La storica "Rivista del Clero Italiano" fornisce ogni mese meditati articoli di aggiornamento pastorale per "vescovi, preti, laici impegnati", cioè per tutti coloro che hanno un ruolo guida nella Chiesa. È edita dall'Università Cattolica di Milano ed è sovradiretta da tre vescovi di primo piano: Franco Giulio Brambilla, Gianni Ambrosio e Claudio Giuliodori. Il primo, già docente di punta della facoltà teologica di Milano, è dal 2011 vescovo di Novara. Il secondo, specialista in sociologia della religione, è vescovo di Piacenza. E il terzo è attualmente assistente ecclesiastico generale dell'Università Cattolica. Brambilla è anche il più verosimile candidato alla futura presidenza della Conferenza episcopale italiana, al posto del cardinale Angelo Bagnasco in scadenza nel 2017.
Direttore responsabile della rivista è il biblista Bruno Maggioni. Coordinatore esecutivo è Aurelio Mottola. E nel comitato di redazione figurano personalità di spicco della teologia e della cultura cattolica, come PierAngelo Sequeri, Mauro Magatti, Armando Matteo, Massimo Naro, Giovanni Cesare Pagazzi, Gian Luca Potestà, Saverio Xeres, Giuliano Zanchi.
Ciò che la "Rivista del Clero Italiano" pubblica ha dunque un evidente peso. E per spiegare "Amoris laetitia" a chi ha dato la parola, nel quaderno di luglio-agosto? Ad Aristide Fumagalli, anche lui membro del comitato di redazione, docente di teologia morale nel seminario e nella facoltà teologica di Milano, autore di saggi a sostegno della comunione ai divorziati risposati già prima dei due sinodi sulla famiglia.
L'articolo verte tutto sul capitolo ottavo dell'esortazione postsinodale. E va al dunque senza tentennamenti.
Scrive Fumagalli:
"Francesco ha precisato, in due punti di "Amoris laetitia", che il discernimento circa la partecipazione dei fedeli divorziati risposati alla vita della Chiesa può riguardare anche l'accesso ai sacramenti.
"Il primo punto è quando il papa osserva che 'le conseguenze o gli effetti di una norma non necessariamente devono essere sempre gli stessi'. Precisando in nota questo criterio, papa Francesco afferma che esso riguarda anche 'la disciplina sacramentale, dal momento che il discernimento può riconoscere che in una situazione particolare non c'è colpa grave' (n. 300, nota 336).
"Il secondo punto è quando il papa riflette sull'eventualità che si possa non essere pienamente consapevoli della 'situazione oggettiva di peccato' in cui ci si trova, e si possa, quindi, 'vivere in grazia di Dio, ricevendo a tale scopo l'aiuto della Chiesa'. Precisando la natura di questo aiuto, Francesco afferma che 'in certi casi, potrebbe essere anche l'aiuto dei sacramenti' (n. 305, nota 351).
"Stante queste precisazioni, sembra chiaro che la disciplina pastorale dei fedeli divorziati risposati preveda nuove possibilità concrete in precedenza escluse, anche a riguardo dell'accesso ai sacramenti".
Ma è interessante anche ciò che Fumagalli scrive per giustificare il fatto che l'innovazione introdotta da papa Francesco "è solo accennata in 'Amoris laetitia' e nemmeno nel corpo del testo, ma solamente in due note":
"In questa forma dimessa si può cogliere la difficoltà nel fronteggiare le divergenti tendenze che Francesco, subito in apertura di 'Amoris laetitia', rinviene 'perfino tra i ministri della Chiesa'. La spiegazione diplomatica, o più malignamente 'gesuitica' del perché Francesco non sia stato più esplicito sul punto più rovente della discussione sinodale, non sembra però la più appropriata. Si potrebbe far notare, infatti, che la forma minimale del riferimento all'accesso sacramentale di quanti vivono in nuova unione corrisponde al limitato peso specifico che, secondo Francesco, tale pur spinosa questione ha nella gravità delle sfide contemporanee alla famiglia".
