ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

giovedì 4 agosto 2016

Si racconta che due fronti si stanno contrapponendo


Cosa succede di veramente nuovo nella Chiesa di Papa Francesco?



L'intervento di Raffaele Reina, autore del libro "La Repubblica senza partiti. C'è ancora un futuro per il cattolicesimo politico?" (Guida editori)

Niccolò Mazzarino su Formiche.net si è occupato dell’intervista di Mons. Georg, segretario di Benedetto XVI, rilasciata ad un giornale tedesco e ripresa da Il Fatto quotidiano di Antonio Padellaro. Un’intervista passata sotto silenzio e pubblicizzata dal giornale di Marco Travaglio che ha creato qualche inquietudine tra cattolici e non. La conversazione che Mons. Georg Ganswein ha avuto coi giornalisti di un periodico tedesco è tutta incentrata sugli “effetti” prodotti dal pontificato di Papa Francesco.
La sostanza del discorso dell’alto prelato prende lo spunto da alcune dichiarazioni esposte da un vescovo, e che possono essere la rappresentazione plastica del clima esistente all’interno della Chiesa cattolica, dopo l’elezione del card. Bergoglio da Buenos Aires a Vescovo di Roma. Racconta padre Georg: “Un vescovo, pochi mesi dopo l’elezione di Papa Francesco, ha parlato di ‘effetto Francesco’ e, tutto impettito, ha aggiunto che adesso era di nuovo bello essere cattolici. Si poteva percepire di nuovo pubblicamente uno slancio nella fede e nella Chiesa”. Mons. Ganswein ovviamente dissente dal vescovo entusiasta del nuovo corso, e si domanda se davvero sta accadendo tutto questo nella pratica quotidiana della Chiesa di Germania, dove non c’è una partecipazione più numerosa e frequente alle varie liturgie, non esistono più vocazioni, né un nuovo spirito religioso dovuto all’effetto del pontificato di Francesco. Il segretario di Benedetto XVI conclude: “Dall’esterno non si percepisce un nuovo inizio. I dati statistici, se non mentono, mi danno purtroppo ragione”.
Le opinioni espresse da padre Georg possono valere anche per la Chiesa in Italia: grande simpatia per Papa Francesco, ma pochi effetti nel mondo cattolico. Le parrocchie, nonostante la buona volontà di tanti sacerdoti nell’accoglienza di giovani, anziani, più deboli, bambini fanno fatica nella loro opera missionaria. Le Caritas, pur essendo nobili istituzioni, un punto fermo nell’assistenza ai poveri e ai diseredati, arrancano nel portare ristoro ai bisognosi, perché mancano le risorse umane e finanziarie necessarie, per svolgere le più elementari pratiche: lavare, cucinare, servire a tavola, preparare un letto per chi non ha da dormire. Il laicato cattolico ha sempre svolto un’azione di collaborazione con il clero nelle parrocchie, ma oggi questa consuetudine si è persa. Scomparsa l’Azione Cattolica non esiste più il laicato operativo che aiutava i sacerdoti nelle attività quotidiane. Negli anni passati il sacerdote che celebrava Messa si recava all’altare accompagnato dai chierichetti che “servivano Messa”, raramente oggi avviene una cosa del genere, talvolta il celebrante è in solitudine.
La parrocchia è sempre stata un punto di riferimento imprescindibile, per la formazione delle coscienze e per l’evangelizzazione delle comunità. Sono arrivate poi le moderne associazioni che hanno letteralmente travolto l’Azione Cattolica, antichissima e benemerita formazione laicale, che ha partorito uomini e idee sia nel campo religioso, nella politica, nel sindacato, aiutando la società italiana del dopoguerra a crescere nella solidarietà. Le varie Opus Dei, Comunità di Sant’Egidio, Rinnovamento dello Spirito, Neocatecumenali, Comunione e Liberazione e altre ancora saranno anche organizzazioni esemplari nel predicare la “buona novella”, ma mancano sempre della dimensione territoriale parrocchiale, che svolge la peculiare e preziosa opera di formazione e di evangelizzazione indispensabili, per arricchire costantemente la buona coscienza di cristiani. Si pensava che Papa Francesco, venendo da una realtà ancora legata ad antiche pratiche, potesse col suo nuovo modo di intendere la missione pontificia rivedere le attività del laicato cattolico e riportare al centro dell’azione pastorale la parrocchia. Invece, non è accaduto nulla di nuovo, come sostiene mons. Georg.
Si racconta che due fronti si stanno contrapponendo tra i vescovi italiani: quelli che guardano con ansia al declino del pontificato di Francesco, e chi pensa che la confusione ormai si è impadronita degli uomini di governo del Vaticano, per cui è urgente avere concreti momenti di resipiscenza, per capire quale futuro si prospetta per la Chiesa di Roma.
Un Papa che arriva in un mondo molto diverso da quello in cui è nato e vissuto da sempre, non può decidere all’improvviso di sconvolgere l’assetto tradizionale del cattolicesimo romano. Una istituzione così particolare come la Chiesa di Roma ha anch’essa bisogno di rispetto, perché è la storia dei cattolici italiani, nucleo fondante su cui si regge, dalle origini. Procedere a velocità supersonica sia nei riguardi dei principi teologici che organizzativi non pare essere la via giusta per rendere la Chiesa all’altezza dei tempi. A Francesco nessuno ha mai spiegato che la Chiesa si è mossa sempre osservando il vecchio principio: innovazione nella tradizione. Se così non è possono verificarsi disastri. Non a caso Luigi Accattoli, vaticanista del Corriere, ascoltando vari vescovi per l’Italia ha ricevuto commenti e giudizi molto critici sulle contraddizioni dell’attuale pontificato.




