La teologia è una scienza e una sapienza che mostra all’uomo il senso della vita. La cosa essenziale per il singolo è ciò che conferisce un significato superiore alla sua esistenza: nel caso dell’uomo è il legame con Dio
di Francesco Lamendola
Prima
di avventurarsi a discutere su cos’è la salute e cosa la malattia,
bisogna capire cosa sia essenziale alla sopravvivenza e al benessere di
un organismo. La salute, infatti, è sempre la salute di un organismo:
non potremmo immaginare il concetto di “salute” riferito a un contesto
non vivente, a meno di adoperare la parola in senso metaforico. La
salute di un ambiente naturale, ad esempio, è pur sempre la salute di
tutti gli organismi, vegetali e animali, viventi in quell’ambiente; se
non ci sono organismi, è impossibile parlare di salute.
Ora,
le società umane sono organismi veri e propri, né più né meno di un
vecchio albero, di un cavallo, di un lichene. Per capire se siano sane o
ammalate, e che cosa le faccia vivere sane, e che cosa ammalare,
bisogna comprendere che cosa sia essenziale per la loro sopravvivenza e
per il loro benessere.
Tutti gli organismi, infatti, tendono, per prima cosa, a sopravvivere; per seconda cosa, a prosperare, cioè a star bene e a riprodursi e diffondersi.
Tutti gli organismi, infatti, tendono, per prima cosa, a sopravvivere; per seconda cosa, a prosperare, cioè a star bene e a riprodursi e diffondersi.
Per
capire cosa sia essenziale ad una società, possiamo scegliere vari
punti di partenza; a noi sembra che il più semplice sia quello di
proseguire nella similitudine con gli organismi biologici e chiederci,
pertanto, cosa sia essenziale alla vita e al benessere del singolo
individuo: siamo certi che la stessa cosa risulterà essenziale anche
alla società nel suo complesso. Ebbene, a noi sembra evidente che la
cosa essenziale, per il singolo individuo, è ciò che conferisce un
significato superiore alla sua esistenza. Nel caso dell’uomo, si tratta
del legame con Dio: del riconoscimento della propria condizione
creaturale da parte dell’uomo, e della lode e del ringraziamento dovuti
nei confronti del Creatore.
Unito
a Dio, l’uomo è la creatura più nobile dell’universo, quella fatta a
immagine e somiglianza di Lui, e perciò chiamata a collaborare
direttamente con il Suo progetto riguardo alla creazione: la somiglianza
fra la creatura e il Creatore, infatti, consiste essenzialmente
nell’attributo della libertà. L’uomo è posto davanti a una libera
scelta: restare unito a Dio o distaccarsi da Lui. Restando unito a Dio,
l’uomo è capace di compiere qualsiasi cosa; senza di Lui o contro di
Lui, l’uomo è niente, un granello di sabbia spazzato dal vento, un
flebile sospiro che la risacca del mare porta via con sé. Questo
concetto è stato più volte ribadito da Gesù stesso: Io sono la vite,
voi i tralci, il Padre mio è il vignaiolo; chi resta unito a me, e io
in lui, quello porta molto frutto; senza di me, invece, voi non potete
fare niente.
Dalla
scelta per Dio o contro Dio dipende anche il destino soprannaturale
dell’uomo: perché la vita terrena non finisce in se stessa, non si
risolve nel nulla della morte, ma si prolunga, oltre la porta stretta
della morte, nel mistero dell’eternità. La libertà dell’uomo non
determina solo il suo destino terreno, ma anche quello ultraterreno. Se
la vita fosse compresa soltanto fra il momento del concepimento e quello
della morte, sarebbe una ben misera cosa: sarebbe una beffa per tutti
gli esseri umani, e, per la maggior parte di loro, sarebbe anche una
ingiustizia. I conti del male e del bene non si pareggiano per tutti in
questa vita: il destino di Lazzaro e quello del ricco Epulone attendono
il loro ultimo sigillo da un atto di giustizia che non è detto si
manifesti già in questa vita. La conseguenza di questo concetto è che lo
scopo della vita umana risiede anche nella ricerca della salvezza per
la vita eterna: e quello che è vero per il singolo individuo, lo è anche
per le società. Come per l’individuo, anche le società sono chiamate
innanzitutto a servire e onorare Dio, nonché a procacciare agli uomini i
mezzi per la salvezza eterna.
