizzavano le gambe e non potevo più muovermi, per quel dolore provato nel vedere la Chiesa ridotta a un ammasso di rovine”.
Quello che viene prefigurato qui era già stato annunciato, più o meno chiaramente, in altri eventi soprannaturali dell’epoca moderna, dall’apparizione della Salette, in Francia, alla famosa visione che ebbe papa Leone XIII. È un incubo che percorre la vita della Chiesa dell’ultimo secolo.
Ma è possibile? Il diritto canonico ha sempre ammesso la possibilità di un papa eretico, ma – a parte alcuni parziali episodi dei secoli passati – non si è mai verificato pienamente questo evento.
La possibilità di un Papa che “nega ogni verità di fede e si mette al posto di Dio” ha un sapore apocalittico e richiama alcuni passi profetici delle Sacre Scritture.
Tanto è vero che c’è una profezia ufficiale che fa parte della stessa rivelazione pubblica (quindi per i cattolici è “di fede”, non è opinabile come le apparizioni e le rivelazioni private).
La Chiesa l’ha riportata addirittura al n. 675 del Catechismo della Chiesa cattolica (quello firmato da Giovanni Paolo II e dal cardinale Ratzinger), quindi è veramente seria:
“Prima della venuta di Cristo, la Chiesa deve passare attraverso una prova finale che scuoterà la fede di molti credenti. La persecuzione che accompagna il suo pellegrinaggio sulla terra svelerà il Mistero di iniquità sotto la forma di una impostura religiosa che offre agli uomini una soluzione apparente ai loro problemi, al prezzo dell’apostasia dalla verità. La massima impostura religiosa è quella dell’Anti-Cristo, cioè di uno pseudo-messianismo in cui l’uomo glorifica se stesso al posto di Dio e del suo Messia venuto nella carne”.
Naturalmente non è affatto detto che la “premonizione” avuta dal Cornacchiola abbia a che fare con questa autentica profezia biblica. Inoltre non si conosce il suo tempo. Peraltro certi avvertimenti profetici sono condizionati – come accadde a Ninive nella Bibbia – quindi sono sottoposti alla libertà dell’uomo che può sempre convertirsi (e scongiurare la catastrofe) oppure può disobbedire a Dio e quindi avverarla.
In ogni caso lo scoop di Gaeta in questi giorni circola in rete e fa molta impressione. Un segno dei tempi.
FONTE: antoniosocci.com
https://cristianesimocattolico.wordpress.com/2016/04/12/il-veggente-delle-tre-fontane-vide-un-papa-eretico/
Anche Coco Chanel abitava in albergo
L’intervista rilasciata da Benedetto XVI al gesuita francese Servais, di cui si è parlato la settimana scorsa (clicca qui), al di là delle varie proposizioni di contenuto teologico, solleva non poche perplessità per l’apprezzamento particolare tributato dal papa emerito alla “misericordia” del successore. Infatti, poiché in questa si riassume la complessiva ideologia profana di Bergoglio, la sua nefasta strategia politica e tutta la sostanziale apostasia della “sua” chiesa, viene inaspettatamente a profilarsi tra il primo e il vescovo di Roma una identità di vedute che, per la proprietà transitiva, rende le rispettive posizioni inaspettatamente quanto infelicemente assimilabili.
di Patrizia Fermani
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L’intervista rilasciata da Benedetto XVI al gesuita francese Servais, di cui si è parlato la settimana scorsa (clicca qui), al di là delle varie proposizioni di contenuto teologico, solleva non poche perplessità per l’apprezzamento particolare tributato dal papa emerito alla “misericordia” del successore. Infatti, poiché in questa si riassume la complessiva ideologia profana di Bergoglio, la sua nefasta strategia politica e tutta la sostanziale apostasia della “sua” chiesa, viene inaspettatamente a profilarsi tra il primo e il vescovo di Roma una identità di vedute che, per la proprietà transitiva, rende le rispettive posizioni inaspettatamente quanto infelicemente assimilabili.
Una conclusione questa che, se fondata come logica suggerisce, fuga ogni residua speranza sul persistere di una guida morale e spirituale all’interno della Chiesa cattolica, capace ancora di contrastarne il disarmo ufficiale decretato da Bergoglio e da lui perseguito giorno dopo giorno con i fatti e con le parole. Conviene dunque tornare su questo inaspettato epilogo e riassumere per sommi capi la storia di una incompatibilità naturale che sembra ora approdata ad una sorprendente convergenza di vedute.
