ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

mercoledì 27 luglio 2016

Ciechi alla guida

Il crimine di Rouen e la cecità della neochiesa. Riproponiamo un articolo di Alessandro Gnocchi 

Un articolo di Andrea Riccardi su Avvenire è la dichiarazione di resa incondizionata di una “chiesa” ormai incapace di comprendere ciò che accade. Invece sul laico Corriere, Angelo Panebianco ci riporta alla realtà. Riproponiamo un articolo di Alessandro Gnocchi, pubblicato quasi due anni fa, ma assolutamente attuale.

di Paolo Deotto
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z.prblcchNon perdiamo il tempo a leggere le dichiarazioni di (OMISSIS) sul crimine consumato nella chiesa di Saint-Etienne-du-Rouvray, a Rouen. Lo stracco copione (MAI nominare l’islam, misericordia, riconciliazione, ecc.) si ripete, e chi vuole può goderselo (si fa per dire) sul sito vaticano (http://press.vatican.va/content/salastampa/it/bollettino/pubblico/2016/07/26/0539/01238.html ).
È assai più interessante ciò che scrive oggi sul quotidiano della Cei, AvvenireAndrea Riccardi, uomo che perfettamente incarna il modello di intellettuale cattolico (?) affermato, di uomo di potere in quota cattolica (?). Riccardi non ha alcun dubbio (i neretti sono nostri): “È un gesto rivelatore della disumanità dei terroristi e della loro assoluta mancanza di senso religioso, che invece abita in molti musulmani con il rispetto degli «uomini di Dio» e della preghiera. Giovani, folli, ingabbiati nella logica totalitaria dell’odio e nella propaganda del Daesh, hanno compiuto questo atto cruento”.
Chiaro, no? Non c’è odio religioso, assolutamente, i musulmani sono bravi e pieni di senso religioso… e poi, la solita tranquillizzante parola, che sistema tutto e tranquillizza tanto: “folli”. Insomma, anzitutto state tranquilli: è stato un atto di follia; invece noi, tanto sani ed equilibrati, siamo in grado di resistere.