Sulla base di questa interpretazione di "Amoris laetitia", Fumagalli traccia poi i "consigli pastorali" conseguenti, sollecitando i sacerdoti a "ponderare quale aiuto offerto dalla Chiesa meglio consenta il cammino di conversione e di vita cristiana, contemplando l'eventuale accesso ai sacramenti".
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Va notato però che in un altro ampio commento all'esortazione postsinodale, pubblicato su una rivista anch'essa molto influente tra il clero e il laicato colto, "Il Regno", a firma di Basilio Petrà che è il presidente dei teologi moralisti italiani, si prospetta come "non necessario" l'affidarsi al sacerdote e al foro interno sacramentale, cioè alla confessione, per "discernere" se un divorziato e risposato può fare la comunione.
Scrive Petrà:
"Il fedele illuminato potrebbe giungere alla decisione che nel suo caso non ci sia la necessità della confessione".
E spiega:
"È [infatti] del tutto possibile che una persona non abbia l'adeguata consapevolezza morale e/o non abbia libertà di agire diversamente e che, pur facendo qualcosa oggettivamente considerato grave, non compia un peccato grave in senso morale e dunque non abbia il dovere di confessarsi per accedere all'eucaristia. 'Amoris laetitia' al n. 301 allude chiaramente a questa dottrina".
Come dire: libero ciascuno di fare da sé, "illuminato" o inconsapevole che sia.
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Un'ultima notazione. Agli antipodi di queste esegesi sempre più vincenti di "Amoris laetitia" spicca ora però la controesegesi del filosofo cattolico austriaco Josef Seifert, pubblicata in tedesco su una dotta rivista di filosofia e di teologia:
> Die Freude der Liebe: Freuden, Betrübnisse und Hoffnungen
Rilanciata integralmente il 3 agosto da Katolisches.info:
> Freuden, Betrübnisse und Hoffnungen – Josef Seiferts umfassende Analyse zu 'Amoris Laetitia'
E ampiamente riassunta in inglese da Maike Hickson l'8 agosto su "The Wanderer":
> Professor Josef Seifert Calls upon Pope Francis to Rescind Its Heretical Statements
Il professor Seifert è membro ordinario della Pontificia accademia per la vita.
E conclude le sue 26 pagine di requisitoria chiedendo a papa Francesco di ritrattare le sue affermazioni eretiche.
Settimo Cielo
Due influenti riviste italiane interpretano Amoris laetitia
Una lettura, quella fornita dalla “Rivista del Clero Italiano” e da “Il Regno”, assai significativa di come un influente mondo clericale legge le principali novità del testo papale. Una lettura però che non è certamente condivisa nell’intero orbe cattolico, come diversi interventi, anche di noti prelati, hanno rilevato. Una situazione controversa che già si era registrata nell’Aula del doppio sinodo e che ancora è lungi dall’essere risolta.
LA RIVISTA DEL CLERO ITALIANO
Il commento ad Amoris laetitia è affidato al teologo morale Aristide Fumagalli, membro del comitato di redazione, docente di teologia morale nel seminario e nella facoltà teologica di Milano. L’autore si concentra sul capitolo otto dell’esortazione, quello che riguarda la disciplina dei sacramenti per i fedeli divorziati risposati civilmente.
Molto chiaro il pensiero del teologo:
«Francesco ha precisato, in due punti di “Amoris laetitia”, che il discernimento circa la partecipazione dei fedeli divorziati risposati alla vita della Chiesa può riguardare anche l’accesso ai sacramenti. Il primo punto è quando il papa osserva che ‘le conseguenze o gli effetti di una norma non necessariamente devono essere sempre gli stessi’. Precisando in nota questo criterio, papa Francesco afferma che esso riguarda anche ‘la disciplina sacramentale, dal momento che il discernimento può riconoscere che in una situazione particolare non c’è colpa grave’ (n. 300, nota 336). Il secondo punto è quando il papa riflette sull’eventualità che si possa non essere pienamente consapevoli della ‘situazione oggettiva di peccato’ in cui ci si trova, e si possa, quindi, ‘vivere in grazia di Dio, ricevendo a tale scopo l’aiuto della Chiesa’. Precisando la natura di questo aiuto, Francesco afferma che ‘in certi casi, potrebbe essere anche l’aiuto dei sacramenti’ (n. 305, nota 351).