Quando arrivò la quasi surreale notizia della storica rinuncia al mandato petrino da parte di Benedetto XVI, dopo lo sgomento e lo smarrimento, a molti tornò in mente come otto anni prima nel discorso di insediamento, egli avesse chiesto ai fedeli di pregare perché non fosse indotto a fuggire per paura davanti ai lupi. Il ricordo di quelle parole suggeriva ora che le preghiere non fossero bastate e che i lupi avessero fiaccato l’animo del vecchio soldato di Cristo, lasciato solo a combattere una battaglia impari, perché tradito anzitutto da quelli che avrebbero dovuto esserne i compagni d’arme.
I lupi infatti non avevano tardato ad arrivare. Rumoreggiavano e bofonchiavano ovunque dall’inizio, nei salotti intellettuali e nei seminari come nei bivacchi della Sapienza e della stampa di regime. Si mostrarono di fatto potentissimi in vaticano dopo Ratisbona, e sicuri di sé a Buenos Aires insieme all’attuale inquilino di S. Marta, e vennero decisamente allo scoperto dopo il Summorum Pontificum, nelle facoltà teologiche e negli istituti di liturgia, come nelle parrocchie gratificate dalle tournée dei rinverditi Melloni e Tornielli, o degli Accattoli che allora avrebbero voluto relegare il regnante pontefice al Testaccio, mentre auspicavano a scopo punitivo la nazionalizzazione dei musei vaticani.
Così, di fronte a quella resa finale, abbiamo immaginato che essa fosse l’esito di congiure di palazzo e di politica ecclesiastica, o anche di attacchi planetari contro la Chiesa cattolica rea di tenere ufficialmente in piedi un magistero contrario ai movimenti distruttivi di un’etica millenaria. Era plausibile pensare che Benedetto XVI si fosse immolato quale vittima sacrificale, per evitare alla Chiesa quel misterioso male più grande cui aveva fatto riferimento esplicito. Tuttavia in molti abbiamo anche pensato che ad essere stata immolata, di fatto, fosse la stessa funzione papale, e che in ogni caso sarebbe stato più aderente al ruolo ricoperto un sacrificio personale anche cruento da antico martire, piuttosto che un commodus discessuss. Ci siamo però anche consolati, confidando che egli avrebbe saputo guidare in qualche modo la successione e che comunque la sua eredità sarebbe stata raccolta da mani sicure da lui conosciute.
Perché è vero che era stato uomo del Concilio e aveva condiviso la necessità di un “abbattimento dei bastioni”, anche se intesi questi come sclerotizzazione interna di una Chiesa diventata incapace di leggere il pensiero moderno e di prendere perciò le adeguate contromisure. Ed è anche vero che egli aveva accolto con disappunto la famosa Nota Praevia approntata, a difesa tardiva della centralità del papato minacciata ora proprio in seno al Concilio, dallo stesso Paolo VI che pure aveva messo in vendita il Triregno, in ossequio demagogico alla ideologia più corriva. Tuttavia Ratzinger si era accorto ben presto, prima di altri che l’aggiornamento puntava dritto alla rivoluzione, anche se poi ha continuato ad attribuire il risultato imprevisto ad una appropriazione indebita del Concilio venuta dopo, piuttosto che ai germi nascosti o palesi già brulicanti nei relativi documenti. Vide come l’ariete della dissoluzione cattolica era anzitutto quello scagliato contro la liturgia che egli non ha mai smesso di considerare il fulcro e il banco di prova della fede. In tanti scritti ispirati e poetici ripeteva col salmista “cantate a Dio un canto nuovo”, cioè il canto antico della bellezza e dell’arte, quello di sempre, dettato appunto dalla vera fede. Aveva scritto il Rapporto sulla fede e il Sale della terra e, da Prefetto della Dottrina della fede, formò tutti quei documenti che riaffermano a chiare lettere un magistero cattolico contro lo stravolgimento etico e culturale imposto delle forze politiche dominanti ormai anche nella Chiesa. Sono venuti da lui la condanna della massoneria, della guerra inedita portata a tutto il tessuto sociale dal movimento omosessualista e dalle sue inedite pretese egemoniche, la condanna della teologia della liberazione, accanto a tante altre oculate, lucidissime e approfondite diagnosi degli aspetti fondamentali di una rivoluzione culturale volta ad annientare progressivamente l’etica cattolica: aborto, fabbricazione dell’uomo, eutanasia, ecc. Da tutti quei documenti emergeva una salda visione tomista al di là dei riferimenti insistiti alla propria formazione agostiniana.
