La comune lotta al gender non rende Lutero “cattolicizzabile” – risposta a LaCrocequotidiano.it
Chiesa
di Giovanni Marcotullio
Chi è che gode delle liti tra cattolici e luterani
Da diverso tempo riceviamo in redazione i messaggi di lettori che, in un modo o nell’altro, portano la loro attenzione sugli sviluppi del dialogo ecumenico tra cattolici e luterani, ovvero sui suoi più vistosi epifenomeni, come la visita che il Santo Padre Francesco farà a Lund, in Svezia, il prossimo 31 ottobre. Uno di questi modi è la normale (e positiva) attenzione all’attualità culturale del mondo ecclesiale; l’altro è la disturbata preoccupazione di monitoraggio (ma direi quasi di babysitting) che una certa intellighenzia cattolica si è incaricata di fare al Romano Pontefice. Poiché con l’ultimo di questi messaggi – che proveniva da un mittente “del primo modo” – abbiamo deciso di dare una risposta, cerchiamo di farlo ora con una prospettiva più ampia e complessiva dei quesiti di volta in volta pervenutici.
Il passato e il futuro prossimi
Non fanno parte di un piano generale, ma sono certamente collegate dal punto di vista simbolico, la visita di ieri, dove i luterani tedeschi sono venuti “ad limina apostolorum”, e quella che tra due settimane porterà Papa Francesco ai confini settentrionali del mondo luterano (dunque non, strettamente parlando, nella Heimat sassone-germanica di Wittenberg o di Erfurt). La cosa è così evidente che lo stesso Pontefice, giovedì mattina, ha fatto il trait-d’union: «Alla fine di questo mese, a Dio piacendo, mi recherò a Lund, in Svezia, e insieme alla Federazione Luterana Mondiale faremo memoria, dopo cinque secoli, dell’inizio della riforma di Lutero e ringrazieremo il Signore per cinquant’anni di dialogo ufficiale tra luterani e cattolici».
Se, come abbiamo sottolineato nel nostro numero di ieri, la gesuitica e gesuana risposta del Papa a chi, in rappresentanza della delegazione, gli chiedeva chi fossero «i grandi riformatori della Chiesa» [Francesco, asciutto: «I santi», N.d.R.], era degna di riscuotere l’ammirazione e la riverenza di tutta intera l’Aula Paolo VI; nondimeno anche la distinzione verbale adottata nel saluto ai pellegrini merita di essere riconosciuta. Il Papa infatti ha detto che andrà a “fare memoria” della riforma luterana e a “ringraziare il Signore” per il dialogo tra luterani e cattolici.
Come e perché Lutero e la sua riforma siano degni di commemorazione anche da parte dei cattolici è cosa che fu illustrata a suo tempo da Benedetto XVI, il quale prendendo la parola da par suo nel monastero di Erfurt, disse: «Ora forse si potrebbe dire: va bene, ma cosa ha a che fare tutto questo con la nostra situazione ecumenica? Tutto ciò è forse soltanto un tentativo di eludere con tante parole i problemi urgenti, nei quali aspettiamo progressi pratici, risultati concreti? A questo riguardo rispondo: la cosa più necessaria per l’ecumenismo è innanzitutto che, sotto la pressione della secolarizzazione, non perdiamo quasi inavvertitamente le grandi cose che abbiamo in comune, che di per sé ci rendono cristiani e che ci sono restate come dono e compito. È stato l’errore dell’età confessionale aver visto per lo più soltanto ciò che separa, e non aver percepito in modo esistenziale ciò che abbiamo in comune nelle grandi direttive della Sacra Scrittura e nelle professioni di fede del cristianesimo antico. È questo per me il grande progresso ecumenico degli ultimi decenni: che ci siamo resi conto di questa comunione e, nel pregare e cantare insieme, nell’impegno comune per l’ethos cristiano di fronte al mondo, nella comune testimonianza del Dio di Gesù Cristo in questo mondo, riconosciamo tale comunione come il nostro comune fondamento imperituro».
Il passato remoto
Del resto è molto degno di nota che per celebrare il giubileo luterano venga invitato un Papa romano, ed è segno del disgelo culturale anche lo stesso fatto che in Germania si parli apertamente di “Lutherisches Jubiläum” (sul sito del decanato di Augusta già si legge di “Confessio-Augustana-Jubiläum”, e mancano ancora alcuni anni al 25 giugno 2030…). Se è vero, come dicono, che uno dei primi traumi del giovane monaco Martino fu la visita a Roma del 1510… ma pare che i postumi delle sbronze borgiane non avessero scandalizzato affatto il giovane monaco, e che quel non documentato aneddoto (come molto altro) sia il frutto di una ferrea agiografia luterana.
Sì, qui sta uno dei punti su cui l’ecumenismo è chiamato a riflettere la sua serena luce, senza che ne derivino (di nuovo) anatemi e scomuniche. Che verrebbero, stavolta, da parte protestante, non cattolica: il cuore della mitologia luterana, infatti, le leggendarie 95 tesi “affisse da Lutero sulla porta della cattedrale di Wittenberg”, sono probabilmente il frutto dello zelo celebrativo di Filippo Melantone. Il quale peraltro, oltre a essere l’unico autore coevo a raccontare il fatto, non arrivò a Wittenberg che un paio d’anni dopo il 1517.
Con ogni verisimiglianza, quindi, Lutero non affisse mai alcunché al portale della cattedrale. Eppure l’apertura del “giubileo luterano” insiste su questo dato, di fatto leggendario, e ne ha ben donde: è il cuore nobile della mitologia della Riforma. Peccato che sia un mito, appunto.