“Gli islamici in chiesa? Un assalto al cristianesimo”Il vescovo emerito di Isernia: si ribella a Bergoglio



Il vescovo Andrea Gemma boccia la preghiera comune: “In atto un attacco dell’Islam al cristianesimo”.

Gli islamici non uniscono, anzi, dividono. Proprio i cristiani. Almeno constatando ciò che sta accadendo nella chiesa, dopo la visita di domenica di un gruppo di musulmani durante la messa.

Persino alcuni vescovi, “confusi”, si dissociano dal Papa.

Nelle ultime ore, il vescovo emerito della diocesi di Isernia – Venafro, Andrea Gemma, in un’intervista al giornale onlinelafedequotidiana.it ha dichiarato: “Mi sento confuso dal Papa, capo della cristianità. Mi aspetterei maggior fermezza nella difesa dei cristiani, gradirei un Papa più energico nella tutela dei nostri valori e della fede, segnalando che fuori di Cristo e della sua Chiesa non esiste salvezza e che non è vero che tutte le religioni sono uguali o portartici di pace. Sotto questo profilo, Giovanni Paolo II e Ratzinger sono stati forti e chiari. Il discorso di Ratzinger a Ratisbona fu profetico, andrebbe letto, riletto e studiato. Ripeto: da vescovo e da fedele mi sento disorientato”. Dichiara il presule, che aggiunge: “È in atto un assalto al cristianesimo da parte dell’islam”.


E così, mentre le porte delle chiese di mezza Europa si sono aperte per fare spazio ai musulmani, il vescovo attacca: “L’Islam si basa sul Corano e prima di affermare che esiste un Islam moderato si legga quel libro. Vi sono pagine spaventose di odio, nelle quali si chiede di uccidere crudelmente chi non crede, gli infedeli e noi per loro tali siamo. E allora che pace è mai questa?”. Si domanda monsignor Gemma. “Vorrei un Papa che difendesse con forza i cristiani e le loro necessità. Il dialogo con l’islam non è possibile”.

La presenza di uno sparuto gruppo di islamici nelle chiese cattoliche durante la celebrazione della santa messa della domenica potrebbe disorientare ancora di più i cristiani. Il messaggio di Cristo è, si, amore, ma non resa al signore della morte. L’Islam, dalla sua nascita alla morte, consegna il messaggio del proprio dio.



