Francesco e le donne. Omelie no, diaconato più no che sì
Il papa ha riaperto la discussione sul diaconato femminile, ma ha fatto capire che non se ne farà nulla. E intanto respinge l'idea di far predicare le donne durante la messa
di Sandro Magister
di Sandro Magister
ROMA, 21 giugno 2016 – Durante una conferenza stampa di pochi giorni fa in Vaticano, il cardinale Gerhard L. Müller, prefetto della congregazione per la dottrina della fede, ha confermato che è in fase di composizione la squadra di specialisti che tornerà a studiare la questione delle donne diacono, come annunciato da papa Francesco lo scorso 13 maggio, durante un'udienza (vedi foto) alle superiore generali delle congregazioni religiose femminili.
Ma Müller ha anche sottolineato che un ampio studio della questione del diaconato è già stato promosso diversi anni fa dalla commissione teologica internazionale che affianca la congregazione per la dottrina della fede, all'epoca presieduta da Joseph Ratzinger.
Lo studio si sviluppò in due riprese, ad opera di due successive sottocommissioni di cui fecero parte tre futuri cardinali di primo piano: lo stesso Müller, l'allora vescovo ausiliare di Vienna Christoph Schönborn e il filippino Luis Antonio G. Tagle, quest'ultimo oggi considerato da molti come il successore "in pectore" di Francesco sul soglio di Pietro.
Il prodotto di quello studio fu questo lungo e dotto documento pubblicato nel 2002:
> Il diaconato: evoluzione e prospettive
Non risulta che Jorge Mario Bergoglio abbia mai letto questo documento, pur mostrando uno spiccato interesse per la materia, stando a quanto da lui detto il 13 maggio alle superiore generali:
"Qualcuno potrà dire che le 'diaconesse permanenti' nella vita della Chiesa sono le suocere… In effetti questo c’è nell’antichità: c’era un inizio... Io ricordo che era un tema che mi interessava abbastanza quando venivo a Roma per le riunioni, e alloggiavo alla Domus Paolo VI. Lì c’era un teologo siriano, bravo, che ha fatto l’edizione critica e la traduzione degli inni di Efrem il Siro. E un giorno gli ho domandato su questo, e lui mi ha spiegato che nei primi tempi della Chiesa c’erano alcune 'diaconesse'. Ma che cosa sono queste diaconesse? Avevano l’ordinazione o no? Ne parla il Concilio di Calcedonia (451), ma è un po’ oscuro. Qual era il ruolo delle diaconesse in quei tempi? Sembra – mi diceva quell’uomo, che è morto, era un bravo professore, saggio, erudito –, sembra che il ruolo delle diaconesse fosse per aiutare nel battesimo delle donne, l’immersione; le battezzavano loro, per il decoro, anche per fare le unzioni sul corpo delle donne, nel battesimo. E anche una cosa curiosa: quando c’era un giudizio matrimoniale perché il marito picchiava la moglie e questa andava dal vescovo a lamentarsi, le diaconesse erano le incaricate di vedere i lividi lasciati sul corpo della donna dalle percosse del marito e informare il vescovo. Questo, ricordo. Ci sono alcune pubblicazioni sul diaconato nella Chiesa, ma non è chiaro come fosse stato. Credo che chiederò alla congregazione per la dottrina della fede che mi riferiscano circa gli studi su questo tema, perché io vi ho risposto soltanto in base a quello che avevo sentito da questo sacerdote che era un ricercatore erudito e valido, sul diaconato permanente. E inoltre vorrei costituire una commissione ufficiale che possa studiare la questione: credo che farà bene alla Chiesa chiarire questo punto; sono d’accordo, e parlerò per fare una cosa di questo genere".
In ogni caso, il documento del 2002 non chiude la questione se l'ordinazione delle donne al diaconato, attestata nei primi secoli della Chiesa e poi scomparsa, fosse o no un sacramento al pari dell'ordinazione degli uomini.