Le divergenze
Uno dei passi ancora incompiuti, nel processo ecumenico cattolico-luterano, è proprio il conseguimento di un “rilassamento” generale nell’attaccamento feticistico alla figura del fondatore. In fondo, contraddice la buona volontà della “lettura della continuità” con cui gli eredi della riforma luterana rifiutano di dirsi “luterani”, dal momento che il loro eponimo – stando a quanto dicono – non avrebbe mirato ad altro che alla riforma della Chiesa. Soprattutto in Italia, dove le frizioni con il mondo cattolico sono fisiologicamente maggiori per numero e per intensità, siamo ancora distanti dal traguardo.
D’altro canto, all’“anti-römischer Affekt”, inacerbito nel mondo germanico dalla Exsurge Domine (la bolla con cui Leone X scomunicò Lutero), si contrappone spesso sul versante cattolico un pregiudizio anti-protestante che – non potendosi nemmeno sostanziare con solide ragioni teologiche – finisce per non essere neanche più riconoscibile come cattolico, e diviene semplicemente espressione di un atteggiamento di vuoto campanilismo.
Allora, per venire un istante ad alcuni contenuti, ricordiamo che il papato, in sé, non fu l’oggetto diretto delle rimostranze di Lutero, né stava da principio nel mirino della sua “Riforma”. Lo si è visto l’altro ieri, coi luterani in visita “ad limina”, ma lo si vide già nel 1510, quando “ad limina” c’era venuto Lutero in persona (e con accenti commossi, secondo alcune voci che la storia ufficiale ha silenziato). Lo si vedeva pochi anni dopo quel giorno – e questi sono invece documenti solidissimi – quando Lutero scriveva all’amico/nemico Erasmo: «Almeno tu hai capito che il Papa non c’entra niente: ti dico anzi che io sarei pronto oggi ad andare a Roma a baciare la sacra pantofola [sic!], se il Papa ammettesse oggi che l’uomo non è libero». La libertà dell’uomo? Eh, sì, se ne sono scordati quasi tutti, ma uno dei tormenti di Lutero era il mistero della sinergia tra grazia e libertà umana: alcuni si salvano e altri no? E perché? E come potremo accettarlo? La speranza che a Lutero venne dal porre al centro del suo sistema la giustificazione “per sola fede” fu la molla che lo liberò dalla tormentosa immagine del Dio castigamatti – immagine idolatrica, e in ultima analisi diabolica, con cui deve fare i conti ogni credente.
Quel 23 settembre 2011, a Erfurt, Benedetto XVI tirava delicatamente le orecchie a cattolici e protestanti, nella sala capitolare dell’antico convento di Lutero: «Chi, infatti, si oggi si preoccupa ancora di questo, anche tra i cristiani? Che cosa significa la questione su Dio nella nostra vita? Nel nostro annuncio? La maggior parte della gente, anche dei cristiani, oggi dà per scontato che Dio, in ultima analisi, non si interessa dei nostri peccati e delle nostre virtù. Egli sa, appunto, che tutti siamo soltanto carne. Se si crede ancora in un al di là e in un giudizio di Dio, allora quasi tutti presupponiamo in pratica che Dio debba essere generoso e, alla fine, nella sua misericordia, ignorerà le nostre piccole mancanze. La questione non ci preoccupa più. Ma sono veramente così piccole le nostre mancanze?».
Quello del “sola fide” fu un eccesso, certamente, che condusse Lutero a un errore dottrinale. Ma i teologi hanno lavorato, e già alla vigilia del Grande Giubileo del 2000 la commissione teologica cattolico-luterana era giunta all’importante traguardo di una “Dichiarazione congiunta sulla dottrina della giustificazione”: «Con ciò – vi si legge in conclusione – le condanne dottrinali del XVI secolo, nella misura in cui esse si riferiscono all’insegnamento della giustificazione, appaiono sotto una nuova luce: l’insegnamento delle Chiese luterane [si noti che, secondo il vocabolario del Vaticano II, la nota avrebbe dovuto scrivere “delle comunità ecclesiali luterane”, N.d.R.] presentato in questa Dichiarazione non cade sotto le condanne del Concilio di Trento. Le condanne delle Confessioni luterane non colpiscono l’insegnamento della Chiesa cattolica romana così come esso è presentato in questa dichiarazione [corsivi d.R.]» (n. 41).
La teologia, però, è cosa difficile (se fatta bene) e sicuramente non è alla portata di tutti: quando essa suona come una sinfonia esoterica, è tanto più facile cedere alla tentazione di alzarsi dal banco della biblioteca e prender parte alle dispute da social sull’opportunità di questa o quella parola del Papa. Tanto è gratis e fa sentire migliori (sentirsi migliori del Papa, poi, è così gratificante…).