"Cristiani sviati": ecco la sura più controversa recitata domenica da alcuni imam a messa
Il 26 luglio 2016 sarà ricordato per la barbara uccisione di padre Jacques Hamel da parte di un soldato dell’esercito dello Stato islamico. Domenica 31 luglio 2016 sarà ricordata come il giorno in cui alcuni musulmani sono entrati nelle chiese di Francia e Italia per mostrare solidarietà ai cristiani. I giorni successivi saranno ricordati per l’acceso dibattito scaturito da questa presenza pacifica che ha riportato alla superficie molti interrogativi e molti nodi irrisolti del rapporto tra cristiani e musulmani.
In Italia hanno partecipato alla funzione domenicale singole persone, ma soprattutto l’islam organizzato - legato all’Ucoii, alla Coreis e ad altre sigle islamiche – e i vari imam locali. Alcuni hanno portato i saluti, alcuni si sono fermati alla celebrazione, altri hanno voltato le spalle al pulpito mentre veniva letto il Vangelo, altri hanno scambiato il gesto di pace, altri ancora hanno recitato il Corano. Ed è proprio questo ultimo punto che ha scatenato una diatriba sia sulla liceità di far recitare il testo sacro dell’islam in una Chiesa, ma soprattutto sui contenuti dei versetti e delle sure recitate, prima fra tutte la sura Aprente del Corano considerata e spesso definita il Padre Nostro dell’islam.
La sura in questione recita come segue“In nome di Allah, il Compassionevole, il Misericordioso, La lode [appartiene] ad Allah, Signore dei mondi, il Compassionevole, il Misericordioso, Re del Giorno del Giudizio, Te noi adoriamo e a Te chiediamo aiuto, Guidaci sulla retta via, la via di coloro che hai colmato di grazia, non di coloro che [sono incorsi] nella [Tua] ira, né degli sviati”. Il problema sollevato risiede nell’interpretazione dell’ultimo versetto che secondo alcuni si riferisce prima ai musulmani che seguono la retta via e in successione agli ebrei e ai cristiani, mentre secondo altri non avrebbe tale significato.
Che il versetto sia controverso lo dimostra l’Unione delle Comunità e delle Organizzazioni islamiche in Italia, il cui presidente ha assistito alla celebrazione nel Duomo di Firenze e i cui membri erano presenti nelle Chiese italiane domenica scorsa.
Nella versione online della sura il versetto viene commentato solo per quanto concerne la prima parte. Vi si spiega che “in questo ultimo versetto è contenuta l'affermazione che già prima della rivelazione del Corano la misericordia dell'Altissimo era operante tra gli uomini, producendo comportamenti fortemente illuminati dalla fede e guidati dal timor di Allah (gloria a Lui, l'Altissimo). Secondo un commento di Ibn 'Abbas (che Allah sia soddisfatto di lui) "coloro che hai colmato dei Tuoi doni" sono i Sinceri (siddiqûn), quelli che hanno avuto il martirio testimoniando la fede (shuhadâ.), i Devoti (salîhûn)”.
Ma nella versione a stampa della “traduzione interpretativa in italiano a cura di Hamza Piccardo, revisione e controllo dottrinale Unione delle Comunità ed Organizzazioni Islamiche in Italia – UCOII”, pubblicata 2004 dalla Newton & Compton, il commento è di tutt’altro tono e spiega, ad esempio, l’espressione “coloro che [sono incorsi] nella [Tua] ira” come segue: “Tutta l’esegesi classica, ricollegandosi fedelmente alla Tradizione, afferma che con questa espressione Allah indica gli ebrei (yahud). A questo proposito sarà bene precisare che nel Corano troviamo tre diversi modi di identificarli:
1) Bani Isra’il […]; 2) quelli che si sono giudaizzati e cioè quelle popolazioni diverse dai discendenti di Giacobbe che hanno abbracciato la religione israelita; 3) yahud e cioè i portatori di una pratica antispirituale e antitradizionale che usa la religione per scopi di potere e che Allah ha condannato con grande severità”.