Ma propende molto più per il no che per il sì. Come anche papa Francesco sembra opinare, visto che nella stessa udienza alle superiori generali si è anche schierato contro la facoltà delle donne di tenere l'omelia durante la messa, e quindi contro una prerogativa che è propria dei diaconi, oltre che dei sacerdoti e dei vescovi:
"Non c’è alcun problema che una donna – una religiosa o una laica – faccia la predica in una liturgia della Parola. Non c’è problema. Ma nella celebrazione eucaristica c’è un problema liturgico-dogmatico, perché la celebrazione è una – la liturgia della Parola e la liturgia eucaristica è un’unità – e colui che la presiede è Gesù Cristo. Il sacerdote o il vescovo che presiede lo fa nella persona di Gesù Cristo. È una realtà teologico-liturgica. In questa situazione, non essendoci l’ordinazione delle donne, non possono presiedere. Ma si può studiare di più e spiegare di più questo, che molto velocemente e un po’ semplicemente ho detto adesso. […] Io chiederò alla congregazione per il culto che spieghi bene, in modo approfondito, quello che ho detto ora un po’ leggermente sulla predicazione nella celebrazione eucaristica. Perché non ho la teologia e la chiarezza sufficiente per spiegarlo adesso. Ma bisogna distinguere bene: una cosa è la predicazione in una liturgia della Parola, e questo si può fare; altra cosa è la celebrazione eucaristica. Qui c’è un altro mistero. È il mistero di Cristo presente, e il sacerdote o il vescovo che celebrano 'in persona Christi'".
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Curiosamente, a rilanciare la proposta di dare alle donne la facoltà di predicare durante la messa è stato recentemente "L'Osservatore Romano" nel suo supplemento mensile "Donne Chiesa Mondo". Proposta poi ritirata:
> No alla donna prete. Ma che almeno pronunci lei l'omelia (7.3.2016)
> "L'Osservatore" si corregge. Niente pulpito per le donne (21.4.2016)
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Qui di seguito sono riportati, per facilitarne la lettura, i tre passaggi del documento del 2002 che trattano specificamente delle diaconesse.
In coda a questi testi sono inoltre richiamati due esempi del dibattito che precedette e seguì la pubblicazione del documento: uno ad opera di un grande teologo e liturgista, Cipriano Vagaggini, e l'altro con autore un canonista svizzero, Pier Virginio Aimone Braida, professore all'università di Friburgo.
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Il ministero delle diaconesse
[Dal capitolo secondo: "Il diaconato nel Nuovo Testamento e nella patristica"]
In epoca apostolica, diverse forme di assistenza diaconale agli apostoli e alle comunità esercitate da donne sembrano avere un carattere istituzionale. Così Paolo raccomanda alla comunità di Roma "Febe, nostra sorella, diaconessa (he diakonos) della Chiesa di Cencre" (cfr Rm 16,1-4). Benché qui sia usata la forma maschile di diakonos, non possiamo concludere che essa indichi già la funzione specifica di "diacono"; da una parte, perché, in questo contesto, diakonos significa ancora, in un senso molto generale, servo e, d’altra parte, perché la parola "servo" non ha un suffisso femminile, ma è preceduta da un articolo femminile. Ciò che pare certo è che Febe ha esercitato un servizio nella comunità di Cencre, riconosciuto e subordinato al ministero dell’ Apostolo. Altrove, in Paolo, le stesse autorità civili sono chiamate diakonos (Rm 13,4) e, in 2 Cor 11,14-15, si parla di diakonoi del diavolo.
Gli esegeti sono divisi riguardo a 1 Tm 3,11. La menzione delle "donne" dopo i diaconi può far pensare a donne-diaconi (stessa presentazione con "similmente"), o alle spose dei diaconi dei quali si è parlato prima. In questa Lettera non sono descritte le funzioni del diacono, ma solamente le condizioni della loro ammissione. Si dice che le donne non devono insegnare né dirigere gli uomini (1 Tm 2,8-15). Ma le funzioni di direzione e di insegnamento sono in ogni caso riservate al vescovo (1 Tm 3,5) e ai presbiteri (1 Tm 5,17), non ai diaconi. Le vedove costituiscono un gruppo riconosciuto nella comunità, da cui ricevono assistenza in cambio del loro impegno alla continenza e alla preghiera. 1 Tm 5,3-16 insiste sulle condizioni della loro iscrizione nella lista delle vedove aiutate dalla comunità e non dice altro sulle loro eventuali funzioni. Più tardi, esse saranno ufficialmente "istituite", ma "non ordinate"; costituiranno un "ordine" nella Chiesa e non avranno mai altra missione che il buon esempio e la preghiera.
All’inizio del II secolo, una Lettera di Plinio il Giovane, governatore della Bitinia, menziona due donne, designate dai cristiani come ministrae, equivalente probabile del greco diakonoi (X 96-97). Solamente nel III secolo compaiono i termini specificamente cristiani di diaconissa o diacona.