Quel che resta (ma davvero)
«Permangono ancora questioni – proseguiva la medesima Dichiarazione – di importanza diversa, che esigono ulteriori chiarificazioni». Nessuno si era illuso che bastasse un pezzo di carta per riparare lo squarcio aperto in mezzo millennio. Anche qui però è opportuno distinguere e soprattutto crescere, tutti, nella conoscenza della realtà storica. Ad esempio, che i luterani non credano alla presenza reale di Cristo nell’eucaristia è una caricatura della posizione di Lutero, il quale semplicemente non accettava la razionalità della categoria di “transustanziazione” nell’elaborazione dottrinale. I problemi di quella categoria, poi, erano così evidenti, fin dal suo conio, che lo stesso Tommaso d’Aquino ne uscì solo appellandosi alla categoria di miracolo (appello lecito e ragionevole, ma certo non razionale in senso scientifico). Era Melantone (sempre lui) quello che professava una “santa cena” puramente commemorativa, ma chi ha buona memoria storica ricorda che simili posizioni erano sempre esistite anche in àmbito cattolico: la polemica con Berengario di Tours, nel IX secolo, si dà proprio per questo, e gli stessi miracoli eucaristici, in tutta la storia, non avvengono soprattutto in ambito cattolico perché il Signore voglia da quei contesti bacchettare gli errori di Melantone, ma appunto perché quegli errori sono endemici fra tutti i cristiani. Né potrebbe essere altrimenti, visto che dipendono radicalmente dalla gnoseologia umana e dalla distanza che in essa intercorre tra esperienza sensoriale e atto di giudizio.
Anche sul canone scritturistico Lutero fece un grave errore, che dipendeva però dall’enfasi sulla dottrina della giustificazione e dal contesto umanistico rinascimentale che gli dava sponda: che però il canone corto non abbia una vera legittimità nel mondo cristiano è cosa oggi accademicamente riconosciuta (permangono posizioni nostalgiche, specie in Italia, come quelle del valdese Paolo Ricca, ma prive di veri sostegni); che il “sola scriptura” sia in sé una petizione di principio è chiaro a chiunque (e non mancano protestanti che chiedono l’ammissione nella comunione romana proprio dopo aver aperto gli occhi su questo: si pensi ai teologi Scott Hahn e a sua moglie Kimberly).
Dum Romæ consulitur…
Ma se dopo tutte queste considerazioni storiche e dottrinali leviamo lo sguardo e ci guardiamo intorno, torniamo ancora una volta a quella memorabile lectio di Benedetto XVI a Erfurt: «Più profonda e nel nostro Paese [parlava in Germania, e questo intende quando dice “il nostro Paese”, N.d.R.] più scottante è la […] sfida per l’intera cristianità; di essa vorrei parlare: si tratta del contesto del mondo secolarizzato, nel quale dobbiamo vivere e testimoniare oggi la nostra fede. L’assenza di Dio nella nostra società si fa più pesante, la storia della sua rivelazione, di cui ci parla la Scrittura, sembra collocata in un passato che si allontana sempre di più. Occorre forse cedere alla pressione della secolarizzazione, diventare moderni mediante un annacquamento della fede? Naturalmente, la fede deve essere ripensata e soprattutto rivissuta oggi in modo nuovo per diventare una cosa che appartiene al presente. Ma non è l’annacquamento della fede che aiuta, bensì solo il viverla interamente nel nostro oggi. Questo è un compito ecumenico centrale nel quale dobbiamo aiutarci a vicenda: a credere in modo più profondo e più vivo. Non saranno le tattiche a salvarci, a salvare il cristianesimo, ma una fede ripensata e rivissuta in modo nuovo, mediante la quale Cristo, e con Lui il Dio vivente, entri in questo nostro mondo. Come i martiri dell’epoca nazista ci hanno condotti gli uni verso gli altri e hanno suscitato la prima grande apertura ecumenica, così anche oggi la fede, vissuta a partire dell’intimo di se stessi, in un mondo secolarizzato, è la forza ecumenica più forte che ci ricongiunge, guidandoci verso l’unità nell’unico Signore».
La Svezia luterana non potrà accogliere Papa Francesco con grandi pompe, semplicemente perché lassù il cristianesimo è rimasto al lumicino. Né si può dire in modo apodittico che il protestantesimo abbia di per sé meno anticorpi contro la secolarizzazione (la galassia “evangelical” sembra attestare il contrario, e anche Benedetto XVI lo aveva ricordato, proprio un minuto prima). Queste appaiono in realtà mere questioni di speculazione filosofica, laddove è invece la cronaca a rivelarci che poteri come quelli di John Podesta, attualmente responsabile della campagna presidenziale di Hillary Clinton, sono attivamente impegnati nel foraggiamento di movimenti e organizzazioni che instillino nella Chiesa – parole di Podesta – “i semi di una rivoluzione”, e più precisamente «un’apertura a una Primavera Cattolica».
La cronaca è già diventata storia al punto da mostrare quali siano stati i risultati delle cosiddette “primavere arabe”: instabilità politica del Mediterraneo, prezzo del petrolio fuori controllo, stretta dei vincoli capestri tra gli Stati Uniti e i Paesi europei, per non spingerci fino alla ricomparsa di barlumi di guerra fredda, con la Turchia in mezzo a giocare inquietanti parti tra Nato, Europa, Usa, Russia, mondo arabo aperto e Stato islamico. Sappiamo quindi che “Catholics in Alliance for the Common Good” è un cavallo di troia per modificare la dottrina della Chiesa (nelle mail trafugate Podesta si dilunga anche sul programma, tutta roba vecchia: sacerdozio uxorato, ordinazione femminile, liceità di divorzio, aborto, rapporti omosessuali…). Puntuali inchieste come quelle di Edward Pentin, poi, hanno già mostrato che simili pressioni sono all’opera non solo nell’ambiente laicale (leggere The rigging of a Vatican Synod), e se il nome di John Podesta, insieme con quelli di Jennifer Palmieri e di John Halpin, indicano alcuni tra i maggiori esponenti dei “liberals” statunitensi, non è gettandosi a capofitto sul Gop che si otterrà qualcosa di buono. «È necessaria una terza via, tra il Cremlino e la Casa Bianca», diceva San Giovanni Paolo II negli ultimi anni della guerra fredda. Erano gli anni in cui definiva Lutero “homo religiosus” (i suoi successori non si sono mai spinti a tanto) e spendeva il meglio delle sue forze nell’animazione di quel dialogo ecumenico che ha condotto alla Dichiarazione congiunta di cui dicevo sopra.
