Farisei luterani
Guardatevi dal lievito dei farisei, che è l’ipocrisia (Lc 12, 1).
Ipocrita, in greco, significa attore. Qualcuno che recita una parte. C’è chi recita scrupolosamente una parte scritta, trasmessa dai testi antichi, senza aderirvi pienamente e rimanendo così estraneo al mistero. C’è pure chi improvvisa la sua parte sostenendo che si tratterebbe di quella originale (che la tradizione dei dottori avrebbe deformato), non si sa come ritrovata intatta da pretesi “riformatori”. Ma chi si oppone alla forma in nome di una ri-forma costruita su misura cade nello stesso errore: il formalismo di un pensiero che ingabbia la trascendente realtà divina. Ogni discorso su Dio – che si vada in senso integralista o in senso modernista – si dissolve così in un nominalismo astratto in cui si gioca con le parole, dimentichi della realtà effettiva.
Poco importa che l’apparenza della nuova forma si presenti volutamente informe: sotto la ricercata scompostezza di una tenuta sciatta e di discorsi sconnessi, si cela infatti la ferrea determinazione di imporre un nuovo ordine globale a cui la nuova “religione” deve fungere da anima: a chao ordo, secondo il noto motto dei franchi muratori – ma si tratta di un “ordine” satanico. Così quella che è la madre di tutte le rivoluzioni, di cui si apprestano a celebrare il quinto centenario come di un evento fausto e memorabile, giunge oggi a piena maturazione grazie ai protestanti e ai giacobini che, infiltratisi nella Chiesa Cattolica, ne hanno occupato i centri pensanti e decisionali: deformando il pensiero teologico, hanno deformato gli uomini che avrebbero occupato le sedi del potere.
Il virus del soggettivismo, dopo aver fatto irruzione sulla scena europea con il principio del libero esame delle Sacre Scritture, ha attaccato il realismo metafisico e il pensiero classico in genere, sostituendo poi la dottrina morale con la teoria degli imperativi categorici dettati dalla coscienza individuale (che, giustificata per la sola fede, si ritiene esonerata dalla legge) e la dottrina politica dello Stato cristiano con l’ideologia deidiritti dell’uomo, in nome dei quali sono stati massacrati milioni di esseri umani: la lotta per la “liberazione” dei popoli ha causato i peggiori genocidi della storia e prodotto i sistemi più oppressivi di cui si abbia memoria. Ma tutto questo era ancora poco in confronto all’odierno controllo digitale e ad una sistematica deformazione delle coscienze che non è mai stata così invasiva e capillare, fino al punto di legittimare lo sterminio dei non nati.
In questo quadro, rapidamente abbozzato, si può tentare di dare una spiegazione a ciò che appare a prima vista inspiegabile: che un buffo signore, messo dagli intrighi di pochi a capo della più potente organizzazione religiosa al mondo (perché questo è quel che rimane, se si tolgon la fede e la grazia), si accanisca a demolire tutto ciò che costituisce la sua eredità millenaria e ne garantisce la tenuta perenne, trattandola da struttura meramente umana a servizio di uno scopo estrinseco. Proprio di questo tipo, in realtà, è la strategia adottata da quei liquidatori che vengono nominati allo scopo di rovinare un’impresa per farla assorbire da una società concorrente. Qui si tratta però dell’unica vera religione, che dovrebbe perdere ogni specificità esclusiva per potersi fondere con le altre ed essere asservita al governo mondiale che si sta preparando.
Bisogna pur dare atto a tale personaggio che sta recitando la sua parte con grande abilità in rapporto al fine perseguito; ultimo, in ordine di tempo, dei principali attori della forzata sottomissione della Chiesa al mondo, nell’universale silenzio con cui attonita la terra al nunzio stava – pur non essendo egli ancora morto – avanzava incontrastato nella realizzazione del programma. Quasi nessuno, fosse pure cardinale o vescovo, osava fiatare di fronte alle quotidiane, scandalose esternazioni del tiranno, finché un manipolo sparso di sacerdoti e fedeli è riuscito a forare la cappa della censura e ad ottenere un’insperata quanto gradita pubblicità dai suoi stessi avversari. Le repellenti etichette di apocalittici ultraconservatori non fanno effetto se non sui citrulli; il lettore incuriosito si precipita a verificare di persona che c’è scritto nei siti proscritti dal regime e, se non è del tutto decerebrato, è colpito da valutazioni indipendenti che non trova certo nell’informazione controllata dai magnati. Fantastico autogol, complimenti!