Come? Ma è chiaro: “La Chiesa non scende in campo con i populisti contro l’islam. Ieri l’hanno colpita quanti sono imbevuti nell’odio della guerra santa, per trascinarla nello scontro e farla uscire dal suo atteggiamento sapiente e materno”.
E non manca naturalmente la professione di correttezza politica: “La porta aperta delle nostre chiese – quella attraverso cui sono entrati gli assassini di padre Hamel – contrasta con il moltiplicarsi di chiusure, di cancelli, di muri, frutto della paura”.
z.grfnChe sventati i combattenti di Lepanto, di Vienna! Erano convinti di combattere a difesa della Fede, e invece, ci ricorda Andrea Riccardi, “Con grande chiarezza, la Chiesa di Francia e quella universale – da Giovanni Paolo II a Francesco – non hanno mai riconosciuto l’esistenza di una guerra di religione tra Occidente (cristiano) e islam. Nel gennaio 2002, dopo gli attentati dell’11 settembre, papa Wojtyla chiamò i leader religiosi a pregare per la pace a Assisi. Prima, volle un giorno di digiuno dei cattolici in coincidenza con la fine del Ramadan”. E in questo Riccardi ha ragione. Lo abbiamo scritto più volte: (OMISSIS) non è che il liquidatore, di basso livello finché si vuole, ma il liquidatore, di un disastro che ha radici antiche.
Serve un laico come Angelo Panebianco, editorialista del Corriere della Sera per riportarci con i piedi per terra, per guardare la realtà. Fin dal titolo: “Le troppe realtà negate nella guerra degli islamisti”. Panebianco è così scorretto da parlare di “guerra santa islamica” e da avvertire che il tentativo di relegare nell’ambito psichiatrico questi crimini è una fuga dalla realtà.
z.gr4Addirittura Panebianco ricorda che “In un certo senso, i jihadisti hanno ragione: perché, pur quasi scomparsa dalla coscienza di tanti europei, forse la maggioranza, la religione cristiana ha comunque forgiato il mondo europeo e occidentale”.
Ma andiamo alla chiusura dell’editoriale di Angelo Panebianco: “C’è un problema per le classi politiche che devono affrontare l’emergenza. C’è un problema per gli intellettuali, molti dei quali ancora impantanati, quando si parla di Islam, nelle trappole del politicamente corretto. E c’è un problema per le Chiese cristiane, quella cattolica in primis. L’impressione è che, per ragioni essenzialmente geo-religiose, una parte della Chiesa (non tutta certamente) si sia rassegnata a dare per perduta l’Europa secolarizzata, ad assumerla come definitivamente dimentica della sua tradizione cristiana, e che per questo stia scommettendo su altre aree del mondo. Perdendo di vista il fatto che un Cristianesimo che allentasse troppo i suoi legami con l’Europa diventerebbe molto diverso da ciò che è stato. Se questa impressione fosse esatta, allora bisognerebbe dire che quella parte della Chiesa starebbe commettendo un grave errore. L’attacco di Saint-Etienne-du-Rouvray dovrebbe aprirle gli occhi”.
È chiaro: Panebianco fa un’analisi politica dei fatti, non religiosa. Ma la fa con l’onestà di guardare ai fatti e ricordando ciò che troppi, Chiesa in testa, hanno per comodità dimenticato. Del resto, nemmeno Andrea Riccardi fa un’analisi religiosa dei fatti; si limita ad applicare gli slogan del pensiero unico dominante.
Il problema è questo: vedere la realtà, o negarla. Negarla può essere comodo al momento, ma porta solo disastri per il domani. E non è di certo un atteggiamento intelligente e religioso. È solo un tributo al conformismo che, negata la Fede, diventa il tranquillizzante rifugio per una “pace”, peraltro solo umana e che del resto non si raggiunge lo stesso, nemmeno con tante belle preghiere “interreligiose”. Essere in guerra e negare di esserci è semplicemente un suicidio.
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Quasi due anni fa, il 20 settembre 2014, riprendevamo dal Foglio un articolo di Alessandro Gnocchi. Ve lo riproponiamo ora integralmente, perché parla con grande chiarezza degli argomenti che abbiamo appena introdotto:
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La Chiesa dell’arcobaleno  –  di Alessandro Gnocchi
Di fronte all’islam che sgozza, Francesco alza la bandiera del pacifismo. Contro Sant’Agostino
di Alessandro Gnocchi
20 settembre 2014
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zzppgnAleggia un’orribile forza attorno allo spettacolo delle teste mozzate esibite in favore di camera dai boia islamici. Un orrore  impalpabile che sorge dalla banalità del male esibito sul palcoscenico planetario come simbolo di conquista religiosa e poi scende a serpeggiare sinuosa in platea. E lì, in luogo dell’applauso, si compiace del povero balbettio di quel che resta dell’occidente cristiano, convinto di placare il proprio terrore mendicando dialogo presso un islam moderato inventato a propria immagine e somiglianza.
Pia illusione originata in un cattolicesimo che, nutrito di cascami illuministi e postilluministi, ha smesso da tempo di alimentarsi dei simboli propri e dunque non è più in grado di decifrare quelli altrui. Un cattolicesimo postilluminista che, per contrappasso, ha avuto in eredità una ragione così debole da aver abolito le differenze per manifesta impossibilità di comprenderle. Un cattolicesimo disarmato, dimentico di se stesso, che tenta goffamente di cogliere sfumature e gradazioni in un mondo che, nella sua radice religiosa, non ne contempla.
Lo scriveva quasi vent’anni or sono don Gianni Baget Bozzo in un saggio opportunamente titolato “Il futuro del cattolicesimo”. “Il problema della contrapposizione tra cattolicesimo e islam”, diceva Baget Bozzo, “è inteso poco nel mondo cattolico, che ormai non considera più le differenze religiose come significative e dimentica che per l’islam l’essenza della persona è segnata dalla appartenenza alla comunità islamica. E’ la perdita di identità cattolica tra i cattolici che rende a loro non comprensibile la permanenza della identità islamica. (…) quello a cui assistiamo è la distruzione dell’Oriente cristiano nel Mediterraneo. I cristiani fuggono verso terre cristiane. E la coscienza stessa dei cattolici è sensibile alle piaghe che affliggono l’uomo, non a quelle che, nel mondo comunista o islamico, affliggono i credenti in quanto tali. Il nichilismo diviene la volontà di non prendere in considerazione le cause che riguardano beni non economici e materiali. La fame nel mondo mobilita i cattolici, come è giusto, ma non vi è un istinto di solidarietà con i cristiani perseguitati. (…) La decadenza del cattolicesimo nei cattolici spiega il fatto che tra i cattolici l’offesa fatta ai cattolici non susciti un sentimento di identificazione”.
Era il 1997, regnante Giovanni Paolo II, e pare l’impietosa istantanea della chiesa non giudicante di Francesco, inoltrata lungo una china che non può più venire spiegata con le sole esigenze della diplomazia. La rinuncia al solo ipotizzare l’uso della forza come strumento di difesa, l’equiparazione tra vittime che “hanno diritto di essere salvate” e carnefici che “hanno diritto di essere fermati”, la desistente attesa dei pronunciamenti dell’Onu, la riesumazione del concetto di guerra solo per detestarla così come la detesta il mondo hanno ben altra radice. Emanano una sonorità nuova che stona non poco, per esempio, con l’”orrenda carneficina”, l’”inutile strage”, il “suicidio d’Europa” con cui Benedetto XV stigmatizzò la prima guerra mondiale, o con “l’inutilità delle guerre” della “Praeclara congratulationis” di Leone XIII.
La chiesa ha sempre considerato la guerra come un male, ma non ha mai pensato di poterla cancellare dal cuore degli uomini. Nelle rogazioni, che dal V secolo appartengono al sentire cattolico più profondo, le processioni oranti e penitenti chiedevano a Dio la liberazione da pestilenze, carestie e guerre: “A peste, fame et bello, libera nos Domine”. Ma lo facevano nella convinzione che peste, fame et bello sono inevitabili stigmate di un mondo segnato dal peccato originale. Proprio come “fulgure et tempestate” e “flagello terraemotus”, per i quali si invocava “libera nos Domine” con uguale pietà.
Dimentica di quanto era evidente anche all’ultimo dei popolani in coda nelle processioni, la chiesa postvolterriana si è innamorata di un’inesistente possibilità naturale della convivenza pacifica. Ha preferito bandire la consapevolezza che la violenza è nel cuore di ogni uomo, ha respinto la conseguente fatica di disciplinarla e così ora è sul punto di perdere se stessa. “La guerra” scrive in “Iota unum” Romano Amerio “non può essere l’estremo dei mali, tranne per chi adotta la veduta irreligiosa che ravvisa nella vita, e non nel fine trascendente della vita, il bene supremo, ed equipollentemente nel piacere il destino dell’uomo”.
Una platea siffatta può solo sentirsi paralizzata dal terrore davanti allo spettacolo offerto dai macellai islamici. Quel che resta dell’occidente cristiano, la gran parte dei pastori cattolici e del loro gregge, versati alle complicanze di ogni genere di dialogo, sono ormai incapaci di comprendere l’essenziale semplicità di un messaggio simbolico. Per quanto blasfemo sia, il gesto dell’assassino rituale continua ad avere natura religiosa e per questo non viene compreso. Raggiunge le corde di anime ormai non più abituate a vibrare e cade in un silenzio, in una rinuncia, in una indifferenza che nulla hanno di santo: in una trattativa banalmente mondana che i latori del messaggio possono solo disprezzare come atto di resa incondizionata.