Poi di fronte all’imbarbarimento culturale generalizzato imposto dalle istituzioni europee, insieme alla distruzione programmata di una identità morale e spirituale nata dall’incontro tra il pensiero greco e il cristianesimo, ha lanciato gli accorati appelli contro il disconoscimento delle proprie radici cristiane da parte di un’ Europa ora intenta ad annientarsi eticamente e intellettualmente dopo essere stata sfigurata materialmente dai bombardamenti alleati.
Ma la speranza che si potesse ritrovare continuità di pensiero e fedeltà dottrinale nel successore, fu immediatamente fugata, quando questi fece la prima desolante apparizione dalla loggia delle benedizioni. Arrivò quella perentoria immagine della volontà ferrea di imporre un nuovo corso, che si esprimeva quasi in una sorta di ottusa rigidità fisica, e nel proposito quasi sadico di smorzare quel gaudium magnum che ogni buon cattolico prova all’annuncio della elezione del nuovo vicario di Cristo in terra. Apparvero la arroganza del nome mai osato da nessun predecessore, il disprezzo per la tradizione e per i simboli come evidente disprezzo per ciò che veniva trasmesso e simboleggiato, cioè per un patrimonio comune e del quale egli non avrebbe potuto e dovuto disporre, perché appartenente a tutta la comunità cristiana. Veniva così preannunciato ora un ben diverso e defintivo “abbattimento dei bastioni”.
Il primo obiettivo immediatamente leggibile era così quello della distruzione del papato quale istituzione divina, da sostituire con una monarchia personale, come quella inaugurata elegantemente da Napoleone all’atto di autoincoronarsi con la frase famosa: “Dio me l’ha data e guai a chi me la tocca”. Ma qui c’era ben di più: la benedizione non data ma richiesta al popolo, per mostrare che l’investitura e la legittimazione venivano democraticamente da questo, cioè dal basso, e assicuravano che il nuovo sovrano sarebbe stato il più diretto interprete di ogni aspettativa e di ogni bisogno dell’elettorato. Insomma tutto il bello della democrazia. Dunque un nuovo quadro istituzionale che era anche un programma di governo.
A sconfessare il valore della vecchia istituzione è servito anche l’immediato abbandono della casa deputata, quella che sempre finisce anche per rappresentare e incorporare l’istituzione che ospita, dal Quirinale, a Downing Street, al Cremlino ecc. Così Bergoglio ha messo la residenza della sua chiesa a Santa Marta, come Coco Chanel aveva scelto il Ritz per la propria “Maison”.
Il nuovo orizzonte per così dire teologico, è stato tracciato subito dopo attraverso l’elezione pubblica di Kasper a teologo ufficiale di regime.
Quanto alle caratteristiche personali, esse sono apparse poi compendiate nella sedia lasciata vuota al concerto già programmato in onore del predecessore: l’immagine impietosamente divulgata di quella sedia trasmetteva al tempo stesso disprezzo per quest’ultimo, disprezzo per i musicisti e per il pubblico, disprezzo per il bello, categoria che a Bergoglio deve risultare del tutto incomprensibile. Come dimostrato dalla volontà puntigliosa di eliminare la bellezza liturgica, per evitare che essa possa evocare il sacro, altra categoria aborrita da chi proprio del sacro dovrebbe essere testimone ed esegeta. Del resto l’abolizione del sacro è notoriamente l’obiettivo di quanti hanno lavorato alacremente per la secolarizzazione della chiesa, che a partire dal Concilio doveva assomigliare ad una istituzione politica a sostegno del nuovo nichilismo marxisteggiante.