Non so se si può fissare una graduatoria delle migliori amicizie del nuovo profeta: se vengano prima gli ebrei dei grandi abbracci, che a tutto spiano innalzano quei muri che ossessivamente afferma di odiare tanto, o i pentecostali che, a suon di dollari massonici, strappano milioni di fedeli alla Chiesa Cattolica e pare abbiano stregato perfino lui, o i protestanti classici che, pur rivendicando assoluta fedeltà alla sola Scrittura, ammettono poi tranquillamente divorzio, aborto, sodomia, contraccezione, eugenetica e quant’altro. Certo è in compagnia di questi ultimi che, il 15 novembre dell’anno scorso, ha dato il meglio di sé, concentrando in poche, devastanti battute – sulle quali occorre ritornare il vista del prossimo 31 ottobre – una serie sbalorditiva di colossali eresie che dimostrano nei fatti, al di là delle puntigliose controversie circa la validità dell’elezione, che cotanto personaggio non gode affatto di quell’assistenza dello Spirito Santo che per divina costituzione è legata al suo ufficio.
Tralasciamo il fatto che il Papa non è un parroco: lo sa anche un bambino, c’è una bella differenza! Sorvoliamo sull’implicita ammissione di chi, visitando un carcere, si sente peccatore tanto quanto i delinquenti che vi sono rinchiusi e pensa di non trovarcisi soltanto grazie all’amore di Colui che l’ha salvato (ma che, a quanto pare, non ha salvato loro e senza il quale, quindi, saremmo tutti in galera). Evitiamo lo scoglio della pretestuosa incapacità di rispondere – da supremo garante, quale dovrebbe essere, della verità rivelata! – ad un semplice quesito dogmatico-canonico come quello dell’intercomunione, la cui soluzione è demandata all’illegittimo “magistero” parallelo dei teologi, implicitamente riconosciuto come superiore a un Magistero che non dà più risposte certe, ma instilla nella mente dei fedeli false certezze, lasciando che, sulle scelte da fare, ognuno si dia da sé la risposta che preferisce: «Vedete voi». Veniamo dunque agli aberranti dettagli.
Lasciando intendere che cattolici e luterani possano condividere la Cena del Signore, ilde quo non osa tuttavia autorizzare tale prassi perché, a suo dire, non ne avrebbe la competenza (e chi, nel caso, dovrebbe averla sulla terra, al di sopra di lui?). Il fatto è che non parliamo affatto dello stesso rito: la Messa cattolica non è la Cena protestante. Noi cattolici non ci limitiamo a ricordare e imitare la stessa cosa che ha fatto Gesù, ma partecipiamo al Sacrificio incruento con cui Egli stesso, mediante il ministro ordinato, attualizza quello cruento della Croce, in espiazione dei nostri peccati e a gloria di Dio Padre. I protestanti, non avendo il sacramento dell’Ordine sacro, mangiano un semplice pezzo di pane; noi mangiamo, sotto la specie del pane, Gesù Cristo in corpo, sangue, anima e divinità, immolato sulla Croce, risorto da morte e asceso al cielo. La presenza di Gesù nella santa Eucaristia, poi, non dipende dalle convinzioni soggettive dei fedeli, ma è un fatto oggettivo che prescinde dalla fede individuale; un protestante, di conseguenza, si illude che durante la Cena Egli sia presente nel pane (e in qual modo? Soltanto perché il fedele lo crede?). La differenza tra la Cena e la Messa non è quindi una questione dispiegazioni o interpretazioni, ma è sostanziale: quel pane è o non è, a livello metafisico, il Corpo di Cristo.