Stante queste precisazioni, sembra chiaro che la disciplina pastorale dei fedeli divorziati risposati preveda nuove possibilità concrete in precedenza escluse, anche a riguardo dell’accesso ai sacramenti».
Da notare che la “Rivista del Clero Italiano” è “supervisionata” da tre vescovi importanti nel panorama cattolico del nostro paese: Franco Giulio Brambilla, attuale Vescovo di Novara e vicepresidente della CEI, Gianni Ambrosio, vescovo di Piacenza, e Claudio Giuliodori, già vescovo di Macerata e attuale assistente ecclesiastico generale dell’Università Cattolica. Il comitato di redazione è composto da teologi influenti nei media mainstream della Chiesa italiana: direttore responsabile è il biblista Bruno Maggioni, con lui PierAngelo Sequeri, Mauro Magatti, Armando Matteo, Massimo Naro, Giovanni Cesare Pagazzi, Gian Luca Potestà, Saverio Xeres, Giuliano Zanchi.
IL REGNO
In questo caso l’intervento è di Basilio Petrà, presidente dei teologi moralisti italiani. Il culmine della sua riflessione si concentra sulla dinamica del discernimento personale e pastorale. Dopo aver sottolineato che «secondo la nostra tradizione morale (…) la coscienza è la norma soggettiva ultima dell’azione e nessuno può prenderne il posto, neppure il pastore (anche nel sacramento della penitenza)», il professor Petrà ricorda che «l’esortazione parla simultaneamente e unitariamente di «discernimento personale e pastorale» perché il luogo al quale pensa è quello nel quale il soggetto del discernimento pastorale (pastore) incontra il soggetto (o soggetti) del discernimento personale (il fedele con la sua coscienza) in ordine alla formazione del giudizio di coscienza in situazione. In questo luogo vengono trattate le situazioni che nella prassi della Chiesa sono considerate materia propria del cosiddetto foro interno».
La dinamica dell’aiuto pastorale in foro interno, secondo Petrà, «non deve essere interpretato come un aiuto a ben applicare la norma alla situazione ma come un aiuto perché la coscienza colga la concreta possibilità del bene ovvero il bene possibile in situazione».
A questo punto la via verso i sacramenti, pur trovandosi in una situazione oggettiva di peccato, è aperta. Perchè, scrive Petrà, talvolta il «passaggio al sacramento [della confessione, NdA] tuttavia non è necessario. Il fedele illuminato potrebbe giungere alla decisione che nel suo caso non ci sia la necessità della confessione. Come si sa, per la dottrina della Chiesa, la confessione è necessaria per i peccati gravi o mortali e si hanno peccati gravi solo quando chi agisce sa di fare un male grave (con consapevolezza morale e non puramente giuridica) ed è libero di agire diversamente. (…) È del tutto possibile che una persona non abbia la adeguata consapevolezza morale e/o non abbia libertà d’agire diversamente e che, pur facendo qualcosa oggettivamente considerato grave, non compia un peccato grave in senso morale e dunque non abbia il dovere di confessarsi per accedere all’eucaristia.» (LB)
http://sinodo2015.lanuovabq.it/due-influenti-riviste-italiane-interpretano-amoris-laetitia/
si "sperticano" per trovare un significato che possa compiacere tutti ....di fatto si è perso il senso del peccato....anzi si sa che l'atto è peccato ma si vuol assolvere e accostare ai sacramenti chi rimane di fatto in peccato mortale palese!" Il fedele illuminato potrebbe giungere alla decisione che nel suo caso non ci sia la necessità della confessione" con questa affermazione si capisce che illuminato dallo Spirito Santo sottoporrebbe al confessore il peccato ma è istruito dallo spirito della superbia e di conseguenza prevale l'"io" si ribella come il non serviam del demonio.....bell'insegnamento non c'è che dire....mettere le anime che lo seguono direttamente in un vassoio d'argento con destinazione inferno!Signore salvaci dai cattivi pastori!Amen
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