Infatti, a partire dal III secolo, in alcune regioni della Chiesa - e non in tutte - è attestato un ministero ecclesiale specifico attribuito alle donne chiamate diaconesse. Si tratta della Siria orientale e di Costantinopoli. Verso il 240 compare una compilazione canonico-liturgica singolare, la Didascalia degli Apostoli (DA), che non ha carattere ufficiale. Il vescovo vi ha i tratti di un patriarca biblico onnipotente (cfr DA 2,33-35,3). È a capo di una piccola comunità, che egli dirige soprattutto con l'aiuto di diaconi e diaconesse. Queste ultime fanno qui la loro prima apparizione in un documento ecclesiastico. Secondo una tipologia presa a prestito da Ignazio di Antiochia, il vescovo occupa il posto di Dio Padre, il diacono quello di Cristo e la diaconessa quella dello Spirito Santo (parola al femminile nelle lingue semitiche), mentre i presbiteri (poco citati) rappresentano gli Apostoli, e le vedove l'altare (DA 2,26,4-7). Non si parla dell’ordinazione di questi ministri.
La Didascalia mette l’accento sul ruolo caritativo del diacono e della diaconessa. Il ministero della diaconia deve apparire come "una sola anima in due corpi". Esso ha per modello la diaconia di Cristo, che ha lavato i piedi ai suoi discepoli (DA 3, 13, 1-7). Tuttavia, non c’è uno stretto parallelismo tra i due rami del dia conato quanto alle funzioni esercitate. I diaconi sono scelti dal vescovo per "occuparsi di molte cose necessarie", e le diaconesse solamente "per il servizio delle donne" (DA 3, 12, 1). È desiderabile che "il numero dei diaconi sia in proporzione a quello dell’assemblea del popolo di Dio" (DA 3, 13, 1). I diaconi amministrano i beni della comunità in nome del vescovo; e, come il vescovo, sono mantenuti da essa. I diaconi sono detti orecchie e bocca del vescovo (DA 2, 44, 3-4). Il fedele deve passare attraverso di essi per accedere al vescovo; allo stesso modo le donne devono passare attraverso le diaconesse (DA 3, 12, 1-4). Un diacono vigila gli ingressi nella sala delle riunioni, mentre un altro assiste il vescovo per l’offerta eucaristica (DA 2, 57, 6).
La diaconessa deve procedere all’unzione corporale delle donne al momento del battesimo, istruire le donne neofite, andare a visitare a casa le donne credenti e soprattutto le ammalate. Le è vietato amministrare il battesimo o svolgere un ruolo nell’offerta eucaristica (DA 3, 12, 1-4). Le diaconesse hanno preso il sopravvento sulle vedove. Il vescovo può sempre istituire vedove, ma esse non devono né insegnare né amministrare il battesimo (delle donne), ma soltanto pregare (DA 3, 5, 1-3; 6, 2).
Le Costituzioni apostoliche (CA), apparse verso il 380 in Siria, utilizzano e interpolano la Didascalia, la Didachè e anche la Tradizione apostolica. Eserciteranno un influsso durevole sulla disciplina delle ordinazioni in Oriente, benché non siano state mai considerate una raccolta canonica ufficiale. Il compilatore prevede l’imposizione delle mani con epiclesi dello Spirito Santo non solo per i vescovi, i presbiteri e i diaconi, ma anche per le diaconesse, i sud diaconi e i lettori (cfr CA VIII 16-23 ). La nozione di kl?ros è estesa a tutti coloro che esercitano un ministero liturgico, che traggono la loro sussistenza dalla Chiesa e godono dei privilegi civili che la legislazione imperiale concede ai chierici, in modo che le diaconesse fanno parte del clero, mentre le vedove ne rimangono escluse.
Vescovo e presbiteri sono visti in parallelo rispettivamente con il sommo sacerdote e i preti dell’antica Alleanza, mentre ai leviti corrispondono tutti gli altri ministri e stati di vita: "diaconi, lettori, cantori, ostiari, diaconesse, vedove, vergini e orfani" (CA II, 26, 3; VIII 1,21). Il diacono è posto "al servizio del vescovo e dei presbiteri" e non deve usurpare le funzioni di questi ultimi. Il diacono può proclamare il Vangelo e guidare la preghiera dell’assemblea (CA II 57, 18), ma soltanto il vescovo e i presbiteri esortano (CA II 57, 7). L’entrata in funzione delle diaconesse si fa con una epithesis cheiron o imposizione delle mani che conferisce lo Spirito Santo, come per il lettore (CA VIII 20; 22). Il vescovo pronuncia la seguente preghiera: "Dio, eterno, Padre di Nostro Signore Gesù Cristo, creatore dell’uomo e della donna, tu che hai riempito di spirito Myriam, Debora, Anna e Ulda, che non hai giudicato indegno che tuo Figlio, l’Unigenito, nascesse da una donna, tu che nella tenda della testimonianza e nel tempio hai istituito custodi per le tue porte sante, tu stesso guarda ora la tua serva qui presente, proposta per il diaconato, donale lo Spirito Santo e purificala da ogni impurità della carne e dello spirito perché compia degnamente l’ufficio che le è stato affidato, per la tua gloria e a lode del tuo Cristo, da cui a te gloria e adorazione nello Spirito Santo per i secoli. Amen".
