L'AMORE PER LA NOSTRA CIVILTA'
Abbandonati traditi umiliati e offesi stiamo riscoprendo l'amore per la nostra civiltà. L'opera nefasta degli asserviti intellettuali e della Chiesa che altro non fanno che vomitare sul pubblico l'idea che la civiltà europea è bacata
di F. Lamendola
Il cittadino europeo di questo inizio del XXI secolo, non meno del cattolico credente e praticante, si trova in una situazione paradossale. Nel giro di pochissime generazioni l’uno e l’altro sono passati dal credersi i fortunati rappresentanti di una civiltà e di una religione che hanno dato al mondo dei valori universali, dei quali possono e devono andare giustamente fieri, al sentirsi gravare sulle spalle tutto il peso, tutta la vergogna, tutto il senso di colpa per aver partecipato - anche se non erano neanche nati! - alle peggiori nefandezze che siano mai state perpetrate nella storia universale, e per aver diffuso nel mondo i bacilli pestilenziali dell’intolleranza, del razzismo, dell'antisemitismo, dell'etnocentrismo, del colonialismo, dell'imperialismo, del fascismo e di molte altre cose orrende. E abominevoli. E se è vero che un tale capovolgimento di prospettiva è stato preparato e favorito dall'opera due volte secolare dei cosiddetti intellettuali - questi omuncoli avvezzi a sciaguattare nel fango, ad adulare qualsiasi potere e a servire qualunque padrone, i quali, dall'Illuminismo in poi, altro non fanno che vomitare sul pubblico l'idea che la civiltà europea è bacata, e che nulla andrà mai bene se non distruggerà ogni residuo delle proprie tradizioni -, ora, negli ultimi tempi, nel giro di pochi anni, la sarabanda infernale ha assunto un ritmo ben più serrato, addirittura frenetico, anche perché alla testa dei "rottamatori" della nostra civiltà si sono posti i vertici del potere politico e religioso: cioè proprio coloro dai quali il cittadino e il credente si aspettavano d’essere guidati e confortati, nei quali riconoscevano delle guide autorevoli, e dai quali speravano di essere difesi, capiti, valorizzati, indirizzati, secondo il criterio del bene generale e individuale.
Ciò a cui stiamo assistendo, da alcuni anni a questa parte, è lo spettacolo sconcertante, inaudito, intollerabile, di un potere politico che si schiera contro i cittadini, che li ignora, che li disprezza, che nasconde loro la verità, che non li ascolta, che non li protegge, che non li ama, ma che, nello stesso tempo, mostra di capire, incoraggiare, proteggere, tutto ciò che attenta al bene dei loro popoli, e tutti coloro che si pongono in maniera aggressiva e minacciosa nei loro confronti, attentando ai loro valori, ai loro affetti, alla loro stessa identità e al loro stile di vita. I politici, europei, che non si sono mai sognati di chiedere ai loro popoli che cosa ne pensino della progressiva, inarrestabile invasione dell'Europa da parte di orde di africani e asiatici spacciati per profughi, per disperati e per nullatenenti, mentre è noto che pagano (o che qualcuno paga per essi) fino 5.000 dollari per compiere la traversata del Mediterraneo, ora pretendono, esigono, ordinano l'accoglienza indiscriminata, stanziano somme colossali per ospitarli, requisiscono alberghi, pensioni e case private per collocarli, con o sena l'autorizzazione dei legittimi proprietari, con o senza il gradimento dei residenti locali. I quali ultimi, se appena osano esprimere contrarietà, o anche solo perplessità, di fronte a questa invasione, legalizzata e incoraggiata dall'alto, e imposta dai prefetti, si sentono apostrofare da razzisti, da intolleranti, da egoisti, da insensibili, e trattati da ribelli, più che da cittadini che esprimono un più che legittimo dissenso.
Peraltro, non è solo l'ultima ondata di cosiddetti profughi, ma è tutta la politica dell'immigrazione, che, in questi ultimi due o tre decenni, ha letteralmente cambiato il quadro etnico del nostro continente, e creato le premesse per una africanizzazione ed una islamizzazione dell'Europa, stante l'alto tasso d'incremento demografico dei nuovi arrivati, e il bassissimo tasso di nascite delle famiglie europee. Mai nessun politico ha chiesto ai suoi concittadini se essi siano d'accordo sul fatto di accogliere milioni di stranieri, stabilmente e definitivamente, con le loro famiglie; semmai, i politici si sono vantati di una cosa che, alla prova dei fatti, e nel giro di neppure vent'anni, si è rivelata illusoria e impossibile: la cosiddetta integrazione. Nossignori: non c'è stata alcuna integrazione, se non in qualche caso individuale. I tre milioni di turchi immigrati in Germania sono rimasti tre milioni di turchi (se dobbiamo prendere per buone le cifre ufficiali): non hanno mostrato il benché minimo segnale di volersi integrare, di voler diventare cittadini tedeschi non solo nominalmente, ma di fatto, condividendo i valori, gli ideali, gli affetti, l’identità. Così, si sono creati dei ghetti alla periferia delle grandi città europee, nei quali nemmeno la polizia osa farsi vedere (vedi il caso dei gravissimi episodi accaduti recentemente nella cintura parigina): di fatto, si tratta di territori dello Stato che non sono più controllati dallo Stato, ma nei quali gli stranieri si muovono come a casa loro, e non tollerano neppure la presenza di una telecamera di sorveglianza. Oppure che dire degli immigrati nordafricani di Bruxelles, presso i quali un terrorista ricercato dalla polizia di mezzo mondo ha potuto vivere, protetto dall'omertà generale, per dei mesi, dopo essersi macchiato le mani con le stragi più efferate di cittadini innocenti?