È dunque della massima priorità che i cristiani superino la loro cronica “sindrome dei capponi”, ed è necessario che questo avvenga su più piani: anzitutto i fedeli cristiani di tutte le confessioni devono avere l’umiltà di non trincerare le proprie personali frustrazioni dietro improbabili crociate da tastiera; poi la gerarchia cattolica (e menziono solo questa perché la Chiesa romana è senza dubbio la più solida dal punto di vista strutturale) deve avere la fermezza di contrastare e reprimere le pressioni che, al suo interno, serpeggiano per introdurre «la fine della dittatura medievale e l’inizio di un po’ di democrazia e di rispetto per l’uguaglianza di genere»; infine, occorre che gli esponenti delle conferenze episcopali tengano gli occhi bene aperti sui movimenti laicali e sui partiti politici. Perché siano capaci di fare quest’ultima cosa, che avrà ripercussioni anche sulla seconda e forse persino sulla prima, occorre anzitutto che nella Chiesa si dichiari una guerra senza quartiere al clericalismo. E anche a tutte le altre “malattie ecclesiali” denunciate dall’ultimo successore di Pietro. Cui persino Lutero, a suo tempo, si disse pronto a baciare “la sacra pantofola”. Sulle “piaghe della Chiesa”, per dirla con Rosmini, l’ecumenismo è già fatto e finito.
Da LaCrocequotidiano.it
Rivista on line dell’Associazione “Voglio la mamma”
MA LUTERO RESTA NON CATTOLICO di Luigi Copertino
Egregio Giovanni Marcotullio,
mi consenta alcune osservazioni critiche al suo intervento, non privo anche di diversi apporti interessanti ed importanti, soprattutto in tema di disincanto storico della “mitizzata “ figura di Lutero. Le faccio innanzitutto notare che se, come dice Papa Francesco, «i grandi riformatori della Chiesa sono i santi», resta poi tutto da dimostrare che Lutero fosse tale. Pur rimettendo l’ultimo giudizio solo all’Eterno, non sembra che in Lutero, per quanto travaglio possa esserci stato, siano ravvisabili i crismi della santità, dato che il Lutero maturo, a differenza di un san Francesco, solo per citare un nome, rifiutò l’obbedienza perché rifiutava l’idea stessa della visibilità corporea della Chiesa gerarchica. Lei cita a supporto delle sue considerazioni l’autorità dell’attuale Papa emerito. Ma, da quanto lei riporta delle parole di Papa Ratzinger, è chiaro che Benedetto XVI, da Papa, ha a cuore l’unità dei cristiani di fronte ad un mondo votato alla desertificazione ed al nichilismo. Anche se qualche parola su quanto il protestantesimo abbia contribuito alla secolarizzazione non sarebbe guastata. Il discorso di Benedetto XVI, però, deve essere letto in questo contesto di richiamo all’unità in un mondo secolarizzato ma nulla autorizza a ritenere che egli sorvoli su quanto continua a separare cattolici e protestanti e sempre continuerà a separare se da parte protestante non si faranno passi verso un ritorno al dogma cattolico, superando gli errori di Lutero.
In qualche modo, le parole che lei ricorda di Benedetto XVI richiamano la “profezia” de “Il Racconto dell’Anticristo” di Soloviev, un anticipatore del “dialogo ecumenico”. Nel “Racconto” a resistere all’Imperatore Padrone del Mondo – in Soloviev è evidente tuttavia una certa “antiromanità”, residuo della polemica ortodossa contro Roma, laddove l’imperatore è qualificato come “romanus” dimenticando che tutta l’Ortodossia russa ha fatto leva sul mito di Mosca “Terza Roma” e che quella bizantina era comunque erede della Roma dei Cesari e dei Papi – sono tre sparuti gruppi, uno cattolico guidato dal Papa Pietro, uno ortodosso guidato dallo starecz Giovanni ed uno protestante guidato dal Dr. Pauli (evidente il richiamo agli apostoli Pietro, Giovanni e Paolo). Ma quando si tratta di rispondere all’Anticristo, per spiegare la ragione, ossia la fede in Cristo, per la quale quei tre sparuti gruppi di cristiani non accettavano le sue offerte di potere mondano, è il Papa Pietro che prende a nome di tutti e con il consenso di tutti la parola. E quando, nel “Racconto”, si accende la persecuzione contro quei tre sparuti gruppi, tutti si radunano intorno non allo starecz o al teologo protestante ma intorno al Papa di Roma. Insomma Soloviev, ortodosso, riconosce alla fine la centralità della Sede Romana.