Ecco
perché la teologia è stata giustamente onorata come la regina delle
scienze, e posta quale coronamento dell’umano sapere; ed ecco perché,
quando nacquero le prime università, la laurea in teologia fu vista ed
onorata come il vertice dell’umano conoscere. La teologia è al vertice
del sapere tanto nella Divina Commedia di Dante, quanto nella Summa
di san Tommaso d’Aquino; è inscritta nelle pietre delle cattedrali,
illustrata nelle loro sculture e nelle loro vetrate, è proclamata
dall’alto delle loro guglie e dei loro pinnacoli. La teologia è la
scienza del divino, illuminata dalla Rivelazione: è il punto
d’intersezione fra quel che può fare l’intelligenza umana e il mistero
di salvezza della fede, che apre gli occhi e la mente a una forma di
sapere superiore a quella semplicemente umana. Per mezzo della teologia,
l’uomo si innalza al di sopra di se stesso e ritrova il senso pieno e
compiuto del proprio legame con Dio, che getta una luce meravigliosa su
tutta la sua vita, sui suoi pensieri, sulle sue opere, e conferisce loro
un più alto e nobile significato. L’uomo, infatti, non vive solo per se
stesso, ma per conoscere, amare e servire Dio, sempre di più e sempre
meglio; mentre una vita umana rivolta unicamente verso la soddisfazione
di se stessa, degli umani appetiti e desideri, diverrebbe,
inevitabilmente, una vita sub-umana, bestiale.
Va
da sé che una teologia “laica”, “scientifica”, “antropocentrica”, è una
contraddizione in termini: la teologia non potrà mai partire dall’uomo e
non potrà mai mettere al centro l’uomo, tanto meno potrebbe prescindere
dai dati della Rivelazione o accostarsi in maniera puramente oggettiva e
“scientifica” alle Scritture e alla Tradizione, senza tradire se
stessa. Purtroppo, questo è, invece, precisamente quel che è accaduto
nell’ultimo mezzo secolo, a partire dal Concilio Vaticano II. Credendo
di “aggiornare” il cristianesimo, di “modernizzare” la fede, di
“ridurre” la distanza fra l’uomo e Dio (tutti concetti intrinsecamente
erronei e blasfemi), dei cattivi teologhi e dei pessimi pastori non
hanno fatto altro che svendere un sapere soprannaturale in cambio di un
“sapere” puramente umano, ma senza avere neppure la franchezza di
portare le cose sino in fondo, e conservando la mera finzione di una
fedeltà a Dio che, nei fatti, era stata completamente tradita. Sarebbe
stato più franco e leale proclamare, con Nietzsche, la morte di Dio e
l’autosufficienza dell’uomo; si è preferito lasciar le cose a metà,
conservando l’illusione del legame con Dio, e seminando la confusione
nelle anime: quando è certo che, se l’uomo pretende di accostarsi a Dio
da pari a pari, con criteri “oggettivi” e con mentalità scientifica, non
troverà mai Dio, ma solo il riflesso della propria superbia e della
propria presunzione. I “nuovi” teologi della cosiddetta svolta
antropologica sono dei poveri untorelli, che non sanno essere grandi
neppure nell’apostasia: sono piuttosto dei ribelli a metà, dei
rivoluzionari timidi, degli apostati pieni di buone intenzioni e di
cattiva coscienza.
Sta
di fatto che il mondo moderno ha praticamente espulso la teologia dal
palazzo nobile del conoscere, dove era stata, per secoli, nella
posizione più eminente, rispettata, ammirata, regina delle scienze e,
nello stesso tempo, ispiratrice dell’agire pratico degli uomini; oppure,
se non l’ha espulsa – e non sapremmo dire quale delle due cose sia la
peggiore – l’ha orribilmente contraffatta e sfigurata, a furia di
“metodo critico”, di “smitizzazione”, di “aggiornamento scientifico”
degli studi biblici, di sedicenti “ritorni” a un non meglio precisato
Vangelo primitivo.