Un atto religioso perverso si combatte e si sconfigge solo con un atto religioso retto. Quando San Francesco si trovò al cospetto del sultano, non si diede al dialogo e all’ascolto. Nella “Leggenda maggiore” San Bonaventura narra che il santo invitò il sovrano islamico ad accendere un gran fuoco e poi lo sfidò: “io, con i tuoi sacerdoti, entrerò nel fuoco e così, almeno, potrai conoscere quale fede, a ragion veduta, si deve tenere più certa e più santa”. E, davanti al diniego del re, San Francesco incalzò: “entrerò nel fuoco da solo. Se verrò bruciato, ciò venga imputato ai miei peccati; se invece la potenza divina mi farà uscire sano e salvo, riconoscerete Cristo, potenza di Dio e sapienza di Dio, come il vero Dio e signore, salvatore di tutti”. Nei suoi “Ricordi”, frate Illuminato aggiunge come il santo di Assisi spiegò al sultano che “nessun uomo è a noi così amico o così parente, fosse pure a noi caro come un occhio della testa, che non dovremmo allontanarlo, strapparlo e del tutto sradicarlo, se tentasse di distoglierci dalla fede e dall’amore del nostro Dio. Proprio per questo i cristiani giustamente invadono voi e le terre che avete occupato, perché bestemmiate il nome di Cristo e allontanate dal suo culto quanti più uomini potete. Se invece voi voleste conoscere, confessare e adorare il Creatore e Redentore del mondo, vi amerebbero come se stessi”.
Frate Illuminato si limita a chiosare che “Tutti gli astanti rimasero ammirati per le risposte di lui”. Altre fonti parlano della conversione del re musulmano che, per la prima volta, aveva percepito una pace nuova poiché aveva sentito parlare di una guerra nuova: l’una e l’altra estranee e antitetiche a quelle del mondo.
“Vi lascio la pace, vi do la mia pace” dice Gesù ai suoi discepoli nel Vangelo secondo San Giovanni. “Non come la dà il mondo, io la do a voi”. Tra quella coroncina di parole che salvarono l’anima del sultano, il cattolicesimo contemporaneo ha finito per isolare il semplice termine “pace” evaporando il senso di un discorso così eloquente da essere persino didascalico: dal seguace di Cristo si esige la costante lotta con il mondo, poiché non vi è pace senza guerra. Ma questa è un’evidenza dalla quale il cristiano di oggi preferisce ritrarsi accontentandosi dell’illusoria tregua offerta dal mondo, imitazione scimmiesca di quella lasciata dal Salvatore.
Per questo la sua anima candida sussulta al solo sentire il termine guerra, e ancora più abominevole gli pare il concetto di guerra giusta. Elaborato sistematicamente da Sant’Agostino nel “De Civitate Dei”, poi da San Tommaso nella “Summa”, affinato e applicato fin sulla soglia degli ultimi decenni, tale concetto è stata oscurato dalla mitologia della “Pacem in terris”, che lega saldamente Giovanni XXIII all’attuale pontefice.
Secondo Agostino, una guerra è legittima quando viene dichiarata dall’autorità competente, quando si muove contro chi abbia commesso una colpa da punire e quando l’intenzione sia pura, libera da odio, col fine di ottenere un bene ed evitare un male maggiore. Ma, per quanto giusta, la guerra contiene un rischio che atterrisce chiunque difetti di vita religiosa: la morte, quella propria e quella altrui. Nel “De laude novae militiae” San Bernardo di Chiaravalle dice che “la morte data o ricevuta per Cristo merita una grande gloria, simile al martirio”. E, poco più avanti, spiega che il “cavaliere con serenità uccide, con serenità muore”. Nel “Contra Faustum”, Sant’Agostino scrive: “Che cosa infatti si trova da condannare nella guerra? Forse il fatto che uomini destinati in ogni caso a morire vi muoiono per domare uomini destinati a vivere in pace? Condannare questo è proprio di uomini privi di fortezza, non di uomini religiosi”.
Si può solo vagamente immaginare quanto simili parole e simili immagini siano scostanti per i cuori teneri dei cristiani postilluministi. Lontane nello spirito più che nel tempo, retaggio di un mondo barbaro in cui ancora non si aveva nozione della “dignitatis humanae” che avrebbe aperto una nuova era nella chiesa e nel mondo. Parole e immagini terribili perché riconducono l’uomo a considerare ciò che continua a essere in ogni punto della storia e in ogni angolo dell’universo, una creatura caduca destinata a morire. Ma l’uomo d’oggi, quand’anche sia cristiano, vorrebbe illudersi di essere immortale già in questa vita. Solo per questo, per alimentare la bulimia del proprio ego tremebondo, non vuole le guerre per sé e lo interessano poco o nulla quelle altrui. Perciò trova sempre più fascinosa la tentazione di un cristianesimo senza Cristo, di una fede senza Cielo, si una morale senza doveri, di una religioni senza ascesi, ormai pronto per seguire l’anticristo che nei dialoghi di Vladimir Solovev lo ammalia sussurrando dolcemente “Il Cristo ha portato la spada, io porterò la pace”.
 Sembra che il cattolicesimo del terzo millennio abbia per solo padre Tertulliano, l’unico autore occidentale di epoca patristica a ritenere sempre illecito l’uso delle armi. Non a caso caduto nell’eresia montanista, questo antenato del pacifismo cristiano vieta ai fedeli di impugnare le armi anche quando sia necessario salvare i fratelli dal martirio e persino quando si renda opportuno evitare alle anime più deboli il rischio dell’abiura. Ma, coerente fino all’estremo nell’eresia pacifista, pretende che ogni cristiano, anche il più debole e il più acerbo nella fede, abbia il dovere di sopportare il martirio piuttosto che abiurare.
Persino lui, con quel suo disprezzo per i relapsi che avevano abbandonato la fede in cambio della vita terrena, oggi sarebbe incomprensibile e inaccettabile. Con il suo pacifismo non era riuscito a sterilizzare la realtà della morte e l’impegno di una decisione per il bene o per il male. Mentre il cristiano postilluminista è atterrito dal fatto che qualsiasi azione debba avere un movente, quindi sia morale e sottoposta a un giudizio. Invece che come cause, preferisce considerare i moventi come sottoprodotti di scarto del proprio agire, privi di rilevanza etica. Operazione tentata sul piano intellettuale archiviando Aristotele come reperto di una superata comunità dell’età del ferro. Tentativo apparentemente riuscito che, divenuto moneta corrente nella teologia, nella filosofia, nella predicazione, è naufragato su uno scoglio ineludibile come la morte, emerso dalle acque postmoderne sotto forme ritualizzate come la guerra o la violenza terroristica.
Proprio per il fatto di averlo bandito come incomprensibile relitto del passato, modernità e postmodernità sono indifese di fronte al rito. E, quando sono laiche e mondane, gli oppongono la chiacchiera, quando invece hanno ancora un retaggio religiose, lo sostituiscono con un simulacro.
In un caso e nell’altro, nulla dispone a comprendere e a reagire efficacemente alla violenza che non cessa. Non nei salotti in cui si troverebbe così delizioso avere come ospite un vero tagliagole, non nelle chiese in cui il sacrificio di Cristo è stato oscurato dalla festa della comunità e nulla deve evocare l’idea della battaglia.
Un tempo la chiesa non esitava a castigare violenza perché l’atto di religione più grande, la messa, iniziava nella sacrestia quando il sacerdote indossava come primo indumento l’amitto, simbolo dell’elmo, come difesa contro il demonio: “Impone Domini, capiti meo galeam salutis, ad expugnandos diabolicos incursus”. E poi, prima di salire all’altare che avrebbe letificato la sua giovinezza, il celebrante invocava il Padre perché mandasse il suo Angelo “qui custodiat, foveat, protegat, visitet atque defendat omnes habitantes in hoc habitaculo”, perché custodisse, sostenesse, proteggesse, visitasse e difendesse tutti gli abitanti di quella navicella di combattenti che si apprestava a guidare in battaglia contro il principe di questo mondo.
Ma ora persino il tre volte Sanctus Dominus Deus Sabaoth, da tre volte Santo Signore Dio degli eserciti è divenuto un più pacifico Signore Dio dell’universo: e quasi nessuno, a quella lode, si inginocchia più. Ma una chiesa che non è capace di far inchinare umilmente i propri fedeli davanti a Dio non può pretendere di farli alzare orgogliosamente davanti agli uomini. Si può solo accontentare di percorrere qualche tratto di strada insieme ora a questo ora quello.
Però è una povera chiesa, la stessa che nella Lauda LIII di Jacopone da Todi lamenta i tremendi effetti della pace mondana: “O pace amara, come m’hai sì afflitta/ Mentre fui in pugna, io stetti dritta;/ or lo riposo m’ha presa e sconfitta;/ el blando Dracone m’ha sì venenato”.
Sette secoli più tardi gli fa eco G.K. Chesterton in un saggio su Dickens: “La nostra civiltà moderna mostra molti sintomi di cinismo e decadenza, ma di tutti i segnali della fragilità moderna e della mancanza di principi morali, non ce n’è nessuno così superficiale o pericoloso come questo: che i filosofi di oggi abbiano cominciato a dividere l’amore dalla guerra, e a collocarli in campi opposti. Non c’è sintomo peggiore di quello che vede l’uomo, fosse pure Nietzsche, affermare che dovremmo andare a combattere invece che amare. Non c’è sintomo peggiore di quello che vede l’uomo, fosse pure Tolstoj, affermare che dovremmo amare invece di andare a combattere. Una cosa implica l’altra. Una cosa implicava l’altra nel vecchio romanzo e nella vecchia religione, che erano le due cose permanenti dell’umanità. Non si può amare qualcosa senza voler combattere per essa. Non si può combattere senza qualcosa per cui farlo. Amare qualcosa senza desiderare di combattere per averla non è amore, ma lussuria”.
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fonte: Il Foglio, 20.9.2014