Le diaconesse sono nominate prima del suddiacono, il quale riceve una cheirotonia come il diacono (CA VIII 21), mentre le vergini e le vedove non possono essere "ordinate" (VIII 24-25). Le Costituzioni insistono perché le diaconesse non abbiano alcuna funzione liturgica (III 9, 1-2), ma estendono le loro funzioni comunitarie di "servizio presso le donne" (CA III 16,1) e di intermediarie tra le donne e il vescovo. Si dice sempre che esse rappresentano lo Spirito Santo, ma "non fanno nulla senza il diacono" (CA II 26, 6). Devono stare agli ingressi delle donne nelle assemblee (Il 57, 10). Le loro funzioni sono così riassunte: "La diaconessa non benedice e non compie nulla di ciò che fanno i presbiteri e i diaconi, ma vigila le porte e assiste i presbiteri in occasione del battesimo delle donne, per ragioni di decenza" (CA VIII 28, 6).
A questa osservazione fa eco quella, quasi contemporanea, di Epifanio di Salamina nel Panarion (verso il 375): "Esiste nella Chiesa l’ordine delle diaconesse, ma non serve per esercitare le funzioni sacerdotali, né per affidargli qualche compito, ma per la decenza del sesso femminile, al momento del battesimo"]. Una legge di Teodosio del21 giugno 390, revocata il 23 agosto successivo, fissava a 60 anni l’età di ammissione al ministero delle diaconesse. Il Concilio di Calcedonia (can. 15) lo riportava a 40 anni vietando loro il susseguente matrimonio.
Già nel IV secolo il genere di vita delle diaconesse si avvicina a quello delle claustrali. È detta allora diaconessa la responsabile di una comunità monastica di donne, come attesta, tra gli altri, Gregorio di Nissa. Ordinate badesse dei monasteri femminili, le diaconesse portano il maforion, o velo di perfezione. Sino al VI secolo, assistono ancora le donne nella piscina battesimale e per l’unzione. Benché non servano all’altare, possono distribuire la comunione alle ammalate. Quando la prassi battesimale dell’unzione del corpo fu abbandonata, le diaconesse sono semplicemente vergini consacrate che hanno emesso il voto di castità. Risiedono sia nei monasteri, sia in casa propria. La condizione di ammissione è la verginità o la vedovanza, e la loro attività consiste nell’assistenza caritativa e sanitaria alle donne.
A Costantinopoli, la più nota diaconessa nel IV secolo è Olimpia, igumena (badessa) di un monastero di donne, protetta da san Giovanni Crisostomo, la quale mise i propri beni al servizio della Chiesa. Fu "ordinata" (cheirotonein) diaconessa con tre sue compagne dal patriarca. Il can. 15 di Calcedonia (451) sembra confermare il fatto che le diaconesse sono veramente "ordinate" con l’imposizione delle mani (cheirotonia). Il loro ministero è detto leitourgia, e ad esse non è più permesso di contrarre matrimonio dopo l’ordinazione.
Nel sec. VIII, a Bisanzio, il vescovo impone sempre le mani sulla diaconessa e le conferisce l’orarion o stola (i due lembi vengono sovrapposti sul davanti); le consegna un calice che ella depone sull’altare, senza far comunicare nessuno. È ordinata durante la liturgia eucaristica nel santuario come i diaconi. Nonostante le somiglianze dei riti di ordinazione, la diaconessa non avrà accesso né all’altare né ad alcun ministero liturgico. Tali ordinazioni riguardano soprattutto igumene (badesse) di monasteri femminili.