In qualche modo, nell’andare dei protestanti ad limina si può anche intravvedere qualcosa di simile ma è necessaria chiarezza teologica e storica su Lutero, non solo, come troppo si insiste, sul Lutero degli inizi, ancora cattolico, ma sugli esiti di Lutero che non si possono spiegare senza tener conto delle fonti ambigue alle quali la sua teologia si è abbeverata e che lo hanno posto in rotta di collisione con il Depositum Fidei come custodito dalla Chiesa cattolica. Gli “initia Lutherii” non servono a capire i “finalia Lutherii”: di mezzo c’è qualcosa che ha portato Lutero fuori dal tracciato, è necessario riconoscerlo se si vuole per davvero fare dialogo in modo chiaro e sincero. Lei afferma che la critica cattolica a Lutero non si può “nemmeno sostanziare con solide ragioni teologiche”. Mi consenta ma questa è una sua infondata convinzione. La rimando, solo per fare un nome, alle opere di Theobald Beer – in particolare “Der Frohliche Wechsel und Streit. Grundzuge der Theologie Martin Luthers” (Lipsia 1974, Einsiedeln 1980) purtroppo non disponibile in italiano (esistono però due interviste a Beer sulla rivista 30Giorni nella Chiesa e nel mondo, del 1983 e del 1992)– ma non solo a lui dato che su Lutero sono stati scritti veri e propri trattati da parte di luteranologi cattolici ed è persino nata, in seno alle discipline teologiche, una specializzazione in tal senso.
Nella questione della giustificazione, Lutero nega ogni dignità all’uomo rendendolo un passivo oggetto indifferente alla trasformazione interiore operata dalla Grazia (da qui la negazione di ogni valore alle opere, alle OPERE DI CARITA’). Lutero stravolge sia Paolo che Agostino, anzi, come ha dimostrato il citato Theobald Beer, non è affatto agostiniano e, in diversi passaggi delle sue opere, irride l’Ipponate. La negazione luterana della transustanziazione è negazione della carne che lascia intravvedere sullo sfondo una chiara negazione dell’Incarnazione e, di conseguenza, la svalutazione di Maria quale Madre Immacolata di Dio. Non a caso Lutero, come annota sempre il Beer, usa nei confronti di Cristo espressioni (addictus) che evidenziano una concezione non ipostatica della Divino-Umanità ma solo “funzionale”, strumentale. C’è qualcosa dell’arianesimo che riemerge in Lutero insieme ad una teologia eccessivamente ed assolutamente apofatica, per la quale la creazione è nulla (si nega in sostanza la bontà del creato e quindi, secondo schemi neoplatonici, si afferma la sua “nientificazione” nel “Nulla” originario: Heidegger è in tal senso erede di Lutero). Questi fatti in Lutero si spiegano attraverso l’influsso che, come ha dimostrato Beer, in lui ebbe la rinascente filosofia ermetico-neoplatonica (un Platone, però, non più filtrato al modo dei Padri della Chiesa).
Ora, come lei osserva, i protestanti chiamano il Papa di Roma a visitarli. Non è che forse, dato l’esito nichilista e distruttivo, per la fede, della teologia di Lutero, i suoi eredi, resisi consapevolmente conto del disastro al quale hanno contribuito, chiamano il Papa perché il protestantesimo è ormai ridotto al nulla, allo zero-virgola, mentre la Chiesa, pur non passandosela benissimo, resta ancora una consistente realtà? Lei giustamente smonta la mitologia di fondazione del protestantesimo ed il feticismo intorno al fondatore. Le faccio notare che la smitizzazione delle origini del luteranesimo dimostra che non fu la corruzione del clero a “scandalizzare” Lutero ma la pretesa della Chiesa di essere visibile, di essere comunità, di essere Corpo Mistico di Cristo, dal momento che in lui, in Lutero, andava maturando l’idea della invisibilità disincarnata della fede, ridotta ad un introspettivo intimismo che fa dell’“io” il giudice stesso di Dio, il giudice della realtà oggettiva, dunque dell’esistenza, di Dio: ed in questo è già in nuce l’ateismo moderno esplicitamente compendiato, ad esempio, da un Feuerbach.
Poi però lei afferma che Lutero non avrebbe mirato ad altro che alla riforma della Chiesa. Forse agli inizi ma poi? Lutero insiste sulla “invisibilità” della Chiesa e quindi la nega non solo quale Corpo ma le nega qualsiasi fondamento divino e sacramentale. Se ne rende conto, caro Marcotullio, o no? Ed è solo colpa della Chiesa se egli, Lutero, si irrigidì o non c’è stata anche la sua superbia, il suo non voler alcun confronto nonostante gli sforzi di Carlo V per mediare? Leone X scomunicò Lutero che, invece, di obbedire si irrigidì ossia non fece come hanno fatto tanti autentici santi i quali hanno obbedito in attesa che lo Spirito Santo agisse e rendesse chiara la loro posizione: penso a Francesco d’Assisi che non gradiva certo di mettere giù una regola per fondare un ordine ma che obbedì alla richiesta papale. Il punto è che lo Spirito Santo non sosteneva la teologia di Lutero, almeno quella che alla fine ha debordato dall’alveo del Deposito della Fede. Lei ci dice che il papato, in sé, non fu l’oggetto diretto delle rimostranze di Lutero, né stava da principio nel mirino della sua “Riforma”. Appunto, “da principio”, agli inizi, ma poi? E quel “poi”, ribadiamolo, è solo responsabilità di Leone X o c’è stato il fondamentale contributo di irrigidimento del monaco Martino?. Il Lutero che, commosso, va ad limina nella Roma del primo cinquecento era il Lutero ancora “cattolico” ma già in preda al suo travaglio che ben presto lo avrebbe portato a definire il Papa l’Anticristo. Gli inizi non possono offuscare la fine e questa è debordata dal seminato. E’ da questo che bisogna partire nel dialogo e non da un irenismo ambiguo che non serve a nessuno, né ai cattolici né ai luterani.