Questo obiettivo politico mascherata da vocazione religiosa si manifestò poi in modo inequivocabile in quell’insano condensato di demagogia umanitaria, spregiudicata invadenza politica e strumentalizzazione religiosa che fu la imbarazzante messinscena di Lampedusa, omaggio increscioso e foriero di tragiche conseguenze alla dissennata congiura che vuole la distruzione dell’Europa attraverso l’invasione da sud, imposta diabolicamente per portare a termine la fine della storia europea che è anche la storia della cristianità occidentale.
La “teologia” di Bergoglio è quella dello adeguamento ai venti che spirano nel mondo e ai contigui desideri artificiali, cioè la teologia di un dio senza volto e senza nome ma dai molti volti e dai molti nomi, che non dice agli uomini come debbono comportarsi per vivere bene, ma dice loro di seguire istinti ed emozioni nel paradigma dei miti dell’89. Un pensiero grossolanamente politico che bisognava mascherare da pensiero religioso per fornire ad esso forza e suggestione morale.
Il nuovo prestigiatore avvezzo ad imbonire le masse ad ogni nuovo spettacolo ha ideato la impostura della misericordia, tanto sicuro della propria scaltrezza quanto della credulità popolare disarmata dall’obbedienza. La misericordia, spacciata senza remore come quella di Dio, è stata la trovata geniale capace di attirare il consenso verso un piano di eversione generale. Una sorta di narcotico delle coscienze della ragione e dello spirito critico e autocritico.
Il piano eversivo della chiesa, della cultura e della civiltà occidentale cristiana attraverso il gioco di prestigio della misericordia che tutto copre e tutto legittima, si snoda secondo due direttrici fondamentali:
1) l’avallo all’interno della dissoluzione morale individuale e collettiva attraverso l’abbandono di ogni criterio etico che non sia legato a quello dettato dalle leggi dello “Stato”, inteso non più come un organismo nazionale che riflettere la specificità storica etica e politica di una comunità individuata, cioè di un popolo sovrano, ma l’organismo senza volto che impone in via burocratica e mediatica i propri comandamenti ad una massa resa informe e inerme.
2) il promovimento dall’esterno della cancellazione della Europa quale entità morale e culturale, attraverso invasione da parte di un conquistatore le cui vittime sono indotte moralmente ad aprire le porte della novella Troia che sarà messa a ferro e fuoco.
Di questo piano di distruzione dell’ Europa in cui è nato l’occidente cristiano, Bergoglio è diventato il più potente e inaspettato catalizzatore, deputato ad accelerare un processo catastrofico attraverso il contributo prestato dalla gente comune convinta, anche dai suoi preti, di mettersi “la coscienza a posto”, mentre invece sta consumando un immane tradimento ai propri danni e a quelli delle generazioni future. La misericordia di Bergoglio è, in altre parole, l’arma letale a doppio taglio usata per la distruzione del tessuto etico e la identità socio politica europea e più genericamente cristiana. E i due poli son ben espressi da un lato da Lampedusa, e dall’altro dall’anno giubilare, disposto a portare cattolicamente tutti al di là del bene e del male.
A superare l’ostacolo della possibile resistenza interna in generale, si confeziona così facilmente il consenso, il vero nuovo dio da onorare messo al servizio del simulacro della verità che è individuale, contingente e maggioritaria. Anche l’essenza della fede si esprime appunto attraverso quello che nelle scuole teologiche viene indicato come consensus fidei, e che è oggi il compunto belletto clericale dato al relativismo teologico.
Con la cattura facile degli umori e delle suggestioni di masse ormai ottuse da una annosa depressione culturale generalizzata, si manifesta così il terzo piano, quello sapientemente strategico sul quale opera la misericordia del Bergoglio. Al di là della rozzezza dei modi, del linguaggio e delle trovate, le strategie comunicative e di azione in senso largo politica, messe in opera con astuta spregiudicatezza, dimostrano tutta la loro efficacia.
Dunque nulla di più distante dai tratti salienti della personalità di Benedetto XVI, dalla profondità di pensiero e di cultura, dalla sapienza teologica, dalla sua idea della necessaria alleanza tra fede e ragione, dalla difesa sincera della chiesa e della sua missione salvifica, manifestata negli anni.