 –  di Paolo Deotto

http://www.riscossacristiana.it/il-crimine-di-rouen-e-la-cecita-della-neochiesa-riproponiamo-un-articolo-di-alessandro-gnocchi-di-paolo-deotto/

Rouen, Padre Giacobbe: "Assistiamo al suicidio della cristianità. E anche da parte di uomini di Chiesa"
27 luglio 2016 ore 11:40, Americo Mascarucci 
Ha sconvolto tutti il barbaro assassinio di padre Jacques Hamel, il sacerdote sgozzato da due estremisti islamici mentre stava per celebrare la messa del mattino nella chiesetta di Saint-Etienne du Rouvray in Normandia. 
Padre Giacobbe Elia sacerdote ed esorcista parla ad Intelligonews di come la Chiesa possa e debba difendersi dall'attacco del terrorismo islamico.

Padre, i terroristi islamici sono arrivati nelle chiese, entrano e uccidono sacerdoti e religiosi. Che significa questo?

"Significa purtroppo che la Chiesa ha rinunciato a difendere la propria dignità: se non avessimo ceduto in maniera così estrema, non avessimo rinunciato a difendere la nostra identità, le nostre tradizioni, anteponendo a tutto questo il dialogo e l'integrazione non saremmo arrivati a questo punto. Ci siamo arresi, ci siamo indeboliti, e adesso siamo facile bersaglio del terrorismo islamico"

Quindi è l'Europa e la sua politica anti-cristiana sono la causa di tutto?

"L'Europa e la politica che anche molti uomini di Chiesa stanno portando avanti, una politica che sta portando al suicidio della cristianità".

Alla luce di quanto accaduto in Francia nelle ultime ore la risposta della Chiesa è stata ancora una volta quella del perdono. I cristiani perdonano e gli islamici ammazzano

"Il perdono per poter essere dato va prima invocato, non può essere perdonato chi continua a fare il male. Inoltre non può esistere il perdono per procura, non si può più tollerare che ci si svegli la mattina e si chieda perdono a nome e per conto degli altri. Le responsabilità e i peccati sono individuali. Esiste una lobby che condiziona la nostra politica, il nostro vivere civile. Questa lobby ha interesse a far progredire il fondamentalismo islamico per colpire tutte le resistenze e le espressioni del nostro culto che danno fastidio e sono un ostacolo ai progetti di tanti".

Ma cosa dovrebbe fare in concreto la Chiesa?

"La Chiesa deve fare quello per cui è costituita da Dio ossia proclamare l’unico Vangelo della salvezza perché non ne esistono altri. Chi è costituito in autorità da Dio ha il dovere di difendere i propri figli. Se non lo fa sta tradendo il magistero voluto da Dio".

Intanto però tutti i terroristi islamici vengono definiti psicopatici. C'è un tentativo di nascondere la matrice religiosa con la follia? Possibile che tutti i pazzi siano musulmani integralisti?