Lei ci cita la lettera di Lutero ad Erasmo quasi per dimostrare che il monaco tedesco non avversasse il Papa. Ma la sua interpretazione di quel testo è fuorviante. «Almeno tu – dice Lutero ad Erasmo –hai capito che il Papa non c’entra niente: ti dico anzi che io sarei pronto oggi ad andare a Roma a baciare la sacra pantofola, se il Papa ammettesse oggi che l’uomo non è libero». Ma perché far finta di non vedere che Lutero, in questa lettera, vuole che il Papa accetti la sua teologia anziché ascoltare lui il Magistero papale. Lutero dice “se il papa ammettesse oggi che l’uomo non è libero”. Non è chiaro che qui Lutero era già assertore del “servo arbitrio” sicché nella sua concezione l’uomo non è libero, ma determinato inesorabilmente dal peccato? Al contrario per la fede cattolica – il Concilio Tridentino non ha fatto altro che ribadire e chiarire, non ha inventato nulla – il peccato ha solo ferito, non corrotto integralmente, la natura umana. Lutero non ha risolto il problema del rapporto tra grazia e libertà, lo ha solo ingessato e, con il “servo arbitrio”, lo ha reso irrisolvibile, nell’immagine di un “dio” irrazionale che salva a suo piacimento chi gli pare indipendentemente dalle opere buone, ossia dai segni esteriori di una trasformazione del cuore.
La giustificazione per “sola fides” non è la soluzione ma solo la complicazione perché, lo diceva già, nella sua lettera, che fa parte del canone biblico, san Giacomo apostolo – non a caso avversato da Lutero – la fede senza le opere è morta: detto in altri termini, le opere di misericordia spirituale e materiale sono il segno dell’azione nell’intimo della grazia trasformatrice di Cristo e quindi una fede che non da segni nelle opere è solo presunzione, temeraria, di salvarsi senza la grazia! L’immagine del Dio “iracondo” se le era costruita lui, Lutero, sia perché, come molti hanno sospettato, in lui agivano problemi psicologici risalenti ad un’infanzia con un padre severo ed ubriacone (qualcuno ha messo a confronto le travagliate e del tutto simili infanzie di Lutero e di Hitler) sia perché egli ha troppo insistito sulla sola Giustizia di Dio e troppo mettendo in rilievo i passi veterotestamentari sull’ira di Dio. Non aveva capito – ed a questo nulla toglie il fatto che nel suo tempo, ed anche prima di lui, tanti, anche cattolici, non lo avevano capito – che l’ira di Dio, nella Scrittura, altro non è che l’Amore offeso del Padre, che però resta sempre Amore ed è sempre pronto al perdono ed alla Misericordia se il peccatore si pente.
L’ulteriore citazione che lei fa delle parole di Benedetto XVI non sembrano cadere a proposito perché in quei passi l’attuale Papa emerito mette l’accento sull’errore contrario e speculare a quello di Lutero ossia sulla Misericordia senza Giustizia, sulla presunzione di salvezza senza pentimento. Dal punto di vista cattolico ciò che rompe l’et-et – natura egrazia, fede e ragione, Dio e mondo, Dio-Uomo in relazione all’Incarnazione, Spirito e materia, Città di Dio e città degli uomini – si pone al di fuori del seminato. Dio, somma maestà, entra nella storia, incarnandosi, nell’umiltà ma questo non è il “contraria species” di Lutero, che egli credeva, erroneamente, di prendere dalle lettere paoline. La kenosi non è rovesciamento, dialettico, di Dio nell’anti-dio quasi che l’uomo sia non l’immagine di Dio ma il suo riflesso speculare e rovesciato sicché l’Incarnazione assumerebbe il significato di un “ribaltamento” del divino nell’umano ad esso ontologicamente opposto. In Dio c’è la misteriosa inscindibilità di Maestosità e Umiltà, di Misericordia e Giustizia. Il rapporto tra noi e Lui è ad un tempo equivoco ed analogico. Egli è nascosto e al tempo stesso rivelato. L’aut-aut, nei termini del principio di non contraddizione, è fondamento della logica razionale e dell’etica naturale – il bene non è il male – ma non è applicabile al problema ontologico di Dio e del suo rapporto con il mondo, come finisce per fare Lutero, che, però, alla logica non credeva mentre credeva di seguire san Paolo ma in realtà lo stravolgeva.
Sono quindi d’accordo con lei quando ricorda che il “sola fide” fu un eccesso che, certamente, condusse Lutero a un errore dottrinale. Ma, appunto!, questo errore è dipeso dal fatto che Lutero non usava l’et-et ma l’aut-aut e quest’ultimo dove non può essere applicato, ossia fuori dal perimetro della logica quale ambito del giudizio gnoseologico ed etico. Le faccio, poi, osservare che se, secondo il vocabolario del Vaticano II, la nota circa la Dichiarazione sui rapporti cattolico-luterani, citata nel suo articolo, mentre usa inopinatamente il termine “chiesa”, avrebbe dovuto scrivere “delle comunità ecclesiali luterane”, questa definizione, “comunità” e non “chiesa”, è stata ribadita facendo ricorso esplicitamente alla sua infallibilità papale, da Giovanni Paolo II nella “Dominus Iesus”, scritta dallo stesso Ratzinger. In questo documento del Magistero viene affermato, in coerenza con il Vaticano II, che quelle non apostoliche, come le luterane e le protestanti in genere, non sono “Chiese” ma soltanto “comunità” ossia gruppi privi di continuità apostolica.