Eppure tutto questo sembra dissolversi improvvisamente proprio nell’omaggio reso dal papa emerito alla misericordia bergogliana e quindi ai suoi nefasti obiettivi. Di questa è stato promulgato ora un vero e proprio manifesto con la dichiarazione postsinodale, che nulla di nuovo aggiunge, sotto l’ennesimo titolo melenso, al contenuto di tutti i pregressi interventi pubblici e privati di Bergoglio. Intrisa ancora una volta del solito stucchevole dolcificante capace di coprirne il contenuto venefico, essa si adatta al palato facile di chi, senza darsi la briga di leggere i veri obiettivi perseguiti, è pago di quelli genericamente pubblicizzati da cortigiani, sguatteri, e pretoriani, o persino da nemici diventati amici perché ormai stanchi di pensare, argomentare e combattere per la verità delle cose e della retta ragione.
Questo manifesto mira attraverso un falso magistero della chiesa, pretesamente mobile e manipolato abilmente da falsi profeti, ad esaltare il nuovo mondo fondato sulle emozioni e sulle commozioni, sugli istinti e sulle codardie, sulla ritirata del pensiero e sull’abbandono al flusso delle correnti, per immergere misericordiosamente nel caos una umanità disarticolata e imbelle, in balia di se stessa e dei suoi padroni potenti.
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L’intervista rilasciata da Benedetto XVI al gesuita francese Servais, di cui si è parlato la settimana scorsa (clicca qui), al di là delle varie proposizioni di contenuto teologico, solleva non poche perplessità per l’apprezzamento particolare tributato dal papa emerito alla “misericordia” del successore. Infatti, poiché in questa si riassume la complessiva ideologia profana di Bergoglio, la sua nefasta strategia politica e tutta la sostanziale apostasia della “sua” chiesa, viene inaspettatamente a profilarsi tra il primo e il vescovo di Roma una identità di vedute che, per la proprietà transitiva, rende le rispettive posizioni inaspettatamente quanto infelicemente assimilabili.
Una conclusione questa che, se fondata come logica suggerisce, fuga ogni residua speranza sul persistere di una guida morale e spirituale all’interno della Chiesa cattolica, capace ancora di contrastarne il disarmo ufficiale decretato da Bergoglio e da lui perseguito giorno dopo giorno con i fatti e con le parole. Conviene dunque tornare su questo inaspettato epilogo e riassumere per sommi capi la storia di una incompatibilità naturale che sembra ora approdata ad una sorprendente convergenza di vedute.
Quando arrivò la quasi surreale notizia della storica rinuncia al mandato petrino da parte di Benedetto XVI, dopo lo sgomento e lo smarrimento, a molti tornò in mente come otto anni prima nel discorso di insediamento, egli avesse chiesto ai fedeli di pregare perché non fosse indotto a fuggire per paura davanti ai lupi. Il ricordo di quelle parole suggeriva ora che le preghiere non fossero bastate e che i lupi avessero fiaccato l’animo del vecchio soldato di Cristo, lasciato solo a combattere una battaglia impari, perché tradito anzitutto da quelli che avrebbero dovuto esserne i compagni d’arme.
I lupi infatti non avevano tardato ad arrivare. Rumoreggiavano e bofonchiavano ovunque dall’inizio, nei salotti intellettuali e nei seminari come nei bivacchi della Sapienza e della stampa di regime. Si mostrarono di fatto potentissimi in vaticano dopo Ratisbona, e sicuri di sé a Buenos Aires insieme all’attuale inquilino di S. Marta, e vennero decisamente allo scoperto dopo il Summorum Pontificum, nelle facoltà teologiche e negli istituti di liturgia, come nelle parrocchie gratificate dalle tournée dei rinverditi Melloni e Tornielli, o degli Accattoli che allora avrebbero voluto relegare il regnante pontefice al Testaccio, mentre auspicavano a scopo punitivo la nazionalizzazione dei musei vaticani.