«Se abbiamo lo stesso Battesimo dobbiamo camminare insieme». Ma il Battesimo suppone la fede, e i protestanti non hanno la nostra stessa fede; è un fatto innegabile che ha una portata decisiva: camminiamo su strade diverse. Basti pensare a quello che è pur ritenuto un punto in comune: la dottrina della giustificazione per grazia; il fatto è che non abbiamo la medesima nozione né della giustificazione né della grazia. Lagiustificazione forense dei protestanti è un’idea formale che non cambia nulla nel peccatore, ma gli appiccica addosso una giustizia nominale che lo lascia com’è sul piano ontologico; la vera giustificazione è invece un reale rinnovamento dell’anima che la rende di nuovo capace di comunicare alla vita divina e la santifica nell’essere, traducendosi poi nell’agire. La grazia non è quindi una mera copertura dello stato peccaminoso che lo nasconderebbe agli occhi di Dio, ma una comunicazione della Sua stessa santità, che trasforma interiormente l’uomo che non vi frapponga ostacoli. La fede che salva non è autoconvincimento volontaristico, ma virtù teologale infusa dallo Spirito Santo in chi, acconsentendo alle Sue ispirazioni, aderisce alla parola di verità predicata dalla Chiesa. Di conseguenza, non c’è equivalenza tra chiedere perdono a Dio come fa un protestante (e ormai pure tanti cattolici ignoranti) e ricevere l’assoluzione dal sacerdote, la quale è invece indispensabile per riacquistare lo stato di grazia perso con un peccato mortale.
La diverse dottrine («parola difficile da capire»: per quale ragione? Perché non gli piace?) cattolica e protestante risultano così due lingue interscambiabili per dire chi è Gesù e che cosa ha fatto per noi, mentre le scelte morali sarebbero alla fine «un problema a cui ognuno deve rispondere». L’unica questione che conta davvero rimane il servizio dei poveri, che oscura tutto il resto della vita cristiana – compresa la Messa e il catechismo – rendendolo perfettamente irrilevante. In questa demoniaca superbia di fare il bene senza la guida della verità e l’ausilio della grazia si manifesta proprio quella «fantasia di diventare come Dio» che l’improvvisato oratore, spostando come al solito l’attenzione altrove, ravvisa invece nella volontà di erigere muri per affermare il proprio potere escludendo gli altri. Esegeticamente ineccepibile! Il racconto biblico parla piuttosto di una torre con cui l’uomo voleva toccare il cielo e farsi un nome (cf. Gen 11, 4).
Come può riconoscere chiunque abbia l’uso di ragione, un comportamento buono suppone una retta conoscenza; convinzioni errate si traducono inevitabilmente in azioni cattive. Proprio per questo nella Chiesa esiste il Magistero, mediante il quale Cristo continua a guidare e istruire il Suo popolo. Ora, come si possono considerare legittime opinioni in totale opposizione al Magistero cattolico? Due dottrine contraddittorie non possono essere entrambe vere: devono essere necessariamente vera l’una e l’altra falsa. Lo scomodo principio di non-contraddizione (uno dei fondamenti della logica, che pur ci è noto da quasi due millenni e mezzo) è allora olimpicamente cassato con quello – inedito – della diversità riconciliata, peraltro non ulteriormente spiegato. Con ripetuti calci alla ragione e alla fede, il leader mondiale che non sa rispondere alle domande più banali si è fatto effettivamente un nome mettendosi al posto di Dio e abolendo la Sua legge.
La nuova, informe forma che si vuol dare al cristianesimo corrisponde perfettamente ai criteri di quel protestantesimo liberale (accolto in casa cattolica come modernismo in tutte le sue salse) che è la somma di tutte le aberrazioni rivoluzionarie degli ultimi otto secoli (includendo quelle di catari, valdesi, spirituali, gioachimiti, hussiti e compagnia come prodromi della rivolta luterana). Non è questa la sede per una ricerca approfondita di una loro matrice comune; molti elementi fanno però propendere per quei farisei propriamente detti che oggi finanziano quelle sètte fondamentaliste che si son date il nome di free churches. Poco importa che siano dottrinalmente agli antipodi: la verità non conta nulla, è proprio la confusione che deve regnare incontrastata, in un unico, grande, ipocrita abbraccio che narcotizzi le folle, estenuate dalla crisi economica e angosciate dalla minaccia terroristica, con un’illusione di amore e di pace personificata da un’immagine mistificatoria del Santo di Assisi. Conclusione: guardatevi da questi pessimi attori.
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