Affermare, come fa lei, che quanto è presentato nella Dichiarazione del 1998 non cade sotto le condanne del Concilio di Trento non è esatto. Al di là dell’accorgimento pratico per rendere possibile il dialogo – nel senso di rendere possibile ai luterani di tornare alla fede cattolica – bisogna poi andare a vedere se l’insegnamento di Lutero, del Lutero maturo, cade o meno sotto la condanna del Concilio di Trento. Il Documento del 1998, come spiegato dallo stesso Ratzinger in diverse interviste e nella “Risposta della Chiesa Cattolica” a quel Documento, non elimina le condanne tridentine che restano ferme e valide e quindi applicabili alla erronee tesi luterane. Forse alcune posizioni di ripensamento in seno al protestantesimo possono, oggi, sfuggire a quella condanna – ed è questo che dice la Dichiarazione, non altro – ma non certo la posizione assunta da Lutero nel corso della sua vicenda. La Dichiarazione non afferma che Lutero sfugge alla condanna tridentina, non potrebbe affermarlo senza dare degli stupidi ai padri conciliari di Trento, e quindi, caro Marcotullio, lei dovrebbe evitare di far dire alla Dichiarazione quanto essa non dice, non può dire né era nelle intenzioni di Ratzinger – basta leggere, come dicevo, la “Risposta della Chiesa Cattolica” e le interviste da lui rilasciate in argomento – di dire.
D’altronde lei, in modo ingiustificatamente paritario, afferma che le condanne delle confessioni luterane non colpiscono l’insegnamento della Chiesa cattolica romana così come esso è presentato nella dichiarazione in questione. Tuttavia lei converrà che “il servo non è più del padrone”: come potrebbe un gruppo reciso dall’Olivo Santo, perché senza basi apostoliche, “condannare” l’insegnamento di una Chiesa apostolicamente fondata, sia essa quella cattolica che quella ortodossa?
Lei, poi, afferma: “Ad esempio, che i luterani non credano alla presenza reale di Cristo nell’eucaristia è una caricatura della posizione di Lutero, il quale semplicemente non accettava la razionalità della categoria di ‘transustanziazione’ nell’elaborazione dottrinale. I problemi di quella categoria, poi, erano così evidenti, fin dal suo conio, che lo stesso Tommaso d’Aquino ne uscì solo appellandosi alla categoria di miracolo (appello lecito e ragionevole, ma certo non razionale in senso scientifico)”. Ma lo comprende o no che la consustanzialità luterana nega, e non afferma, la Presenza Reale di Cristo nell’Eucarestia? Non giochiamo per favore su queste fondamentali questioni! Lutero non credeva nella razionalità e pertanto se fosse vero che per la transustanziazione bisogna ricorrere al miracolo – del resto è certamente un, anzi, IL miracolo quotidiano che regge il mondo – egli l’avrebbe certamente accettata per, appunto, “sola fides”. La questione è ben altra: in Lutero agiva, come ci hanno spiegato Theobald Beer ed altri, una deriva neoplatonica che lo portava ad avere orrore per un Dio che si “inumana”, si fa carne. Egli aveva di Dio una concezione solo apofatica. La fede per Lutero è solo soggettiva e spirituale e non ha nulla che fare con il mondo materiale. Da qui la sua incapacità di comprendere, metarazionalmente, la transustanziazione. In ogni caso, caro Marcotullio, ho l’impressione che anche lei abbia qualche difficoltà con la fede nella transustanziazione. Le consiglio di andare in quel di Lanciano (Chieti) e di vedere e toccare – la fede cristiana, proprio perché fede in Dio che si fa Uomo, ha sempre bisogno di vedere e toccare, come dice lo stesso Cristo nella testimonianza dell’evangelista Giovanni “venite e vedete” – il pane fattosi Carne (Cuore per la precisione) ed il vino fattosi Sangue, come scientificamente attestato da ben due analisi istologiche.
D’altro canto che significa dire che la concezione puramente commemorativa della Messa aveva avuto precedenti anche in àmbito cattolico non aggiungendo che quei precedenti furono accanitamente combattuti, come appunto ereticali, dai contemporanei di Berengario di Tours, nel IX secolo, proprio perché era chiaro, a chi aveva fede, che si trattava di tesi al di fuori del Depositum Fidei in quanto negavano la Presenza Reale. Se è vero che oggi, purtroppo, gli errori intorno al mistero eucaristico sono diventati endemici anche tra i cattolici, proprio per l’eccessiva apertura alle posizioni luterane, è assolutamente risibile la sua affermarmazione per la quale quegli errori sarebbero errori comuni anche alle Chiese apostoliche. Questa è una baggianata enorme! I miracoli eucaristici il Signore li fa ogni giorno ad ogni messa e quando rende visibile la transustanziazione anche agli occhi ed ai sensi – Egli ordinariamente non la rende visibile per il semplice fatto che vorrei vedere chi avrebbe il coraggio di ingoiare un pezzo di cuore o del sangue umano se non fossero “nascosti”, “velati”, sotto l’apparenza delle specie del pane e del vino – lo fa per confermare la fede nella Sua Presenza Reale e non per motivi ecumenici: tanto è vero che i miracoli eucaristici sono presenti in tutti i secoli e non solo negli ultimi ecumenici decenni.
Caro Marcotullio dovrebbe fare, del resto, molta attenzione perché nel suo argomentare ad un certo punto c’è un passaggio nel quale “casca l’asino” ed è quanto lei dice “Né potrebbe essere altrimenti, visto che dipendono radicalmente dalla gnoseologia umana e dalla distanza che in essa intercorre tra esperienza sensoriale e atto di giudizio”. Caro Marcotullio, dunque, lei fa dipendere soggettivisticamente dall’esperienza sensoriale l’oggettività della transustanziazione? Essa sarebbe reale nella misura in cui il fedele la crede tale e viceversa non lo sarebbe se il fedele, nel suo indiscusso ed indiscutibile libero esame, non ci crede? Lutero diceva la stessa cosa quanto parla va di consustanzialità! Lei è luterano o cattolico? Oppure siamo all’inedita, ecumenica e nuova categoria del “cattolico luterano” o del “luterano cattolico”?