Così, di fronte a quella resa finale, abbiamo immaginato che essa fosse l’esito di congiure di palazzo e di politica ecclesiastica, o anche di attacchi planetari contro la Chiesa cattolica rea di tenere ufficialmente in piedi un magistero contrario ai movimenti distruttivi di un’etica millenaria. Era plausibile pensare che Benedetto XVI si fosse immolato quale vittima sacrificale, per evitare alla Chiesa quel misterioso male più grande cui aveva fatto riferimento esplicito. Tuttavia in molti abbiamo anche pensato che ad essere stata immolata, di fatto, fosse la stessa funzione papale, e che in ogni caso sarebbe stato più aderente al ruolo ricoperto un sacrificio personale anche cruento da antico martire, piuttosto che un commodus discessuss. Ci siamo però anche consolati, confidando che egli avrebbe saputo guidare in qualche modo la successione e che comunque la sua eredità sarebbe stata raccolta da mani sicure da lui conosciute.
Perché è vero che era stato uomo del Concilio e aveva condiviso la necessità di un “abbattimento dei bastioni”, anche se intesi questi come sclerotizzazione interna di una Chiesa diventata incapace di leggere il pensiero moderno e di prendere perciò le adeguate contromisure. Ed è anche vero che egli aveva accolto con disappunto la famosa Nota Praevia approntata, a difesa tardiva della centralità del papato minacciata ora proprio in seno al Concilio, dallo stesso Paolo VI che pure aveva messo in vendita il Triregno, in ossequio demagogico alla ideologia più corriva. Tuttavia Ratzinger si era accorto ben presto, prima di altri che l’aggiornamento puntava dritto alla rivoluzione, anche se poi ha continuato ad attribuire il risultato imprevisto ad una appropriazione indebita del Concilio venuta dopo, piuttosto che ai germi nascosti o palesi già brulicanti nei relativi documenti. Vide come l’ariete della dissoluzione cattolica era anzitutto quello scagliato contro la liturgia che egli non ha mai smesso di considerare il fulcro e il banco di prova della fede. In tanti scritti ispirati e poetici ripeteva col salmista “cantate a Dio un canto nuovo”, cioè il canto antico della bellezza e dell’arte, quello di sempre, dettato appunto dalla vera fede. Aveva scritto il Rapporto sulla fede e il Sale della terra e, da Prefetto della Dottrina della fede, formò tutti quei documenti che riaffermano a chiare lettere un magistero cattolico contro lo stravolgimento etico e culturale imposto delle forze politiche dominanti ormai anche nella Chiesa. Sono venuti da lui la condanna della massoneria, della guerra inedita portata a tutto il tessuto sociale dal movimento omosessualista e dalle sue inedite pretese egemoniche, la condanna della teologia della liberazione, accanto a tante altre oculate, lucidissime e approfondite diagnosi degli aspetti fondamentali di una rivoluzione culturale volta ad annientare progressivamente l’etica cattolica: aborto, fabbricazione dell’uomo, eutanasia, ecc. Da tutti quei documenti emergeva una salda visione tomista al di là dei riferimenti insistiti alla propria formazione agostiniana.
Poi di fronte all’imbarbarimento culturale generalizzato imposto dalle istituzioni europee, insieme alla distruzione programmata di una identità morale e spirituale nata dall’incontro tra il pensiero greco e il cristianesimo, ha lanciato gli accorati appelli contro il disconoscimento delle proprie radici cristiane da parte di un’ Europa ora intenta ad annientarsi eticamente e intellettualmente dopo essere stata sfigurata materialmente dai bombardamenti alleati.
Ma la speranza che si potesse ritrovare continuità di pensiero e fedeltà dottrinale nel successore, fu immediatamente fugata, quando questi fece la prima desolante apparizione dalla loggia delle benedizioni. Arrivò quella perentoria immagine della volontà ferrea di imporre un nuovo corso, che si esprimeva quasi in una sorta di ottusa rigidità fisica, e nel proposito quasi sadico di smorzare quel gaudium magnum che ogni buon cattolico prova all’annuncio della elezione del nuovo vicario di Cristo in terra. Apparvero la arroganza del nome mai osato da nessun predecessore, il disprezzo per la tradizione e per i simboli come evidente disprezzo per ciò che veniva trasmesso e simboleggiato, cioè per un patrimonio comune e del quale egli non avrebbe potuto e dovuto disporre, perché appartenente a tutta la comunità cristiana. Veniva così preannunciato ora un ben diverso e defintivo “abbattimento dei bastioni”.