Scriveva
il padre domenicano Raimondo Spiazzi (1918-202), teologo e mariologo,
che fu stretto collaboratore di Pio XII, nel suo ampio saggio La Catechesi nel nostro tempo (Rovigo, Istituto Padano di Arti Grafiche, 1980, p. 11):
Secondo San Tommaso, la teologia è una scienza e una sapienza. Come SCIENZA deduce conclusioni da principi, sia nel campo speculativo che in quello pratico; come SAPIENZA
illumina con la sua luce superiore e giudica ”ex alto” le scienze
inferiori e gli atti umani. Il suo processo razionale è valido anche se i
principi da cui deduce le conclusioni sono gli “articuli fidei”, ossia
i dati della Rivelazione insegnati ed eventualmente definiti come
dogmi dalla Chiesa, ed esso si svolge “sub lumine fidei”: infatti si ha
un vero e proprio sviluppo DI verità e DA verità. Lo
steso si dica per il lavoro induttivo che è proprio della teologia
positiva, dedita alla investigazione e alla esplicitazione dei dati
rivelati, e allo studio delle loro fonti: è un lavoro razionale e
scientifico, non è né una nuova rivelazione né una pura ripetizione
materiale degli stessi dati.
San Tommaso aggiunge che in ragione dei diversi “oggetti materiali” (VERITÀ rivelate da spiegare e da sviluppare, ATTI UMANI da dirigere) la teologia è una scienza SPECULATIVA e PRATICA; e tuttavia ha una intrinseca UNITÀ
per rapporto al suo “oggetto formale”, che è Dio rivelatore, alla cui
luce esso tutto considera” [cfr. Summa Theologiae” I q. 1, a.a.2, 3, 4,
6].
La
teologia, dunque, era il sale della conoscenza umana; ma se il sale
perde il suo sapore, con che cosa glielo si renderà? Una volta che si
sia trasformata la teologia in una caricatura e in uno scadente doppione
della filologia, della filosofia, della storia e dell’antropologia
comparata, a che cosa servirà mai un simile ibrido? Nossignori: la
teologia è scienza e sapienza: scienza del divino e sapienza che viene
da Dio; se la si vuole “aggiornare” e trasformare in una disciplina
accademica come tutte le altre, la si distruggere, puramente e
semplicemente. Quello che resta in mano non è più la teologia, ma cenere
fredda di un sapere morto e mortifero. Mortifero, perché invece di dare
la vita, conferma la vittoria della morte: considerando l’uomo da un
punto di vista umano, essa tradisce la propria missione, che è quella di
confermare la speranza cristiana nella vita eterna, e ribadisce la
condanna della carne alla morte e alla putrefazione. Umanamente
parlando, infatti, l’uomo non è altro che fango e cibo per vermi: ogni
volta che se ne dimentica, l’uomo si mette sulla strada della follia e
moltiplica immensamente le proprie scelleratezze e le proprie
sofferenze, trascinando gli innocenti (a cominciare dai bambini) nelle
conseguenze della sua malvagità. La storia del ventesimo secolo è una
tragica conferma di questo fatto: basti pensare alle due guerre mondiali
e ai genocidi, che hanno inflitto atroci sofferenze e, infine, la
morte, a milioni di persone, moltissime delle quali innocenti, perché si
trattava di bambini. Per trovare analoghi esempi di crudeltà e di
sadismo, bisogna risalire indietro nel corso dei secoli, fino alle
antiche civiltà, fino agli Assiri, che deportavano e sterminavano intere
popolazioni, per imporre il proprio dominio mediante lo strumento del
terrore. Con la notevole differenza che l’uomo antico era immerso in un
orizzonte di disperazione (si confronti il dialogo fra il greco Diomede e
il troiano Glauco, nel sesto libro dell’Iliade, dove le
generazioni umane sono paragonate alle foglie degli alberi, destinate a
cadere a terra, le une dopo le altre, incessantemente e insensatamente);
mentre l’uomo moderno ha avuto il privilegio di conoscere la verità, di
essere illuminato dalla Rivelazione, e non ha saputo farne buon uso,
anzi, ha preferito rifiutarlo e disprezzarlo.