Precisiamo che in Occidente non troviamo tracce di diaconesse nei primi cinque secoli. Gli Statuta Ecclesiae antiqua prevedevano che l’istruzione delle donne catecumene e la loro preparazione al battesimo fossero affidate alle vedove e alle claustrali "scelte ad ministerium baptizandarum mulierum". Alcuni Concili del IV e V secolo respingono ogni ministerium feminae e vietano ogni ordinazione di diaconesse. Secondo l’Ambrosiaster (a Roma, fine IV secolo), il diaconato femminile era appannaggio degli eretici montanisti. Nel VI secolo, come diaconesse si indicano talvolta donne ammesse nel gruppo delle vedove. Per evitare ogni confusione, il Concilio di Epaona vieta "la consacrazione di vedove che si fanno chiamare diaconesse". Il II Concilio di Orléans (533) decide di escludere dalla comunione le donne che avessero "ricevuto la benedizione del diaconato malgrado la proibizione dei canoni e che si fossero risposate". Diaconissae erano pure chiamate badesse o spose di diaconi, per analogia alle presbyterissae e perfino alle episcopissae.
Questa rapida carrellata storica mostra che è veramente esistito un ministero di diaconesse che si è sviluppato in maniera diseguale nelle diverse parti della Chiesa. Sembra evidente che tale ministero non era inteso come il semplice equivalente femminile del diaconato maschile. Si tratta per lo meno di una funzione ecclesiale, esercitata da donne, talvolta menzionata prima del suddiacono nella lista dei ministeri della Chiesa, Tale ministero era conferito con un’imposizione delle mani paragonabile a quella con cui erano conferiti l’episcopato, il presbiterato e il diaconato maschile? Il testo delle Costituzioni apostoliche lo lascerebbe pensare, ma si tratta di una testimonianza quasi unica, e la sua interpretazione è oggetto di intense discussioni. L’imposizione delle mani sulle diaconesse dev’essere equiparata a quella compiuta sui diaconi o si situa piuttosto nella linea dell’imposizione delle mani fatta sul suddiacono e sul lettore? E difficile dirimere la questione partendo dai soli dati storici. Nei capitoli seguenti alcuni elementi saranno chiarificati e degli interrogativi resteranno aperti. In particolare, un capitolo sarà dedicato a esaminare più da vicino come la Chiesa attraverso la sua teologia e il suo Magistero abbia preso coscienza della realtà sacramentale dell’Ordine e dei suoi tre gradi. Ma prima conviene esaminare le cause che hanno determinato la scomparsa del diaconato permanente nella vita della Chiesa.
Verso la scomparsa delle diaconesse
[Dal capitolo terzo: "La scomparsa del diaconato permanente"]
Dopo il X secolo le diaconesse non sono più nominate se non in connessione con istituzioni di beneficenza. Un autore giacobita di quel tempo constata: "Nei tempi antichi si ordinavano diaconesse; esse avevano la funzione di occuparsi delle donne adulte, perché non si scoprissero davanti al vescovo. Ma quando la religione si diffuse e si stabilì di amministrare il battesimo ai bambini, tale funzione fu abolita". Troviamo la stessa constatazione nel Pontificale del Patriarca Michele di Antiochia (1166-99). Commentando il can. 15 del Concilio di Calcedonia, Teodoro Balsamon, alla fine del XII secolo, osserva che "quello che tratta tale canone è completamente caduto in desuetudine. Infatti, oggi non si ordinano più diaconesse, benché si chiamino abusivamente diaconesse quelle che fanno parte delle comunità di ascete". La diaconessa è diventata una monaca di clausura. Vive nei monasteri che non praticano opere di diaconia nel settore dell’istruzione o dell’assistenza negli ospedali o nei servizi parrocchiali.
La presenza di diaconesse è ancora attestata a Roma alla fine del secolo VIII. Mentre gli antichi rituali romani ignoravano le diaconesse, il sacramentario Hadrianum, inviato dal Papa a Carlomagno e da questi diffuso in tutto il mondo franco, contiene una Oratio ad diaconam faciendam. Si tratta in realtà di una benedizione posta in appendice tra altri riti di prima istituzione. I testi carolingi faranno sovente l’amalgama tra diaconesse e badesse. Il Concilio di Parigi dell'829 vieta, in genere, alle donne ogni funzione liturgica. Le Decretali pseudo-isidoriane non menzionano le diaconesse. Un Pontificale bavarese della prima metà del IX secolo pure le ignora. Un secolo dopo, nel Pontificale romano-germanico di Magonza, si ritrova, posta dopo l’ordinatio abbatissae, tra la consecratio virginum e la consecratio viduarum, la preghiera Ad diaconam faciendam. Non si tratta qui, di nuovo, che di una benedizione accompagnata dalla consegna della stola e del velo da parte del vescovo, dell’anello nuziale e della corona. Come le vedove, la diaconessa promette la continenza; è l’ultima menzione della "diaconessa" nei rituali latini. Infatti, il Pontificale di Guillaume Durand, della fine del XIII secolo, non parla più delle diaconesse se non al passato. Nel Medioevo, le religiose ospedaliere e insegnanti svolgevano di fatto funzioni di diaconi a senza essere per ciò stesso ordinate in vista di tale ministero. Il titolo, senza corrispondere a un ministero, rimane attribuito a donne che sono istituite vedove o badesse. Sino al secolo XIII, alcune badesse sono talora chiamate diaconesse.