Il primo obiettivo immediatamente leggibile era così quello della distruzione del papato quale istituzione divina, da sostituire con una monarchia personale, come quella inaugurata elegantemente da Napoleone all’atto di autoincoronarsi con la frase famosa: “Dio me l’ha data e guai a chi me la tocca”. Ma qui c’era ben di più: la benedizione non data ma richiesta al popolo, per mostrare che l’investitura e la legittimazione venivano democraticamente da questo, cioè dal basso, e assicuravano che il nuovo sovrano sarebbe stato il più diretto interprete di ogni aspettativa e di ogni bisogno dell’elettorato. Insomma tutto il bello della democrazia. Dunque un nuovo quadro istituzionale che era anche un programma di governo.
A sconfessare il valore della vecchia istituzione è servito anche l’immediato abbandono della casa deputata, quella che sempre finisce anche per rappresentare e incorporare l’istituzione che ospita, dal Quirinale, a Downing Street, al Cremlino ecc. Così Bergoglio ha messo la residenza della sua chiesa a Santa Marta, come Coco Chanel aveva scelto il Ritz per la propria “Maison”.
Il nuovo orizzonte per così dire teologico, è stato tracciato subito dopo attraverso l’elezione pubblica di Kasper a teologo ufficiale di regime.
Quanto alle caratteristiche personali, esse sono apparse poi compendiate nella sedia lasciata vuota al concerto già programmato in onore del predecessore: l’immagine impietosamente divulgata di quella sedia trasmetteva al tempo stesso disprezzo per quest’ultimo, disprezzo per i musicisti e per il pubblico, disprezzo per il bello, categoria che a Bergoglio deve risultare del tutto incomprensibile. Come dimostrato dalla volontà puntigliosa di eliminare la bellezza liturgica, per evitare che essa possa evocare il sacro, altra categoria aborrita da chi proprio del sacro dovrebbe essere testimone ed esegeta. Del resto l’abolizione del sacro è notoriamente l’obiettivo di quanti hanno lavorato alacremente per la secolarizzazione della chiesa, che a partire dal Concilio doveva assomigliare ad una istituzione politica a sostegno del nuovo nichilismo marxisteggiante.
Questo obiettivo politico mascherata da vocazione religiosa si manifestò poi in modo inequivocabile in quell’insano condensato di demagogia umanitaria, spregiudicata invadenza politica e strumentalizzazione religiosa che fu la imbarazzante messinscena di Lampedusa, omaggio increscioso e foriero di tragiche conseguenze alla dissennata congiura che vuole la distruzione dell’Europa attraverso l’invasione da sud, imposta diabolicamente per portare a termine la fine della storia europea che è anche la storia della cristianità occidentale.
La “teologia” di Bergoglio è quella dello adeguamento ai venti che spirano nel mondo e ai contigui desideri artificiali, cioè la teologia di un dio senza volto e senza nome ma dai molti volti e dai molti nomi, che non dice agli uomini come debbono comportarsi per vivere bene, ma dice loro di seguire istinti ed emozioni nel paradigma dei miti dell’89. Un pensiero grossolanamente politico che bisognava mascherare da pensiero religioso per fornire ad esso forza e suggestione morale.
Il nuovo prestigiatore avvezzo ad imbonire le masse ad ogni nuovo spettacolo ha ideato la impostura della misericordia, tanto sicuro della propria scaltrezza quanto della credulità popolare disarmata dall’obbedienza. La misericordia, spacciata senza remore come quella di Dio, è stata la trovata geniale capace di attirare il consenso verso un piano di eversione generale. Una sorta di narcotico delle coscienze della ragione e dello spirito critico e autocritico.
Il piano eversivo della chiesa, della cultura e della civiltà occidentale cristiana attraverso il gioco di prestigio della misericordia che tutto copre e tutto legittima, si snoda secondo due direttrici fondamentali:
1) l’avallo all’interno della dissoluzione morale individuale e collettiva attraverso l’abbandono di ogni criterio etico che non sia legato a quello dettato dalle leggi dello “Stato”, inteso non più come un organismo nazionale che riflettere la specificità storica etica e politica di una comunità individuata, cioè di un popolo sovrano, ma l’organismo senza volto che impone in via burocratica e mediatica i propri comandamenti ad una massa resa informe e inerme.