Dalle massime autorità religiose, dal papa in primis, e poi, a cascata, da una quantità di cardinali, di vescovi, di sacerdoti di quartiere, giungono messaggi dello stesso tenore, anzi, se possibile, ancor più sferzanti, ancor più ultimativi: come se non essere d’accordo con questa invasione legalizzata fosse ciò che contraddistingue il falso cristiano da quello vero, ciò che lo smaschera, che lo espone alla riprovazione generale da parte dei “buoni”. Ebbene, tutto questo è buonismo, cioè il contrario della bontà; e non è nemmeno cristianesimo, perché il Vangelo non pretende il suicidio collettivo dei popoli. Non si venga a citare la parabola del buon samaritano: perché qui non si tratta di soccorrere un bisognoso, ma di accondiscendere ad una invasione legalizzata, ad una abdicazione della propria identità culturale e spirituale, e di acconsentire ad una sostituzione di popoli, sancendo il diritto di conquista per degli stranieri che faranno sparire i popoli dell’Europa insieme alla loro fede. Anche il cristianesimo sparirà sotto l’ondata islamica, e quel che l’Islam non è riuscito a fare a Lepanto, o a Vienna, si accinge ad ottenerlo, senza neanche sparare un colpo a salve, in modo apparentemente tranquillo e “normale” (se questa follia legalizzata merita il nome di normalità): sfruttando i nostri oscuri sensi di colpa, la nostra debolezza e la nostra vacuità spirituale, i nostri buonismi legislativi e le opposte tendenze demografiche degli Europei e degli immigrati.
E un atteggiamento assai simile si sta diffondendo anche nei confronti di altri soggetti, ad esempio di quegli omosessuali (non tutti gli omosessuali) i quali, non paghi di esibire apertamente i loro costumi, vogliono, pretendono, il riconoscimento giuridico delle loro unioni, ed esigono che sia chiamato matrimonio, e che sia celebrato non solo in municipio, ma anche in chiesa: richiesta che trova ben disposti un certo numero di preti e perfino qualche vescovo, con la motivazione che l’amore rende ragione di qualsiasi legame e si giustifica da se stesso, senza bisogno di alcun altro argomento. Quanto ai separati e ai divorziati che desiderano accostarsi all’Eucarestia e riprendere, in pieno, e a testa alta, il loro posto nella vita ecclesiale delle parrocchie e delle comunità, anche per questo pare che non vi siano più degli ostacoli insormontabili: in nome del “discernimento”, una parola passe-partout coniata a questo specifico scopo, pare che i sacerdoti siano autorizzati a non frapporre ulteriori difficoltà a quelle persone. Come dire che tutti quei cristiani che hanno lottato e sofferto per tenere in piedi il loro matrimonio, fedeli alla promessa fatta davanti a Dio, potevamo anche risparmiarsi la fatica: avrebbero potuto separarsi anch’essi, risparmiandosi angosce e pene, e alla fine sarebbero stati riaccolti. Di più: le cose vengono ribattezzate con un altro nome; le nuove convivenze stanno per essere pienamente legittimate; niente pentimento, niente riparazione, niente castità: una sanatoria generale, un condono ad ampio raggio, e il problema è risolto. La Chiesa ha fatto suo il criterio con cui la legislazione civile ha fatto passare le leggi sul divorzio, sull’aborto, sulle unioni civili come equivalenti del matrimonio, quanto ai diritti (ma senza l’impegno pubblico e duraturo, cioè senza i doveri), e, da ultimo, il “diritto alla cittadinanza”, oltre che all’accoglienza, per chiunque venga a stabilirsi in Italia: vale a dire, trasformare la constatazione del fatto in una liberalizzazione. Si fa così, tutti fanno così, dunque mettiamo da parte i principi, e, se necessario, anche i sacramenti, e accettiamo l’inevitabile. Tutti divorziano: e allora accogliamo i divorziati e, di fatto, aboliamo il sacramento matrimoniale. E pazienza se un certo Gesù Cristo ha detto non solo: Ciò che Dio ha unito, l’uomo non divida, ma anche: Chiunque guardi una donna con desiderio, ha già commesso adulterio, con lei, nel suo cuore; e, per giunta, abbia esortato a strapparsi piuttosto l’occhio che dà occasione di scandalo, o il piede, piuttosto che cedere alla tentazione: perché è meglio, per lui, entrare nel regno dei cieli orbo, o zoppo, che andare nella Geenna con entrambi gli occhi ed entrambi i piedi.