Segue la spiegazione che riguarda i cristiani: “Gli sviati sulla base di alcuni ahadithautentici dell’Inviato di Allah, l’esegesi classica ritiene che costoro siano da identificare nei cristiani che accentando il dogma trinitario si sono allontanati dalla purezza monoteista.”
E’ evidente ed è ormai risaputo che la grande differenza tra islam e cristianesimo riguardi proprio la Trinità e l’impossibilità di considerare Gesù figlio di Dio, ma questo punto non riguarda certo quanto è accaduto domenica. Ebbene, Wael Faruq, intervistato da Il Sussidiario, ha sottolineato a ragione che “il problema non è che cosa dice il Corano, bensì come capiamo il Corano”.  Quel che importa è quindi è l’interpretazione che viene presentata e la versione a stampa del Corano dell’Ucoii conduce all’interpretazione che oggi viene negata.
Anche il versetto 62 della seconda sura parrebbe dimostrare un’apertura dell’islam verso l’altro quando recita: “In verità, coloro che credono, siano essi giudei, nazareni o sabei, tutti coloro che credono in Allah e nell'Ultimo Giorno e compiono il bene riceveranno il compenso presso il loro Signore. Non avranno nulla da temere e non saranno afflitti”, ma ancora una volta il commento dell’Ucoii smentisce l’apertura: “Non si potrà utilizzare questo versetto per rivendicare una sorta d atteggiamento di tipo irenistico o, peggio ancora sincretista, da parte della dottrina islamica. Tutta l’esegesi afferma che esso si riferisce a quelli che vissero prima della rivelazione del Corano e della missione profetica affidata a Muhammad. Non c’è nessuna alternativa alla piena sottomissione dell’uomo al suo creatore. Ciononostante il versetto stabilisce tolleranza e rispetto per i seguaci di un culto monoteista […]”.
Nel commento si fa riferimento a un altro versetto in cui si legge: “Chi vuole una religione diversa dall’islam, il suo culto non sarà accettato e nell’altra vita sarà tra i perdenti” (Corano III, 85) che viene così illustrato: “Questo versetto stabilisce inequivocabilmente che dopo la rivelazione del Corano e la predicazione di Muhammad il solo culto che Allah accetterà sarà quello islamico.” Sono numerosi i commenti simili a quelli appena riportati nel Corano supervisionato dall’Ucoii, che è il più venduto, il più diffuso anche tra i convertiti.
Non v’è dubbio che questa interpretazione non corrisponda a quella diffusa dalla Coreis oppure a quella data da musulmani non appartenenti all’islam politico, ma a questo punto serve fare chiarezza, serve promuovere un’interpretazione in sintonia con la gravità del momento che stiamo vivendo e che promuova il rispetto dell’altro a trecentosessanta gradi. La traduzione interpretativa dell’Ucoii sin dalla prima edizione ha subito delle modifiche ed è stata epurata dai commenti marcatamente antisemiti e anti-occidentali, ma oggi dovrebbe forse essere totalmente ripensata e riscritta soprattutto nella parte interpretativa che ancora nell’edizione del 2004 recava un capitolo dedicato al jihad in cui si legge: “Quando la Comunità dei musulmani è aggredita, minacciata oppressa o perseguitata, i credenti hanno il dovere di combattere esercitando il loro diritto-dovere alla legittima difesa”.
Ha ragione Farouq quando afferma che “ci sono tanti buoni e grandi studiosi accecati dalla rabbia, dall’odio e dalla paura che fanno involontariamente pubblicità all’ideologia dell’Isis. In questo modo, i milioni di musulmani che vivono qui si trovano in mezzo a due fuochi: la propaganda dell’Isis e le tesi di questi studiosi che convergono sulla stessa idea, cioè che la violenza sia parte dell’identità dell’islam. Questa convergenza di vedute è il più grande favore che facciamo all’Isis”, ma al tempo stesso ci sono anche interpretazioni del testo coranico che vanno nella stessa direzione e sono ugualmente da evitare. Ancora una volta responsabilità e onestà dovranno prevalere per avviare un vero dialogo in nome del rispetto e della sacralità della vita di tutti. 
di Valentina Colombo 04-08-2016