Come dice San Paolo, nella Epistola ai Romani (1, 20-23): Gli
uomini non hanno perciò alcun motivo di scusa: hanno conosciuto Dio,
poi si sono rifiutati di adorarlo e di ringraziarlo come Dio. Si sono
smarriti in stupidi ragionamenti e così non hanno capito più nulla.
Essi, che pretendono di essere sapienti, sono impazziti: adorano
immagini dl’uomo mortale, di uccelli, di quadrupedi e di rettili, invece
di adorare il Dio glorioso e immortale.
E
potremmo aggiungere, riguardo all’uomo moderno: hanno adorato dei vuoti
feticci, la Ragione, il Progresso, la Scienza; oppure delle parole
menzognere, Libertà, Fraternità, Uguaglianza; oppure, ancora, hanno
adorato dei sostituti di Dio ancor più rozzi e obbrobriosi, quali il
Piacere, il Potere, il Denaro; da ultimo, si son messi ad adorare se
stessi e, in nome della loro onnipotenza, si sono abbandonati alle
peggiori infamie, ma rivestendole sotto il mantello bugiardo dei
“diritti”, della “civiltà” e perfino dell’”amore”. Due maschi pretendono
di “sposarsi”, e di chiamare “matrimonio” la loro unione orripilante;
poi hanno preteso di affittare l’utero di una donna, di comprare il
bambino nato da lei mediante la fecondazione artificiale, e di
portarselo a casa, in attesa di dargli un “fratellino”: il tutto per il
loro piacere, per gratificare il loro ego, per ingannare le leggi della
natura e capovolgere quelle degli uomini, proclamando una libertà che è
la mostruosa caricatura della libertà vera, la quale non può essere
altro che l’adesione alla volontà di Dio.
Di sconvolgente attualità il seguito della riflessione di San Paolo (Rom., 1, 28-32): E
poiché si sono allontanati nei loro pensieri da Dio, Dio li ha
abbandonati, li ha lasciati soli in balia della loro mente corrotta, ed
essi hanno compiuto cose orribili. Sono ormai giunti al colmo di ogni
specie di ingiustizie e di vergognosi desideri. Sono avidi, cattivi,
invidiosi, assassini. Litigano e ingannano. Sono maligni, traditori,
calunniatori, nemici di Dio, violenti, superbi, presuntuosi, inventori
di mali, ribelli ai genitori. Sono disonesti e non mantengono le
promesse. Sono senza pietà e incapaci di amare. Eppure anno benissimo
come Dio giudica quelli che commettono queste colpe: sono degni di
morte. Tuttavia, non solo continuano a commetterle, ma anche battono le
mani a tutti quelli che si comportano come loro.
Sarebbe
difficile descrivere in maniera più chiara ed efficace la condizione
dell’uomo che, allontanatosi da Dio, rifiuta di adorarlo.
Eppure,
questa è proprio la condizione dell’uomo moderno; e, per sincerarsene, è
sufficiente accendere, a caso, in qualsiasi ora del giorno o in
qualsiasi giorno, la radio o la televisione, oppure scorrere la cronaca
dei giornali quotidiani.
Anche
a questo, soprattutto a questo, serviva lo studio della teologia e il
riconoscimento del suo valore supremo nell’ambito del sapere umano: a
non smarrire il legame con il Creatore, e a non dimenticare quale sia il
vero significato della vita.
L’uomo
moderno, invece, ha ben altre scienze da studiare e coltivare, al posto
della teologia: scienze diaboliche, come la bioingegneria, che gli
consentono di manipolare la vita a suo piacere, come il dottor
Frankenstein; e che, di follia in follia, lo stanno trascinando a
trasformarsi in un misero, inconsapevole adoratore di Satana…
La teologia è una scienza e una sapienza che mostra all’uomo il senso della vita
di
Francesco Lamendola
Nessun commento:
Posta un commento
Nota. Solo i membri di questo blog possono postare un commento.