Un fronte cattolico contro Francesco
“Inaccettabile dire che l’islam non c’entra nulla con l’estremismo”
Papa Francesco in Udienza generale del mercoledi in Vaticano (foto LaPresse)
“Quindici anni dopo gli attacchi dell’11 settembre e dieci anni dopo il discorso di Papa Benedetto XVI a Ratisbona, Papa Francesco ha ottenuto il consenso delle elite laiche in relazione alla minaccia del terrore jihadista”. Così il Catholic Herald inizia il racconto della posizione di Papa Francesco in materia di terrorismo, espressa durante il suo viaggio alla Giornata Mondiale della Gioventù di Cracovia. “Il Santo Padre ha parlato sull'aereo di padre Hamel come uno dei molti cristiani uccisi in questa ‘guerra mondiale frammentaria’. Immediatamente consigliato da don Antonio Spadaro, direttore della Civiltà Cattolica e portavoce de facto del Santo Padre, sul fatto che ciò potrebbe essere interpretato come se l'Islam stesse muovendo guerra al cristianesimo, il Santo Padre è tornato sull’argomento con i giornalisti e ha provocato un’ulteriore spaccatura, insistendo che le guerre non sono mai causate dalla religione. Un tema sul quale è ritornato anche durante il viaggio di ritorno: ‘Non esiste un fenomeno come la violenza islamista più di quanto una violenza domestica in Italia costituisce una violenza cattolica’. ‘Esistono persone [islamiche] violente... questo è vero: io credo che in quasi ogni religione c'è sempre un piccolo gruppo di fondamentalisti. Fondamentalisti anche noi li abbiamo’.
Non è chiaro se Papa Francesco parlasse in riferimento alla storia o all’attualità, ma in quest'ultimo caso non vi è alcuna evidenza di integralisti cattolici violenti che agiscono ovunque nel mondo. Ciò che il capo della Chiesa cattolica suggerirebbe è semplicemente eccezionale”.
Roma. Il Catholic Herald, settimanale inglese, torna sulla conferenza stampa aerea di Francesco di ritorno da Cracovia e plaude al fatto che la stampa laica ne abbia dato poco conto (almeno fuori dai confini italiani). “Forse, la novità sta scemando”, ha scritto nel suo editoriale padre Raymond de Souza, “e questo è un bene”. Anche perché il contenuto di quella riflessione a braccio è preferibile venga dimenticato al più presto, si legge in coda al commento: “E’ meglio che l’ultima parola (sul tema, ndr) non venga detta da Cracovia, una millenaria città di martiri, ignorando così i loro compagni contemporanei”. A giudizio del Catholic Herald, nel comportamento del Pontefice in realtà non v’è nulla di nuovo, ma si può intravedere “la replica del suo primo viaggio all’estero, per la Giornata mondiale della gioventù a Rio de Janeiro nel 2013, quando la stupenda occasione fu completamente coperta da quanto il Papa disse a bordo dell’aereo che lo riportava a Roma, e cioè dal motto non ufficiale del pontificato, ‘chi sono io per giudicare?’”.
ARTICOLI CORRELATI Come si può negare la verità? Il Papa e lo scandalo di quel perché senza risposta Dio ama le donne Due omicidi sono pochi, ma sui fondamentalisti cattolici il mullah Bergoglio ha ragione Il Papa: "Se parlassi di violenza islamica dovrei parlare anche di quella cattolica" La pace del dio denaroE’ lo stesso di quanto detto qualche giorno fa, scrive De Souza, solo che stavolta non ci sono di mezzo coppie omossessuali da legittimare, bensì preti sgozzati ai piedi dell’altare, mentre celebravano la messa. Il martirio dimenticato, insomma. Che poi è quello di padre Jacques Hamel, cui il Papa non ha dedicato più di qualche parola, lasciando stupefatto l’opinionista del periodico inglese. Ma a colpire, più che altro, è la chiara volontà vaticana – per prudenza diplomatica più che per convinzione reale che il fanatismo islamista sia paragonabile al fondamentalismo cattolico che si vedrebbe all’opera nell’uccisione di fidanzate forse infedeli e di suocere di sicuro invadenti – di evitare ogni riferimento alla causa che sta all’origine dei massacri di Nizza, Rouen (solo per citare gli ultimi episodi eclatanti), e cioè l’islamismo. Che non è l’islam, come frettolosamente sentenziano i tribuni del politicamente corretto, bensì la deriva politico-ideologica di quella religione, come da tempo vanno denunciando imam illuminati e perfino la massima autorità sunnita del mondo arabo, il Grande imam di al Azhar, che dopo l’assassinio di padre Hamel ha parlato della necessità di “combattere l’estremismo nella religione”.