Conclusione
Per quel che riguarda l’ordinazione delle donne al diaconato, conviene notare due indicazioni importanti che emergono da quanto è stato sin qui esposto:
1) le diaconesse di cui si fa menzione nella Tradizione della Chiesa primitiva - secondo ciò che suggeriscono il rito di istituzione e le funzioni esercitate - non sono puramente e semplicemente assimilabili ai diaconi;
2) l’unità del sacramento dell’ordine, nella chiara distinzione tra i ministeri del vescovo e dei presbiteri da una parte, e il ministero diaconale dall’altra, è fortemente sottolineata dalla Tradizione ecclesiale, soprattutto nella dottrina del Concilio Vaticano II e nell’insegnamento postconciliare del Magistero.
Alla luce di tali elementi posti in evidenza dalla presente ricerca storico-teologica, spetterà al ministero di discernimento che il Signore ha stabilito nella sua Chiesa pronunciarsi con autorità sulla questione.
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DUE MOMENTI DELLA DISCUSSIONE
Nella nota 79 del capitolo secondo, il documento del 2002 della commissione teologica internazionale rimanda a un articolo del 1999 del gesuita Piersandro Vanzan su "La Civiltà Cattolica", che a sua volta "ricorda le discussioni avvenute tra R. Gryson, A.G. Martimort, C. Vagaggini, C. Marucci" sul diaconato femminile.
Uno degli autori citati, il benedettino camaldolese Cipriano Vagaggini – universalmente apprezzato ancor oggi per quella sua opera capitale che porta il titolo di "Il senso teologico della liturgia" –, scrisse appunto nel 1988 il seguente saggio, che terminava sostenendo "la legittimità e l’urgenza che le autorità competenti ammettano donne al sacramento dell’ordine del diaconato, concedendo loro tutti i compiti, anche liturgici", che spettano agli uomini diaconi:
> L'ordinazione delle diaconesse nella tradizione bizantina
Il canonista svizzero Pier Virginio Aimone Braida, professore all'università di Friburgo, scrisse invece quest'altro saggio poco dopo la pubblicazione del documento del 2002, esplorando quelle fonti della canonistica classica medievale che a suo giudizio erano state trascurate dal documento stesso:
> Brevi osservazioni sul significato del termine "diaconessa" nella canonistica classica
In particolare, Aimone prende in esame la "Summa 'Omnis qui iuste' in Decretum Gratiani" del XII secolo, detta più brevemente "Summa Lipsiensis", che dedica ampio spazio alla questione delle diaconesse, esponendo i pro e i contro, i "sic et non", come era d'uso nelle scuole teologiche dell'epoca.
E alla fine scrive:
"Si può concludere questa breve indagine sulle questioni relative alle diaconesse, che la 'Summa Lipsiensis' contiene, mettendo in evidenza come da un lato gli argomenti quantitativi propendano per l’esclusione del conferimento del sacramento dell’ordine del diaconato alla donne, sia nella Chiesa medievale, sia in quella primitiva; dall’altro per contro come le ragioni qualitative e autorevoli (la decisione del Concilio di Calcedonia, can. 15) propendano piuttosto a far ritenere la sussistenza di una prassi a poco a poco venuta meno.
"Se questa argomentazione sia in grado di far progredire la discussione sull’argomento e soprattutto se essa possa indurre alla conclusione che il conferimento del sacramento dell’ordine sacro del diaconato alle donne sia un’opzione sostenibile sotto il profilo storico, teologico e canonistico, la nostra risposta si limita a quella prassi seguita talora nella canonistica medievale allorché una questione fosse stata particolarmente difficile o controversa: 'Id inquirat lector', valuti il lettore".
http://chiesa.espresso.repubblica.it/articolo/1351322
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