D’altro canto non tutto è perso, mi sembra, quando lei giunge a sfiorare l’intuizione di Theobald Beer sulla essenziale dipendenza di Lutero dall’ermetismo e dal neoplatonismo umanistico-rinascimentale, laddove giustamente afferma che “Anche sul canone scritturistico Lutero fece un grave errore, che dipendeva però dall’enfasi sulla dottrina della giustificazione e dal contesto umanistico rinascimentale che gli dava sponda”. Peccato che subito dopo aggiunga un’altra aporia circa la presunta non legittimità del canone nel mondo cristiano. Ora, nonostante le mille, ricorrenti e tra loro sempre contraddittorie e in polemica tesi critico-storicistiche, il canone, nelle Chiese apostoliche, è ben saldo. A proposito poi di canone e dunque di Scrittura, le faccio osservare che il “sola scriptura” è servito a Lutero per demolire l’autorità della Tradizione, quale altra fonte della Rivelazione, ed è segno del suo letteralismo che uccide la fede nell’arbitrarietà del soggettivismo: infatti affermare, negando Tradizione e Magistero, che ciascuno è libero di esaminare la Scrittura come vuole, significa farsi la propria fede personale e per giungere a tale conclusione è necessario affermare la sola Scrittura come fonte della fede, tanto poi letteralisticamente da essa ognuno trae a piacimento quel che più gli aggrada. Esiste, in altri termini, uno stretto rapporto tra “sola fides” e “sola scriptura”.
Il dialogo bisogna farlo nella chiarezza teologica e storica. Ratzinger, giustamente, ricorda che nei lager nazisti morirono pregando insieme cattolici e luterani ma altrove lo stesso Ratzinger ha ricordato che le “chiese luterane” sbandarono incredibilmente verso il nazismo laddove la Chiesa cattolica oppose invece maggior resistenza. Salvo i casi particolari nell’uno e nell’altro campo (Bonhoeffer, ad esempio, in quello protestante ma furono pochissimi i protestanti che seguirono la minoritaria “chiesa confessante”). Ritorna il problema della ricerca di una unità tra tutti i cristiani a fronte di un mondo diventato non cristiano. Problema per il quale rimando alle osservazioni di cui sopra circa la “profezia” di Soloviev. Ciò non toglie che bisogna che questa ritrovata unità, se mai sarà ritrovata e se lo sarà non lo sarà al modo “paritario” che molti ecumenisti auspicano, sia ritrovata nella chiarezza e non nella finzione di un irenismo a tutti i costi e piatto. Anche per Soloviev, come si diceva, l’unità non era concepibile se non intorno al Papa di Roma ossia nella Chiesa cattolica, benché ciò non significa affatto il disconoscimento delle altre esperienze ecclesiali ma solo la loro ordinazione verso Roma. Giustamente lei annota che la Svezia luterana non potrà accogliere Papa Francesco con grandi pompe dato che lassù il Cristianesimo è rimasto al lumicino. Mi chiedo, però, e le chiedo, caro Marcotullio, se si è mai posta la domanda sui motivi per i quali la fede cristiana è praticamente scomparsa nei Paesi noridici e se, per caso, nella scomparsa del Cristianesimo nei Paesi di tradizione protestante non abbia avuto un ruolo fondamentale il fatto che, grazie a Lutero, lì sono stati tagliati i ponti con il veicolo sacramentale della Presenza Reale di Cristo?
Lasciamo perdere poi la presunta capacità del protestantesimo di produrre anticorpi contro la secolarizzazione. La galassia “evangelical”, per favore!, non è un esempio salutare di reattività. L’evangelicalismo pentecostale, pagato dalle multinazionali americane e base popolare di massa per le strategie neocons, che si pone al di fuori del protestantesimo ufficiale, è solo l’esito ultimo, oltretutto irrazionalista ed emozionale, del soggettivismo luterano! L’evangelicalismo non è un anticorpo alla malattia della secolarizzazione ma la sua manifestazione ultima e più letale, con ricadute politiche millenaristicamente pericolose!
La Chiesa ha sempre avuto le sue piaghe ma Rosmini, che lei cita, era un critico di Lutero. Per quanto riguarda, poi, l’anticlericalismo voglio ricordarle che per essere anticlericali nel senso migliore ed autentico del termine bisogna essere consapevolmente cattolici: un esempio per tutti, Dante Alighieri. Ecco perché repetita iuvant: l’unità la si può ritrovare solo intorno alla Sede Romana ma per fare questo è necessaria la chiarezza teologica e storica e non la finzione irenica che non è utile a nessuno, neanche ai “fratelli separati”. Infine, caro Marcotullio, si è mai chiesto se sussiste una qualche relazione tra la soggettivizzazione dell’esperienza sessuale dell’ideologia gender – sono uomo o donna a seconda di come mi percepisco – ed il soggettivismo, che è in fondo lo stesso tipo di approccio, usato da Lutero in ambito teologico? Se la faccia questa domanda e ne tragga le conclusioni evidentemente appropriate.
Cari saluti.
Luigi Copertino
Nessun commento:
Posta un commento
Nota. Solo i membri di questo blog possono postare un commento.