Anche sul versante religioso, dunque, i credenti, oggi, si sentono abbandonati, perfino traditi: ciò che dicono taluni esponenti del clero non collima affatto con ciò che è stato insegnato dalla Chiesa fino ad oggi; pare quasi che seguire la morale cattolica sia diventato una cosa un po’ obsoleta, un po’ retrograda, e un po’, come dire?, ipocrita. Finché queste accuse e questi rimproveri venivano dalla società profana, poco male: i cristiani ci si erano ormai abituati, ciò faceva parte della sottile, ma palpabile discriminazione prodotta da un lento processo di secolarizzazione; ciò che è sconcertante, perfino sconvolgente, è che ora vengano dall’interno stesso della Chiesa. Nessuno pensi che stiamo esagerando. Abbiamo udito con i nostri orecchi dei giovani preti progressisti rimproverare le donne del paese, invitandole, con aria sprezzante, a non portare più fiori per l’altare della Madonna: ufficialmente, perché i fiori “fanno sporco”, ma, in realtà, e tutti se ne rendono conto, perché il culto della Madonna, a quei signori – ci scotterebbe la lingua, se li continuassimo a chiamarli sacerdoti – dà loro non poco fastidio: Lo vedono come un residuo di superstizione medievale. E anche quelle vecchiette, danno loro un po’ fastidio. Essi vorrebbero un cattolicesimo giovanile, tonico, palestrato, ma, nello stesso tempo, elastico, tanto elastico da poterne allargare o restringere le maglie a piacer loro, secondo le circostanze: mentre quelle benedette donne hanno la spiacevole abitudine di viverlo con coerenza, tutto d’un pezzo. Non cambieranno mai, sono state educate così: bisogna aspettare che la loro generazione sparisca dalla circolazione; allora, e solo allora, vescovi e preti progressisti potranno riedificare la Chiesa secondo i loro desideri. E questo è solo un esempio: uno fra i cento, fra i mille che potremmo fare. Gli stessi preti progressisti esortano le pie donne a smetterla di pensare ai pellegrinaggi, alle devozioni, alle preghiere dei santi: sono ben altre le cose di cui un vero cristiano si deve occupare. Di spiritualità, costoro, non parlano mai; di raccoglimento, di preghiera, di amore e timore di Dio, neppure; della morte e della vita eterna, del Paradiso e dell’Inferno, meno che meno.
Del resto, non ha dichiarato apertamente, papa Francesco, nella sua prima intervista a La Repubblica (se di una intervista si trattava: non c’erano registratori, era tutta basata sulla parola di Eugenio Scalfari, il gran papa della Massoneria nostrana; ma l’intervistato si è ben guardato dal rettificare o eccepire) che il suo primo, esplicito obiettivo, sarebbe stato quello di cambiare la Chiesa? Ora, ci permettiamo di domandare: rientra nei poteri e nelle competenze di un pontefice, cambiare la Chiesa? La Chiesa è una cosa sua, di sua proprietà? Quel che insegna la Chiesa è il frutto di una elaborazione due volte millenaria; ed è il frutto, soprattutto, dell’opera invisibile, ma potentissima, dello Spirito Santo. Almeno per i credenti. Da quando in qua il papa, un papa, oltretutto, eletto in circostanze un po’ dubbie (i gesuiti non dovevano essere esclusi dal pontificato?), oltretutto eletto dopo la stranissima rinuncia di un altro pontefice, tutt’ora vivo e vegeto, a quasi quattro anni dalla sua abdicazione, può affermare di voler cambiare la Chiesa? La Chiesa si può cambiare? È un’opera puramente umana, che si cambia a seconda del vento che tira? Oggi tira un vento di progresso, e la si cambia in senso progressista; domani, forse, il vento soffierà nella direzione opposta, e allora si farà una Chiesa tradizionalista?
Ecco: abbandonati e traditi dalle autorità e dalle istituzioni politiche e religiose, i cittadini e i credenti si sentono profondamente umiliati e offesi. Si sentono sviliti, disprezzati, e anche presi in giro. Nessuno ha avuto il fegato di dire loro apertamente: Ragazzi, contrordine: è cambiato tutto! Aboliamo i confini dello Stato; aboliamo le leggi di Dio!; però, di fatto, silenziosamente (come insegna la finestra di Overton, per rendere accettabile l’inaccettabile), è come se fosse in corso d’opera proprio una trasformazione del genere. Radicale e irreversibile. Eppure, da tutto questo male potrebbe nascere un bene. I cittadini e i fedeli potrebbero riscoprire l’amore per le proprie radici, per la propria identità. Potrebbero riscoprire la bellezza di essere cristiani e la fierezza di essere europei. Senza complessi di superiorità verso chicchessia; ma anche senza complessi d’inferiorità, sensi di colpa, ricatti morali. Potrebbero impararlo proprio dal tradimento delle loro guide. Dopo secoli di auto-denigrazione, potrebbero capire che non è poi così brutto essere se stessi.
Abbandonati, traditi, umiliati e offesi, stiamo riscoprendo l'amore per la nostra civiltà
di Francesco Lamendola
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