Il concetto l’ha ben chiarito un islamologo di fama, qual è il professor Abdel-Hakim Ourghi, direttore del dipartimento di Teologia islamica all’Università di Friburgo. “Nelle affermazioni del Papa rilasciate in aereo si percepiscono le tracce dell’umiltà di un capo religioso che non assume arie di superiorità e non condanna un’altra religione monoteistica”, dice Ourghi, che trova “lodevole e amabile” il non marchiare l’islam alla stregua d’una religione terrorista e incline alla violenza. Però, sottolinea l’intellettuale all’agenzia tedesca Kna, “ci sono molti islamisti che si rifanno a ben precise sure del Corano e alle azioni politiche intraprese dallo stesso Maometto, interpretandole come istruzioni dirette da eseguire”. Negarlo, aveva detto al Foglio il decano dei giornalisti libanesi, Issa Goraieb, una vita passata a scrivere di guerre di religione vere o presunte, “è fare come gli struzzi, che mettono la testa sotto la sabbia per non vedere la realtà”. Realtà che poi, aggiungeva Ourghi, è anche quella di giovani nati e cresciuti in Europa che scendono in piazza con convinzione manifestando per difendere “gli interessi di un tiranno” qual è Recep Tayyip Erdogan. “Hanno sostenuto un dittatore, l’islam e il nazionalismo”, per cui, chiosava, “non è più accettabile dire che l’islam non ha nulla a che fare con l’estremismo o che gli estremisti non sono musulmani”.
di Redazione | 05 Agosto 2016 ore 11:00
Papa Francesco studi la storia degli yazidi per capire che la guerra di religione esiste
Due anni fa Nadia Murad e altre migliaia di donne furono catturate, torturate e stuprate dagli islamisti dello Stato islamico. Nel dicembre del 2015 è stata invitata dal Consiglio di sicurezza dell’Onu. Da quel giorno chiede di gridare allo scandalo, di non coprirsi gli occhi, di non girarsi dall’altra parte quando si descrive l’orrore di una guerra di religione
La fuga del popolo yazida dalla Siria (Foto LaPresse)
di Claudio Cerasa | 05 Agosto 2016 ore 06:26 Foglio
Nadia Murad è una ventiduenne irachena di religione yazida e due giorni fa ha rilasciato una meravigliosa intervista al Time per ricordare la sua storia, due anni dopo una data drammatica che dovrebbe essere scolpita nella memoria di chi nega che quella di oggi sia una guerra di religione: quattro agosto del 2014. Nadia Murad, nell’agosto di due anni fa, fu una delle cinquemila donne rapite dai soldati dello Stato islamico. In quella notte, nel nord dell’Iraq, nella regione di Sinjar, vennero rapiti 6.140 yazidi infedeli e a ognuno di loro venne data una possibilità di salvezza: convert or die, convertiti o muori.
Nadia Murad
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In quella notte migliaia di donne furono catturate dagli islamisti e Nadia Murad, come tutti gli altri, era parte del bottino di guerra. Fu torturata e stuprata. Vide morire con i propri occhi sua madre e i suoi sei fratelli. Dopo qualche mese venne trascinata a Mosul con altre 150 giovani della sua età. A tutte venne imposto il cambio di religione (ma non è una guerra di religione). Le donne vennero ancora stuprate fino a perdere i sensi. Ai bambini, che Nadia ricorda fossero più di mille, venne fatto il lavaggio del cervello per farli diventare futuri guerriglieri. In tutto, in quei giorni, gli yazidi rapiti e ridotti in schiavitù furono circa 10 mila. Dopo tre mesi, Nadia riuscì a scappare dall’inferno costruito su misura dallo Stato islamico contro un popolo infedele. E’ arrivata in Germania, a Stoccarda. Nel dicembre del 2015 è stata invitata dal Consiglio di sicurezza dell’Onu. Da quel giorno si è trasformata nella Ayaan Hirsi Ali del suo popolo. Chiede di gridare allo scandalo, di non coprirsi gli occhi, di non girarsi dall’altra parte quando si descrive l’orrore di una guerra di religione. Una guerra che qualcuno vuole negare, minimizzare, ridurre a semplice follia inspiegabile, magari generata da un mondo drogato dai vizi del dio denaro, ma che purtroppo esiste e che è ben rappresentata dalla storia di Nadia Murad: una donna che crede nella propria religione e che ha rischiato la propria vita perché considerata infedele da chi combatte in nome di un’altra religione.
Nel novembre del 2015 Sinjar è stata liberata dall’Isis dai peshmerga curdi e dai soldati iracheni sostenuti dall’aviazione americana ma nonostante questo i massacri non sono finiti. Poco più di un mese fa diciannove yazide sono state bruciate vive dentro una gabbia di metallo a Mosul, capitale del Califfato in Iraq, per essersi rifiutate di concedersi come schiave sessuali ai combattenti dell’Isis. Nel 2014 ci fu molto clamore per il massacro di Sinjar. Due anni dopo Nadia denuncia un silenzio scioccante. Che riguarda un mondo islamico che non riesce a essere compatto di fronte ai massacri commessi in nome dell’islam – per i wahabiti gli yazidi sono apostati, per i sunniti sono adoratori del diavolo. Che riguarda una parte del mondo femminista che in nome dell’islamicamente corretto ha rinunciato a essere compatto nella condanna degli abusi perpetrati sulle donne nel nome dell’islam. Che riguarda anche un occidente silente che riducendo la guerra di religione a un problema legato al disagio sociale non aiuta le Nadia Murad a realizzare il proprio sogno: non restare in silenzio di fronte all’orrore. Nadia Murad ha chiesto di incontrare il Papa. E chissà che guardando negli occhi di Nadia, Francesco non si renda conto che la guerra in corso è contro tutte le religioni infedeli, contro le quali combatte un esercito che uccide non in nome dell’odio per il capitalismo ma in nome di alcuni versetti del Corano. Ci vuole una Nadia in Vaticano, per dimostrare che chi guida la chiesa non ha intenzione di rimanere in silenzio di fronte agli orrori del nuovo totalitarismo. Un secolo fa, gli yazidi di Sinjar salvarono migliaia di cristiani mentre venivano massacrati dalle forze turche ottomane. Oggi tocca a noi.
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