DOVE SONO FINITI GLI ERETICI ?
Che fine hanno fatto gli eretici e le eresie nel mondo moderno? Quello che va dicendo il vescovo Bonny sul matrimonio omosessuale si configura come un'eresia in seno alla Chiesa cattolica perché dunque non viene condannatadi Francesco Lamendola
Il
vescovo di Anversa, Johan Bonny, discepolo di Walter Kasper, da tempo
dichiara la sua intenzione di far sì che la Chiesa cattolica si decida a
riconoscere l’amore omosessuale ed il relativo “matrimonio”. Per lui,
non solo bisognerebbe che la Chiesa sconfessasse l’enciclica di Paolo VI
Humanae vitae, riconoscendo apertamente che essa fu un errore e
che non riflette il Magistero cattolico, ma dovrebbe prendere
apertamente posizione a favore delle coppie omosessuali, troppo a lungo
discriminate e meritevoli di vedersi riconosciuto lo stesso statuto
morale e la stessa dignità che già hanno nell’ambito della legislazione
statale. Nello stesso tempo, Bonny afferma che anche i divorziati e i
rispostati dovrebbero venire riammessi a pieno titolo nella vita della
comunità cristiana. Queste cose le dice sia in alcune interviste
rilasciate alla stampa del suo Paese, sia in un libro, appena uscito
nelle librerie, sostenendo che la Chiesa dovrebbe attuare un rito
diverso, ma equivalente al matrimonio, per tutte le coppie che si amano,
indipendentemente dal sesso di coloro che le formano, purché il loro
legame presenti caratteri di stabilità, prendendo a modello la
legislazione civile.
Il fatto che a simili opinioni venga data la massima pubblicità a mezzo stampa, invece di seguire, eventualmente, la via discreta degli incontri sinodali e delle commissioni specificamente predisposte in sede diocesana per proporre delle strategie riguardo ai problemi concernenti l’etica sessuale dei credenti; e, inoltre, il fatto che un vescovo cattolico contraddica frontalmente l’insegnamento secolare del Magistero ecclesiastico, per proporre, senza mezzi termini, un suo completo e brusco rovesciamento, basato, oltretutto, non su riflessioni ispirate alla Scrittura e alla Tradizione, ma unicamente in base alla constatazione che esistono delle situazioni de facto sempre più numerose e sempre più difformi dal Magistero stesso (per cui quest’ultimo, invece di “arroccarsi” sulle proprie posizioni, dovrebbe “aprirsi” e mettersi in sintonia con le idee e le pratiche oggi prevalenti, o, comunque, ormai largamente diffuse fra i cattolici), tutto ciò la dice lunga sulle intenzioni e sulla eventuale buona fede di questo ennesimo pastore progressista e neomodernista. Ciò a cui egli mira, come i suoi simili, è imporre alla Chiesa, che lo ha eletto pastore del suo gregge, un punto di vista soggettivo e unilaterale su una questione in cui la posizione della Chiesa stessa è, ed è sempre stata, ben netta e definita, rovesciandola addirittura.
Il fatto che a simili opinioni venga data la massima pubblicità a mezzo stampa, invece di seguire, eventualmente, la via discreta degli incontri sinodali e delle commissioni specificamente predisposte in sede diocesana per proporre delle strategie riguardo ai problemi concernenti l’etica sessuale dei credenti; e, inoltre, il fatto che un vescovo cattolico contraddica frontalmente l’insegnamento secolare del Magistero ecclesiastico, per proporre, senza mezzi termini, un suo completo e brusco rovesciamento, basato, oltretutto, non su riflessioni ispirate alla Scrittura e alla Tradizione, ma unicamente in base alla constatazione che esistono delle situazioni de facto sempre più numerose e sempre più difformi dal Magistero stesso (per cui quest’ultimo, invece di “arroccarsi” sulle proprie posizioni, dovrebbe “aprirsi” e mettersi in sintonia con le idee e le pratiche oggi prevalenti, o, comunque, ormai largamente diffuse fra i cattolici), tutto ciò la dice lunga sulle intenzioni e sulla eventuale buona fede di questo ennesimo pastore progressista e neomodernista. Ciò a cui egli mira, come i suoi simili, è imporre alla Chiesa, che lo ha eletto pastore del suo gregge, un punto di vista soggettivo e unilaterale su una questione in cui la posizione della Chiesa stessa è, ed è sempre stata, ben netta e definita, rovesciandola addirittura.