"Ero amico del vescovo monsignor Luigi Padovese che svolgeva il suo ministero in Turchia. Era un uomo molto aperto al dialogo con le altre religioni e su questo spesso avevamo delle discussioni perché lui era un convinto sostenitore dell'ecumenismo. Fu ucciso dal suo factotum fino al giorno prima stimatissimo. Improvvisamente dopo l'omicidio diventò psicopatico. Quella dei terroristi che agiscono perché affetti da problemi psichici è un’ennesima bugia, una colossale beffa messa in campo ad arte per impedire che l'opinione pubblica possa comprendere la reale posta in gioco, possa comprendere ciò l'esistenza di questa lobby che vuole distruggere il Cristianesimo perché è scomodo e dà fastidio a tanti, a troppi" 

Perché non lo dici?

«Questa è una guerra per i soldi, non di religione. Tutte le religioni vogliono la pace», sostiene Papa Francesco, dopo l'attacco jihadista in una chiesa. Ancora una volta omette la matrice islamica del terrore. E così ci espone ancora di più alla sua violenza
papa francesco
Sì, ma il Papa che fa, che dice? Gli hanno appena sgozzato un prete in chiesa, un novello miles Christiil primo martire cristiano in Europa del Terzo Millennio. E hanno fatto irruzione in una chiesa, le bestie, profanato il sacro tabernacololordato con le loro urla e le loro armi la casa del Signore. E lui tace ancora, non si muove, non agisce? Non mostra il suo volto fiero e addolorato e non fa sentire sdegnata la sua voce?
Tutti si erano posti questa domanda, all’indomani del barbaro attacco alla chiesa in Normandia. E così oggi sul volo per Cracovia, il Papa ha parlato, ma negando l’evidenza, rifiutando di ammettere che si è trattato di un attentato islamico, e che più in generale ci sia uno scontro di civiltà alimentato dalla fede altrui. Anzi, dice il Pontefice, “Questa è guerra, ma non di religione. C’è guerra di interessi, per i soldi, per le risorse naturali, per il dominio dei popoli, ma non di religione”. E poi aggiunge: “Tutte le religioni vogliono la pace, capito?”. Tutte le religioni, sua Santità? Forse anche quella in nome della quale i due assassini nella chiesa gridavano “Allahu Akbar”?
Ma è il seguito inevitabile di quello che aveva fatto sapere ieri alle agenzie, quando si era limitato a parlare di una “violenza assurda” ed espresso “la condanna più radicale di ogni forma di odio” e infine suggerito “la preghiera per le persone colpite”. Tutto qui. Quattro paroline buttate lì, che sembravano la replica di quelle dette mille altre volte da mille altri leader, comunicati di circostanza, cordoglio istituzionale, generiche condanne contro generici assassini. Un modo vacuo per riempire il silenzio.
No, sua Santità, detto con tutto il rispetto, è inaccettabile. Non ci saremmo aspettati, per carità, un discorso roboante alla Ratisbona, come quello pronunciato da Papa Benedetto esattamente dieci anni fa, ma ci saremmo aspettati e meritati – almeno questa volta, sì – che lei desse un nome al Male e al suo artefice, che dicesse che si è trattato sì, di “terrorismo islamico”, “islamico”, sua Santità, non ci stancheremo mai di ripeterlo. E che ammettesse che c’è un solco incolmabile tra il nostro modo di essere e di credere e la deformazione di una fede che ci odia profondamente e che già nella sua natura, come rilevava Ratzinger, abbina Libro e Spada.
Ci saremmo aspettati che lei desse un nome anche alle vittime, che ammettesse che i cristiani oggi sono martiri, purtroppo anche in Europa, e che il cristianesimo è in pericolo, minacciato non tanto e non solo dalla scristianizzazione atea ma dall’islamizzazione, dalla sottomissione al credo altrui. Dovrebbe preoccuparsi di questo, sua Santità, dovrebbe avere a cuore il problema, e chiedersi come avviare una nuova, vera, evangelizzazione in Occidente, lei che della Chiesa è il capo.
E poi – dopo aver dato il giusto nome alle cose come esige il realismo evangelico – avrebbe dovuto dare (o almeno così crediamo) una risposta forte, pronunciare parole di verità e di giustizia, non riti verbali all’insegna del buonismo, ché la libertà (anche di credere) si coniuga sempre alla verità. Non può esserci Libertà senza Verità, insegna il Vangelo. E non può fare il gesuita anche su questo, Sua Santità, non può attaccarsi a giri di parole, a compromessi linguistici e relativistici, a ipocrisie casuistiche. No, l’esigenza della verità impone che siano dette parole di giustizia e non solo di misericordia, che invitino a recidere l’origine del Male, a schiacciarlo come il demonio, e non a comprenderlo o a tendergli la mano; e ribadiscano che il dialogo multireligioso, le recite multiculti, i cori da ong della fede fanno perdere la verità dell’unica Parola, cui dovremmo credere, e confondono le acque, ci rendono spaesati, ambigui, meno saldi nella fede.
Siamo disorientati, sua Santità, per questo le scriviamo. Non solo terrorizzati dal male che incombe e insanguina le nostre case, le nostre chiese, i nostri luoghi di ritrovo; ma siamo impauriti, perché non abbiamo più punti di riferimento, autorità spirituali cui rivolgerci e appellarci, sapendo chediranno il giusto e sapranno condurci oltre la tempesta. Abbiamo un disperato bisogno di Buoni Pastori e di validi condottieri che sappiano tenere compatto il gregge, rassicurarlo e difenderlo.
E invece siamo allo sbando. Fatichiamo a riconoscerci come comunità e di conseguenza fatichiamo a riconoscere il nemico. E siamo costretti a sentire le prediche di suoi diretti accoliti, come monsignor Galantino, che esorta a “evitare logiche di chiusura e vendetta” e a “contribuire alla costruzione di una società riconciliata e aperta alla speranza”, senza però dirci come fare a recuperare la nostraidentità smarrita, che è il primo presupposto per poterci poi aprirci agli altri, o respingerli se è il caso.
Ah, se tornasse Lui sulla Terra, come diceva il grande Enzo Jannacci, forse ci prenderebbe tutti a schiaffi. E ci direbbe forse, come ai farisei, “ipocriti, state barattando la vostra fede per i vostri opportunismi, state celebrando idoli e uccidendo il vostro Dio”.
Anche perché non è vero che tutte le strade portano a Lui: alcune conducono al martirio cristianoda eroi, altre al suicidio del kamikaze. E non sono certo la stessa cosa.