I musulmani a messa
Parroco spiega la messa a islamica. E lei va altrove
di Andrea Zambrano
04-08-2016

Per i i giornali l’occasione era troppo ghiotta titolare: “Islamica a messa rifiutata dal parroco”. Roba da disegnarci la prima pagina del lunedì. E infatti a Cremona, la Provincia c’è riuscita a titolareMusulmana “respinta” a messa, ma accolta dall'altro parroco. Le virgolette davano già il senso dell’operazione truffaldina. Perché infatti l’articolo, firmato da Mauro Cabrini raccontava una storia di buon senso, unito alla saggezza tutta cattolica di dare ragione della propria speranza che ormai abbiamo dimenticato.
La scena è quella standard degli imam alla ricerca di una messa per domenica 31 luglio. A Cremona una giovane islamica contatta il parroco di Sant’Imerio. “Vorrei venire a portare la mia testimonianza di pace alla messa domenica, per dire che l’islam non è terrorismo”. Il parroco l’ha squadrata per bene, ma non l’ha rifiutata affatto. Le ha parlato. Come un pastore parla ad ogni pecorella. E le ha spiegato il significato della messa affinché fosse consapevole dell’inutilità e dell’inopportunità della sua presenza.
La ragazza, per nulla offesa, a quel punto ha deciso di recarsi in un'altra chiesa, a San Michele dove il parroco l’ha accolta a braccia aperte senza neanche conoscerla e l’ha salutata dall’altare al termine della celebrazione.
Ovviamente, per quanto l’articolo fosse rispettoso delle opinioni di don Giuseppe Nevi, è intuibile immaginare da che parte stesse il giornale: dalla parte del parroco buono, mentre l’altro, quello cattivo che ha respinto con le virgolette la ragazza, sarebbe il cattivo.
Ma le cose stanno davvero così?
Don Nevi ha raccontato al giornale della sua città quanto ha detto a quella donna. “Il mio non è stato un rifiuto – ha spiegato – e nemmeno un atto di esclusione. La mia volontà era quella di farla riflettere per capire, prima di compiere un gesto come quello, che cosa significa essere cristiani e che cosa significa essere musulmani. Così quando mi ha telefonato annunciandomi la sua intenzione, l’ho invitata ad una riflessione. Ma non le ho detto no, non venire”. Già, che cosa le ha detto? “Prima rifletti, poi decidi e la scelta di non venire alla fine è stata sua”. Versione confermata dalla stessa ragazza.
Proprio come Gesù ai discepoli di Emmaus, ha snocciolato il succo del discorso: “Le ho spiegato che la messa non è un incontro e nemmeno un’assemblea. Non ci si trova per caso o semplicemente per stare insieme. La messa è partecipazione al sacrificio di Dio che si è fatto carne ed è morto in croce, una partecipazione non riconosciuta dall’Islam. Ed è proprio sulla base di questa differenza sostanziale che ho ritenuto e ancora ritengo che la manifestazione di solidarietà organizzata dalla comunità islamica andasse sviluppata fuori dalle nostre chiese. Non dentro. Diversamente sarebbe stato ed è stato un atto poco rispettoso del nostro e del loro credo. E per questo non ne capisco il senso”.
Ma don Nevi è andato oltre il semplice catechismo. “Perché venire in chiesa? Secondo quale convinzione quando sanno di non riconoscere il sacrificio che invece noi celebriamo? Diversamente, se decidessero di venire in chiesa perché riconoscono il nostro credo allora a quel punto mi viene da pensare che sarebbe normale convertirsi. La vicinanza si può dimostrare in altro modo”.
Chapeau. Nella babele di versioni trite e ritrite all’insegna del dialogo qualunquista, questo sacerdote ha mostrato una serie di virtù tale da far impallidire un manuale di filotea. Ha evangelizzato, ha dato ragione della sua speranza, ha custodito il bene perfetto e sommo della messa perché nulla andasse perduto. E lo ha fatto con quelle tanto strombazzate armi del dialogo, che permettono ad un uomo di farsi conoscere, rispettare e ascoltare.
In tempi dove tutto è scontato e deprezzato al gran mercato del volemosebbene e dell’annacquamento delle identità, don Nevi non si è sottratto ad un compito faticoso, ma richiesto proprio ad ogni battezzato: difendere la verità nella carità. Ovviamente per il mainstream questo prete è retrogrado e oscurantista. Più facile non avere grane con giornali e vescovadi e allinearsi al pensiero più conveniente. Tentare di evangelizzare come un novello San Francesco col sultano, poi, men che meno. Meglio non rischiare. 
Come ha fatto il suo vescovo Antonio Napolioni, che ieri è intervenuto nella vicenda. Chi ha ragione tra i due sacerdoti? "Entrambe sono posizioni legittime perché sono state spiegate le ragioni - ha detto - ma le nostre chiese sono aperte, noi non chiediamo nè passaporto nè carta di identità, dobbiamo costruire ponti e non muri. L'iniziativa è stata positiva e spero che si ripeterà". 
Ma se mai questa ragazza un giorno dovesse seriamente interrogarsi su quel confronto e approdasse ad una conversione, dovrebbe ringraziare questo anacronistico pastore. Che forse, a differenza di tanti altri, le ha usato davvero misericordia, perché non si è accontentato di esaudire una pretesa, ma è andato al cuore di un’esperienza che anche lei potrebbe vivere. 
http://www.lanuovabq.it/it/articoli-parroco-spiega-la-messa-a-islamica-e-lei-va-altrove-17005.htm

Islamici alla S. Messa, qualche appunto

di Amicizia San Benedetto Brixia

Bagnasco ha difeso la presenza dei musulmani nelle chiese, giudicandola una manifestazione positiva di dialogo da parte dell’Islam moderato. Come commentare? Io reputo, da opinionista più che da teologo, che certi segni siano sconvenienti in questo periodo storico. Il rischio di svilire i sacramenti cristiani, di banalizzare la simbolica liturgica, di profanare la sacralità cattolica, di confondere il pregiudizio islamico, di inebetire il Popolo di Dio, di stanziare su di una retorica sterile e insignificante è troppo alto.