Questo
è solo un esempio, riguardante una questione specifica; potremmo farne
altri venti o trenta; potremmo farne addirittura a centinaia, perché,
negli ultimi anni, ogni vescovo e ogni sacerdote si sentono autorizzati
non solo a professare, ma anche a diffondere, e con la più ampia
pubblicità possibile, le loro personali opinioni sui temi più disparati,
senza minimamente curarsi se siano conformi alla dottrina cattolica,
così come è formulata nel Catechismo: vedi quel don Armando Trevisiol
che, a Mestre, diffonde in un giornaletto di 5.000 copie il suo “sì” ai
preti sposati e alle donne sacerdote. Senza contare che, dal famoso
Catechismo olandese del 1966, le singole Conferenze episcopali possono
anche prendersi il lusso di dare alle stampe un “loro” catechismo,
incurante del Magistero e senza domandare la preventiva approvazione del
Papa, allo scopo preciso di esercitare una pressione per modificare,
nel senso da loro desiderato, la dottrina stessa. Per fortuna, non tutti
i vescovi e i sacerdoti si lasciano tentare da questa nuova tendenza;
però essa esiste, e il numero di quanti lo fanno cresce continuamente,
come se la Chiesa fosse diventata una repubblica assembleare, nella
quale il Magistero viene deciso e modificato attraverso la prassi di
forzare continuamente i contenuti pastorali, e, in ultima analisi, anche
quelli dottrinali, nel senso desiderato dalla sempre più potente
fazione modernista, che, specialmente sotto l’attuale pontificato, si
sta prendendo una vera e propria rivincita storica sulla scomunica di
Pio X del 1907, riproponendo, in forma ancor più esasperata ed
estremista, tutte le principali tesi dei vari Loisy, Tyrell, Buonaiuti,
Laberthonnière.
La domanda che sorge spontanea è la seguente: che
fine hanno fatto gli eretici e le eresie, nel mondo moderno? Quello che
va dicendo il vescovo Johan Bonny, ad esempio, si configura, sì o no,
come una eresia in seno alla Chiesa cattolica, aggravata dallo scandalo
dato ai fedeli e dal disprezzo mostrato nei confronti del Magistero,
unitamente alla pretesa arrogante di poterlo modificare a piacimento,
secondo gli indirizzi e le tendenze prevalenti nella società
contemporanea? A noi sembra che sia così, secondo ogni evidenza e secondo il puro e semplice buon senso. Se eretica
è una dottrina che contraddice, in modo esplicito o implicito, la
verità soprannaturale presente nella Rivelazione, che la Chiesa ha solo
il compito di tramandare e preservare, e giammai il potere di modificare
a propria discrezione, allora le affermazioni del vescovo di Anversa si
pongono come oggettivamente eretiche. Perché, dunque, non vengono
condannate, o, per lo meno, costui non viene ammonito? Come mai, a
partire dal Concilio Vaticano II, a subire le censure ecclesiastiche
sono solo quanti si pongono a difesa della Tradizione – che, come è
noto, è, insieme alla Scrittura, il pilastro su cui si regge la divina
Rivelazione, e non una “tradizione” puramente umana, con la lettera
minuscola, soggetta al mutare dei tempi? Come mai monsignor Lefebvre
venne invitato a ravvedersi e poi scomunicato, pur non avendo preteso
d’introdurre alcuna novità dogmatica o pastorale, mentre i numerosi
pastori alla Bonny sono lasciati liberi di diffondere dottrine erronee e
tali da causare turbamento e confusione tra le pecorelle del gregge che
era stato loro affidato perché lo proteggessero e lo custodissero nella
verità eterna del Vangelo?