Sacerdote sgozzato, il Papa: "Il mondo è in guerra ma le religioni non c'entrano"

Due jihadisti sgozzano un prete in chiesa. Bergoglio: "Tutte le religioni vogliono la pace. La guerra la vogliono gli altri"


"Abbiamo bisogno di dire questa verità: il mondo è in guerra perché ha perso la pace". Sul volo che da Roma lo porta a Cracovia per portare alla Giornata Mondiale della Gioventù, papa Francesco condanna gli ultimi attacchi inflitti all'Europa dal terrorismo islamico.
Ma si affretta a chiarire: "Quando parlo di guerra, parlo di guerra sul serio e non di guerra di religione".
Il mondo cattolico è sconvolto dalla brutale omicidio di padre Jacques Hamel, sgozzato da due terroristi mentre stava dicendo la Santa Messa nella chiesa di Saint-Etienne du Rouvray. Lo hanno fatto inginocchiare davanti all'altare e, dopo aver recitato un sermone in arabo, gli hanno reciso la gola. Una macabra esecuzione filmata col cellulare che ricorda le decapitazioni degli ostaggi occidentali eseguite dal boia dell'Isis Jihadi John. I due giovanissimi jihadisti hanno risposto alla chiamata alle armi dello Stato islamico. E, per la prima volta nella storia dell'Unione europea, un parroco è stato ammazzato in chiesa in virtù della fede che professa. Papa Francesco si è, tuttavia, affrettato ad allontanare lo spettro della guerra di religione. "C'è guerra per interessi, soldi, risorse della natura, per il dominio sui popoli - ha spiegato - questi sono i motivi. Qualcuno parla di guerra di religione, ma tutte le religioni vogliono la pace. La guerra la vogliono gli altri, capito?".
Nell'ultimo mese gli attacchi all'Europa si sono moltiplicati di giorno in giorno. Con la strage lungo la Promenade des Anglais a Nizza, i seguaci dell'Isis hanno "inaugurato" una lunga scia di sangue che sembra non aver fine. "Da tempo il mondo è in guerra a pezzi - ha ammesso papa Francesco - non è tanto organica forse (organizzata sì), ma è guerra". Durante il volo verso Cracovia, il Santo Padre ha rivolto un pensiero a padre Jacques:"Questo santo sacerdote ieri è morto per la preghiera che offriva alla chiesa. È uno, ma pensiamo a quanti innocenti, a quanti bambini muoiono. Pensiamo alla Nigeria, ad esempio. 'Ah quella è l'Africa', dicono, sì è l'Africa, ma è in guerra".

Come un agnello sacrificato nel nome di Allah. In chiesa

agnello
È tutto tranne che "folle", "cieca" o "insensata" – come continuano a dire tanti tremebondi uomini di Chiesa – la violenza che colpisce soprattutto in Francia e in Germania, l'ultima volta questa mattina in una chiesa di Saint-Étienne-du-Rouvray in Normandia, con l'anziano sacerdote sgozzato come un agnello, durante la messa.
Quasi sempre la rivendicazione è esplicita, da parte dello Stato Islamico. E anche le indagini accertano l'effettivo legame tra i terroristi e il califfato. Ciò che impressiona è la condizione di vita quasi sempre non "oppressa" degli assassini, né poveri, né emarginati, né umiliati. Anzi, apparentemente ben integrati nella società circostante.
Il caso della Germania è esemplare. Ed è a partire da questo stato di cose che l'islamologo gesuita Samir Khalil Samir muove la sua analisi degli ultimi atti omicidi ad opera di islamisti, pubblicata stamane su "Asia News":
Padre Samir insegna presso il Pontificio Istituto Orientale di Roma, di cui è stato anche rettore ad interim, e durante l'estate vive e opera in Germania. Negli anni di Benedetto XVI fu l'islamologo più ascoltato in Vaticano.
Ecco la parte finale della sua analisi.
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È FALSO DIRE CHE "L'ISLAM È UNA RELIGIONE DI PACE"
di Samir Khalil Samir S.I.
Nel caso della Germania, tutti sono stupiti: ha accolto un milione e più di migranti e li tratta piuttosto bene. Un centro di rifugiati vicino a casa mia funziona benissimo: i bambini vanno a scuola, ricevono sovvenzioni, gli adulti vano a scuola di tedesco la sera…
Il cambiamento repentino fra questi giovani musulmani è una novità.
Ora la critica verso Angela Merkel è fortissima e tutti la criticano per la sua generosità nell’accoglienza. Forse la situazione sta cambiando: finché erano poche migliaia, l’integrazione era qualificata. Ora che i rifugiati sono diventati centinaia di migliaia, forse il programma di integrazione non tiene più.
Tanti tedeschi dicono che è in crisi il progetto di integrazione perché il numero dei migranti è stato troppo grande. Voglio dire però che paragonandola con il resto dell’Europa, la Germania era davvero un modello nello sforzo di integrare gli immigrati.
E ancora oggi la soluzione è l’integrazione, non il rifiuto dei migranti.
Purtroppo però l’islam fa fatica a integrarsi perché ha una cultura in molti punti opposta a quella attuale dell’occidente. Dal punto di vista religioso, sociale, dei rapporti uomo-donna, in rapporto al mangiare… è un sistema completo. Che la religione sia diversa, questo non è un problema. Ma il fatto è che nell’islam la religione è legata a un sistema politico, sociale, culturale, storico, di costume, che influenza tutto: il vestire, il dar la mano a uno o all’altra, le relazioni sociali….
Sono tutte cose che rendono difficile assimilare le idee dell’occidente.
In passato, quando vi erano nordafricani che arrivavano in Europa, essi erano già un po’ secolarizzati, o perché avevano subito la colonizzazione francese e per lo stile imposto dai loro capi in Tunisia e in Algeria, o perché erano berberi, etnie locali che si rifiutavano di definirsi “arabi”.
Oggi invece, l’influsso radicale e islamista che propone un mondo diverso in tutti gli aspetti, rende l’integrazione molto più difficile.
Se si mantiene la posizione islamista (Fratelli musulmani, salafiti, ecc…) l’integrazione è difficile. Ma se si accetta di essere musulmani aperti, che vogliono anche imparare dalla società occidentale, allora è possibile. Una volta era così: la società occidentale era considerata un modello per lo sviluppo e l’emancipazione. Oggi invece è il contrario: per molti musulmani la società occidentale è da rigettare. E intanto si crea un nuovo modello islamico o islamista (fondamentalista).
Per il nostro secolo questo è un grande conflitto.
Si deve anche avere il coraggio di dire anche che l’islam ha elementi di violenza nel Corano e nella vita di Maometto. Se invece si continua a dire che “l’islam è una religione di pace”, creiamo solo confusione e mistificazione.
Ieri riascoltavo un discorso della premier britannica Theresa May, quando non era ancora premier – tre anni fa – in cui, in un incontro con musulmani ripete mille volte: “L’islam è una religione di pace! Non c’è nel Corano un solo versetto di violenza!”. E riceve l’applauso entusiasta dei presenti. Tutto questo è incredibile: è un tentativo di minimizzare il problema. E questo avviene anzitutto da parte dei capi politici europei, più che dalla popolazione.
Perché fanno questo? Per avere i voti delle comunità islamiche. Anche in Francia è così: da alcuni anni in Francia il governo può donare terreni per moschee e centri islamici con affitti gratuiti per 99 anni. Così stanno riempiendo la Francia di moschee finanziate da Paesi che sostengono il terrorismo. Fra i politici c’è una perdita del senso morale, dato che sono disposti a tutto pur di accumulare voti. E c’è anche un pizzico di ignoranza: nessuno direbbe che nel Corano non vi sono versetti violenti! Ignoranza e perdita di senso morale sono una miscela esplosiva.