2) il promovimento dall’esterno della cancellazione della Europa quale entità morale e culturale, attraverso invasione da parte di un conquistatore le cui vittime sono indotte moralmente ad aprire le porte della novella Troia che sarà messa a ferro e fuoco.
Di questo piano di distruzione dell’ Europa in cui è nato l’occidente cristiano, Bergoglio è diventato il più potente e inaspettato catalizzatore, deputato ad accelerare un processo catastrofico attraverso il contributo prestato dalla gente comune convinta, anche dai suoi preti, di mettersi “la coscienza a posto”, mentre invece sta consumando un immane tradimento ai propri danni e a quelli delle generazioni future. La misericordia di Bergoglio è, in altre parole, l’arma letale a doppio taglio usata per la distruzione del tessuto etico e la identità socio politica europea e più genericamente cristiana. E i due poli son ben espressi da un lato da Lampedusa, e dall’altro dall’anno giubilare, disposto a portare cattolicamente tutti al di là del bene e del male.
A superare l’ostacolo della possibile resistenza interna in generale, si confeziona così facilmente il consenso, il vero nuovo dio da onorare messo al servizio del simulacro della verità che è individuale, contingente e maggioritaria. Anche l’essenza della fede si esprime appunto attraverso quello che nelle scuole teologiche viene indicato come consensus fidei, e che è oggi il compunto belletto clericale dato al relativismo teologico.
Con la cattura facile degli umori e delle suggestioni di masse ormai ottuse da una annosa depressione culturale generalizzata, si manifesta così il terzo piano, quello sapientemente strategico sul quale opera la misericordia del Bergoglio. Al di là della rozzezza dei modi, del linguaggio e delle trovate, le strategie comunicative e di azione in senso largo politica, messe in opera con astuta spregiudicatezza, dimostrano tutta la loro efficacia.
Dunque nulla di più distante dai tratti salienti della personalità di Benedetto XVI, dalla profondità di pensiero e di cultura, dalla sapienza teologica, dalla sua idea della necessaria alleanza tra fede e ragione, dalla difesa sincera della chiesa e della sua missione salvifica, manifestata negli anni.
Eppure tutto questo sembra dissolversi improvvisamente proprio nell’omaggio reso dal papa emerito alla misericordia bergogliana e quindi ai suoi nefasti obiettivi. Di questa è stato promulgato ora un vero e proprio manifesto con la dichiarazione postsinodale, che nulla di nuovo aggiunge, sotto l’ennesimo titolo melenso, al contenuto di tutti i pregressi interventi pubblici e privati di Bergoglio. Intrisa ancora una volta del solito stucchevole dolcificante capace di coprirne il contenuto venefico, essa si adatta al palato facile di chi, senza darsi la briga di leggere i veri obiettivi perseguiti, è pago di quelli genericamente pubblicizzati da cortigiani, sguatteri, e pretoriani, o persino da nemici diventati amici perché ormai stanchi di pensare, argomentare e combattere per la verità delle cose e della retta ragione.
Questo manifesto mira attraverso un falso magistero della chiesa, pretesamente mobile e manipolato abilmente da falsi profeti, ad esaltare il nuovo mondo fondato sulle emozioni e sulle commozioni, sugli istinti e sulle codardie, sulla ritirata del pensiero e sull’abbandono al flusso delle correnti, per immergere misericordiosamente nel caos una umanità disarticolata e imbelle, in balia di se stessa e dei suoi padroni potenti.
Tanto di cappello al bravo Saverio Gaeta, ma mi sorge un dubbio : non è lui che scriveva "a 4 mani" con Padre Livio ? e non è anche lui che ha scritto su Famiglia Cristiana? tutto questo cozza con il taglio di quest'ultima benemerita sua opera, di stile prettamente antimodernistico, da cui emerge il profilo di un papa precursore dell'anticristo, molto simile all'uomo biancovestito di Santa Marta, se non addirittura ad esso identico. Mi piacerebbe sapere se il suo libro (che ho subito acquistato, ma non ancora letto) sia in vendita nelle librerie paoline, dove si celebra la più sfacciata papolatria della storia della Chiesa
RispondiEliminaMi rimane il dubbio sulla consapevolezza di questo papa di lavorare per l'avversario di Cristo
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