Il
problema, crediamo, risiede, ancora e sempre, nel Concilio Vaticano II,
e, ancor più, nella interpretazione parziale e tendenziosa che è stata
data ai suoi documenti, e soprattutto nella prassi molto, troppo libera,
che, da allora, si è instaurata, a livello di base, nelle singole
diocesi e nelle singole parrocchie, e anche nelle Conferenze episcopali:
una prassi tendenzialmente anarchica, irrispettosa della Tradizione e
animata dalla orgogliosa convinzione che, se un determinato cambiamento è
ispirato alle ideologie progressiste, esso ha il diritto di “passare” e
di ottenere, alla fine, un riconoscimento dall’alto; e che qualunque
forma di pressione è giustificata e legittima, anzi, è perfettamente
naturale e conforme allo scopo, cioè attuare, essi dicono, la piena
comunione dei fedeli e l’amore di Dio nei loro confronti: quasi che la
Chiesa, da centinaia di anni, facesse più o meno il contrario. Tale, del
resto, è l’atteggiamento dei progressisti in qualunque ambito agiscano,
compreso quello profano: poiché si identificano nel “progresso”,
elevato al rango di bene assoluto (senza rendersi conto che anche quello
di progresso è un concetto storico, e dunque non solo relativo e perciò
opinabile, ma anche continuamente soggetto ad invecchiare), si sentono
autorizzati a guardare dall’alto in basso, con compatimento misto a
disprezzo, i difensori della tradizione, e, chi sa perché, a sentirsi
moralmente migliori e intellettualmente più onesti, se non altro perché
più vicini al “sentire comune”, e dunque interpreti più autentici della
verità.
A monte di questa forma mentis
vi è uno spirito d’irrequietezza, d’indisciplina, di agitazione; una
smania di novità e di cambiamenti; una totale assenza di umiltà e di
prudenza e una immensa carica di superbia intellettuale, accompagnata a
uno sfrenato protagonismo, sfociante, spesso, in un vero e proprio
narcisismo, come se a costoro fosse impossibile svolgere la loro
vocazione in silenzio, nell’ombra, come umili operai della vigna, ma
ciascuno di loro, al contrario, si sentisse chiamato a rivoluzionare
tutto, a illuminare le menti sprofondate nell’ignoranza (come direbbe
Galilei: a rifare i cervelli), a rivitalizzare la Chiesa per
mezzo della “autentica” interpretazione del Magistero, la quale, guarda
caso, è balenata nelle loro menti, dopo che, per due millenni, era stata
malcompresa e male applicata dalla Chiesa stessa; e come se la Chiesa
fosse solo la comunità attuale dei fedeli, insomma una cosa puramente
umana, e non comprendesse anche la Chiesa purgante e la Chies
trionfante, né fosse sorretta e ispirata dall’azione soprannaturale
dello Spirito Santo.
Il
prototipo di questo nuovo tipo di sacerdote è quel don Lorenzo Milani
che i suoi ammiratori, e i cattolici progressisti in generale, non
nominano mai senza ammantarlo di un alone di riverenza quasi mistico,
dando per cosa ovvia e scontata che egli sia stato un grandissimo e
benemerito “innovatore” nella Chiesa cattolica e che, nella penosa
controversia che lo oppose al suo diretto superiore, l’arcivescovo (poi
cardinale) Florit, tutte le ragioni fossero dalla sua parte, e tutti i
torti dall’altra; e le cui idee pedagogiche tuttora infervorano una
legione di professori universitari e liceali cattoprogressisti, quasi
che nessun pedagogista più geniale e più autenticamente evangelico fosse
mai uscito dalle file della Chiesa cattolica italiana. Al suo cospetto,
un pedagogista vero e integralmente conforme al Magistero cattolico,
come san Giovanni Bosco, scompare addirittura; nelle scuole e nelle
università si parla di lui dieci volte di meno di quanto non si faccia
per don Milani; e si passa tranquillamente sopra il fatto che don Bosco
fu sempre, in tutto e per tutto, obbediente alla sua Chiesa, anche
quando subì ingiuste critiche e persecuzioni; mentre le pretese
“persecuzioni” di cui fu oggetto don Milani nacquero dalla giusta
preoccupazione dei suoi superiori (compreso Giovanni XXIII, che lo
definiva, in privato, un “povero pazzerello che starebbe bene in
manicomio”: ma questo non lo riferiscono mai, i signori progressisti) di
porre un freno al protagonismo smodato, alla presunzione e allo spirito