Settimo Cielo di Sandro Magister 26 lug  http://magister.blogautore.espresso.repubblica.it/2016/07/26/come-un-agnello-sacrificato-nel-nome-di-allah-in-chiesa/Il terrore che uccide, dalla Siria alla Francia... made by Clinton: l'e-mail rivelatrice

Il terrore che uccide, dalla Siria alla Francia... made by Clinton: l'e-mail rivelatrice

Piccole Note

«Il modo migliore per aiutare la crescente capacità nucleare iraniana è aiutare il popolo siriano a rovesciare il regime di Bashar el Assad […] è la relazione strategica tra l’Iran e il regime di Assad in Siria che rende possibile a Teheran di minare la sicurezza israeliana. Quindi quel regime va distrutto. […] La rivolta popolare esplosa contro il regime è quel che ci vuole». Questa una mail di Hillary Clinton, quando era Segretario di Stato, pubblicata sulla newsletter Cognitive liberty e ripresa da Alberto Stabile sulla Repubblica del 27 luglio.

Nota a margine. Nel suo articolo, Stabile fa notare la discrepanza tra le posizioni assunte allora dalla Clinton e quelle di Obama. Il presidente Usa,infatti, ha voluto a tutti i costi negoziare con l’Iran sul nucleare, considerando tale accordo come l’unico strumento atto a evitare minacce a Israele evitando, anche nell’interesse di Tel Aviv, pericolosissime avventure militari.

Da notare, inoltre, l’uso strumentale che Hillary Clinton fa delle ragioni di sicurezza israeliane, per accreditarsi come paladina di Tel Aviv presso l’ambito ebraico.

Ma al di là delle divergenze nel dibattito interno Usa, val la pena sottolineare come per «distruggere» Assad è stata strumentalizzata (in realtà “sollecitata”) la «rivolta popolare» siriana. Formula che nasconde l’aiuto, diretto e indiretto e a vari livelli (armi, soldi e altro) alle diverse bande di tagliagole che da anni insanguinano la Siria per ottenere quel sospirato regime-change che ancora sfugge.

In questa prospettiva si è massacrato un popolo (per lo più islamico). E per questo sono state generate diverse bande armate di assassini di marca jihadista, tra cui l’Isis, che, come prevedibile e previsto, ora fanno strage in Occidente.


Assassini che hanno ammazzato, tra l’altro, anche tanti sacerdoti e religiosi e fedeli siriani. Omicidi dei quali non è importato nulla a nessuno, in particolare ai tanti che oggi sui media si affannano a spiegare come il fiore del male dell’Isis sia necessaria conseguenza della dottrina islamica.

Omicidi mirati ignorati, che la sorte e i giochi di potere hanno associato al martirio di padre Hamal, ucciso ieri in Francia dalle stesse mani. 


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Fino a quando?