Svilire i sacramenti cristiani: la Santa Messa diviene un siparietto cui chiunque può accedere, spinto da ragioni ideologico-politiche - tutte da verificare - anziché mistico-spirituali.

Banalizzare la simbolica liturgica: come avvenuto nelle chiese in cui ai musulmani è stato distribuito del pane comune, inevitabile debosciamento dell’adorazione eucaristica, già cronicamente in crisi nei post-moderni - e già era azzardato consentire l’accesso indifferente al cospetto del Mistero supremo.

Profanare la sacralità cattolica: come avvenuto nelle chiese in cui i musulmani hanno intonato versetti coranici, ad onta dell’annuncio sacro delle Scritture che in ambito liturgico realizzano la comunicazione stessa dello Spirito Santo e dell’unico Dio Trinità - e rimane sciocco far leva sulla Messa anche solo per dar voce ai proclama di pace, quasi che la Messa debba piegarsi a funzioni educative da libro Cuore, anziché concentrarsi sulla glorificazione divina e sulla santificazione dei battezzati.

Confondere il pregiudizio islamico: per la quasi totalità degli islamici il gesto domenicale è un segno di arrendevolezza cristiana, per molti di apostasia.

Inebetire il Popolo di Dio: il popolo cristiano è già confuso, lacerato e disorientato, non può che uscire ulteriormente confuso e debole dalle pantomime filo-coraniche; per molti parrocchiani la pace sociale stornata a suon di chiacchiericci precede e a tratti sostituisce l’adorazione cultuale nel suo assoluto valore a pro dell’eterno e della storia.

Stanziare su di una retorica sterile e insignificante: quale frutto avrà questo gesto fantoccio? In che modo muoverà i cuori dell’Islam conquistatore? Che frutti può portare la sottomissione dei codici liturgici ai codici retorici dello spettacolo?

Mi pare che tali episodi realizzino l’appiattimento della Divina Liturgia su quei piani sociologici vagheggiati teoreticamente da Paolo VI, riformati da Benedetto XVI alla luce degli abusi, rinnovati da Francesco sull’onda di opinabili entusiasmi,la cui intentio profundior non è cattiva, ma la cui realizzazione si rivela viepiù dannosa per il senso liturgico, l’educazione spirituale e sociale dei christifideles, l’autocomprensione della Catholica, l’evangelizzazione degli acattolici.

Peraltro non mi scandalizzo per l’evento in sé, molte sono le occasioni in cui le chiese accolgono degli acattolici, ma si tratta sempre di occasioni diplomatiche, in cui essi partecipano da ospiti ossequiosi e ai quali non si piega in nulla la liturgia; piuttosto la denuncia fondamentale che svolgo è quella di aver frainteso il contesto comunicativo (siamo nell’eone sbagliato per certe cose) e di aver reso ambiguo, quando non pernicioso, il gesto in sé plausibile, piegando l’identità della liturgia ad una funzione civica. Direi che l’atto rischia di essere liturgicamente contro-natura, mentre il messaggio mediatico rimbalzerà in modo capovolto

Cosa si poteva proporre? Io avrei proposto un momento di preghiera extra-liturgico, possibilmente in una piazza pubblica e alla presenza dei governanti(hanno il coraggio di esserci solo quando c’è da sposare gli omosessuali? Credo di no). D’altra parte avrei comandato al clero di celebrare Messe di riparazione e di conversione, giusta gli appositi rituali.

L’imbarbarimento liturgico ha già prodotto fin troppi danni, di qui i fondamentalisti e di lì i nichilisti, a che giova perpetuare tale massacro dei riti? Forse si pensa che quanto non seppero operare le sacre liturgie della Tradizione, col fare posto a Dio, lo realizzeranno i nostri improvvisati mezzo-culti da cinepresa, col fare spot agli uomini? Con tutto il rispetto per mons. Bagnasco, cui va la mia costante venerazione e stima, ne dubito fino a prova contraria.
http://www.campariedemaistre.com/2016/08/islamici-alla-s-messa-qualche-appunto.html





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