di rancore sociale che sono evidenti nell’opera e nelle idee di costui,
nelle quali invano si cercherebbe quello spirito di umiltà e di mitezza
che si dovrebbero comunque ravvisare in un sacerdote che ha pronunciato
anche il voto di obbedienza. Dopo essersi recato a visitarlo nella sua
malattia, così Florit annotava nel suo diario, in data 22 marzo 1966: È
stata una conversazione concitata di oltre un’ora. Momenti angosciosi. È
un dialettico affetto da mania di persecuzione. Non preoccupazione di
santità fondata sull’umiltà, ma pseudo-santità puntata verso la
canonizzazione di se stesso. Egocentrismo pazzo; tipo orgoglioso e
squilibrato. Da parte sua, don Milani, ormai morente, in un biglietto fatto recapitare alla sua seguace Adele Corradi, testualmente diceva: Cara Adele, non ho nulla contro il Vescovo, non è colpa sua se è indemoniato…Qualcuno s’immagina san Giovanni Bosco (oppure, in un altro ambito, san Pio da Pietrelcina, che pure subì vere
persecuzioni) parlare così dei suoi superiori, e sia pure dei suoi
detrattori? Del resto, la tendenza a vedere lo zampino del Demonio
nell’azione dei difensori della Tradizione è tuttora ben viva tra le
file dei progressisti. Il teologo Enzo Bianchi, priore della comunità di
Bose e ormai ascoltatissimo in alto loco e seguitissimo dai
media, anche se non è affatto un prete e nemmeno un consacrato, ha di
recente messo in guardia contro l’azione del Maligno che si manifesterà
come spirito di resistenza contro le “riforme” di papa Francesco.
Strano; finché esisteva l’Inquisizione, i progressisti si atteggiavano a
vittime e negavano alla Chiesa il diritto di vedere nelle loro idee il
fumo di Satana; ora che si sentono forti, tornano a parlare del Diavolo –
proprio loro, che del Diavolo non parlano mai, anzi, che sono soliti
negare persino l’esistenza dell’Inferno – e attribuiscono una influenza
diabolica a quanti non sono d’accordo con la loro opera di
auto-demolizione della Chiesa, spacciata per rinnovamento. Perché il
problema, in ultima analisi, è proprio questo: vi sono delle forze
oscure e potenti, fuori e dentro la Chiesa – dentro, soprattutto – che
la vogliono distruggere, ma senza averne l’aria: che vogliono condurla
verso una strisciante apostasia dalla fede, e portarla a contraddire i
punti fondamentali della dottrina; che vogliono seminare fra i fedeli
perplessità e scetticismo, fino a disgustarli e allontanarli, in modo da
sostituire un’ottica relativista alle certezze perenni del Vangelo.
Una
Chiesa in cui non vi è più, di fatto, una autorità preposta a
sanzionare gli errori e le deviazioni dottrinali, è una Chiesa che
legalizza preventivamente ogni forma di apostasia. Una Chiesa che
sconfessa il proselitismo, come di recente ha fatto papa Francesco
durante un viaggio pastorale in Georgia, e come, prima di lui, aveva
fatto Giovanni Paolo II, a proposito dei “fratelli maggiori” Giudei, per
la cui conversione non si deve più pregare, poiché ciò sarebbe una
grave mancanza di rispetto, è una chiesa che si toglie l’ossigeno con le
proprie mani e si avvia alla consunzione. Una cosa dovrebbe essere
chiara, anche al più sprovveduto, purché in buona fede: queste posizioni
non sono in linea con la Rivelazione. Gesù non disse ai suoi discepoli:
Non parlate del Vangelo ai Giudei, per non urtare la loro suscettibilità, ma disse: Andare
predicate il Vangelo sino agli estremi confini della terra: chi crederà
e sarà battezzato sarà salvo, ma chi non crederà sarà condannato; e
san Paolo non scrisse, nelle sue lettere apostoliche, di tollerare gli
erronei insegnamenti e le interpretazioni soggettive del Vangelo, ma
disse che il Vangelo è uno solo, quello di Gesù Cristo, e che nessuna
mano d’uomo lo può modificare. Una Chiesa non può sopravvivere se
tollera al suo interno l’anarchia pastorale e teologica, e se concede a
chiunque di dire la sua a nome della “vera” interpretazione della
Rivelazione. La Chiesa cattolica, quanto alla sua componente umana, non
fa eccezione. Se Gesù non le avesse promesso la sua divina assistenza,
ci sarebbe ormai da disperare...
Dove sono finiti gli eretici?
di
Francesco Lamendola
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