Giuliano Guzzo27 luglio 2016

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Ieri in Francia, vicino Rouen, è stato sgozzato un anziano parroco mentre celebrava la Santa Messa, altri fedeli sono stati feriti ed io, più che sicuro d’essere in buona compagnia, mi chiedo questo: fino a quando? Fino a quando dovremo, come europei, non solo assistere a quest’orrore, ma pure accettare il penoso ridimensionamento mediatico della responsabilità dei suoi autori (ieri liquidati come «squilibrati» in automatico, già a ridosso del massacro)? Perché, burattinai dell’informazione, insistete con questa censura? Dite un po’, vi pagano per essere islamofili? Avete così paura della realtà da non poterla raccontare? Oppure volete abituarci al sangue?
E anche voi, politici, fino a quando vi renderete quotidianamente complici di un’immigrazione che è ormai invasione? Sia chiaro: non si sostiene semplicisticamente il legame diretto tra immigrazione e terrorismo islamico. Infatti non tutti gli immigrati sono musulmani (per esempio, gli stranieri residenti in Italia sono più di religione ortodossa che islamica: 1,6 milioni contro 1,4), eppure due elementi caratterizzano in modo netto l’intera sequela europea di eventi terroristici: la fede islamista accompagnata, quasi sempre, da origini straniere. Una combinazione micidiale ma non imprevedibile.
Era difatti il 30 settembre di sedici anni fa quando un eminente uomo di Chiesa, il card. Giacomo Biffi (1928–2015), profeta ben prima delle Fallaci, degli Houellebecq e dei Salvini, dichiarò apertamente che i governi europei avrebbero dovuto «privilegiare l’ingresso degli immigrati cattolici» non già per limitare l’integrazione degli stranieri, ma proprio per facilitarla ospitando prima coloro che meglio si sarebbero potuti meglio integrare. Biffi fu trattato come un vecchio pazzo ed ora eccola, la stupefacente saggezza degli altri, sparpagliata fra le vittime di Nizza e Monaco, tra Parigi e la Normandia, tutte o quasi sterminate da gente europea per modo di dire. Fino a quando, allora?
E fino a quando, adesso che un sacerdote è stato ucciso in odium fidei da mano islamica – spettacolo raccapricciante, cui l’Europa non assisteva da circa tre secoli –, noi cattolici continueremo a negare la realtà? A raccontarci quanto è bella l’accoglienza? A non riconoscere che una società secolarizzata e nichilista è demograficamente, culturalmente e politicamente spacciata? A sorvolare sul fatto che la vera malattia mentale è quella chi vede assassini squilibrati ovunque, pur di non parlare di jihad, islamismo e terrore programmato? Fino a quando, insomma, oltre al danno ci toccherà la beffa di non poterne neppure parlare, pena l’ira di quelli che blaterano di Cristo come di un profugo da accogliere e non come di un Re da servire?
La verità è che non so, come non lo sa nessuno, quando questo assurdo show finirà e, soprattutto, quando cesserà il tormentone dei terrorismi islamici a loro insaputa. La verità, ripresa dallo Neue Osnabruecker Zeitung, è che dei circa 5.000 jihadisti rientrati dai campi di combattimento di Siria e Iraq, tra 1.500 e 1.800 sono tornati in Europa. La verità, insomma, è che il peggio è appena iniziato, che il nemico non solo è fra noi, ma pure bello addestrato, motivato e pronto ad entrare in azione. Intanto la lungimirante Europa, da brava, tiene d’occhio i nazionalismi, il Parlamento italiano si misura col tema della cannabis legale e spopola Pokémon GO. Inutile dunque interrogarsi su una svolta perché, come minimo, sarà tra un bel po’.
Giuliano Guzzo
http://www.libertaepersona.org/wordpress/2016/07/fino-a-quando/
STRAGI SU STRAGI. E CI FANNO CREDERE CHE...
ff
DI DIEGO FUSARO
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Stragi su stragi. Senza tregua. Quasi una al giorno, ormai. Chissà perché, poi, questi orrendi attentati si abbattono sempre nei luoghi pubblici facendo strage di povera gente, di persone comuni, lavoratori e disoccupati, ragazzi e studenti.
Mai una volta – avete notato? – che l’ira delirante dei terroristi si abbatta nei luoghi del potere e della finanza. Mai. Mai un signore della finanza colpito, mai uno statista, mai un “pezzo grosso” dell’Occidente. Strano, davvero, che i pazzi alfieri del terrorismo, che in teoria – si dice – avrebbero dichiarato guerra all’Occidente non prendano di mira chi l’Occidente davvero lo governa.



Se non ci dicessero un giorno sì e l’altro pure che il terrorismo islamico ha dichiarato guerra all’Occidente si avrebbe quasi l’impressione che si tratti di una guerra di classe – gestita poi da chi? – contro lavoratori, disoccupati, classi disagiate: una lotta di classe tremenda, ordita per tenere a bada i dominati, per tenerli sotto tensione, proprio ora che, mentre stanno perdendo tutto, iniziano a sollevarsi (è il caso della Francia della “loi travail”, uno dei Paesi più colpiti dal terrorismo).
E intanto, a reti unificate, ci fanno credere che il nostro nemico sia l’Islam e non il terrorismo quotidiano permanente dell’economia di mercato.
Ci fanno credere che il nemico, per il giovane disoccupato cristiano, sia il giovane disoccupato islamico e non il delocalizzatore, il magnate della finanza, il fautore delle “riforme” che uccidono il mondo del lavoro: il conflitto Servo-Signore è, ancora una volta, frammentato alla base. Nell’ennesima guerra tra poveri, della quale a beneficiare sono coloro che poveri non sono.
Il terrorismo, quali ne siano gli agenti, è un’arma nelle mani dei potenti: fa il loro interesse. E lo fa per più ragioni.
Intanto, perché frammenta il conflitto di classe e mette i servi in lotta tra loro (Islamici vs Cristiani, Orientali vs Occidentali): lo “scontro di civiltà” di Huntington va a occultare la “lotta di classe di Marx”. Il tutto condito con le tirate à la Fallaci.
Lo scontro delle civiltà e il nuovo ordine mondiale. Il futuro geopolitico del pianeta
In secondo luogo perché attiva il paradigma securitario, modello “Patriot Act” Usa: per garantire sicurezza, si toglie libertà. Et voilà, il gioco è fatto.
In terzo luogo, si crea adesione al partito unico della produzione capitalistica anche in chi avrebbe solo motivi per contestarla: l’Occidente “buono” contro l’Oriente cattivo e terrorista.
In quarto luogo, si prepara il terreno – prepariamoci – per nuove guerre: guerre in nome del terrore, come fu in Afghanistan (2001) e non molto fa con i bombardamenti in Siria. Il terrorismo diventa una “opportunità” - sit venia verbo – per guerre di aggressione imperialistiche.
Questo lo scenario. V’è poco da stare allegri. Ma è meglio essere informati, se non altro.
Diego Fusaro
26.07.2016

2 commenti:

  1. Sapete fino a quando andrà avanti la mattanza dei cristiani ? Fino al momento in cui saranno i grossi papaveri ad essere attaccati e trucidati, allora ci sarà il risveglio delle vergini ,i quali grideranno con le vocette querule e addolorate: siamo in guerra e dobbiamo difenderci.jane

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    1. Parole sante le tue,Jane. Hai detto la verità.
      - Cristina

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